CONVEGNO SUL FILOSOFO GIOVANNI GENTILE TENUTOSI A SALO' (2004) PER INIZIATIVA DEL CENTRO SRUDI SULLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA   
 
Centro Studi e Documentazione sul periodo storico della Repubblica Sociale Italiana
Comune di Salò
Asessorato alla Cultura Regione Lombardia
 
 
CONVEGNO STORICO
NEL SESSANTESIMO DELLA MORTE DI
GIOVANNI GENTILE
Salò, 14 maggio 2004
 
Segue la sbobinatura delle registrazioni. Si fa presente che il testo raccolto potrebbe riportare errori di interpretazione fonica e quindi non rispecchiare esattamente il pensiero dell'oratore. Il solo testo del Dott. Accame è riportato, in mancanza di sbobinatura, riprendendolo dal libro "Stato etico e manganello. Giovanni Gentile a sessant’anni dalla morte" edito da Marsilio.
 
I testi del Convegno sono stati editi con correzioni, approfondimenti, ampliamenti, chiarimenti e note in
"Stato etico e manganello. Giovanni Gentile a sessant’anni dalla morte" edito da Marsilio, 2004, a cura di Roberto Chiarini raccoglie i saggi di Biagio Di Giovanni, Daniela Colli, Giano Accame e Sandro Fontana.
 
 
Prof. Romano Sergio [UN FILOSOFO SCOMODO PER TUTTI]
Prof.ssa Coli Daniela [IL FASCIMO COME SFIDA FILOSOFICA]
Prof. Biagio De Giovanni [GIOVANNI GENTILE NELLA CRISI DELLA COSCIENZA EUROPEA]
Dott.  Giano Accame [GENTILE E LA MORTE] 
 
 
Presidente: "Io prima di dare corso agli interventi ho l’obbligo ovviamente di ringraziare i relatori che hanno accettato il nostro invito, voi che avete accettato il nostro invito, e di seguire questa seconda giornata di studi che organizza il centro studi nato l’estate scorsa.
A novembre noi abbiamo organizzato una giornata sul tema delle fonti per la storia della Repubblica Sociale, oggi era un po’ un appuntamento dovuto, corre il 60° della morte di Gentile, figura eminente che ovviamente non potevamo lasciarcelo sfuggire. Ovviamente io voglio solo qui ringraziare gli enti che hanno permesso prima la nascita di questo centro, poi ci stanno sostenendo nell’avvio di questo centro che è pieno di promesse, spero che abbia anche delle realizzazioni adeguate alle promesse, e io qui voglio anche approfittare per fare un appello ai privati, alle associazioni, alle istituzioni, ai Comuni, perché qualcuno già ci conforta del loro sostegno sia finanziario che morale, ma io credo che è la prima in Italia, avviene dopo quasi 60 anni dalla fine della guerra, è un atto dovuto del paese intero di reperire, conservare, mettere a disposizione degli studiosi le fonti e fare anche un inizio di riflessione nello spirito di questo centro, che non è certo un centro né nostalgico, né apologetico, ma ha un fine critico di servizio civile oltre che culturale per far sì che questo tema così drammatico, così caldo, così ancora lacerante per l’opinione pubblica abbia una sede dove si spengono un po’ le passioni e si ragiona, e ci si confronta.
Già questi due incontri, non c’è bisogno questo di presentarlo perché abbiamo degli inviti di tutta eccellenza e di competenti, perché il primo criterio è che fossero studiosi del tema.
Io non voglio prolungare perché abbiamo poco tempo per affrontare tutti i problemi.
Ultima osservazione finale è che io spero che non solo ci sia il sostegno, ma si mobiliti il tam tam di chi conosce personaggi, privati, istituzioni che hanno documentazione, che hanno cimeli, che hanno magari anche testimonianze orali da rendere sul periodo, o perché sono stati protagonisti e testimoni, e noi uno dei compiti che ci proponiamo è quello di allestire un archivio delle fonti orali. Naturalmente facciamo tutto questo con i mezzi che abbiamo perché sono sforzi considerevoli anche dal punto di vista economico, ci vuole personale.
Stiamo costituendo la biblioteca e apriremo presto e inaugureremo anche la biblioteca aprendola nella misura in cui potremo col personale che abbiamo.
Lascio la parola ad un saluto prima del Sindaco di Salò, che io voglio ringraziare lui e Salò per tutto il conforto che ci da’ e il sostegno convinto e solidale. La Provincia di Brescia, altro socio fondatore, è rappresentata dall’Assessore Parolini, e la Regione che, non vedo ancora l’Assessore Corsaro, ci darà il saluto.
Do’ la parola al Sindaco per un breve saluto."
 
Sindaco Cipani Giampiero: "E’ davvero un grande onore e un grande piacere per la città di Salò ospitare questo grande convegno storico nel 60° anniversario della morte di Giovanni Gentile. Giovanni gentile è stato uomo di grande ed eccelsa cultura, protagonista con Benedetto Croce della rinascita della filosofia italiana, autore della riforma scolastica che porta il suo nome, ideologo del fascismo. Ricordiamo il manifesto dell’intellettuale del fascismo del ’25, cui Croce rispose come tutti sappiamo con un contro manifesto. Direttore della Normale di Pisa e artefice della enciclopedia italiana, istituti diretti con mano ferma, ma aperti anche al contributo di alcuni intellettuali anti fascisti ed ebrei, penso fra tutti Paul Oscar Kristeller. Si tratta, come già anticipato il Presidente Chiarini, di un convegno di altissimo livello, organizzato e pensato dal neonato centro studi sul periodo storico della repubblica sociale, nella persona del suo attivissimo devo dire Presidente Roberto Chiarini, che ringrazio pubblicamente per l’impegno e la professionalità con cui ha svolto e svolge quotidianamente questo delicatissimo e importantissimo incarico. 
I relatori, i Professori Sergio Romano, Daniela Coli, Giano Accame, Biagio De Giovanni e Sandro Fontana rappresentano, consentitemi di dirlo, il gota degli studiosi della vita e delle opere di Giovanni Gentili, e garantiscono quindi conseguentemente la serietà e la scientificità assoluta di questo convegno.
Un ringraziamento particolare intendo rivolgere all’Assessore Mauro Parolini, che rappresenta il Presidente della provincia di Brescia arch. Alberto Cavalli, dal Dott. Massimo Corsaro, che rappresenta naturalmente la Regione Lombardia, Assessore alla Regione, nella loro qualità di rappresentanti degli enti fondatori insieme al Comune di Salò, del Centro Studi sul periodo storico della Repubblica Sociale italiana, che lo si ripete, ha visto la sua nascita pochi mesi orsono, ma è già stato capace di organizzare, come ha ricordato il prof. Chiarini, che convegni di altissimo livello. Non mi resta che lasciare la parola al Prof. Chiarini e augurare buon ascolto a tutti."
 
Assessore Parolini Mauro: "Io innanzitutto porto il saluto del Presidente della provincia Alberto Cavalli, che avrebbe dovuto essere qui, che avrebbe desiderato essere qui, ma che non ha potuto per un impedimento. Del resto io credo che i soci promotori, la Regione, la Provincia, il Comune abbiano avuto del coraggio oltre che spirito ed iniziativa nell’istituire questo centro di studi e documentazioni, perché poteva essere equivocato e inteso come un’iniziativa di tipo ideologico fazioso. Al contrario lo scopo per cui questo centro è stato perseguito a lungo e alla fine realizzato è quello di dare innanzitutto documentazione, e poi un giudizio su un periodo storico che è ancora fondamentale per la nostra società e per il nostro paese. È nato questo centro dalla certezza che non è rimuovendo il passato che si crea un’identità nazionale, ma è anzi riscoprendolo e giudicandolo perché solo un giudizio il più possibile obiettivo formato su una idonea documentazione permette di andare oltre e di andare avanti. La rimozione costringe una società continuamente ad andare indietro.
Del resto la scelta dei vertici di questo centro, e come diceva giustamente il Sindaco, l’azione che ha svolto in questo breve periodo documentano proprio l’attenzione ad una scientificità, ad una oggettività che è lontanissima da posizioni ideologiche, e tanto mano da posizioni faziose. 
Io credo che il tema di oggi oltre che a celebrare un anniversario, che per altro non è neppure uno di quelli canonici perché non sono né 50, né 100 anni, ma sono 60, non è tanto il ricordo di una figura scolorita nel passato, ma una figura di estrema attualità sotto molti aspetti. Uno dei più immediati è il fatto che solo oggi dopo più di 80 anni si assiste ad una riforma organica della scuola italiana e in particolare della scuola superiore. La riforma Gentile è stata modificata per via amministrativa, qualche volta stravolta, ma mai affrontata con una proposta analoga in termini organici fino alla riforma Moratti, e credo che ripensare alle ragioni di quella riforma sia un utile contributo anche nel difficile cammino che questa nuova riforma deve affrontare nella scuola italiana. E l’altra questione è quella, per altro oggetto delle relazioni di oggi, della ricerca di una identità nazionale, identità nazionale che è tutt’altro che costituita, a cui Gentile cercò di indicare una strada opinabile, criticabile finché si vuole, ma era una strada che puntava sull’educazione. Dopo allora questa identità nazionale ha fatto qualche passo avanti e qualche passo indietro, sicuramente qualche frattura presente prima del 8 settembre del ’43 non fu certo rimarginata, ma anzi amplificata da quello che avvenne allora e nei 2 anni successivi. Il fatto di andare a ripensare alla logica che mosse l’azione e il pensiero di Gentile è quindi di estrema attualità, perché sicuramente ancora oggi la nostra società ha bisogno di ricostruire un’identità nazionale riconosciuta e avvertita da tutti i suoi cittadini, ancor più se si pensa che uno dei punti fondamentali del pensiero di Gentile, o forse della sua azione di educatore e di ministro, era il riferimento alle radici cristiane del nostro Paese, argomento che è diventato di grande attualità anche nel dibattito della costituzione europea. Quindi i temi che oggi vengono trattati non sono quelli di un convegno accademico, ma toccano nervi scoperti della nostra società e del nostro dibattito culturale. La autorevolezza dei relatori che oggi interverranno ci dice che oggi assisteremo ad un evento, anche di questo ringraziamo il Presidente Chiarini e il centro di documentazione perché danno un contributo sicuramente importante che vanno ben al di là dei limiti della città di Salò e della provincia di Brescia. Grazie."
 
Assessore Corsaro Massimo: "Grazie Professore. Io voglio nel ringraziarla rappresentare e confermare la partecipazione e l’interesse della Regione Lombardia come cofondatore del Centro Studi e documentazione sul periodo storico della Repubblica Sociale, e soprattutto ringraziare l’operatività che il prof. Chiarini sta dando a questo Centro Studi, il cui obiettivo e il cui scopo rispetto al quale la Regione Lombardia si è costituita tra i promotori e tra i fondatori. Mi piace ricordare in questa occasione come una delle spinte più forti perché si desse vita a questo centro fu dell’allora Assessore alla Cultura della Regione Lombardia, il compianto Avv. Marzio Tremaglia, e mi piace ricordarlo oggi perché sono convinto che certamente molto più e molto meglio di quanto potrei essere in grado di fare io Marzio oggi avrebbe rappresentato non solo la presenza della Regione, ma avrebbe anche dato ulteriore ricchezza di spunti e di contenuti a quanto gli autorevoli relatori convenuti oggi vorranno dare a questo appuntamento. 
Credo che l’obiettivo che la Regione Lombardia ha voluto darsi e rispetto alla quale ha individuato proprio nel prof. Chiarini la più alta rappresentanza in grado di offrire risultato alle nostre richieste sia quello di ottenere con questo centro studi e con l’elaborazione dei lavori di questo centro studi la possibilità di fare un passaggio importante per riappropriare una parte della storia di Italia alla storia di Italia, per dare e per far crescere le opportunità di riacquisizione della interezza e della continuità della storia di Italia.
Quello che noi auspichiamo possa avvenire con la produzione, con le ricerche e con gli approfondimenti, con la divulgazione dei lavori del centro studi e documentazione della Repubblica Sociale è la possibilità di offrire a tutti gli italiani elementi di conoscenza, magari se del caso e se lo si crede per approfondire gli aspetti critici, per rendere magari più virulenti i contenuti di criticità o di contestazione, ma finalmente con una contezza di documenti e di conoscenza su quello che è stato che per troppo tempo, per un lungo quarantennio di questo lunghissimo dopo guerra non è appartenuto alla gran parte degli italiani, che in molte parti e in molte occasioni hanno avuto non solo su questo aspetto l’opportunità di esprimere delle valutazioni positive o negative, che fossero con una scarsità di elementi di conoscenza. Quindi questo è l’obiettivo che abbiamo consegnato al Prof. Chiarini, e che il prof. Chiarini con la sua nota professionalità sta egregiamente svolgendo, e ancora di più mi piace dire che la presenza oggi come rappresentanti della Regione Lombardia è un elemento di ulteriore interesse, di ulteriore soddisfazione non solo istituzione, ma voglio dirlo anche a livello personale per l’argomento di cui si tratta e per la qualità dell’appuntamento che è stato fissato oggi per l’importanza e la profondità dei relatori che sono convenuti. Lo dico perché per altro a livello personale, qualcuno in sala mi conosce, la figura di Giovanni Gentile di cui oggi i relatori parleranno è stata una figura fortemente influente nella formazione e nella crescita di molti giovani della mia generazione, della mia famiglia anche di appartenenza politica. Io non dimentico di fare parte di una generazione e di una famiglia politica in cui in giovane età, c’è l’amico Giano Accame che è buon testimone di quanto sto per dire, aveva come argomento dibattimentale per la propria crescita e per il proprio confronto un po’ la bipartizione tra i gentiliani e gli evoliani, e io personalmente ho maturato molta parte della mia impostazione, ideale culturale sulla figura di Giovanni Gentile per un insieme di motivi perché è stato il filosofo dello stato etico, perché è stato il filosofo che all’inizio del secolo scorso ha manifestato le sue contro deduzioni alla impostazione materialista del marxismo, perché è stato il filosofo dell’idealismo, perché è stato, lo diceva molto bene l’Assessore Parolini nel suo intervento, il filosofo che cercando di passare e di tradurre in concretezza il passaggio dall’idea all’azione ha voluto costruire con la riforma della scuola un sistema che fosse a disposizione dell’opportunità di crescita del cittadino, una scuola che fosse non il nozionificio che ho ereditato e che molto spesso è tornato tristemente ad essere nel sistema attuale, ma che fosse un’istituzione in grado di crescere le capacità critiche di analisi, di dibattimento e di formazione ideale e culturale dei giovani di tutte le generazioni del nostro paese. Quindi una volontà di creare sistemi ed istituzioni in forte trasformazione anche in un sistema e anche in una realtà, come spesso accade quando si vuole riformare, poi tutto cambia ma il minimo comune denominatore si trova spesso, anche in una realtà in cui gli attori principali verso i quali quelle riforme erano indirizzate avevano, come spesso accade, un istinto di conservazione che li portava a non abbracciare immediatamente le proposte innovative e le proposte riformative. Quindi una figura certamente che, ripeto dal punto di vista personale, ma credo non solo dal punto di vista personale ha esercitato una forte influenza. Un ringraziamento ancora più forte quindi al lavoro che il prof. Chiarini ha voluto indirizzare verso la commemorazione e il ricordo della persona e dell’attività e delle opere di Giovanni Gentile, e un ringraziamento a tutti i convenuti e a tutti i relatori per quanto sapranno offrirci di sicuro interesse."
 
Presidente: "Possiamo dare inizio ai lavori, e apre la sessione il prof. Sergio Romano, che conosciamo tutti, autore di molte opere storiche, editorialista del Corriere della Sera oltre che collaboratore di molti giornali, ma direi anche una opinione sempre autorevole ed equilibrato. Autore anche di una biografia di Gentile, che è stata riproposta in questi giorni, e che se volete noi abbiamo preparato anche un banco in cui chi vuole può avere l’occasione di accostarsi a quest’opera. Lascio la parola al Prof. Romano."
 
Prof. Romano Sergio [UN FILOSOFO SCOMODO PER TUTTI]: "Grazie Prof. Chiarini. Signor Sindaco, signori e signore, Giovanni Gentile fu un filosofo della prassi e dell’azione. Come filosofo della prassi appartiene ad una tendenza della cultura filosofica ed europea e non soltanto europea tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, in cui si inserì subito con grande originalità. Come filosofo della prassi fu molto attratto dallo studio del marxismo, agli inizi del 900 aveva già pubblicato un’opera critica del marxismo di grande interesse, e fino alla fine della sua vita si compiaceva di ricordare che lei l’aveva letta e che l’aveva giudicata positivamente, pur essendo quella un’opera critica del marxismo parlando con i suoi compagni. Ma non del Gentile filosofo vi parlerò, non sono filosofo, vi sono a questo tavolo persone che possono farlo molto meglio di me, come Biagio De Giovanni e Daniela Coli. Io vi parlerò piuttosto di altre caratteristiche della vita politica e della vita culturale di Giovanni Gentile, vi parlerò del suo incontro con il fascismo, della sua attività come riformatore della scuola italiana, della sua attività come organizzatore di cultura e dell’ultima sua vicenda politica, l’adesione alla Repubblica Sociale Italiana, e la morte 60 anni fa.
Non ho mai capito se vi debbo dire la verità perché Gentile sia diventato fascista, non ho mai trovato nelle sue opere, nei suoi scritti, nella sua corrispondenza argomenti tali da giustificare l’adesione al partito. Ho capito, credo di avere capito le ragioni per cui una parte del fascismo, e Mussolini trovarono in Gentile alcuni degli argomenti e delle giustificazioni che potevano per così dire nobilitare il contenuto volontaristico, il sentimento dell’azione e della prassi che certamente è presente nell’ideologia fascista. Perché Gentile abbia deciso di diventare fascista ed abbia accettato la tessera che gli fu offerta da una federazione fascista non mi è mai risultato del tutto chiaro, se debbo dire la verità. Certamente una parte importante fu la volontà di Gentile di procedere ad una grande riforma della scuola italiana, la riforma era stata all’ordine del giorno per più di 20 anni, i professori ne parlavano continuamente, gli intellettuali ne dibattevano nei loro convegni, Salvemini aveva lungamente parlato della necessità di riformare la scuola italiana. Su questo vi era certamente un forte consenso, ma non appena qualcuno cercava di mettersi all’opera si scontrava contro varie resistenze corporative, che sono poi classiche di questi mondi popolati da intellettuali, semi intellettuali. In altre parole riformare la scuola italiana era molto difficile, e la scuola era diventata una giungla, una giungla di istituti pubblici, di istituti privati, istituti confessionali, istituti superiori, prive genericamente di controlli uniformi capaci di verificare volta per volta la qualità degli studi, il livello raggiunto dagli studenti, e bisognava certamente mettere ordine. La riforma non è fascista, Mussolini si innamorò dell’idea di una riforma in una fase in cui desiderava molto dare la prova del suo dinamismo, della sua capacità di realizzare rapidamente qualche cosa che desse a tutti la sensazione di come il suo governo sarebbe stato un governo per l’appunto concreto, pragmatico, realizzatore.
Gentile era l’uomo che gli permetteva per così dire di passare alla storia come riformatore della scuola italiana, gli dette fiducia, tra i due si stabilì un rapporto di grande rispetto reciproco, gli dette fiducia e Gentile si mise al lavoro.
Gentile fece abbastanza rapidamente lavorando su alcune riforme già realizzate da Benedetto Croce quando Croce era Ministro della Pubblica Istruzione con Giovanni Giolitti, ma Croce stesso aveva lavorato avendo accanto a sé Gentile come Consigliere, lavorando su quelle premesse Gentile riuscì a realizzare molto rapidamente la grande riforma della scuola italiana.
Non mi si venga a dire per cortesia che quella riforma ha vissuto a lungo, perché hanno cominciato a smantellarla più o meno 4 o 5 anni dopo l’inizio della riforma. Perché non era una riforma conforme alle finalità del regime, il regime aveva una fortissima componente popolare, la riforma di Gentile era una riforma elitaria. Gentile aveva impostato, impermeati gli studi italiani intorno ad un percorso preferenziale, quello che avrebbe creato la classe dirigente italiana di domani, che era per l’appunto il liceo classico. Non dimentichiamo che quello fu il momento, per la verità sopravvisse questo criterio per un certo periodo in cui in Italia vi fu, la scuola esercitò la funzione selettrice. Noi non abbiamo avuto mai la selezione all’ingresso dell’Università, ma abbiamo avuto per un certo periodo la selezione alla fine degli studi liceali, vale a dire con il liceo classico. Quindi una riforma elitaria, destinata a creare classe dirigente attraverso un percorso preferenziale, che era inevitabilmente, secondo la formazione di Giovanni Gentile, un percorso di tipo umanistico, storicistico, filosofico, letterario. Questo era il carattere che Gentile volle dare alla riforma.
Non durò molto perché naturalmente, benché Mussolini rispettasse e stimasse Gentile, la riforma non rispondeva ai criteri di un partito che avrebbe voluto creare un regime fondato su larghi consensi di masse popolari, a cui bisognava dare anche forme di istruzione più livellanti e livellate. Quindi nel giro di qualche anno, nonostante Gentile continuasse a godere dell’appoggio di Mussolini e del sostegno di una parte del regime la riforma venne sistematicamente toccata, corretta, modificata, in modo da renderla meno selettiva, meno elitaria, meno gerarchica. Gentile accettò perché non poteva fare diversamente, ma quello che veramente marcò la separazione di Gentile dalla struttura portante del regime e del partito fu il concordato. Tutto il pensiero di Giovanni Gentile era fondato sulla supremazia dello Stato. Lo Stato etico diveniva dagli studi dell’idealismo tedesco, era un retaggio hegheliano a cui lui rimase sempre tutto sommato fedele, comunque era lo stato nella sua pienezza e nella sua totalità che doveva farsi carico di problemi di formazione e di educazione del cittadino. L’idea che lo Stato abdicasse a queste sue funzioni e venisse a patti con la chiesa cattolica, come accadde nel 1999, permettesse l’ingresso del crocifisso nelle scuole, permettesse che la chiesa cattolica si assumesse la responsabilità ma anche il diritto di educare i ragazzi, i bambini secondo gli insegnamenti della religione all’interno della scuola media e superiore, Gentile avrebbe accettato le elementari, aveva sempre teorizzato la religione come filosofia dei poveri, non lo disse mai in questi termini ma quello era il concetto. Ma le scuole medie superiori, no, quello veramente Gentile non lo poteva tollerare. Ed è in quel momento che si realizza una spaccatura, che non fu però tuttavia una spaccatura né con Mussolini né con il regime in quanto tale, fu il partito che cominciò a diffidare di lui, a cercare di emarginarlo. Per fortuna della cultura italiana Gentile continuò a godere del sostegno di Mussolini e del grande prestigio che ebbe comunque conquistato negli ambienti accademici, e quindi comincia a delinearsi a partire degli anni 20, ma soprattutto all’inizio degli anni 30 un Gentile nuovo, diverso da quello che gli studiosi avevano conosciuto fino ad allora dalla fine dell’800 alla guerra mondiale, e oltre la guerra mondiale, il Gentile impresario, impresario di cultura, grande organizzatore di cultura, straordinariamente capace, un talento di organizzatore invidiabile, abbastanza sottendente in un uomo che era parso fino a quel momento essere per così dire avvolto nelle grandi nebbie della filosofia. Il lavoro di Gentile si concentrò a partire da quel momento su grandi istituzioni culturali, sappiamo che dedicò buona parte del suo tempo e della sua vita in quegli anni alla scuola normale superiore, fondò istituzioni di vario genere come quello per gli studi sul rinascimento di Firenze, in cui poi Garan fu uno degli esponenti più attivi, poi ebbe la presidenza di istituzioni, a cui non dette semplicemente il suo nome o contributi formali. L’Ismeo presieduto da Giovanni Gentile fu un grande istituto, fu certamente un istituto molto attento ai problemi dell’oriente, del medio oriente e soprattutto del vicino e del medio oriente, con un’attenzione alle ricerche archeologiche, alle spedizioni scientifiche, alle conoscenze storiche. Quindi grande organizzatore di cultura poté, sia pure con grande difficoltà continuare a lavorare all’interno di un regime con cui sul piano ideologico ormai aveva dei rapporti molto distaccati.
L’enciclopedia italiana fu certamente il suo principale mestiere per molto tempo, ed è tuttora uno dei maggiori doni fatti alla cultura nazionale da parte di Giovanni Gentile. Alla fine degli anni ’30, inizio degli anni ’40, Gentile era un uomo vecchio ormai, non privo certamente di grandi energie, ma ormai dedicato soprattutto a quelle attività organizzative, imprenditoriali, case editrici, istituti che erano diventati ormai il suo lavoro quotidiano. Con la politica non aveva molto a che fare, parlo degli inizi degli anni ’40. Fu la guerra che lo rimise in gioco, la guerra lo rimise in gioco naturalmente perché era un grande test nazionale, era un grande esame del Paese, e a mano mano che ci si avvicinava alla sconfitta, la sconfitta era ormai evidente nel 1942, agli inizi del 1943, è facile avvertire in Gentile un sentimento di angoscia, un sentimento di grande timore per le sorti della nazione. Ed è a questo punto che uscì dall’ombra, dall’ombra relativamente parlando, era naturalmente una personalità molto nota, ma uscì da questa specie di ritiro che si era imposto per un famoso discorso in Campidoglio nel giugno del 1943, in un momento molto difficile per le sorti del paese e le sorti della guerra. Quel discorso è interessante perché vi si legge tra l’altro una certa evoluzione del pensiero di Giovanni Gentile che aveva spostato Gentile su posizioni molto sociali, al limite quasi comuniste, questo è stato detto forse con una quasi esagerazione da qualche studioso. Comunque Gentile si era reso conto che molti dei suoi allievi sono diventati comunisti, o simpatizzavano per il partito comunista, o leggevano attentamente i testi del comunismo, e si era reso conto che ormai un’ala sinistra dei gentiliani, dei suoi allievi come Ugo Spirito si era spostato su posizioni sociali così avanzate da confinare in realtà con una certa forma di comunismo. E allora parlando agli italiani nel giugno del 1943 parlò anche ai comunisti, quei comunisti erano i suoi ragazzi, erano i suoi studenti, quelli che lui conosceva e che aveva incontrato alla Normale di Pisa, e li esortò a non essere troppo radicali, a non dimenticare i valori della Patria, i valori della Nazione, soprattutto in un momento di pericolo. Li definì, addirittura non volle credere che fossero veramente comunisti, disse loro siete dei corporativisti impazienti, ma in realtà avrebbe potuto aggiungere, perché era per così dire tra le righe, siete sempre i miei figli. L’8 settembre sappiamo che fu vissuto da Gentile come una grande tragedia, e gli ricordò un’altra tragedia di cui lui era stato testimone, che lui aveva vissuto con grande angoscia, che era stata Caporetto. Lui fece l’8 settembre del 1943 quello che aveva raccomandato agli italiani a Caporetto, unitevi per la salvezza della patria, addirittura in più di un’occasione lasciò comprendere che la sconfitta era possibile, addirittura probabile, ma che non sarebbe mai stata così catastrofica per il paese se il paese avesse saputo affrontarla unito, con un sentimento di forte adesione e fiducia nella patria da ricostruire. In altre parole ritenne di stare con Mussolini per un complesso di ragioni, perché questa gli sembrò la scelta più conforme alle scelte precedenti della sua vita, perché gli sembrò una scelta di lealtà e di amicizia, dopo tutto era siciliano e queste cose per i siciliani contano, era stato amico di Mussolini, aveva nei confronti di Mussolini rispetto, ammirazione, lealtà, e perché ritenne che Mussolini avrebbe potuto in quel momento meglio cercare di guidare il paese sulla strada non della vittoria, non credo che Gentile si sia mai fatto molte illusioni, ma sulla strada del rigore nazionale, del riscatto nazionale, questi erano un po’ i suoi sentimenti. Naturalmente questo lo spinse ad assumere una posizione molto polemica nei confronti di quella parte del regime fascista, del regime di Salò, che viveva la repubblica sociale invece come un’occasione di vendetta, di rivalsa, di ripicca, di regolamento di conti. Non ci fu città italiana in quegli anni in cui un particolare gruppo di fascisti massimalisti non avesse creato la sua organizzazione, qualche volta prettamente poliziesca, e non si comportasse in un modo che a Gentile parve del tutto contraddittorio rispetto allo scopo che si era proposto, l’unità degli italiani nel momento del grande pericolo. Badate che vi fu un incontro di Gentile con Mussolini qui, Gentile venne da Firenze ed incontrò Mussolini. È un incontro di cui non abbiamo un verbale, abbiamo semplicemente ciò che Gentile disse ai figli, raccontò ai figli dopo l’incontro. Dovette essere un incontro tutto sommato di sintonia, abbastanza forse commovente tra questi due vecchi signori, uno più vecchio dell’altro. Certo se voi andate a vedere il discorso di Mussolini al Lirico di Milano, l’ultimo discorso di Mussolini, troverete degli accenti gentiliani, anche Mussolini al momento sta raccomandando ai fascisti di non mettere in pericolo la coesione nazionale con delle iniziative troppo brutali, di rivalsa, di vendetta. Questo fece sì, come è inevitabile in queste circostanze, i terzisti finiscono sempre squartati, non c’è niente da fare, fece sì che Gentile fosse inviso a tutti, a quel punto aveva fatto il pieno degli odi possibili, era odiato naturalmente da una parte dell’antifascismo militante, soprattutto dell’antifascismo comunista, ed era certamente detestato da una parte importante del fascismo abilitante, del fascismo giacobino, del fascismo revanscista e vendicativo. E finì, come sappiamo, ucciso da un gruppo comunista. Addirittura uno studioso Luciano Canfora ha perfino ipotizzato che in quell’assassinio, in quell’omicidio potessero avere avuto una parte persino gruppi fascisti radicali, addirittura ha immaginato, bellissimo libro, non c’è quasi nulla di vero ma è uno splendido libro, ha immaginato che in questo grande complotto ci fossero dentro un po’ tutti gli inglesi, la massoneria, la Repubblica Sociale, gli stessi comunisti, ecc. In realtà molto probabilmente fu l’iniziativa di questi, di un piccolo gruppo fiorentino che desiderava affermarsi, avere visibilità, incidere sull’orientamento, radicalizzare la resistenza, e sappiamo di questo gruppo abbastanza, ne conosciamo il nome della persona che ne fu il capo Bruno Fanciullacci, e sappiamo come Gentile fu ucciso. A questo punto il problema naturalmente divenne politico, non credo che i comunisti avessero designato Gentile come una vittima e programmato la sua morte, ma Togliatti la approvò e quando si approva una morte si diventa automaticamente responsabili di quella morte, non c’è niente da fare, soprattutto nei termini particolarmente bruschi e brutali con cui Togliatti rivendicò la morte di Giovanni Gentile, e quella fu la fine della vita di Giovanni Gentile. Devo dire che la vita di Giovanni Gentile continua tuttavia, ha una serie di capitoli successivi che sono scritti dopo la morte di Giovanni Gentile, e che sono anche più interessanti degli ultimi anni della vita di Gentile, perché in realtà Gentile aveva creato una intellettualità italiana. Molti dei ragazzi che avevano studiato con Gentile erano finiti nell’antifascismo, parecchi addirittura nell’antifascismo di matrice marxista e di matrice comunista. Erano suoi alunni anche perché alcune delle cose che lui aveva insegnato loro potevano essere in qualche modo adattabili alla filosofia comunista. Lo stato etico diventava il partito etico, l’idea che si potesse e si dovesse discutere, ma che ad un certo punto bisognasse tacere alla fine della discussione per servire la Patria non era altro che una manifestazione di centralismo democratico, che fu sempre una caratteristica dei partiti comunisti, e poi spostandosi verso il corporativismo, verso la società, come fece nel suo ultimo libro, offriva a questi ragazzi anche un terreno abbastanza vicino al terreno marxista. Quindi sarebbe stato logico, giusto che questi ragazzi diventati poi uomini, e poi vecchi, avessero riconosciuto il debito che avevano con Giovanni Gentile. Avevano un grande debito con Giovanni Gentile, e sarebbe stato anche giusto che lo riconoscessero, avevano più debiti con Gentile di quanti non ne avessero con Croce, ma con Gentile il debito non si poteva esternare perché Togliatti aveva detto quel che aveva detto, e avendo pronunciato questa condanna ex cattedra non vi era membro del partito comunista che potesse permettersi di riconoscere il suo debito di gratitudine intellettuale nei confronti di Giovanni Gentile. Quindi noi abbiamo avuto un mucchio di gentiliani comunisti che non potevano dire di essere figli di quel padre, e questa è stata una delle buffe ipocrisie della vita politica italiana. Abbiamo avuto un mucchio di missini gentiliani che non erano per nulla gentiliani, perché ad un certo punto il tempo passava, loro stessi si erano per così dire inseriti nella realtà italiana, avevano modificato giustamente il loro impianto ideologico originale fino ad Alleanza Nazionale, un partito che di gentiliano non ha assolutamente nulla, e quindi rivendica Gentile tutt’al più come uno zio nobile all’interno di un albero genealogico, ma molto di più non può fare.
Quindi questo è un po’ il paradosso italiano, ma è soltanto uno dei tanti paradossi italiani. I figli non hanno riconosciuto il padre, quelli che non sono più figli continuano a riconoscerlo come padre. Grazie." 
 
Presidente: "Ringrazio ovviamente Sergio Romano per questa illuminante posizione brevissima, ma ha toccato i nodi di tutta la vita politici, ma soprattutto anche umani di Gentile.
Lascio la parola adesso a Daniela Coli, docente di filosofia a Firenze, che è autrice di una biografia fresca di stampa per l’editore Il Mulino, che ci parlerà di Gentile e di identità italiana una sfida filosofica, quindi entriamo un po’ nella dimensione più propria dell’intellettuale."
 
Prof.ssa Coli Daniela [IL FASCIMO COME SFIDA FILOSOFICA]: "Da vari anni in Italia si pronuncia la parola identità, riferita appunto all’Italia. Si è parlato di crisi dell’identità, di ricerca dell’identità, di identità condivisa. Di solito il termine identità è un termine che si riferisce più alle motività e più all’individualità. È un termine che in genere si riferisce all’adolescenza, alla formazione dell’identità, o alla crisi che un adulto può avere dell’identità, però nella storia degli ultimi anni, del secondo del 900 circolano termini come per esempio memoria, che sono termini forse che non rientrano nelle categorie storiografiche, però questi sono i termini e bisogna anche usarli perché fanno parte del lessico con cui oggi parliamo.
Il problema dell’identità italiana che viene tanto agitato, tanto discusso in vario modo è in fondo il problema della nazione e il problema dello Stato. L’Italia che è uno Stato giovane, uno Stato che è nato nel 1866, uno Stato che non ha neppure due secoli, ed è incomparabile in confronto ai grandi Stati europei tipo Inghilterra o Germania, Francia, che hanno secoli di spalle di Stato, la stessa Germania aveva una qualche unità, è appunto uno Stato che ha mostrato delle grandi difficoltà nella sua storia a elaborare un concetto di nazione di Stato, perché la stessa Unità di Italia come sappiamo fu in fondo il prodotto di una piccola élite, un capolavoro diplomatico. E questo Giovanni Gentile è un problema che sentiva molto bene, molto fortemente, perché in realtà…
[Audiocassetta N. 1 – Lato B:]
[ricostruzione dell’interruzione: perchè in realtà alcuni segnali preoccupanti si erano manifestati già alla nascita dello Stato unitario: dalla questione meridionale, al brigantaggio....]
…già alcuni problemi al Sud, col brigantaggio e anche alcune sconfitte per le quali veniva fuori una certa fragilità del sentimento di unità presso appunto i cliani, penso al popolo, quindi vi era questo grande problema di nazionalizzare gli italiani, e questo problema era molto sentito da Gentile. Se uno legge il suo tema di italiano per la missione alla normale, trova questo grande patriottismo, potremo dire e anche questa grande volontà come intellettuale di contribuire alla formazione del completamento del Risorgimento, del contribuire alla formazione della Nazione e alla costruzione dello Stato italiano.
Ecco, possiamo dire che ogni Nazione, ogni Stato ha un grande padre, un grande filosofo che elabora una teoria, una retorica che diventa diciamo il padre fondatore, per esempio la Gran Bretagna ha Thomas Hobbes, o la Francia ha Rousseau, in qualche modo la Germania Hegel. Questi filosofi, che sono anche grandi filosofi oltre filosofi politici, quando costruiscono il loro Stato ideale, non è che sono solo fra le nuvole, ma di solito pensano alla realtà nella quale sono inseriti.
Per esempio Hobbes pensa alla Gran Bretagna e all’Inghilterra e pensa all’(…), scrive nel Leviatano mentre c’è la guerra civile inglese, e la sua teoria ne è profondamente influenzata, per questo pensa al contratto per uscire dallo stato di guerra contro tutti.
Gentile è, mentre Rousseau invece è un po’ il teorico, colui che vuole cambiare la Francia, è un po’ il teorico di una Repubblica democratica, Gentile è in fondo il nostro unico teorico dello Stato, e fu anche colui che in qualche modo...... la sua teoria fu la teoria dello Stato fascista, era in quanto lo Stato etico.
Ecco, appunto, ogni teoria dello stato di ogni filosofo, di ogni grande filosofo, come dicevo, tiene conto della specificità della Nazione in cui questo Stato per inserirsi, a cui questo Stato deve dare unità, che questo Stato deve governare, e tiene conto anche delle caratteristiche, per esempio Hobbes. Hobbes lo fonda sul contratto si perché c’era la guerra civile, e poi lo fonda sulle leggi naturali, tende a tenere Dio più lontano possibile, perché in fondo era l’Inghilterra dei riformati, dove il sovrano diventava anche automaticamente il capo della religione inglese.
Così Rousseau pensa alla Francia, quando costruisce la sua teoria del contratto sociale, e ha una antropologia in cui l’uomo è considerato un animale sociale.
Ecco dobbiamo dire che Gentile tiene conto della specificità italiana, storica, di un Paese che in fondo, da quando è nato ha, quando Gentile comincia a pensare a questa costruzione dello Stato, ha avuto momenti in cui era sull’orlo della guerra civile, alla nascita, poi all’inizio del Novecento con l’uccisione anche del sovrano, e soprattutto dopo la Prima Guerra Mondiale, quando si era posto il problema della democrazia, e però non sembrava possibile, anche da coloro che si dicevano democratici fondare una democrazia proprio perché questa democrazia, questi partiti non avevano un’idea della Nazione, erano in fondo un po’ internazionalisti, e in qualche modo c’era questo grande problema poi, venuto con i comunisti, della violenza, il dopoguerra è caratterizzato da una violenza politica terribile che arriva da tutte le parti e che arriva ovviamente e a cui il fascimo non dava risposta.
Ecco quindi Gentile deve tenere conto anche di questo, deve anche tenere conto però che l’Italia è una grande civiltà, ha una grande cultura, e ha anche una religione, deve anche tenere conto delle radici cristiane, come si direbbe oggi, e della presenza inoltre in Italia di quella del Papa, ma anche del fatto che i cattolici non avevano partecipato al Risorgimento, e quindi questa era stata anche un poco una frattura. Quindi deve tenere conto che questo Stato deve anche dare, oltre essere educatore, deve dare anche dei valori, deve essere anche uno Stato che ha una certa religiosità.
Nello stesso tempo lo Stato è per Gentile in interiore homine, perché? Ma perché Gentile pensa che l’uomo sia un animale sociale aristotelicamente, crede che appunto l’uomo sia un animale sociale e per questo non pensa al contratto, come invece Thomas Hobbes per il quale invece l’uomo è lupo, tre lupi, gli uomini se potessero per Hobbes si scannerebbero a vicenda e non lo fanno solo perché si rendono conto che, forse quando si addormentano qualcuno li ucciderà, o anche il più forte può darsi sempre che trovi un gruppo di più deboli che si alleano e lo scannano.
Quindi gli uomini hobbesiani arrivano allo stato per necessità per l’istinto della sopravvivenza e quindi fanno il contratto. Invece gli uomini gentiliani arrivano allo stato perché, è una loro tendenza potremo dire innata, quella della socialità e quella di essere inseriti in una comunità che li protegga e nella quale essi possano lavorare, per la quale essi possa anche lavorare per il bene Comune, questo è un altro argomento aristotelico, che questa teoria gentiliana dello stato educatore, poi lo vediamo anche nello stesso, attuata dallo stesso Gentile che diventa Ministro della scuola e Ministro dell’Educazione e riforma la scuola.
Lo vedremo nella sua grande attività organizzativa quando appunto diventa impresario, come diceva Romano, come direttore dell’enciclopedia Treccani, come riorganizzatore della normale e di mille altre attività che tendevano appunto a produrre una nuova élite, perché era questo che voleva fare, produrre una classe dirigente che avesse il senso della Nazione e dello Stato. Per questo Gentile era un uomo estremamente lungimirante, proprio perché era un grande intellettuale con un rapporto saldissimo con Mussolini, per questo appunto quello che fu definito da un contadino fiorentino il capo della cultura italiana, (…) è morto a (…) il capo della cultura italiana. Ecco per questo Gentile ha anche forse capacità di essere autonomo, e una sua libertà e per questo appunto egli si preoccupa del vero grande intellettuale, vero grande riformatore, vero grande filosofo conoscenza dello Stato, di selezionare la migliore classe dirigente e quindi anche sa che un élite deve potere inserire energie nuove, e quindi non si preoccupa se tra i suoi allievi ci sono allievi con idee comunisti o allievi pacifisti, o di altro tipo, è estremamente tollerante e liberale, nello stesso tempo però gentile è senz’altro un fascista e lo è, come io sono d’accordo con Del Noce per la sua stessa concezione del Risorgimento, per cui non poteva non diventarlo, non aderirvi, nello stesso tempo perché ha questa grande determinazione a creare un’Italia nuova, questo lo si vede molto bene nel confronto con Croce durante al Prima Guerra Mondiale, quando Croce, come tutti sappiamo, non voleva la guerra. Non perché Croce fosse un pacifista, cosa che aborriva, era un realista politico, e neppure perché Croce fosse umanitario, Croce semplicemente non voleva la guerra perché pensava che l’Italia non fosse capace di affrontarla e pensava che probabilmente avrebbe perso e ne sarebbe uscita distrutta.
Invece Gentile voleva la guerra, è interessantissimo rileggere le sue lettere a Omodeo, le sue lettere a De Ruggero, e l’entusiasmo che riesce a trasmettere ai suoi allievi, che poi vanno a combattere la guerra e voleva la guerra perché la guerra gli sembrava l’unico mezzo per cambiare la realtà italiana, per non vivere uso Spagna e Grecia diceva, e vuole la guerra perché pensa che al primo sfondamento del nemico dice, ci sarà un’unità del popolo, quindi probabilmente sarà un primo momento di fondazione della nazione italiana. Vuole anche la guerra perché la guerra è un momento in cui si sprigionano energie nuove, e quindi direi che in questo momento, proprio al momento della guerra, si crea la prima grande scissione con Croce, perché Croce non vuole la guerra e pensa più all’intellettuale come un intellettuale cosmopolita, difensore dei diritti della ragione, o intellettuale un po’ alla Windelband, in questo senso direi anche venendo meno a quello che era il primo Croce, Croce che dialogava con Sorel, il Croce battagliero, battagliero col positivismo ecc. ecc., il Croce che era un Croce molto politico e molto realista politico.
Ecco invece Gentile pensa, che è un professore universitario molto affermato, che pubblica sui giornali ecc., pensa invece di doversi anche impegnare per creare questo nuovo Stato.
Quindi è qui che si biforca anche l’idealismo italiano, è anche qui che vediamo quanto sia importante appunto il problema della Nazione per Gentile, come lo vive proprio in prima persona, basta leggere gli articoli che scrive durante la guerra.
Ecco dopo la guerra appunto Gentile vediamo che ha questi compiti di Ministro, questi incarichi di Ministro, sì credo anch’io che Gentile non fosse un politico politico, senz’altro ha voluto fare il Ministro perché gli piaceva fare la riforma della scuola, ma credo che in fondo a Gentile, che non era un uomo che concepiva il fascismo come partito (…), ma come una specie di partito dell’Italia, credo che non gli interessasse mescolarsi nella lotta che c’è per il potere all’interno del fascismo, non interessasse appunto un altro Ministero dell’Educazione o di mettersi lì le beghe per avere qualche Ministero, aveva già fatto un Ministero e aveva fatto la riforma della scuola, e questo penso gli bastasse, penso che lui volesse continuare ad avere un suo ruolo molto forte di intellettuale, di libero intellettuale, di forgiatore della nuova classe dirigente, e quindi di nuove istituzioni ecc. ecc.
E quindi anche di, sì, tenendosi un po’ distaccato da tutta una serie di beghe della politica politicante come si suol dire con l’espressione un po’ logora. Comunque Gentile ha questo rapporto molto saldo con Mussolini e, appunto, per capire questo dobbiamo tenere conto del discorso agli italiani del 24 giugno ’43, appunto Gentile senz’altro era un po’ defilato perché aveva avuto la perdita del figlio, la perdita di alcuni amici molto cari, era stato anche malato, nello stesso tempo leggiamo, quando leggiamo le sue corrispondenze sentiamo quanto si è amareggiato per la caduta di Tunisi, e se leggiamo il Discorso agli italiani vediamo come egli stabilisca un nesso tra l’essere fascista e l’essere italiano. Disse: "Parlo come fascista quale sono fiero di essere, perché mi sento profondamente italiano, e perciò parlo prima di tutto come italiano che ha qualcosa da dire a tutti gli Italiani, fascisti o non fascisti, […] Italiani tutti, e perciò tutti virtualmente fascisti, perché sinceramente zelanti di un'Italia che conti nel mondo, degna del suo passato". 
In fondo perché l’Italia contasse qualcosa nel mondo lui aveva voluto fare l’Enciclopedia Italiana, che era la versione italiana della Britannica, cioè voleva avere la Britannica italiana, o aveva fatto la Normale al grande Centro di Ricerca Internazionale, e però vediamo come, appunto, l’identità di fascismo e italianità. Io sono fascista perché mi sento profondamente italiano e perciò parlo come italiano, tutti gli italiani che sono fascisti in quanto vogliono, tutti virtualmente fascisti in quanto tutti vogliono che l’Italia conti qualcosa nel mondo.
E che l’Italia conti qualcosa nel mondo è un po’ direi un leitmotiv del fascismo, su cui si ritrovano tante persone che magari non accettano tutto del sistema politico del fascismo. Alcune cose, magari, soprattutto agli intellettuali stanno fastidiose, però hanno questo in comune.
E quindi da questo possiamo credo capire anche l’ultima scelta di Gentile, possiamo capire la scelta per la quale Gentile aderirà alla Repubblica Sociale.
Da una parte c’è il discorso che Gentile in qualche modo ha investito tutta la sua filosofia sul fascismo, e quindi è anche il filosofo che fa la storia, e nessun filosofo come Gentile ha fatto la storia, e mentre tutti i filosofi hanno avuto da Platone in poi il mito del re filosofo, e Gentile, insomma, è il primo filosofo che concretamente fa la storia, aveva investito tutto se stesso in questo, quindi era molto difficile per lui non seguire il fascismo comunque andassero le cose. Nello stesso tempo bisogna dire che Gentile probabilmente, che muore il 15 aprile del ’44, probabilmente non si immaginava lo scoppio della guerra civile, precedentemente c’è Via Rasella, ci sono le Fosse Ardeatine, poi c’è l’assassinio di Gentile, sono in fondo i tre eventi precedente la guerra civile.
Nello stesso tempo ancora c’era stato lo sbarco in Normandia che sarà del giugno, Aurelio Lepre diceva in un articolo "Lo Storico", che Gentile in alcuni casi sembrava avere ancora la voglia di vincere, infatti Gentile dice in una lettera, sì, io voglio vincere, voglio che la mia Sicilia ritorni italiana. Nello stesso tempo c’è il Gentile che scrive a Nardi e dice che, anche se al posto dei tedeschi ci fosse il diavolo bisognerebbe dargli fiducia perché qui si decide il nostro destino per secoli, quindi era molto cosciente del momento che stava attraversando. Nello stesso momento c’è anche appunto l’idea che senz’altro, l’idea di un Paese unito, anche nella sconfitta, la sconfitta sarà meno grave.
Ecco, senz’altro Gentile ebbe questo sogno che si ripetesse Vittorio Veneto, che dopo lo sfondamento che c’era stato dagli austriaci durante la Prima Guerra Mondiale, Croce ebbe momenti di grande depressione mentre Gentile si mantenne calmissimo, com’è calmissimo il Gentile negli ultimi mesi fiorentini, e probabilmente pensava che si potesse ripetere quell’unità, quell’unità invece non si ripeté perché scoppiò la guerra civile e scoppiò proprio, iniziò anche con la sua uccisione a Firenze".
 
Presidente: "Ringrazio Daniela Coli e (frammento a microfono spento) inversione dei lavori per ragioni pratiche, e quindi lascio la parola al prof. Biagio De Giovanni, che ringrazio di essere venuto qui con noi anche se aveva impegni accademici molto stringenti, oltre alla sua notorietà come filosofo, specificatamente su Gentile oltre ad una, diciamo così, parentela accademica perché il suo maestro è stato allievo di Gentile, c’è un interesse specifico per il personaggio, e credo che proprio tra pochi giorni ci sia un’opera dedicata al pensiero filosofico, è l’Europa ma, in cui c’è un capitolo specifico dedicato a Gentile.
Lascio la parola a Biagio De Giovanni".
 
Prof. Biagio De Giovanni (GIOVANNI GENTILE NELLA CRISI DELLA COSCIENZA EUROPEA): "Io ringrazio molto per questo invito, devo dire sono contento di poter esprimere qualche riflessione qui in questa sede sul tema Gentile, anche perché come è stato detto anche nell’introduzione è importante, nei vari interventi che ho ascoltato finora, è importante che questi confronti si sviluppino, e forse è venuto il tempo per poterlo fare.
Il prof. Chiarini ricordava questo aspetto personale, io ci ritorno per un attimo, il mio maestro era il prof. Cammarata, filosofia del diritto da cui io provengo, ed ero un alunno di Gentile, e naturalmente come succede sempre nel rapporto tra maestri ed alunni mi ha immesso, proprio nella circolazione del mio sangue, diciamo, interesse per l’attualismo e forse anche qualcosa di più che interesse per l’attualismo. E siccome io poi ho invece avuto un’esperienza politica tutta quanta nella Sinistra, e in qualche modo faccio parte di quella, sia pure nel mio piccolo di quella vicenda che Sergio Romano ricordava di persone che hanno avuto militanza nella Sinistra, io ero nel Partito Comunista, e che però hanno avuto sempre con Gentile un rapporto molto forte, con mediazioni varie, c’è anche questo problema Gramsci, Gentile, insomma tanti temi che anche Sergio Romano ha sollevato in varie sedi.
Di questo filosofo Romano ha detto qualche volta scomodo, che si è cercato di rimuovere, ma era impossibile rimuoverlo, anche se il tentativo c’è stato e per tanti anni è stato difficile parlare di Gentile, perché era difficile rimuoverlo? Per due ragioni che io voglio esprimere con grande brevità perché poi vorrei svolgere due punti in maniera un poco poco più analitica.
Intanto il primo è che Gentile è stato un grande intellettuale, ed è stato un grande intellettuale politico nelle direzioni che Sergio Romano ha ricordato nel suo intervento brillante prima, cioè per l’efficacia a parte tutti i problemi concreti che si sono avuti, difficoltà, dissensi ecc. nella capacità di influire le istituzioni culturali italiane, la capacità di influenza sulle istituzioni culturali italiane.
Qualunque cosa si voglia dire, e si possono condividere tante osservazioni sui problemi che la riforma della scuola di Gentile ha indotto fin dal momento della sua realizzazione, e pure tuttavia l’Italia per decenni ha vissuto quel Liceo e quella Università, e questo è una cosa diciamo di decisiva importanza nella vita civile di una Nazione. E poi l’Enciclopedia, il lavoro enorme che il Gentile ha fatto nell’Enciclopedia Italiana, con un senso dell’organizzazione della cultura che secondo me ha apparentato molto Gentile, alle visioni dell’egemonia, questa parola chiave, che è stata una parola chiave diciamo nel dibattito politico italiano, perché anche questo il lavoro dell’Enciclopedia ha segnato.
E poi c’è un altro elemento ancora, un poco poco più accademico ma non meno significativo, nel momento stesso in cui Gentile era, Romano l’ha ricordato, negli anni stessi nel quale Gentile era rimosso, si cercava di rimuoverlo, tutta la filosofia anche Accademica italiana era gentiliana.
Che cosa sarebbe Severino senza Gentile, che cosa sarebbe Pareyson senza Gentile, che cosa sarebbe stato per certi aspetti Pace senza Gentile, e così via. Cioè tutti i grandi Siloni della…che sarebbe Eco senza Gentile, "Opera aperta" di Eco, libro schiettamente gentiliano. E queste sono cose importantissime, naturalmente perché fanno capire, come dire, queste vie, labirinti, che dirette e indirette attraverso le quali poi si realizzano le influenze intellettuali.
E la seconda ragione per la quale questa rimozione di gentile era impossibile, non voglio dire ingiusta, perché ingiusta è una parola troppo carica di etica, era impossibile di fatto, perché Gentile è stato uno dei grandi classici del pensiero del Novecento europeo. E’ uno dei grandi classici del pensiero del Novecento europeo, questo è un dato innegabile.
E i nomi con i quali Gentile può essere confrontato e si sta confrontando, nel senso che questo confronto si è riaperto in maniera anche intelligente, sintomatico, importante in questi anni, faccio solo i nomi di Husserl e di Martin Heidegger, cioè di due massimi pensatori del Novecento, a parte Croce naturalmente. Ma il dibattito Croce e Gentile ha fatto parte dell’anima dell’Italia, l’amicizia prima, il contrasto a partire dal 1913, la rottura poi definitiva negli anni venti, e quindi grande filosofo, grande classico del Novecento. E su che cosa avveniva, ecco il primo dei due punti che io vorrei sviluppare appena appena un po’ più analiticamente. Su che cosa questo confronto con i grandi del Novecento.
Ma io direi nella consapevolezza, e perciò ho dato questo titolo a questo mio breve sommario intervento, nella consapevolezza di una crisi della coscienza europea. Questo è il nodo che stringe insieme le filosofie che pensano in quegli anni.
In qualche modo il destino dell’Europa era dentro la riflessione di questi filosofi, e anche la problematicità di questo destino, la problematicità di un destino che poneva la questione del rapporto tra Europa, Occidente, il mondo, in una fase nella quale le continuità si erano rotte, interrotte, c’è la crisi, e c’è la consapevolezza della crisi, e questa crisi prendeva anche una forma che, forse in maniera un po’ riduttiva, ma comunque secondo me molto significativa si poteva chiamare così, "crisi della centralità dell’Europa nella storia del mondo", cosa che la coscienza europea aveva avvertito in maniera profonda e anche drammatica lungo i tornanti del XIX secolo, a partire da anni precoci rispetto ai fatti, perché i fatti diventano clamorosi verso l’ultima parte del secolo, ma intorno alla metà del XIX secolo la coscienza di questa crisi della centralità dell’Europa è molto forte.
La risposta a questa crisi è, o almeno una delle risposte a questa crisi è nichilismo politico, il nichilismo filosofico. Il nichilismo, come dire, si radica nella crisi della coscienza europea del XIX secolo, questo credo che sia un nodo, e dirò poi perché metto tanto l’accento su questo, come se, e qui uso un termine che forse può apparire a prima vista difficile per i non addetti ai lavori, ma in realtà è un termine molto comprensibile, io cercherò molto velocemente di argomentarlo, di spiegarlo, nella fine della metafisica occidentale, europea, questa era… che cos’è questa fine della metafisica? Significava fine di quella crisi di quella trama di valori, attraverso i quali la stessa esistenza storica dell’Europa aveva in qualche modo presentato e vissuto se stessa.
Questa trama di valori, io la chiamo in maniera un po’ sommaria e così, che era stata, badate, sempre profondamente costitutiva della coscienza europea, perché non esiste coscienza europea senza filosofia. La filosofia è stata l’essenza della coscienza europea, questo lungo tutti i secoli della modernità si potrebbe dire, e quindi quando questa filosofia è entrata in crisi così radicalmente negli anni e nei decenni che io ho ricordato, la sensazione che questa crisi toccasse in profondità la stessa sostanza della storia europea, questo era il nudo che si andava delineando diciamo così.
Bene, Gentile è estremamente consapevole di questo problema, e la soluzione che Gentile propone, o per meglio dire la risposta che Gentile cerca di dare alla intensità di questa questione, sta, io proverei a formularla in questa maniera, della cui sommarietà naturalmente mi scuso in anticipo, Gentile cerca di porsi oltre il nichilismo e oltre la metafisica, cioè non immaginando che si dovesse tornare a quei valori assoluti che non erano più in campo, non era più possibile riuscire a portare nella storia questa trama di valori, di presupposti, di dati, di ontologie intorno alle quali la coscienza europea aveva vissuto e organizzato se stessa. Ma che fosse possibile immaginare una risposta che andasse oltre sia la mera conservazione di quegli assoluti, Gentile è, lo dice Del Noce in maniera secondo me molto geniale, molto acuta, è il filosofo che con più radicalità di tutti gli altri ha distrutto il realismo, la datità, l’immediatezza, il presupposto, il presupposto, come se noi avessimo una realtà alle spalle e ci dovessimo adeguare semplicemente a questa realtà.
Gentile mette al centro l’atto del pensiero come sappiamo, cioè l’attualità, la sostanzialità del pensare, e però Gentile che fa questa operazione, che quindi fa tutt’altro che un’operazione regressiva, fa tutt’altro che un’operazione di restaurazione della metafisica, tuttavia dice no al nichilismo.
Questo nichilismo badate che incombe sulla sua filosofia, perché un filosofo che ha distrutto il dato, un filosofo che ha distrutto il presupposto, un filosofo che ha distrutto criticamente il dato e il presupposto, sa che il mondo, Gentile lo dice "pencola sull’abisso del nulla", dice Gentile, "pencola sul caos del nulla". E l’unica cosa che pur ridurre il rischio di questo caos, e quindi di questo precipitare di tutto nel nulla, è che cosa? Questa energia dell’atto, del pensare, questa responsabilità del pensare, questa logica che in Gentile diventa etica, e che diventando etica diventa anche politica. Per cui il mondo non c’è dice Gentile, non è il tempo qui di citare testi, ma ci deve essere e ci può essere solamente se noi ci impegniamo a che ci sia, e quindi immette nella umanità, nella storicità dell’uomo un senso fortissimo di responsabilità etica, ma non di responsabilità etica in senso moralistico, cioè responsabilità di adeguarsi a certe norme, ma di una responsabilità etica che nasce dalla stessa realizzazione dell’atto del pensare, cioè della sua capacità di stare come tale nella realtà.
Quindi questa risposta di Gentile, secondo me è una risposta di estremo interesse, perché se io vado adesso a pensare come, oggi, il pensiero europeo contemporaneo a noi si colloca rispetto alla dimensione di questi problemi, sostanzialmente, i nomi potrebbero essere tanti, ma non è questa la sede per approfondire il tema, però sostanzialmente secondo me il pensiero contemporaneo rimane impaniato in questa alternativa, o nichilismo o ritorno all’assoluto, o metafisica o nichilismo, o teologia o nichilismo.
Ora io non dico affatto che la via di Gentile, cioè questa concentrazione così forte, così sentita, così rigorosamente argomentata sul terreno logico, il più grande libro di Gentile secondo me è la logica come teoria del conoscere, è un libro irto di difficoltà, ma è un libro clamorosamente importante. 
Ora io non dico affatto che le tesi sostenute da Gentile in quei testi possano servire, brutta parola per la filosofia, come tali a dare una risposta alla crisi dell’umanità contemporanea, ma certamente contengono un passaggio che non può essere ignorato.
Per cui quando io dicevo pensare Gentile oggi, impossibilità di rimuoverlo, non mi riferivo solamente a un dato, come dire, più politico, possibilità di rimuoverlo, possibilità oggi di ritornare a pensarlo perché certi passaggi aspri della nostra storia nazionale sono in qualche modo stati superati e così via, ma perché nella sostanza del pensiero di gentile secondo me ci sono delle eredità, delle attualità per dirla alla Gentile, per cui diciamo è un caposaldo, è un patrimonio che può essere riportato a esclusione, che è riportato nella discussione.
Faccio due nomi Massimo Cacciari ed Emanuele Severino, due nomi italiani, Massimo Cacciari ed Emanuele Severino, è l’ultimo libro di Cacciari questo librone a Delfi sul…non mi ricordo adesso esattamente il titolo uscito da poco, è un libro pieno di Gentile e di riflessioni su di lui. E tutto il pensiero di Emanuele Severino che, tutto sommato è l’ultimo grande metafisico, io credo non solamente in Italia ma anche in Europa, senza Gentile non sarebbe…lui è esattamente il contrastare di Gentile, (…) di venire, e Severino dice "essere", Gentile dice "il divenire", cioè la libertà, l’attualità è quella che vince il nichilismo, e Severino dice "il divenire", l’attualità è quella che ci conduce dentro il nichilismo.
Quindi è tutto un gioco di pensieri e di concetti ma anche carico di responsabilità che si pone e che ci permette diciamo così, e ci obbliga a ritornare su questo autore.
Il secondo spunto di riflessione che vorrei portare in questo Convengo, è più direttamente sul tema filosofia e politica, dicendo subito appunto che io sono tra quelli che ritiene che anche contro l’interpretazione molto autorevoli, penso a Gennaro Sasso, anche alle cose che diceva prima Sergio Romano, che un rapporto, un nesso tra attualismo e fascismo c’è molto molto forte. 
Io provo adesso in pochi minuti naturalmente, ad argomentare alcuni temi intorno a questo nodo filosofia e politica, di fronte al quale io credo che noi, i filosofi e la politica diciamo così, di fronte al quale se mi consentite una piccolissima e brevissima affermazione preliminare, noi abbiamo l’obbligo di comprendere, diceva Spinoza, di fronte agli eventi dell’umanità non bisogna né piangere né detestarli, ma cercare di capire.
E quindi noi finalmente siamo arrivati in una fase nella quale possiamo cercare di capire le scelte di Gentile, e non semplicemente di assumerci, di prendere e di diventarne giudici. Naturalmente poi si può essere ipercritici, e si possono argomentare tutte le critiche, ma forse il passaggio fondamentale è tentar di capire.
E per fare questo, intanto vorrei sviluppare un punto, anche qui con grande brevità, la filosofia europea ha sempre avuto rapporti molto forti con la dimensione politica, sempre, c’è stato sempre un rapporto spesso biografico che allegato ai filosofi alle vicende politiche del loro tempo, certamente tutto il pensiero che l’Europa ha prodotto su se stessa ha una dimensione intrinsecamente politica. Ma nel Novecento questa cosa diventa particolarmente drammatica, particolarmente tesa.
Per un insieme di ragioni che sono anche legate a quella crisi della coscienza Europea a cui mi sono riferito, per cui il problema di quale ruolo dovesse avere l’Europa diventava un problema se volete pratico, politico, cioè che cosa deve diventare questa Europa in crisi, e quindi l’immagine dello Stato potenza, le forme attraverso le quali già tra Otto e Novecento questo tema si sviluppa, ma lungo il secolo, diciamo questa attenzione tra filosofia e politica si stringe, dando in un certo senso almeno dal punto di vista mio, ragione a chi ha sempre detto: ma non è affatto vero che questa dimensione, come dire, logocentrica della filosofia europea sia una dimensione che allontana da essa il patos e la politica. Il problema della filosofia europea è il rapporto tra logos e potenza, fra idea e potenza.
E nel Novecento questo tema diventa tesissimo. Perché diventa tesissimo, per cui abbiamo, come dire, vita ai militanti, ci sono proposizioni sempre del nostro Giovanni gentile in cui questo tema della vita militante, eppure lui è un filosofo, sì, certo, uno che fa esperienza politica, ma lui quando dice "vita militante" ne parla da filosofo, e dice "è da filosofo che io devo riuscire a motivare e a stringere le ragioni del nesso tra la mia vita e la mia partecipazione attiva alla politica fino a mettere in discussione", lui dice a un certo punto "la vita e la morte". Cioè questa idea radicale, totale, totalizzante dell’impegno politico.
Una ragione può essere, non una ragione, per comprendere l’orizzonte nel quale questa attenzione si sviluppa è dato secondo me dalla, trasferiamola sul terreno politico quell’idea di crisi che ho cercato prima di delinearvi all’interno di un itinerario di pensiero di filosofi, si rompe il rapporto tra la dimensione dello Stato e la dimensione della politica lungo gli ultimi tornanti del secolo XIX.
La politica si trasforma strutturalmente, si rompono i confini dello stato liberale, ma se sterminate di uomini entrano in campo, l’idea della nuova politica, così lucidamente rappresentata nei libri di Giorgio Mossa per esempio, la politica nuova, la nazionalizzazione delle masse, quindi la rottura dei confini istituzionali dello stato liberale. 
Per cui questa politica fuoriesce dagli ordinamenti statali nei quali in qualche misura era stata contenuta, e fuoriuscendo dagli ordinamenti statali nei quali era stata contenuta, introduce, drammatizza il rapporto tra politica, Stato e società. Per cui tutti i filosofi o quei filosofi che sono impegnati a pensare su queste cose, si trovano di fronte a quadri etico politici, intellettuali, istituzionali, profondamente mutati e singolarmente, questo forse conviene ricordarlo, le scelte liberali o democratiche sono poche in Europa dell’intellettualità politica, poche, poche.
Croce è un liberale scettico verso la democrazia. Thomas Mann, è un esempio, ma passa dal rifiuto poi all’accettazione a partire dagli anni, dall’esperienza (…), ma insomma non è il caso adesso di fare tanti nomi, però è fuor di dubbio che questa attenzione che si crea nella cornice etico politica dello Stato, mette in discussione la possibilità di una distanza dell’intellettuale, la distanza liberale diciamo così dell’intellettuale dalla…dall’impegno militante, cioè dalla totalizzazione di questo impegno. Per cui la rottura di questi confini, se la uniamo all’attenzione etica del discorso di Gentile, non è che ci dice "Gentile doveva scegliere il fascismo", ma ci fa capire perché lo ha scelto, perché la risposta alle insufficienze, anzi, all’insufficienze, alle cesure, alla crisi diciamo delle istituzioni liberali, per questo enorme processo di irruzione di masse sul terreno della statualità e della politica, ha offerto, e poi c’è un secondo passaggio, diciamo risposte che possono essere comprese, non erano ineluttabili, perché non lo sono state per tanti, però danno il senso di un’attenzione intorno alla quale qualcosa può essere capita, aggiungendo, e sono le ultime due riflessioni che voglio fare, due spunti: uno spunto vale molto per Gentile secondo me vale molto anche per Heidegger, cioè per quello che oggi viene giudicato un punto di riferimento essenziale nel confronto con Gentile, il punto di riflessione è questo: la democrazia è secolarizzazione e sia Heidegger, sia Gentile, temono la secolarizzazione della politica, non so se è chiaro questo passaggio, temono cioè l’indebolimento della politica, il formalismo della democrazia…
 
[Audiocassetta N. 2 – Lato A]
 
…ai tempi di "Rosmini e Gioberti" ["Rosmini e Gioberti" opera del giovanissimo Giovanni Gentile], cioè ancora siamo nell’800, distingue una laicità agnostica, lui la chiama negativa e lega al materialismo e al sensismo che nasce dalla Rivoluzione francese, con una laicità positiva, che invece la laicità di questo nuovo afflato etico politico che bisogna cercare di mettere nelle istituzioni, e Heidegger certo anche lui, anche lui con delle scelte drammatiche sulle quali si è tanto discusso il discorso di Friburgo del ’33 quando al Rettorato di Friburgo Heidegger tutto sommato e che se ne dica fa una scelta per il nazional socialismo, ma la cosa, anche quanto ci sarebbe da discutere, ma quale motivazione da Heidegger di questa scelta, esattamente questa. Cioè il tentativo naturalmente di questi parametri di scelta politica su cui si può dire tutto quello che si vuole, ma io sto facendo semplicemente lo sforzo di comprensione, il discorso di Friburgo in questo è estremamente sintomatico, cioè il discorso che Heidegger fa quando diventa nel ’33 Rettore all’Università di Friburgo, e si rivolge ai giovani tedeschi, ai giovani della classe di filosofia dell’Università di Friburgo e dice: "noi dobbiamo riconquistare una nuova foggia dell’esistenza". Perché tutto quello che ci è stato tramandato come bene culturale non ci basta più, quindi c’è questa drammaticità della frattura rispetto alla quale il pensatore radicale si colloca. Ecco questa è la congiuntura europea di quegli anni nei quali secondo me bisogna sforzarsi di entrare.
Ultima questione, e ho finito, .... (frammento a microfono spento) .... suo dell’Assessore sia nella riflessione che ha fatto Sergio Romano l’interesse di Gentile per Marx.
Io sono assolutamente convinto con autorevolissimi interpreti di Gentile, come soprattutto Augusto del Noce, che questo problema, che questo incontro di Croce e di Gentile con Marx sia stato decisivo nella storia intellettuale d’Italia, io direi, forse forzando un poco, forse non solo nella storia intellettuale d’Italia, ma la storia politica o civile, perché a mio avviso il modo in cui si è discusso Marx in Italia tra Labriola, Croce e Gentile negli ultimissimi tornanti dell’800, i primissimi del 900, ha avuto un’influenza sulla formazione dei gruppi dirigenti politici, per esempio l’ordine nuovo ha un rapporto con queste cose, ha un rapporto con la filosofia della prassi, la proposizione è forse – come dire –un po’ forzata perché non c’è mai un nesso così diretto fra le idee e i fatti. Ma io sono convinto che alcuni aspetti della debolezza del socialismo liberale in Italia hanno anche lì una loro matrice, nel senso che il modo in cui, il Gentile poi Mondorfo interpretano la Marx in chiave di filosofia della prassi, influenzando moltissimo secondo me la formazione del gruppo dirigente dell’Ordine nuovo. Togliatti nel 1919 scrive a Gentile che è il maestro, il vero maestro delle nuove generazioni, 1919 certo ovviamente, e (…) che implicitamente più che esplicitamente con Gentile si misura.
Quindi questo nodo diciamo di un originario, di un passaggio della filosofia italiana attraverso il dibattito con Marx, spinge anche in un’altra direzione, che è proprio l’ultima battuta che vorrei fare, cioè che la risposta alla crisi della coscienza europea così come si discute in Italia tra 800 e il 900, assume una dimensione etico politica che non ha altrove, non ha altrove perché è Marx il punto di riferimento nel quale il tema della filosofia è spinto decisamente verso il tema della prassi, superando dome dire le forme di filosofia della vita che in quegli stessi anni diciamo avevano corso in Europa, ma che avevano altri tratti e nei quali la dimensione etico politica era assai minore o addirittura in certi casi sostanzialmente ignorata. Mentre invece questo passaggio diciamo del neoidealismo italiano di quello che sarebbe stato chiamato imprecisamente poi, il neoidealismo italiano attraverso il dibattito con Marx e con la Briola, ha avuto un’influenza diciamo decisiva secondo me nella formazione della vita civile in Italia e nella formazione di gruppi dirigenti politici, questo è il punto importante, naturalmente indiretta, complessa, messa insieme a tante altre cose.
Per tutte queste ragioni diciamo, io penso riprendere il discorso su questi problemi senza né apologie né critiche pregiudiziali ma nel tentativo di cominciare a tornare a capire come sono andate le cose potrebbe essere utile per tutti quanti".
 
Presidente: «Ringrazio molto per questa stimolantissima lezione direi riflessione anche autobiografica di Biagio De Giovanni, prima di dare la parola a Giano Accame voglio salutare il Ministro, il Ministro Tremaglia che ci ha fatto l’onore anche questa volta di venire qui tra noi.
Lascio la parola a Giano Accame che è un intellettuale di lunga corsa, di lunga lena, anche lui intellettuale ma anche intellettuale gasket direi, anche se con sempre grande spirito critico e anticonformista.
Io voglio solo ricordare l’ultima sua opera molto stimolante che è una riflessione sull’intera storia dell’Italia Repubblicana che è piena di spunti oltre che di testimonianze, sono ben contento di chiudere i lavori con il suo intervento".
 
Dott.  Giano Accame [GENTILE E LA MORTE] (INTERVENTO GIANO ACCAME: manca sbobinatura si sostituisce con testo dal libro "Stato etico e manganello. Giovanni Gentile a sessant’anni dalla morte" edito da Marsilio, 2004. In questa pubblicazione, ancora reperibile sul mercato, vi sono i testi degli interventi, con correzioni, approfondimenti, ampliamenti, chiarimenti e note)Il tema che mi propongo di svolgere riguarda il rapporto tra Gentile e la morte: come la concepiva e come l’ha affrontata. Ma vorrei farlo precedere da un’osservazione sulla strana ventura della parola totalitarismo, immessa proprio da Gentile nel linguaggio politico: nasce dal pensiero liberale e il suo significato è poi stato stravolto facendogli definire le punte massime dell’oppressione nazista e comunista.
Il neologismo si fa risalire al quarto congresso del partito fascista (22 giugno 1925), concluso da Mussolini con tratti d’allegra sbruffoneria caricando all'ostentazione della "volontà totalitaria" l'aggettivo "feroce", che permise di connotare il termine in modo sinistro. Mussolini precisò: "Vogliamo insomma fascistizzare la nazione, tanto che domani italiano e fascista, come presso a poco italiano e cattolico, siano la stessa cosa". Era la parafrasi d’un concetto espresso poco prima (l’8 marzo) da Gentile a Firenze, nel Salone dei Cinquecento, cercando di spiegare cosa fosse il fascismo. Lo presentò come idea organica, e perciò totale, dell'esistenza: una Weltanschaung, visione generale della vita e del mondo. Quindi affermò che il fascismo in quanto "concezione totale della vita" non s'applicava solo in Parlamento o nella Casa del Fascio, ma in officina, a scuola, a casa, nella vita comune. E sulla parola "totale" indicò l'esempio del cattolicesimo, che investe ogni aspetto dell'esistenza. 
In questo senso è totalitario anche il liberalismo, perché l'idea o addirittura, come la chiamava Croce, la religione della libertà si riflette su tutti i pensieri e gli attimi della vita. Da dove Gentile ricava questa idea di totalità, se non traducendo il concetto idealista dell'unità dello spirito pur nella varietà delle sue manifestazioni? Applicandola al fascismo l'associava a un sentimento particolarmente intenso dello Stato, proiettandovi l'orgoglio della classe dirigente liberale, che nell’800 aveva finalmente creato lo Stato nazionale unitario. Secondo il filosofo liberale Bertrando Spaventa – ripreso da Gentile - doveva essere "Stato etico" e non agnostico, come altri pensatori liberali avrebbero preferito. Gentile travasò questi concetti nella prima parte, da lui stesso redatta, della Dottrina del fascismo per la Treccani, dove compare un'unica volta l'espressione "totalitario". Non è più impiegata nella seconda parte, scritta da Mussolini, e il termine, così marcato dal gergo dell'idealismo che non tutti gli intellettuali fascisti condividevano, non fu amato né molto usato, tanto che nel Dizionario di politica imposto nei primi anni ‘40 dal Partito fascista alla Treccani in polemica con Gentile non esiste una voce "totalitarismo".
La qualifica di totalitario applicata al fascismo deriva, insomma, dal linguaggio filosofico della personalità più liberale, nel pensiero, nelle rivendicazioni delle proprie origini e nei comportamenti (si pensi alla sua apertura nella scelta dei collaboratori all'Enciclopedia italiana), tra quante vi confluirono. È quindi paradossale che tale espressione abbia finito col riassumere in senso addirittura peggiorativo gli aspetti più orridi del nazismo e del comunismo, anche se né Hitler né Stalin si sono mai proclamati totalitari. Tuttavia va pur detto che tra le accuse a Gentile non sono ricorrenti i richiami al totalitarismo. Lo si bolla piuttosto come "filosofo del manganello", alludendo a violenze almeno inizialmente affidate all’olio di ricino e alle bastonate o al pugnale, cioè a peccati quasi veniali rispetto agli orrori dei lager e del gulag. Eppure peccati che Gentile ha scontati, come si sa, con la vita.
Giovanni Gentile scrisse Genesi e struttura della società, che ha per sottotitolo Saggio di filosofia pratica, uscito postumo nel 1946, nella pesante atmosfera dell'estate 1943 come testamento filosofico. Terminò l’opera con un XIII capitolo, La Società trascendentale, la morte e l'immortalità, estraneo all'argomento. La conclusione più logica, dopo cinque capitoli dedicati allo Stato, un undicesimo sulla storia, parrebbe quella del dodicesimo capitolo su La Politica. Ma la riflessione finale sulle speranze o illusioni dell’immortalità, proprio perché ha poco di pratico, è impressionante. L'ultimo paragrafo ha addirittura per titolo La morte e vi si può già intuire il presentimento d’un destino atteso. Non, ovviamente, quello di morire, perché capita a tutti; ma di morire come i pochi altri filosofi, da Socrate a Tommaso Moro a Giordano Bruno, uccisi per le loro idee. Tra i pensatori e filosofi perseguitati ricordiamo Severino Boezio, che scrisse in prigione il De consolatione philosophiae; Tommaso Campanella, grande anche come poeta in trent’anni di prigionia; e Antonio Gramsci, che elaborò in carcere le teorie (vagamente eretiche rispetto al marxismo, che attribuisce alla cultura un ruolo storico minore dei processi di produzione) sull’importanza dell’egemonia culturale per la conquista della società, avendole apprese proprio studiando i successi di Mussolini e il contributo di Gentile come grande operatore di cultura. L’indicazione venne ripresa dal Pci di Togliatti, che nei decenni durante i quali stava diminuendo statisticamente la classe operaia continuò ad aumentare i voti, raccogliendoli appunto tra la borghesia colta con il prestigio ottenuto attraverso l’egemonia culturale passata a sinistra.
Della morte Gentile si era occupato già tanti anni prima, sia nella Teoria dello spirito come atto puro, ove un capitolo è dedicato all’immortalità, sia nella conferenza del 1907 su Giordano Bruno, ove era ancora lontanissimo dall'immaginare che il tema della morte come dramma di coerenza filosofica l'avrebbe sperimentato alla fine su sé stesso. Ma perché concludervi un libro di teoria della politica? 
Nella guerra ormai persa sentiva arrivare il destino e ci rifletteva, trasformando per avversione all'atomismo individualista, in un fatto sociale persino il più intimo degli eventi: "La morte è un fatto sociale. Chi muore, muore a qualcuno. Un'assoluta solitudine - che è impossibile - non conosce morte, perché non realizza quella società di cui la morte è la dissoluzione". Gentile acutamente colloca "in Grecia la culla della fede nella immortalità". Troviamo infatti non nella Bibbia, bensì in Omero, in Platone, infine in Virgilio, accompagnatore di Dante all’Inferno, le più suggestive immagini dell’aldilà. A cui peraltro Gentile credeva poco, in ciò precorrendo Giovanni Papini e visioni più attuali: "La fede nella immortalità è messa a dura prova dal mito dell’Inferno dove il peccatore resta in eterno inchiodato al suo peccato disperatamente".
Nei mesi successivi queste riflessioni si faranno meno teoriche e più personali, giacché la sua morte – ancor più che semplice "fatto sociale" - diventerà un fatto politico e storico di notevole rilevanza.
Il 19 marzo 1944 Gentile aveva premesso alla commemorazione di Vico, tenuta all'Accademia d'Italia a Firenze nel bicentenario della morte, una dichiarazione in cui disse: "Oh, per quest'Italia noi ormai vecchi siamo vissuti: di essa abbiamo parlato sempre ai giovani, accertandoli ch'essa c'è stata sempre nelle menti e nei cuori; e c'è, immortale. Per essa, se occorre, vogliamo morire; perché senza di essa non sapremmo che farci dei rottami del miserabile naufragio...". Meno d’un mese dopo il desiderio di non sopravvivere alla disfatta veniva esaudito: Gentile venne ammazzato da una squadra di partigiani. 
La famiglia chiese e ottenne che per la sua morte non ci fossero rappresaglie. Ma morì suicida, buttandosi dalla finestra per sottrarsi a un brutale interrogatorio, il giovane partigiano comunista Bruno Fanciullacci, che gli aveva sparato dopo avergli chiesto se era veramente il professor Gentile. Abituato a esser cercato dai giovani, il vecchio maestro s'era sporto sorridendo dalla macchina. E non si sarebbe meravigliato sapendo che a interpellarlo era un giovane comunista, perché lui stesso aveva lanciato verso di loro dei ponti definendoli dei corporativisti impazienti nel discorso tenuto l'anno prima in Campidoglio, il 24 giugno 1943, per incitare gli italiani alla resistenza contro l'imperialismo angloamericano.
Sconcertante segno dei tempi: nella toponomastica fiorentina non è ricordato il filosofo ma soltanto chi l’ha ammazzato. Tuttavia non sarebbe del tutto giusto nemmeno il contrario, perché comunque Gentile è sepolto con una lapide - molto sobria, come ha notato Gabriele Turi: c’è appena il nome - tra i grandi italiani in Santa Croce, ha il monumento nei suoi libri, che continuano a uscire, e in quelli che su di lui scrivono gli altri – ultimo, per ora, l’agile e acuto profilo che Daniela Coli gli ha dedicato nella collana del Mulino L’identità italiana - mentre anche il giovane gappista, che ha pagato l’uccisione con la vita, è stato in qualche modo parte necessaria d’un momento alto e drammatico della storia e della cultura italiana. Ormai raggiunta la necessaria distanza prospettica, la storia dobbiamo così comprenderla: come conciliazione e sintesi degli opposti.
Alessandro Campi, che ha preceduto la Coli nella stessa collana con un profilo su Mussolini, ha parlato di "morte, non solo annunciata e attesa, ma, in un senso più profondo, inevitabile e necessaria" del filosofo. La tesi mi trova d’accordo e, del resto, per una situazione analoga l’avevo anticipata sin dagli anni ’80 valutando il significato simbolico di Piazzale Loreto, di cui secondo il filosofo crociano Gennaro Sasso "l’uccisione di Gentile potrebbe essere stata […] la prova generale". Sasso ha attribuito agli inglesi, contrari a processi dei vincitori sui vinti tipo Norimberga, la sbrigativa eliminazione (usando i comunisti come braccio secolare) tanto di Gentile, quanto di Mussolini. In realtà, nessun tribunale avrebbe potuto condannare a morte Gentile, ma, come suppone Campi, sarebbe stato ancor più penoso della morte immaginarlo "nei panni dell’epurato, collocato forzatamente a riposo". In ogni caso la feroce e odiosa soluzione fu più decorativa: per lui, anche se forse, passata la prima amarezza, l’avrebbe volentieri evitata; certo per il fascismo e per la storia d’Italia. A un periodo così intenso, ma nato nella violenza e nella violenza destinato a chiudersi col massacro postbellico di quasi ventimila militanti, si addiceva d’essere coronato dalla fine drammatica del Filosofo e del suo Duce.
La morte di Gentile arricchisce l’immaginario etico-eroico della rivoluzione fascista. Si è quindi cercato di confondere e sporcare il quadro attribuendola a dei fascisti estremisti. Pettegolezzi di regolamenti interni di conti, poi rilanciati da Luciano Canfora, erano circolati subito. Ne riferì sdegnato il figlio, Benedetto: "non so tuttora rammentare senza che si rinnovi in me un senso di dolorosa sorpresa, la smania ciarliera di alcuni ambienti fiorentini, che, per la bocca di persona del resto stimabilissima ed anche vecchio amico di casa, non perse tempo quello stesso pomeriggio a voler accreditare presso l’animo di mio fratello, tanto dolorosamente sgomento e tanto provato già dalle sue penosissime sofferenze fisiche e morali, la voce che autori del fatto fossero gli stessi fascisti fiorentini. […] La voce trovò credito a Firenze e fuori, e forse l’avrebbe ancora se le dichiarazioni del partito comunista non fossero venute a sfatare quella leggenda". 
Benedetto Gentile sostenne invece, come poi Gennaro Sasso, l’origine britannica dell’assassinio: "Avvenuto per mano dei gappisti fiorentini, il fatto ha naturalmente radici più lontane. Notizie attendibili pervenuteci dopo l’arrivo delle truppe "alleate" in Firenze accennarono ad istruzioni esplicite fatte giungere da ufficiali di collegamento italiani presso il Servizio Informazioni delle truppe britanniche operanti in Italia al centro della Resistenza partigiana in Toscana. Personalmente ho sempre avuto l’impressione che quelle segnalazioni potessero avere fondamento di verità". Concludendo il resoconto sulla morte del padre, Benedetto evitò il vittimismo: "Fu una morte, la sua, consapevolmente accettata: accettata e attesa, resa familiare al suo spirito dalla meditazione che di quel problema si era soffermato a fare nell’ultimo anno di sua vita".
Questa dignità e assuefazione al destino incombente era al tempo stesso personale e epocale. Il costume fascista imponeva il coraggio come un undicesimo comandamento. Valore tipico di quei tempi, da ricordare a chi rimprovera le autorità fasciste d’aver lasciato Gentile, benché esposto a minacce di morte, senza scorta. Sono rimproveri mossi, a onor del vero, sin da allora anche da Italia e Civiltà, la rivista degli intellettuali fascisti fiorentini. In tempi recenti a rafforzarne la credibilità contribuì il costume introdotto negli anni di piombo, quando l’assegnazione della scorta era diventato status simbol. Durante la Repubblica sociale, a parte la scorta germanica che sorvegliava il Duce, non usavano scorte. Il Segretario del Partito, Pavolini, girava per le autostrade del Nord con il solo autista. Aldo Resega, federale di Milano, la più importante tra le federazioni del partito, venne ammazzato a due passi da casa verso le otto del mattino da un gappista in bicicletta mentre aspettava il tram per andare nella federazione del fascismo repubblicano. Almeno Gentile, come presidente dell’Accademia d’Italia, aveva l’autista.
Ezra Pound, che ha citato Gentile in un verso della Sezione perforatrice di roccia (Rock-drill) al Canto LXXXIX, "Tradito Mihailovich, assassinati Henriot e Gentile", iniziando i Canti Pisani con l’immagine di Ben e Claretta appesi a Milano spiegava all’amico Eliot che la fine dei fascisti era avvenuta "with a bang not with a whimper", con uno schianto e senza un lamento. L’orrore di Piazzale Loreto, entrato coi Canti Pisani nella letteratura mondiale, è stato, in forme ancora più atroci dell’assassinio di Gentile, un dono involontario della Resistenza al fascismo per i richiami storici che evocava, ma anche perché contribuisce a rendere più problematici, confusi, incerti i confini tra il Bene e il Male, cui mai nelle umane vicende andrebbe aggiunto il pretenzioso aggettivo Assoluto.
Seicento anni prima qualcosa del genere era capitato a Cola di Rienzo, un altro Tribuno uscito dal popolo e che con un poeta, Petrarca, aveva sognato di far rivivere la grandezza di Roma repubblicana. Ma si era scontrato con alcune potenti famiglie dell’epoca – la plutocrazia del Trecento – ed era finito appeso per i piedi alla Chiesa di S. Marcello sul Corso. I destini che si ripetono attraverso la notte dei secoli hanno una malinconica suggestione. Anche Mussolini aveva sognato la grandezza romana, evocata da un effimero Impero durato appena cinque anni, insieme ai poeti: con d’Annunzio, Marinetti, Ungaretti, Cardarelli e col principale filosofo dei suoi tempi. Finì a sua volta schiacciato dalla plutocrazia angloamericana contro cui Gentile parlando dal Campidoglio aveva tentato di mobilitare l’orgoglio italiano una quindicina di giorni prima dello sbarco in Sicilia. 
Rileggendo quel discorso, dove è ignorata l’Unione Sovietica, colpisce il disprezzo antiparlamentare su cui Gentile insisteva evidentemente convinto che fosse condiviso da una larga parte degli uomini della sua età: "Il parlamentarismo è morto in Italia e bisogna che anche i non fascisti, anche i comunisti anelanti in segreto a non si sa quale libertà utopistica, ne sappiano grado a Mussolini. Noi che non siamo di ieri, abbiamo viva nella memoria la cronaca della corruttela parlamentare che venne inchiodando il nostro paese dal ’76 in poi alla croce di un sistema dissolvitore di ogni schietto spirito politico, voglio dire del concetto e sentimento dello Stato e del suo valore, e quindi di ogni energica volontà di elevazione e di grandezza. […] Ma quel liberalismo non è morto soltanto in Italia. Gli Stati che si dicono democratici per avversione ai nuovi Stati totalitari dimostratisi via via sempre più incomodi o pericolosi, hanno trovato il modo di rintuzzare ogni velleità liberalesca individualistica con la forza stritolatrice dei raggruppamenti economici. La libertà in codesti paesi è a terra, e non può aver salvezza […] se non nell’assetto corporativo; ossia nell’idea che il Fascismo, primo, proclamò in Italia…". Una prosa non genericamente patriottica, ma polemicamente impegnata col sentimento d’un fascista allineato, non marginale. Ha buoni motivi Sergio Romano quando spiritosamente sostiene di non aver ben capito perché Gentile sia diventato fascista. Secondo autorevoli studiosi del pensiero filosofico del ‘900, da Eugenio Garin a Gennaro Sasso, la sua filosofia non l’obbligava a quel passo. Sono affermazioni discutibili – con altrettanta autorità proprio adesso il filosofo Biagio De Giovanni le ha contestate - ma sostenibili. Addirittura si è da più parti insinuato che Benedetto Croce fosse concettualmente più prossimo di Gentile alla mentalità fascista. Daniela Coli ricorda come lo stesso Gentile – a dispetto - abbia definito Croce "uno schietto fascista senza la camicia nera". Ma Gentile stesso ha poi saputo spiegare con convincente passione, alla fine della sua vita, perché sia rimasto fedele a Mussolini e al fascismo.
La disperazione per cui Gentile desiderava morire veniva dall’irrimediabile crollo del Risorgimento, mazzinianamente inteso come resurrezione, in un’idea di grandezza e d’universale missione, della Terza Roma: la Roma del Popolo, dopo la Roma dei Cesari e quella dei Papi. Tra tante coincidenze va ricordata anche l’attribuzione di Mazzini al fascismo, sostenuta da due filosofi che pure incarnavano opposti punti di vista: Giovanni Gentile e il logico matematico Bertrand Russell, premio Nobel per la letteratura nel 1950. Nel 1934 Russell, erede della scuola utilitarista inglese, aggredì con l’abituale ironia le concezioni di Mazzini: "Egli ripugnava in pieno alla filosofia dell'utilitarismo: gli uomini dovrebbero vivere per il dovere, non per la felicità. […] Coloro che accettano il principio di utilità - egli pensava - sono portati per gradi a trascurare lo sviluppo di ciò che è più alto, più santo e più imperituro nell'uomo, e a dedicare se stessi al perseguimento di ciò che essi chiamano l'utile. […] Queste dottrine sono state accolte e attuate da Mussolini".
Poco più avanti Russell ribadiva: "l'etica di Mazzini, che suona tanto più nobile del principio di felicità di Bentham, non diventa, nella sua applicazione agli affari pratici, gran che di meglio della legge dei "grossi battaglioni". Gli uomini che si credono i ricettacoli della rivelazione divina sono proclivi a diventare incomodi, e le dottrine di Mazzini potevano sfociare solo o in una guerra perpetua o in una ferrea tirannia. […] Alle dottrine di Mazzini l'Italia deve d'esser diventata quello che è". Cioé, appunto, fascista.
In quello stesso 1934 Gentile forniva a Russell un'implicita conferma ribadendo solennemente la cooptazione di Mazzini tra i precursori del regime: "E venne il Fascismo, che ci fa riudire la voce di Mazzini nel suo accento più profondo. La stessa concezione spiritualistica del mondo; lo stesso carattere religioso; la stessa avversione all'individualismo; lo stesso concetto dello Stato e della nazione, unità fondamentale e sostanza spirituale dei cittadini; lo stesso postulato di un modo totalitario d'intendere la vita umana; la stessa diffidenza verso il liberalismo meccanico della classica economia astratta; e quindi il principio della riorganizzazione delle forze economiche in un corpo che l'atomismo delle leggi economiche assoggetti alla concreta forma dello Stato etico, come dire alla stessa coscienza dell'uomo. Mazzini perciò oggi è con noi; e l'Italia, finalmente, gli rende giustizia e saluta in lui il suo profeta".
Il tramonto di queste illusioni l’aveva gettato nella disperazione, insieme alle migliaia di ragazzi arruolatisi nella RSI per un estremo rifiuto del verdetto della storia. Va notato che speranze di restaurazione analoghe a quella della Terza Roma erano piuttosto diffuse nel Mediterraneo. Ricordo la megali idea dei democratici greci, che con il poeta Kostìs Palamàs, simile per ispirazione patriottica al nostro Carducci, sognavano di rifare a spese dei turchi l’Impero di Bisanzio, ma si scontarono dopo la prima guerra mondiale nell’inatteso vigore di Kemal Ataturk da cui vennero rovinosamente sconfitti. E i sionisti, che con un altro poeta, Hayim-Nahman Bialik, collocabile tra Carducci e d’Annunzio, hanno sognato di ricostituire il regno di Giuda: obiettivo storico più difficile di quanto lasciasse immaginare all’inizio del ‘900 l’inerzia degli arabi e con cui sono tuttora duramente alle prese. Le nostre carte furono giocate male da chi ci ha guidato, compromettendo forse per sempre le velleità di restaurazione romana. In fondo era giusto che accanto agli studenti cadesse anche il Professore (ed il Duce), chiudendo in uno scenario sacrificale un tratto della nostra storia così denso non solo d’errori, ma d’arte, pensiero, avvincenti e generose avventure. 
 
Presidente: "Grazie a Accame. Prima di trarre le conclusioni io vorrei che il Ministro Tremaglia, sappiamo tutti che è sempre molto schivo ma è un po’ dovuto un suo intervento credo o… un momento che, no un momento che… sì, brevemente sì, perché non era prevista…"
 
Intervento di…: "Apprezzo molto questo Convegno, non voglio entrare nel merito filosofico e…
Devo dire che mi fa piacere che il Centro Studi della Repubblica Sociale Italiana abbia per la prima volta organizzato un Convegno su un personaggio molto molto importante della Repubblica Sociale Italiana.
A un dato momento penso che poi si leveranno le solite, facendo della critica, delle solite cornacchie resistenziali e antifasciste i quali diranno che questo è un Centro dove abbiamo parlato di revisione storica.
A questo punto io penso che qui non abbiamo fatto nessuna revisione, abbiamo detto solo delle verità storiche.
Loro dovrebbero farsi la loro…
[Audiocassetta N. 2 – Lato B]
…loro cervello. Chiusa la parentesi, adesso vorrei ricordare un’altra cosa.
Devo ringraziare i presenti che sono intervenuti a questo Congresso, devo ringraziare i quattro relatori, che sono stati molto bravi e molto diciamo disponibili a presentarsi, perché discutere su Giovanni Gentile non è una cosa semplice, penso che è una cosa molto impegnativa. 
E un dato momento queste persone si sono dimostrate tutte all’altezza, pur nel loro distinguo di questa faccenda.
Vorrei ringraziare particolarmente, queste sono considerazioni mie personali, di Mariani Bruno, il prof. Chiarini, perché Chiarini è lui che alla fine ha organizzato tutto questa faccenda, abbiamo fatto due o tre telefonate e lui ha preso in mano la faccenda, l’ho lasciato fare e direi è stato bravo, molto bravo e gli auguro di poterne fare in seguito ancora delle altre.
Un’altra cosa, devo ringraziare il signor Tremaglia, per favore, devo ringraziare il Sindaco Cipani, perché se non ci fosse stato il Sindaco Cipani non ci sarebbe neanche il Centro Studi della Repubblica Sociale Italiana, lui, la Provincia, Regione, il Comune.
A un certo momento… a va bene, allora il Ministro arrivi mezz’ora prima un’altra volta, scusi"
 
Ministro Marzio Tremaglia: "Dove va, s’è arrabbiato. Io vi chiedo scusa, vi chiedo scusa ma purtroppo io sono stato tutto il giorno ai funerali dell’Onorevole Franchi che è morto ieri. 
Franchi, ecco questo lo lascio al Presidente, ha fatto, Accade lo sa, lo sapete anche voi, ha scritto tanto, e tra l’altro do questo libro "Ricostituzioni della Repubblica Sociale Italiana", ha scritto anche altri libri che sono di grande interesse sul piano storico, sul piano costituzionale e che noi dobbiamo esaminare, perché questo è un Centro Studi e non è altra cosa che poi è importante, perché così si fa. 
Mi è capitato quattro gironi fa di essere a Campana, che è un Centro importante Argentino dove l’ing. Agostino Rocca, che venne mandato via dalla Società Dalmine alla fine della guerra, perché aveva forse amicizie mussoliniane, voi sapete che durante la Repubblica Sociale Italiana, la Dalmine fu un Centro, scusate se non parlo di Gentile ma avete parlato voi e io non ero certamente preparato e non sono alla vostra altezza, Dalmine fu uno delle fabbriche, delle imprese dove cominciò ad attuarsi la socializzazione, cioè la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, alla partecipazione nei Consigli d’Amministrazione, tanto io mi innamorai di questa vicenda che feci poi la tesi di laurea. 
E cosa fece l’ing. Agostino Rocca che venne mandato via, e allora lui molto amareggiato se ne andò in Argentina, fece la Techint e costruì una fabbrica col nome della Dalmine. La Techint divenne una cosa mondiale, eccezionale sul piano finanziario, e la Dal mine, ripeté la Dalmine vicino a Bergamo.
E io mi sono trovato una settimana fa a Campana. L’ing. Agostino Rocca fece le stesse cose che c’erano a Dalmine, e mi spiegarono bene lì il bilancio, il bilancio economico e poi lo chiamarono il bilancio sociale. 
Questo bilancio sociale voleva dire, tra le altre cose, una famiglia una casa, la famiglia e la scuola. Se tu vai alla Dalmine di Bergamo tutte le villette che sono state costruite per ogni lavoratore, la villetta. Allora io mi ritrovai a Campana. 
Cosa successe nella vita? Sono cose veramente straordinarie. 
A un certo punto Agostino Rocca morì, dopo qualche anno la Dalmine di Bergamo venne privatizzata. I figli, una grande vendetta civile, chiamala come vuoi tu, i figli comprarono la Dalmine, e in questa, Dalmine che andò benissimo, introdussero questa partecipazione dei dipendenti alle vicende amministrative dell’azienda. E allora io raccontai alla Dalmine questo.
Volevo dire a Accame, che sento sempre con interesse e anche qualche paradosso che lui racconta nella sua squisitezza filosofica, beh, quando tu dici la nostra è un’illusione, quando noi parliamo d’impero ecc., chi lo sa chi ha questo impero che noi abbiamo nel mondo, perché noi abbiamo un impero nel mondo.
I politici non se ne accorgono, perché i politici sono delle cose strane, ma quando, da tanti anni io me ne sono accorto, girando il mondo, io sono tornato ieri l’altro da questo viaggio in Argentina, una cosa trionfale, eccezionale, perché vedi noi abbiamo 3-4 milioni di cittadini italiani nel mondo, ma abbiamo 60 milioni di cittadini di origine italiana. 
E’ vero che noi siamo riusciti persino a dare il voto con una battaglia che tu conosci ai cittadini italiani nel mondo, perché hanno gli uguali precisi diritti di allora dei cittadini italiani e, io mi sono permesso dire: chissà quando s’è compiuta la democrazia in Italia.
La democrazia in Italia ho detto un giorno al Capo dello Stato, si è compiuta, che cos’è la democrazia? E’ libertà. La democrazia sono diritti, la democrazia certamente è suffragio universale, democrazia certamente vuol dire dare il voto a tutti, ma il voto a tutti è stato dato il 20 dicembre del 2001, e i distribuiti di democrazia, guarda un po’, è stato uno che si è chiamato Tremaglia, che è un volontario della Repubblica della Repubblica Sociale Italiana, così capita nella vita, caro professore, ma questo fa parte della verità, ebbene lasciando stare questo piccolo particolare, noi abbiamo nel mondo questo sistema Italia, che abbiamo 4 milioni di cittadini, abbiamo 60 milioni di cittadini di origine italiana, abbiamo 380 parlamentari di origine italiana, abbiamo un impero economico che era fino a poco tempo fa completamente slegato, io li ho chiamati a raccolta, costituisco adesso il 21 di giugno la Confederazione degli imprenditori italiani nel mondo, ho fatto il Convegno degli scienziati italiani nel mondo, ho fatto il Convegno degli imprenditori italiani nel mondo, ho fatto il Convegno degli artisti italiani nel mondo, faccio il Convegno dei missionari italiani nel mondo. Esistono, chi ce li ha mandati, dove sono, che cosa fanno.
Questa altra Italia, caro Giano, esiste con una potenzialità eccezionale sul piano culturale, sul piano politico, sul piano economico, e beh, certo, che li lasciamo così, ecco la grande impresa che io ho fatto, ma no per merito mio, perché ci sono. Ecco l’impero che esiste, eh… caro mio, l’avrà fatto qualcuno, l’avrà fatto, l’hanno fatto gli italiani, i quali italiani lo fanno al di là e al di sopra dei partiti. E’ per una grande battaglia che noi certo abbiamo fatto, che è la battaglia contro la partitocrazia in una politica di italianità che chiama a raccolta tutti quelli che pensano effettivamente che l’Italia come tale, come espressione di carattere culturale, come volete voi, come voi state esaminando anche certamente deve esistere.
Io ho avuto un trionfo a Buenos Aires, c’erano migliaia e migliaia di persone, hanno riaperto questo meraviglioso Teatro italiano, il Colisseum, ma non ci stavano, c’erano almeno 5 mila, 6 mila persone fuori (…), ho guadagnato almeno 35 anni, dico io, purtroppo appena sono tornato mi è giunta questa notizia della morte di Franchi, uomo veramente straordinario, per cui quel signore si lamentava per cui io sono arrivato in ritardo a questo Convegno.
Ma dico: siccome questa vostra Istituzione è preziosa, è preziosa, il Presidente, le Istituzioni, spero mi pare finalmente se ne sia accorta anche la Regione, mi pare, ho visto che c’era Corsaro che è il nuovo Segretario Regionale, ecco, che vi aiuta e anche perché chiarire (…), voi lo sapete come è nata questa Istituzione, e siccome io credo sempre nella potenza per quanto mi riguarda, nel mio angelo custode.
Io vi ringrazio per quello che avete fatto e per quello che farete, vi chiedo che sia una Istituzione veramente eccezionale e così bisogna che ci indirizziamo. Oggi avete dato una grande prova, io credo che bisogna immettersi ecco anche su questo piano, sulle costituzioni della Repubblica Sociale, io vi farò una proposta e ve la farò anche come Fondazione alla quale desidero partecipare come Fondazione Marcio Tremaglia dando certamente il nostro contributo su questo tema delle Costituzioni (…).
Grazie Presidente".
 
Presidente: "Bene, ringraziamo il Ministro Tremaglia per l’incoraggiamento oltre per il contributo. 
Chiudiamo i lavori con le conclusioni dell’Onorevole prof. Sandro Fontana che è Vice Presidente di questo nostro Centro di Studi, al quale do l’incarico di tirare le somme un po’ di questa bella giornata credo stimolante su Gentile".
 
Prof. Sandro Fontana: "Io, innanzitutto direi che è impossibile tirare le conclusioni di una cosa che è solo all’inizio, cioè anche su Gentile dirò perché, noi siamo solo all’inizio di quello che deve essere una ricerca che va fatta, perché ci sono nonostante i contributi preziosi che abbiamo avuto anche qui l’ultimo quello di Daniela Coli, ci sono molte cose da scavare. Ma voglio anche dire che se noi siamo qui oggi ad affrontare questo tema di Gentile, lo dobbiamo anzitutto all’istituzione di questo Centro, che vale molto di più delle vie intestate secondo me. E questo Centro lo si deve, io…perché l’ho conosciuto, l’ho apprezzato soprattutto a Marzio Tremaglia, che è figlio, l’angelo custode, lui lo chiama dell’amico carissimo, perché è stato lui, è stata la sua volontà, perché in un Paese come il nostro nel quale sopravvive diciamolo, lo vediamo tutti i giorni una guerra civile strisciante, ci si libera dal passato se hai il coraggio di storicizzarla, se cioè hai la forza morale prima ancora che intellettuale di mettere tutte le cose al loro posto, cioè di fare luce fino in fondo su come sono andate le cose, non per giudicare, ma per liberarci anche da pensieri che continuano ad operare e che trascendono spesso la nostra volontà e anche le nostre intenzioni.
Ora, aver fatto questo Centro, che è stato come dico e lo ribadisco, un’idea di Marzio Tremaglia, e ci aggiungo, averlo dato in mano a un uomo appassionato di storia come l’amico Chiarini, è un merito della città di Salò, del suo Sindaco, ma anche della cultura, della cultura italiana.
E quindi se noi siamo qui oggi ad esempio, lo dobbiamo a queste due cose, prima che ci esista questo Centro, secondo che Chiarini è riuscito a far venir qui questi quattro personaggi che hanno parlato a Salò, nella città di Salò, caro Sindaco, di un tema tanto importante.
L’importanza del tema è tale che io dico soltanto tre questioni che sono tutte ancora da approfondire perché hanno bisogno di essere scavate ancora, qui l’hanno detto molti, cioè il primo tema è il passaggio quel che io dico dall’idealismo di Gentile, di tanti, al leninismo, passaggio perché è una cosa stranissima, perché Gentile influenza Gramsci, Gramsci influenza Togliatti, Togliatti nel momento in cui viene ucciso Gentile apre le braccia a tutti gli eredi di Gentile. E’ stata una cosa straordinaria questa cosa qui. Questo è capitato, ma è stato studiato sì per accenni, Sergio Romano fa, la Coli ha fatto approfondimenti notevolissimi nell’ultimo libro che ho avuto la fortuna di leggere prima de…ma quante cose ci sono ancora da scavare caro…ecco il compito di Chiarini e anche di questo Centro.
Ma basterebbe pensare al fatto, a due cose soltanto, l’una che tutti questi che ereditano nel partito, che passano nel Partito Comunista, che erano gentiliani; andate a leggere i vincitori del Littoriale allora, leggete l’elenco, (…) da Guttuso, da Licita, a tutti i registri, lì trovate tutti nel partito, nel Partito Comunista. E tutti vengono da questa concezione, io la chiamo totalitaria, cioè nel senso che era soprattutto il liberale sia da una parte come dell’altra. Cioè l’idea era di fare un uomo nuovo, sia da parte dell’idealismo, sia da parte del gramscianesimo, per Gramsci l’uomo doveva essere una novità, essere rifondare l’uomo nuovo e tutto contro quelli che erano da loro sia da destra che da sinistra chiamati i detriti della storia che erano il liberalismo, che erano poi quelli che diventeranno invece i protagonisti della storia italiana dopo il 1945, che quei partiti del ventre, come li chiamava lo stesso Gobetti che era influenzato a sua volta da Gentile perché, dicevano i partiti popolari pensavano soltanto alle cose concrete, i riformisti, i cattolici e (…), e questo è ancora una cosa ancora tutta da vedere e da studiare compresa quella che è stata detta qui molto bene, da molti relatori, la famosa egemonia gramsciana insomma. Chi l’ha inventata è stato Gentile. Gentile che è un grande filosofo, ma a differenza di Croce e di tanti altri è un grande organizzatore di cultura, e sa che il problema dell’egemonia, cioè quello di conquistare quelle che Gramsci dirà le case matte, i fortilizi della società, pensate la scuola, la Riforma Gentile era lì, pensate all’Enciclopedia, pensate le Accademie. 
Il Partito Comunista dal ’45 cosa ha fatto? Ha conquistato la Magistratura, ha conquistato l’Università, ha conquistato le Case Editrici, ha portato avanti quel disegno, che prima ancora di essere gramsciano o meglio Gramsci secondo me l’ha visto attuato e realizzato. 
Per cui alla fine, alla fine capita quello che è capitato a me, anch’io ero (…) quando ero Assessore alla Regione Lombarda siamo andati in Germania Orientale che ci ha ricevuto il Ministro comunista. E lì ci ha presentato tutto il governo, c’era Wolfari allora, e diceva: nel mio governo, il mio governo è la rappresentanza vera di quello che voi chiamate pluralismo, perché ci sono due donne dice, c’è un contadino dice, c’è un operaio, c’è un magistrato, c’è un professore universitario, c’è…però tutti iscritti al Partito Comunista. E quindi l’egemonia era poi quella di conquistare tutte queste cose qui, e alla fine è… Quindi questo è un filone che è ancora aperto insomma, è stata più l’influenza di Gentile su Gramsci o di Gramsci sugli allievi di Gentile che poi si sono ritrovati a gestire in larga misura la cultura di Sinistra del nostro…, questo è uno dei temi.
Il secondo tema è quello del trasformismo dell’intellettuale, che noi nel bel libro che vi consiglio di leggere della Coli, cosa non hanno fatto questi intellettuali nel nostro Paese per diventare o direttore della normale, o fare carriera universitaria, o di qui…Noi parliamo sempre del trasformismo dei politici. Io ho sempre vissuto in tre ambienti, quello politico, quello accademico e quello giornalistico, io debbo dire che le cose peggiori non le ho viste in politica, le ho viste negli ambienti universitari accademici e negli ambienti giornalistici, dal punto di vista del trasformismo.
Quando Accame, mi sembra, no chi l’ha detto che in fondo la grande operazione di Togliatti è stata quella di reagire in maniera violentissima contro Gentile, l’ha chiamato, l’ha insultato proprio, "bestione"; pensate lui Togliatti dà del bestione a un uomo della levatura di Gentile, immondo, camorrista, corruttore delle generazioni, traditore della patria, dopo averlo ammazzato. Perché lo fa, l’ha detto qui Sergio Romano ma è stato ripreso anche da altri, da Biagio De Giovanni, perché conosceva gli intellettuali italiani, i quali erano tutti gentiliani, però dopo quelle affermazioni che hanno fatto non avrebbero più osato dire di essere gentiliani, perché la capacità trasformistica di essere una cosa, però bisognava apparire diversi, era talmente insita di molti intellettuali italiani che Togliatti, che sapeva come accalappiare questi, ma al cosa più sconvolgente, studiando la storia Gentile, è che quando lui venne ucciso, gli esecutori materiali, questo Fanciullacci di cui si è parlato, eseguivano una sentenza che era stata scritta sul giornale del Partito Comunista, attribuita a Concetto Marchesi un intellettuale dei tre più grandi di allora. Ma il Concetto Marchesi non aveva scritto tutto l’articolo, pensate, l’articolo poi è stato manipolato e alla fine Licausi, dirigente rivoluzionario professionale come li chiamavo allora, aggiunge il popolo ha deciso la sua, ha aggiunto queste parole: "ha deciso, ha emesso la sua condanna: morte", chiarissimo questo. Ma la cosa ancora più grave è che questo intellettuale, grande intellettuale Concetto Marchesi, subisce una mutilazione del proprio pensiero delle proprie intenzioni di questa natura, senza dire niente, passano degli anni e il Concetto Marchesi non ha mai dichiarato che lui quell’articolo con la condanna finale non l’aveva mai scritto, aveva criticato la responsabilità culturale di Gentile ma non…
Questo per dirvi che al trasformismo si legava anche il servilismo, e lasciatemi dire quello che io ho sempre pensato, noi in Italia abbiamo le più belle intelligenze, di questo mondo probabilmente, ma come caratteri, come capacità di coerenza ne abbiamo pochissime. Non se ne vedono molti in giro che abbiano il coraggio, come in questo caso, questo, questo il coso.
L’ultima e finisco, su questo problema del trasformismo degli intellettuali, perché gli intellettuali italiani mentre hanno un’intelligenza grandissima siano poi personaggi che non hanno temperamento e che non hanno carattere, quello di educare l’italiano ad avere un carattere era uno delle missioni che si riproponeva anche…
Infine c’è il problema della violenza, qui è stata accennata anche da Accame e da altri, nella resistenza io l’ho sempre sostenuto, c’era il CLN e poi c’era un partito, un partito che faceva la sua guerra privata insomma.
I gappisti non dipendevano dal CLN, dipendevano dal Partito Comunista, i gruppi Gap, gruppi di azione patriottica dipendevano…
In questo caso Gentile è stato ucciso contro il parere del CLN, che anche nelle sue espressioni azioniste e degli altri partiti non assolutamente votò un documento contro l’uccisione.
Quindi il problema della violenza è un altro problema che bisognerà, che questo Centro affronti, Chiarini, perché io sono, io non posso accettare quello che dice, che viene teorizzato come il grande libro morale della Resistenza, quello di Claudio Pavone, quando lui dice: sì, c’è la violenza però, insomma. La violenza se sei dalla parte giusta va bene, ma siccome tutti ritengono di essere dalla parte giusta allora la giustifichi tutte le… Oppure quando dice che in fondo la violenza che cos’era, era nient’altro che la logica leninista di porre tutti davanti al fatto compiuto, cioè compiere delle azioni che avessero conseguenze irreversibili. Voi ditemi qual è l’azione che ha conseguenze, le più irreversibili possibili, quello di uccidere una persona insomma, perché davanti a uno che… è il caso di Gentile, lo dimostra, una volta ucciso Gentile è stata imbastita tutta questa grande operazione.
Questo per dire che è stato un Convegno che mi sembra..... io voglio ringraziare tutti coloro che hanno partecipato, ringrazio anche il Ministro Tremaglia per la sua testimonianza, ringrazio il Sindaco soprattutto, che ha avuto al pazienza di star qui, meriterebbe di essere votato solo per questo, e ringrazio anche Tremaglia che ha voluto partecipare al nostro incontro". 
 

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