Erra Enzo, Caroleo Grimaldi Francesco LA REPUBBLICA
DI VIA RASELLA
Settimo Sigillo1999
Un atto storico
Tra l'agosto dei 1996 e il febbraio del 1999, una vicenda giudiziaria
di eccezionale portata ha messo il mondo politico, culturale e istituzionale
italiano - quel mondo che di solito viene sinteticamente indicato come
"prima Repubblica" - di fronte alle sue origini, alla sua storia,
ai suoi valori, in definitiva di fronte a se stesso. Il "caso"
in esame riguardava la tragica sorte delle vittime civili di via Rasella,
dei cittadini italiani, cioè, che vennero investiti e uccisi insieme
ai militari tedeschi nell'azione partigiana del 23 marzo 1944. Il procedimento
ha avuto due punti salienti: in un primo momento il Giudice per le Indagini
Preliminari, dopo aver disposto un'inchiesta, e accogliendo il parere del
Pubblico Ministero, ha configurato un reato di strage ed ha decretato l'archiviazione
per sopravvenuta amnistia, ma poi la Corte di Cassazione si è pronunciata
in senso opposto, ed ha deliberato sempre l'archiviazione, ma perché
il fatto non è previsto dalla legge come reato.
In sede giuridica, il verdetto della Cassazione chiude incontestabilmente
il caso, e merita tutto il rispetto che si deve alle pronuncia della Magistratura:
rispetto che però - va pure osservato - il Giudice per le Indagini
Preliminari non ottenne quando fu aggredito da uno spietato Linciaggio
morale a causa delle decisioni da lui, adottate. In sede storica, invece,
il procedimento costituisce un tutto unico che va complessivamente valutato
nelle sue fasi contraddittorie, per i risultati che ha comunque prodotto.
Nel corso delle indagini, dalle deposizioni dei testi, dalle dichiarazioni
rese dai protagonisti, dai documenti prodotti o consultati, sono emersi
fatti nuovi o poco noti, e altri sono stati definiti e precisati fino ad
assumere aspetti del tutto inediti. Un ampio dibattito si è svolto
inoltre all’estremo, ed ha chiarito meglio il quadro generale con le ricostruzioni
e interpretazioni di vario segno che ne sono emerse. Infine, il fatto stesso
che il problema delle vittime civili dell'attentato sia stato posto per
la prima volta in sede giudiziaria, e che abbia suscitato giudizi tanto
diversi nel seno stesso della Magistratura, ha dimostrato che a più
di mezzo secolo dalla fine della guerra e della guerra civile, ancora sussiste
- e scotta - il problema della lotta partigiana, dell'accettabilità
dei suoi metodi e della validità dei suoi reali obiettivi, della
sua liceità, infine, e della sua effettiva necessità. Problema
che si riversa e si proietta su tutto il corso dell'Italia postbellica,
che da quella lotta scaturì e venne legittimata, e che viene tuttora
investita nel suo essenziale contenuto quando le ragioni "dell'antifascismo
e della resistenza" sono messe in questione.
Tutto questo, non certo a caso. Nell'ambito dell'attività partigiana,
l'attentato di via Rasella è un culmine, un caso limite. A conferirgli
un così alto valore emblematico concorrono la straordinaria forza
del colpo e l'orrida enormità del contraccolpo: da un lato il numero
dei tedeschi uccisi in una sola volta, dall'altro le inaudite e inumane
dimensioni della rappresaglia che ne segui. Rappresentarsi con chiarezza
via Rasella, nei suoi moventi, nella sua dinamica e nelle sue conseguenze,
porta a cogliere in un punto solo l'inevitabile profilo della resistenza
armata, nel suo spietato carattere. E porta senza remore e senza infingimenti
alla luce il drammatico problema dei rapporti tra le mosse dei guerriglieri
e la sicurezza della popolazione, tra chi conduce una guerra civile e chi
subisce senza scampo le conseguenze dell'azione altrui. Non vale dunque
soltanto a ricostruire la memoria storica, ma anche a ristabilire un equilibrio
umano e morale, ad accertare se e come esso sia stato violato, a comprendere
se e come quella violazione costituisca ancora il punto di partenza e di
riferimento del nostro assetto e della nostra vita politica.
Il riesame di quei drammatici eventi, a prescindere dal suo aspetto
strettamente giudiziario, ha scavato a fondo in questo difficile campo,
ha fornito le premesse per una presa di coscienza più chiara, ed
ha dato un'implicita ma evidente risposta al grave interrogativo (recentemente
e autorevolmente riproposto in un'opera di cui ci occupiamo oltre) che
sorge dalla reticenza con cui l'antifascismo non comunista tuttora non
si impegna nell'analisi critica di un gesto materialmente compiuto da comunisti
come quello di via Rasella. Un'analisi così accuratamente evitata,
è stata infatti compiuta proprio da questa vicenda giudiziario,
e più a fondo sarebbe stata condotta se fosse sfociata in un pubblico
dibattimento. Già la violenta reazione che ha investito questa ipotesi
appena si è affacciato, trasformando la reticenza in connivenza,
ha denunciato la natura storica, ideologica e politica del problema. Ed
ha dimostrato impietosamente quanto fosse tenace all'epoca, e quanto lo
sia tuttora, il nesso tra chi metteva in atto una spregiudicata tattica
rivoluzionaria senza badare ai costi, ai guasti e alle vittime, e chi la
lasciava ad altri, ma la avallava, la fiancheggiava, e si preparava a coglierne
i frutti.
Questo procedimento ha aperto così la via ad una più
oggettiva e meno unilaterale visione del nostro passato, e quindi del nostro
presente. E, ormai, un momento della nostra vita attuale, appartiene già
al patrimonio delle nostre esperienze: occupandosi di storia, è
divenuto esso stesso un atto storico. Come tale va ricostruito nella sua
continuità e organicità, raccolto, conservato e tramandato,
perché non resti affidato alle frammentarie notizie di stampa filtrate
di giorno in giorno durante il suo corso, da non molti conosciute e forse
già da quasi tutti dimenticate.
Nasce così un libro che intende narrare "questo" atto
storico nel suo sviluppo, e riassumerlo nel risultato di conoscenza che
ci ha lasciato. Nelle quattro parti in cui è articolato si trova
innanzitutto la ricostruzione dei fatti nell’ampia cornice in cui si svolsero
e senza la quale non si possono intendere, poi la vicenda processuale nelle
sue fasi essenziali, nelle opposte tesi della parte civile e della difesa,
nelle deposizioni dei protagonisti e nei giudizi dei magistrati, poi ancora
una vasta scelta di documenti che sorregge e garantisce la narrazione,
e infine un eloquente campionario degli echi di stampa che hanno fatto
da contrappunto e da cassa di risonanza.
Chi ha curato questo libro, aveva ed ha ovviamente una propria interpretazione
dei fatti, non poteva fare a meno di esporla e l'ha esposta. Ma ha anche
raccolto con ogni possibile cura le interpretazioni degli altri, sia nei
momenti processuali veri e propri, sia nel linguaggio oggettivo dei documenti,
sia in quello certamente meno oggettivo dei commenti e delle reazioni.
Spera quindi di aver raggiunto un punto fermo che resti, e che fornisca
una base certa per ogni successiva elaborazione e ricerca.
Dalla copertina
***
Enzo Erra – Francesco Caroleo Grimaldi LA
REPUBBLICA DI VIA RASELLA
Pagine 286, euro 19,63 Edizioni Il Settimo Sigillo, Roma 1999, Via
Santa Maura 15 00192 Roma. Tel 06/39722155 – Fax 06/39722166; rete www.libreriaeuropa.it;
Posta: ordini@libreriaeuropa.it.
Intervista a Enzo Erra, autore del libro "La Repubblica di
Via Rasella" a cura di Luigi Tedeschi: Nel corso dell’attentato
compiuto da un gruppo di partigiani il 23 marzo 1944 in Via Rasella a Roma,
insieme a 40 militari germanici perirono anche cinque e forse più
cittadini italiani che si trovavano sul posto. La tragica circostanza,
a lungo ignorata o addirittura negata, è stata portata al vaglio
della giustizia con un’iniziativa condotta dagli avvocati Francesco Caroleo
Grimaldi e Luciano Randazzo per conto dei parenti delle vittime. Il procedimento,
durato dall’agosto del 1996 al febbraio 1999, si è concluso con
una definitiva sentenza di archiviazione, ma ha avuto fasi alterne e pronunce
contraddittorie in sedi giudiziarie diverse, che hanno messo in luce aspetti
sconosciuti o poco noti della drammatica vicenda. Ora, gli atti processuali,
insieme a un’ampia serie di altri fondamentali documenti e ad un preciso
ed esplicativo commento, sono stati pubblicati da Enzo Erra e Francesco
Caroleo Grimaldi in un’opera significativamente intitolata "La
Repubblica di Via Rasella". In questa intervista abbiamo chiesto
ad Enzo Erra quali siano i risultati dell’iniziativa giudiziaria, e in
quale prospettiva, dopo di essa, si debba porre l’intera e tragica vicenda
di Via Rasella e delle Fosse Ardeatine.
1) L’attentato di Via Rasella è stato compiuto in attuazione
di un preciso piano terroristico voluto e realizzato dai GAP comunisti,
all'insaputa degli altri membri del CLN?
L’attentato faceva parte di un più vasto piano d’azione concepito
e seguito da tutti i partiti del CLN, in base a precise direttive emanate
dal Comitato stesso e dalla sua Giunta Militare, in cui erano rappresentati
tutti e sei i partiti. Questo piano comprendeva un sistematico attacco
"ovunque e comunque" ai tedeschi e ai fascisti, ai quali doveva
essere resa "impossibile la vita", dentro e fuori la città
di Roma. In particolare, per la giornata del 23 marzo, annuale della fondazione
dei Fasci, c’era stata una preventiva consultazione tra Giorgio Amendola
per il partito comunista, Sandro Pertini per il partito socialista e Riccardo
Bauer per il partito d’azione, che avevano concordato in linea di massima
le operazioni partigiane da mettere in atto. Era stata prevista l’esplosione
di un ordigno tra la folla all’uscita del teatro Adriano, dove si doveva
svolgere una manifestazione fascista, e solo dopo che questa manifestazione
venne spostata si ripiegò sull'obiettivo di Via Rasella. Sui particolari
dell’azione, e sul mutamento dell’obiettivo non tutti vennero informati,
ma il proposito di compiere atti terroristici in città era comune
tutti i partiti del CLN, tanto è vero che fino a quel momento i
GAP ne avevano compiuti più di quaranta e tutti erano d’accordo.
Dopo l’attentato di Via Rasella, solo Spataro, rappresentante della DC
nella Giunta Militare, protestò per non essere stato avvertito,
ma rimase del tutto isolato e in seguito il CLN, con un suo comunicato,
rivendicò ufficialmente l’azione compiuta dai "patrioti italiani".
2) Quali furono le finalità politiche dell’attentato?
Tutto il piano d’azione del CLN tendeva a scatenare la guerriglia urbana,
coinvolgendo la popolazione su cui sarebbero ricadute le inevitabili rappresaglie,
fino a spingerla all’insurrezione. Questo obiettivo massimo, come si sa,
venne clamorosamente mancato, ma venne invece egualmente raggiunto lo scopo
di portare il CLN in primo piano nella lotta conto il fascismo, ruolo fino
ad allora sostenuto dalla monarchia, dal governo Badoglio e dai militari,
e cioè dalle forze che insieme al fascismo avevano governato per
vent’anni l’Italia. L’antifascismo militante aveva un solo modo per intervenire
nella lotta come antagonista principale, ed era quello di provocare una
guerra civile che nessun altro voleva. Poiché le forze da mettere
in campo a questo scopo gli mancavano del tutto, non poteva che ricorrere
al terrorismo. Via Rasella, con l’orrido contraccolpo delle Fosse Ardeatine,
fu la punta massima toccata da questa spietata tattica.
3) Il decreto che dichiarava "azioni di guerra e pertanto
non punibili" gli atti di sabotaggio, requisizioni e ogni altra operazione
compiuta "dai patrioti per azioni di lotta contro i tedeschi e i fascisti
nel periodo di occupazione nemica" era applicabile anche agli atti
compiuti a danno dei beni personali come la vita e l’incolumità?
E dunque valeva davvero anche per gli attentatori di Via Rasella?
Questo è il punto giuridico intorno al quale ha ruotato
l’intero procedimento, perché il Pubblico Ministero ed il Giudice
per le Indagini Preliminari non lo hanno ritenuto applicabile ed hanno
configurato il reato di strage, e si sono riferiti ad un precedente decreto
che amnistiava più genericamente tutti gli atti compiuti a quello
scopo. La Corte di Cassazione lo ha invece ritenuto applicabile. Nel primo
caso, quindi, gli autori dell’attentato venivano considerati stragisti
amnistiati, nel secondo sono diventati "patrioti non punibili".
Differenza, come si vede, non lieve, che per tutta la durata del procedimento
ha tenuto alla sbarra non solo e non tanto i tre superstiti autori materiali
dell’attentato, quanto i metodi della guerriglia urbana e più in
generale dell’attività partigiana, per le tragiche e sanguinose
conseguenze che inevitabilmente riversa su una popolazione inerme e innocente.
4) Poteva essere evitata la rappresaglia tedesca?
Per evitarla bisognava che qualcuno volesse evitarla, ma non c’è
segno che gli uomini ed i gruppi che guidavano la lotta antifascista si
siano mai posti questo problema, né a Roma né altrove. I
comandi partigiani, come meglio si vide quando lo scontro si spostò
al Nord, tendevano piuttosto a rispondere alla rappresaglia con la controrappresaglia,
fucilando per vendetta prigionieri fascisti e tedeschi nelle loro mani,
e provocando quindi altre rappresaglie a cui poi rispondevano nello stesso
modo. Questa è la macabra spirale messa in moto da quel metodo di
lotta che abitualmente viene chiamato "resistenza". In questo
quadro, chiedersi perché i "gappisti" non si fossero presentati
per evitare il massacro delle Ardeatine è del tutto ozioso. Essi
invece progettarono un altro attentato, previsto per cinque giorni dopo
al Largo Tassoni contro un camion tedesco che trasportava un reparto della
Gestapo di guardia al carcere di Regina Coeli, attentato che venne impedito
all’ultimo momento da un provvidenziale contrordine. Non solo dunque non
si preoccuparono di evitare una rappresaglia, ma pensarono di provocarne
un’altra, prevedibilmente ancora più vasta e feroce.
5) Tutto questo richiama alla mente il processo ad Erich Priebke,
tirato in ballo dopo 50 anni come capro espiatorio delle Fosse Ardeatine.
C’è un nesso tra i due fatti?
Il nesso emerge proprio dalla tenace volontà di stravolgere
la verità negando ed occultando ogni legame tra essi. Priebke è
stato presentato al pubblico da giornali e telegiornali come esecutore
di un massacro causato solo dalla ferocia sua e dei suoi. Gli attentatori
di Via Rasella sono stati invece esaltati dai giornali e telegiornali come
autori di un "atto di guerra" volto a colpire gli "occupanti
tedeschi". Che a Via Rasella vi fossero state anche vittime italiane
tra cui un bambino si è tentato di negare fino a quando, proprio
nel corso di questo procedimento penale, l’evidenza dei fatti ha costretto
ad ammetterlo. Che i trecentotrentacinque morti italiani delle Ardeatine
non vi sarebbero stati senza l’attentato di Via Rasella non è stato
ammesso nemmeno in questa circostanza. Si continua a parlare di Via Rasella
e delle Ardeatine come di due fatti indipendenti, e non di una causa e
di un effetto.
6) Anche questo procedimento penale non è dunque valso
a ristabilire la verità?
La verità – che del resto tutti conoscono – sarebbe venuta alla
luce e si sarebbe imposta se il procedimento non fosse stato archiviato,
e fosse sfociato in un pubblico dibattimento. Questo spiega le furibonde
reazioni politiche che investirono il GIP quando decise di aprire un’indagine
che avrebbe potuto portare ad un rinvio a giudizio dei tre indagati. Tra
i tre documenti che abbiamo pubblicato nel libro spicca per la sua drammaticità
e per il suo valore di sintomo la lettera con cui questo magistrato chiese
al suo superiore di essere sostituito, di fronte alle accuse ed invettive
da cui era investito. Il coro che ha accompagnato il procedimento ha dimostrato
quindi due cose: che in Via Rasella si rispecchia tutta la intera resistenza,
e che la resistenza è sempre alla base e il fondamento di questa
repubblica. Di qui, come si vede, il titolo di questo libro.
7) L’indagine giudiziaria su Via Rasella è stata dunque
considerata come un tentativo di aggressione alla resistenza. Le forze
politiche, gli organi di stampa e alcuni settori della magistratura si
sono invece dimostrati assai tolleranti verso gli atti contro l’unità
e l’integrità dello Stato compiuti dal secessionismo leghista. La
resistenza sarebbe quindi portatrice di valori superiori alla stessa unità
e integrità dell’Italia?
Sembra proprio che sia così. Da quanto è avvenuto, e
che appare chiaramente dai documenti in larga parte inediti che abbiamo
pubblicato nel libro, si vede bene che quella di oggi è davvero
e ancora "La Repubblica di Via Rasella", una realtà
cioè che si aggrappa tenacemente alla fonte da cui è sorta,
e su cui la classe dirigente antifascista ha fondato e fonda tuttora il
suo potere. E’ abbastanza naturale, perché risponde alla sua logica
e alla sua morale, che questa classe dirigente tenga più alla propria
sopravvivenza che all’unità e integrità nazionale, e che
quindi in Italia si possa proclamare apertamente e impunemente una volontà
di secessione, consacrandola persino nella struttura e composizione delle
assemblee parlamentari, ma non si riesca invece a portare sul pubblico
scenario di un’aula di giustizia i micidiali sistemi usati per imporre
l’assetto istituzionale, politico e culturale in cui dopo mezzo secolo
tuttora viviamo.
Da ITALICUM n. 1-2 -2000
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