RECENSIONI DI LIBRI SULLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA - 2001

 
    Tema di queste recensioni è la Repubblica Sociale Italiana. Le recensioni, inizialmente riprese soprattutto dal mensile NUOVO FRONTE di Trieste, sono poi state integrate anche con altre di diversa fonte, ivi compresa -talvolta- le presentazioni di copertina. Quando si è potuto abbiamo aggiunto le immagini delle copertine e queste sono state proposte, in attesa di recensione che non abbiamo, anche per libri che a nostro avviso potevano rientrare in questo soggetto.
    Si fa presente che il criterio di scelta è stato molto ampio. Talvolta trattasi anche di libri che trattano solo marginalmentre di RSI  (per esempio: foibe etc.) o di argomenti che, per vicende storiche, in qualche modo sono con la RSI connessi (per esempio: novità importanti anche sul ventennio fascista.
    Si sta cercando di associare ad ogni titolo le notizie presenti nel CATALOGO IN RETE OPAC che copre tutte, quasi tutte, le biblioteche d'Italia. Questo permetterà ai lettori di conoscere la più vicina ubicazione accessibile della pubblicazione.
    Nel corso di tale integrazione abbiamo ritenuto di segnalare anche i titoli che risultavano presenti in OPAC al Soggetto: "Repubblica Sociale Italiana".
    L'ordine temporale di presentazione dei libri è quello di edizione basato sul Catalogo OPAC. Se è presente più di una registrazione in OPAC le abbiamo presentate tutte per non omettere ogni possibile ubicazione. Se le registrazioni risultano in anni diversi abbiamo collocato il titolo (eventuale recensione ed eventuale copertina) nell'anno di edizione più datata, lasciando accanto anche altre registrazioni più recenti (forse quest'ultimo criterio sarà in futuro corretto).
    Poichè molti titoli sono sprovvisti di recensione saremo grati al lettore che vorrà collaborare inviandoci eventuale recensione di terzi (completa di fonte) o anche propria recensione accompagnando l'invio con proprio nome o pseudonimo.
ULTERIORI TITOLI SI POSSONO OTTENERE RICERCANDO IN OPAC CON LE PAROLE REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA OPPURE CON LE PAROLE 1943-1945 (O ALTRO) NEL CAMPO "TUTTI I CAMPI". SE SI VOGLIONO I TITOLI COMPLETI USARE LA VARIANTE SUTROS INVECE CHE ISBD.                 

 
 
Ernesto Zucconi e Adriano Toselli BOVES 1943 - 1945 VENTI MESI DIFFICILI Una ricostruzione dei fatti bovesani. Ricerche d'archivio con le testimonianze tedesche 
Formato cm 21 x 29 - 144 pagine Euro 13,00 Edizioni RA.RA. 2001 
Dopo l’8 settembre tutto si complica: torme di soldati senza più guida si riversano nelle vie del paese, alla disperata ricerca di un abito borghese che eluda l’ex alleato; e poi via verso un rifugio sui vicini monti quando casa propria è troppo distante
 
Sul giornale di Boves dell'ottobre 1993, in occasione della visita del Presidente Scalfaro si s criveva: Il numero dei morti del fronte di liberazione fu calcolato in 140 individui, comprendendo in tale cifra sia i combattenti, sia i civili. Il numero in questione non comprende i caduti del fronte avversario: fascisti, tedeschi e loro collaboratori (veri o presunti). Sono stati calcolati in almeno 100 unità ma, non figurano da nessuna parte, come se non fossero esistiti, come se solo i presunti "caduti democratici" avessero diritto di essere ricordati. In quei 20 mesi nella cittadina di Boves ci furono nefandezze da ambedue le parti, e a volte la "guerra di liberazione" venne utlizzata per saldare vecchi conti che, con la democraticità, avevano poco da spartire. 
 
Alessandro Campi GIOVANNI GENTILE E LA R.S.I. Morte necessaria di un filosofo
ASEFI Rdizioni. Collana La Terziaria. I edizione gennaio 2001 - Pag. 152 - Euri 8,78 
 
Campi, Alessandro 
ISBD: Giovanni Gentile e la RSI : morte necessaria di - Milano : Terziaria, [2001] - 152 p. ; 17 cm. - Quaderni 
Collezione: Quaderni 
Livello bibliografico: Monografia 
Tipo di documento: Testo a stampa 
Numeri: ISBN - 88-86818-61-0 
Nomi: Campi, Alessandro 
Gregor, A. James 
Soggetti: Gentile, Giovanni <1875-1944> - Atteggiamento 
verso la Repubblica Sociale Italiana<1943-1945> 
Classificazione: 195 - FILOSOFIA OCCIDENTALE MODERNA. ITALIA 
Paese di pubblicazione: IT 
Lingua di pubblicazione: ita 
Localizzazioni: BO0199 - Biblioteca comunale - Imola - BO 
BO0304 - Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna - BO 
BO0305 - Biblioteca comunale di Storia della Resistenza - Bologna - BO 
FI0098 - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI 
MI0185 - Biblioteca nazionale Braidense - Milano - MI 
MI0339 - Biblioteca delle Civiche raccolte storiche. Museo del Risorgimento - Milano - MI 
MO0089 - Biblioteca Estense - Modena - MO 
PD0368 - Biblioteca del Dipartimento di diritto comparato dell'Universita' degli studi di Padova - Padova - PD 
PG0109 - Biblioteca comunale Augusta - Perugia - PG 
RA0030 - Biblioteca di storia contemporanea - Ravenna - RA 
RA0069 - Biblioteca dell'Istituto storico della Resistenza - Alfonsine - RA 
RM0210 - Biblioteca della Fondazione Lelio e Lisli Basso - Roma - RM 
RM0267 - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - RM 
RM0521 - Biblioteca dell'Istituto della enciclopedia italiana Giovanni Treccani - Roma - RM 
VI0005 - Biblioteca Archivio Museo - Bassano del Grappa - VI 
Codice identificativo: IT\ICCU\RAV\0727076 
Il libro. Dopo circa sessant'anni dalla sua morte violenta - avvenuta il 15 aprile 1944 in piena guerra civile - il nome di Giovanni Gentile continua ad essere al centro di discussioni appassionate e di polemiche. Per quali ragioni è stato ucciso il filosofo ufficiale del fascismo? Chi ha deciso o ispirato l'attentato? Chi lo ha eseguito?
Il testo, più che dare una risposta a tali quesiti, affronta la complessa trama di motivazioni e di ragioni - ideali, congiunturali, storico-culturali, caratteriali - che, dopo l'8 settembre spinse Gentile ad aderire alla Repubblica sociale italiana. Una scelta che lo avrebbe condotto ad un consapevole martirio.
L'autore. Alessandro Campi (1961) è Ricercatore di Storia delle dottrine politiche dell'Università di Perugia, dove insegna Filosofia politica. Tra i suoi lavori, Modelli di storia costituzionale in Giuseppe Maranini (Roma, 1994), Schmitt, Freund, Miglio. Figure e temi del realismo politico (Firenze, 1995), Destra/Sinistra. Storia e fenomenologia di una dicotomia politica (Roma, 1997, in collaborazione con A. Santambrogio), Mussolini (Bologna, 2001).
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Il Fascismo morì con l'assassinio di Giovanni Gentile, l'ideologo neo-hegeliano dell'attualismo. Lo sostiene in una interessante pubblicazione (Giovanni Gentile e la Rsi), che farà discutere a sinistra, ma soprattutto a destra, Alessandro Campi, ricercatore all'Università di Perugia.
Il fascismo non è morto il 25 luglio del 1943, e nemmeno il 25 aprile del 1945 con l'uccisione del suo capo, il fascismo è morto il 15 aprile del 1944 con l'omicidio di Giovanni Gentile, dell'intellettuale cioè che aveva fornito al fascismo una compiuta ossatura ideologica, una base morale, un fondamento razionale, un'ideologia e una dottrina coerenti poggiate sulla teoria filosofica neo-hegeliana dell'attualismo. Colpire dunque Gentile significò, in sostanza, colpire il fascismo come ideologia, colpire la radice da cui il movimento di Mussolini, che conosceva le opere del filosofo siciliano sin dal 1908, era germinato. Insomma, come Alessandro Campi sostiene nel suo "Giovanni Gentile e la Rsi" l'assassinio di Gentile fu "necessario", iscritto nella logica delle cose, e soprattutto coerente e pienamente comprensibile in un contesto di guerra civile.
"I capi della futura Italia antifascista avevano bisogno - scrive Gregor nell'introduzione al libro di Campi - di un simbolo importante che denotasse una cesura storica e politica". La morte di Gentile sarebbe stato il segnale della definitiva scomparsa del fascismo, una "morte necessaria - come scrive appunto Campi - in virtù del ruolo preponderante che in condominio con Croce, Gentile aveva svolto in Italia nel campo della cultura.
Il progetto metapolitico di Togliatti, finalizzato ad imprimere al partito comunista italiano una base ideologica nazionale e a sostituire l'egemonia crociano-gentiliana con quella marx-gramsciana, rendeva inevitabile, come infatti avvenne, dapprima la liquidazione morale e fisica di Gentile e poi quella intellettuale e morale di Croce, vale a dire dei dioscuri della tradizione dell'idealismo italiano, assimilato tout court al fascismo e alla guerra".
E l'assimilazione dell'attualismo al fascismo non è affatto così forzata, in realtà si potrebbe dire che con il fascismo di Mussolini, all'attualismo gentiliano spuntarono le gambe per incedere nella storia, trovando "il modo di esprimersi in chiave concretamente politica... secondo un percorso che conduce dall'immanentismo (secolarismo) proprio di ogni filosofia idealista al disegno riformatore in senso religioso e spiritualista".
Se si guarda all'uccisione di Gentile secondo quest'ottica - l'ottica appunto della guerra civile e della morte necessaria di chi, prendendo una precisa posizione, vi aveva preso parte - appaiono decisamente pelose e prive di qualsiasi serio sostegno logico le posizioni di chi, nella destra neofascista del dopoguerra, ha deprecato per anni l'omicidio di Gentile, parlando di un gesto efferato, di un'azione di gratuita crudeltà. Argomentazioni maldestre che Campi non ha mancato nel suo lavoro di mettere in luce: "Da un lato il neofascismo italiano si è battuto perché quella svoltasi in Italia nel biennio 44-45 fosse riconosciuta storicamente e storiograficamente alla stregua di una guerra fratricida, dall'altro non ha mai colto il carattere consequenziale, tragicamente necessario, del tutto coerente con la natura propria di ogni guerra civile, dell'assassinio di Gentile o dell'episodio di Piazzale Loreto, rispetto ai quali esso ha invece invocato un metro umanitario, ha fatto appello alla pietas e al sentimento della clemenza e del perdono".
Non c'è da stupirsi se questo libretto di Campi, assieme al suo "Mussolini" che sta uscendo in questi giorni nelle librerie per i tipi del Mulino, provocherà a destra e a sinistra (ma soprattutto a destra) reazioni scontrose. Siamo infatti di fronte a un metodo e ad un approccio a certi temi insolito in un paese come il nostro: Campi, che per le edizioni Pellicani ha curato numerosi studi sul fascismo, ha sempre utilizzato un criterio rigorosamente scientifico, avalutativo e tassonomico nelle ricerche che ha compiuto, criterio che inevitabilmente finisce col togliere sostanza alle argomentazioni che da una parte e dall'altra dei due fronti intellettuali della guerra civile italiana hanno paralizzato ogni progresso nel campo degli studi sul fascismo, cioè a dire su vent'anni della nostra storia nazionale.
UNOINPIU' Febbraio 2001 Riccardo Paradisi
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Sine spe ac metu "senza speranza né timore" è il motto con cui si apre il libro Comunità, Europa, Impero di Francesco di Marino, pubblicato all'inizio del 2001 nell'ambito dei Quaderni di Terziaria, ma si adatta altrettanto bene ad un altro recente saggio della stessa collana: Giovanni Gentile e la RSI di Alessandro Campi. Infatti, anche se il primo testo va alla ricerca di prospettive per il futuro, mentre il secondo è dedicato alla ricerca storica, entrambi gli autori sostengono l'importanza di saper scegliere, individualmente e collettivamente, strade coraggiose in quei momenti in cui il senso dell'onore e l'orgoglio impongono di reagire alle umiliazioni, prescindendo da eventuali considerazioni pratiche sulle possibilità di successo.
Fu senz'altro in un quadro segnato dal disincanto e dal fatalismo, da un senso di morte e di sventura, che si collocò la scelta gentiliana di aderire alla Repubblica sociale italiana. Alle molteplici ragioni di questo passo, intrapreso dal filosofo del fascismo nella piena consapevolezza del fatto che le sorti del conflitto volgevano ormai al peggio, è dedicato il saggio di Campi. L'autore, analizzando i motivi storici, congiunturali, culturali, ideali e caratteriali che contribuirono alla decisione di Gentile, traccia un quadro piuttosto complesso, riassumibile in sei punti.
1) Gentile volle dimostrare la sua coerenza politica e intellettuale a quei fascisti che lo avevano accusato di opportunismo per la corrispondenza avviata con Leonardo Severi, ministro dell'educazione nel Governo Badoglio.
2) Fermamente convinto della indissolubilità di pensiero e azione, prendendo posizione nel momento più difficile egli manifestò la sua contrarietà al "sofisma diabolico" che fa gettare ogni dovere dietro le spalle.
3) Per Gentile negare il fascismo nell'ora estrema avrebbe significato smentire intellettualmente se stesso: sarebbe stata, egli scrisse alla figlia Teresina, una "vigliaccheria equivalente alla demolizione di tutta la mia vita".
4) Venendo a motivazioni meno soggettive, sicuramente condivise da Gentile con molti altri italiani che aderirono alla RSI, va anzitutto ricordato il suo legame di amicizia e fedeltà nei confronti di Mussolini.
5) Nella convinzione che l'armistizio rappresentasse un tradimento dell'alleato tedesco, diveniva inoltre indispensabile "negare la legittimità della resa per riaffermare il diritto ad esistere dell'Italia, che potrà magari soccombere, ma con onore".
6) Pur deciso sostenitore della "necessità della lotta giusta", Gentile si augurava infine, assumendo la presidenza della risorta Accademia d'Italia, di poter contribuire "alla smobilitazione degli animi" ed evitare che la guerra civile culminasse in un rovinoso bagno di sangue.
Il 15 aprile 1944 Giovanni Gentile, simbolo massimo del disegno culturale fascista, veniva assassinato in circostanze mai totalmente chiarite. Morì "tenendo alta la bandiera della dignità, alla quale nessuno vorrà mai sopravvivere" secondo quanto aveva raccomandato nel Discorso agli italiani da lui pronunciato a Roma nel 1943.
La grandezza postuma di Gentile non sta solo nella sua statura di pensatore e uomo di cultura, ma anche nell'aver tenuto ferme, sino alle conseguenze estreme, le proprie idee: una coerenza che per quanti si schierano a destra dovrebbe essere di esempio anche oggi, nel momento in cui, come si dice in una bella canzone della Compagnia dell'Anello, "stiamo buttando alle ortiche, per inseguire il potere, la nostra Fede più antica e le ragioni più vere".
IL BARGELLO - Trieste - Aprile/Maggio 2001) 
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UN FILOSOFO SCOMODISSIMO. Tra i libri che Gianfranco Monti continua coraggiosamente (parlo qui di coraggio nell'esposizione economica, piuttosto raro) a pubblicare con l'edizione "Terziaria" è di particolare interesse il tema sulla morte "necessaria" di un filosofo sviluppato da Alessandro Campi in Giovanni Gentile e la RSI.
Campi ragionevolmente sfata il mito secondo cui non si dovrebbero uccidere i professori, come se in una guerra civile fosse più giusto ammazzare soltanto gli allievi, i ragazzi. Con minor ragione, a mio avviso, riecheggia invece la tesi lanciata da Luciano Canfora secondo cui tra i mandanti dell'assassinio vi sarebbero state anche frange del fascismo repubblicano più immerse nel clima della guerra civile. Canfora ha retrodatato alla RSI l'inflazione delle scorte negli "anni di piombo", per accusare il fascismo estremistico fiorentino d'aver fatto mancare la scorta a Gentile mentre la sua era una morte annunciata. Ma i fascisti, obbligati al coraggio come 11° comandamento, non usavano scorte. Pavolini attraversava la pianura padana col solo autista. Resega, federale di Milano, fu ammazzato sotto casa mentre attendeva il tram per recarsi nella più importante federazione d'Italia: non girava scortato e non usava la macchina di servizio di cui disponeva Gentile. E' purtroppo vero che molti fascisti si lasciarono trascinare come in un Paese nemico nella pratica delle rappresaglie, ma dovrebbe essere d'altra parte evidente che a volere la guerra civile furono gli antifascisti. Ai fascisti sarebbe assai più convenuto poter continuare a comandare tranquilli.
Correnti di fascismo antigentiliano c'erano sempre state. L'accusavano d'essere più un liberale che un vero fascista e nella RSI continuarono polemiche di questo genere da parte del fascismo estremistico, ma da qui a volerlo morto, come insinua canfora, ci corre. Che i fascisti per faide interne si ammazzassero tra di loro è luogo comune usato anche per Ghisellini a Ferrara. In realtà i partigiani si accanivano con i miti, obiettivo tra l'altro più facile, proprio perché ostacolavano la guerra civile. Campi in compenso ha recuperato un'osservazione di Gennaro Sasso, che in suo libro-intervista del 1993 aveva scritto: "Ho cominciato a pensare che l'uccisione di Gentile potrebbe essere stata la prova generale di quella di Mussolini; e che la ragione stesse nella volontà inglese di togliere di mezzo i principali personaggi del fascismo per contrastare la diversa e persino opposta tendenza degli americani a conservarli in vita e quindi a sottoporli a processo. Uccidere Gentile significava che, a fortiori, anche Mussolini doveva esserlo; e uccidere quest'ultimo significava stroncare alla radice l'idea stessa di processi. Insomma, nel condannare a morte Gentile e Mussolini, gli inglesi avrebbero criticato coi fatti, e avant lettre, la mentalità di Norimberga".
Al movente inglese Campi aggiunge quello dei comunisti, che ne furono gli esecutori materiali: si preparavano a raccogliere l'eredità di Gentile come grande organizzatore di cultura e non c'è eredità senza il morto. Dal bel saggio di Paolo Mieli "Una rilettura liberale di Giovanni Gentile" in Le storie la storia (Rizzoli) Campi raccoglie infine il sospetto che il filosofo sia stato ucciso "perché sapeva troppo" sul collaborazionismo degli intellettuali antifascisti negli anni di un regime durante il quale poterono continuare a campare scrivendo. Sospetto eccessivo, che Mieli ricava a sua volta dallo scrittore cattolico Vittorio Messori. Secondo questa interpretazione - conclude Campi - la morte di Gentile, più che necessaria, potrebbe dirsi "utile ed opportuna" per toglierli d'imbarazzo. Non ne sono stati direttamente i mandanti, ma quando è stato messo a tacere si sono fregati le mani.
AREA N. 58 - Maggio 2001 Giano Accame
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IL SACRIFICIO DEL FILOSOFO. Nel suo ultimo articolo, apparso su "Civiltà Fascista" dell'aprile 1944, Giovanni Gentile si domandava: "E' possibile una realtà politica di cui all'uomo sia dato essere semplice spettatore?" Lui una risposta se l'era già data da qualche mese. Da quando, cioè, aveva scelto di aderire alla Repubblica Sociale, di assumere la presidenza dell'Accademia d'Italia, di combattere, in prima linea e sottoposto al fuoco congiunto degli antifascisti che lo odiavano e di certi fascisti intransigenti che diffidavano della sua "volontà pacificatrice", una battaglia che sapeva perduta. Si era dato una risposta, Gentile, netta e definitiva: ed era ben cosciente che quel suo "si" estremo a Mussolini e al fascismo rappresentava una condanna a morte, una "sentenza" che sarebbe stata immediatamente pronunciata e resa poi esecutiva dai "gappisti" fiorentini il 15 aprile 1944.
Ora, Alessandro Campi, in un volumetto ricco di intelligenza storica, dunque "aperto" alla complessità di eventi e personaggi, idee e scelte ("Giovanni Gentile e la RSI - Morte necessaria di un filosofo") ci mostra come l'ultimo approdo gentiliano sia la mèta tragicamente coerente e tragicamente inevitabile di un percorso intellettuale ed esistenziale. Giovanni Gentile "doveva" fare quel che fece; e in questo "dover essere", nel pensiero e nella storia,, c'era inscritta anche la "necessità" della morte. Scrive Campi: "Nel fascismo, come uomo e come intellettuale, Gentile aveva investito tutto di sé: con esso doveva finire, anche "fisicamente", cosa della quale peraltro egli non ha mai dubitato (…).Gentile - visto come simbolo massimo dell'impegno con cui il fascismo aveva perseguito il proprio disegno politico-culturale - doveva essere ucciso: per chiudere con il fascismo, troncando sul nascere qualsiasi ipotesi di continuità e per consentire l'inizio di una diversa fase della storia italiana". Campi ha ragione. Ed ha ragione quando, dopo aver scavato tra le idee, le passioni, le emozioni ecc. di chi scelse Salò (si vedano i capitoli "Le scelte della RSI", pp 35-46 e «Gli intellettuali e la RSI", pp 137-141), osserva nella sua conclusione: "La pacificazione - che altro non è che la visione completa e sufficientemente condivisa del proprio passato storico - non si raggiunge attraverso la sintesi delle memorie, che sovente equivale a una reciproca elisione, ma sul piano dell'analisi e del giudizio, che per essere storicamente efficaci debbono rifuggire ogni moralismo ed ogni falsa "pietas".»
Indubbiamente, la storia è anche assunzione di "responsabilità" criticamente ed operosamente "civile" di fronte a chi fece scelte "responsabili". Giocando in quelle il presente, il passato, il futuro; la rappresentazione di sé e del proprio pensiero; e l'immagine che gli altri hanno di noi, la vicenda personale, il magistero. Forse la storia è necessariamente "tragica" quando ci entriamo dentro con tutto il peso della nostra mente, ma esponendo, senza paura, anche il corpo; e chi la scrive davvero "sine ira et studio", e dunque per andare avanti, e dunque ancora in vista di memorie "condivise", ha l'obbligo di registrare l'intensità drammatica di affermazioni e negazioni personali e pagate di persona, senza smussare gli angoli, senza addolcire. Ecco, allora, la straordinaria, fatale "dignità" della scelta gentiliana. Carica di senso dell'onore, di pessimismo, di volontarismo, di teso, accorato impegno testimoniale. L'azione di Gentile è davvero filosofia in atto; la ricerca speculativa esce dalle biblioteche e dalle accademie, e si tuffa nel ribollire della vita, scommettendo sulla missione del dòtto; organizzare la Città, garantire la continuità dei suoi ordinamenti, impedire, impedire che il nemico la invada violando altari e focolare, gridare con forza le parole della concordia in mezzo agli odi faziosi che ne dilaniano le carni e ne avvelenano il sangue.
Gentile, se vogliamo, sceglie l'enfasi dei toni alti - ma sono alti gli scopi, per quanto oggi possano apparire incomprensibili o patetici nel minimalismo rampante - per il suo azzardo di uomo e di intellettuale militante.
Poteva sottrarsi; interviene. Dopo essere stato il "pensatore principe" del Regime, tra la fine degli anni Trenta e il 1943, aveva vissuto e operato "pressoché esclusivamente all'interno della sua cerchia culturale e universitaria sulla quale dominava con il piglio del patriarca e del "dominus intellettuale". Concentrava le sue energie sulla Scuola Normale Superiore di Pisa, della quale, nell'ottobre del '37, era tornato ad essere direttore, e su diverse iniziative accademiche ed editoriali, prima tra tutte l' "Enciclopedia Italiana".
Era amico fedele di Mussolini, ma di sicuro la legislazione razziale era lontanissima dal suo idealismo anti-naturalistico, né la scelta di entrare in guerra a fianco della Germania gli era parsa carica di motivazioni nazionali, patriottiche, civili, culturali, ecc. come quella che aveva animato le battaglie interventistiche nel lontano 1914. Ma allorché il conflitto europeo diviene mondiale e sembra avere i contorni di una guerra di religione i cui esiti incideranno per decenni sugli umani ordinamenti, Gentile non esita a riaffacciarsi alla scena politica. Lo fa in "grande" e in un momento "scomodo": è il 24 giugno del '43, le sorti della guerra volgono verso il peggio, tra poco più di due settimane gli Alleati sbarcheranno in Sicilia, tra un mese il voto del Gran Consiglio affosserà Mussolini. In questo scenario torbido, Gentile pronuncia in Campidoglio il suo appassionato "Discorso agli Italiani". Non c'è nessun trionfalismo, ma un ammonimento forte al coraggio, al senso dell'onore e della dignità, all'impegno che tutti deve unire nel tenere alta la bandiera della Patria perché non vengano meno unità e continuità.
Gentile ha scelto. L'identità fascismo-nazione è per lui un elemento indiscutibile. Certo, non vuole (né si attende) lacerazioni con la Monarchia e non getta a mare le sue convinzioni sabaude il 25 luglio. Vorrebbe essere leale nei confronti del Re e di Badoglio, senza che nessuno lo costringa a rinnegare Mussolini e il Fascismo. Ma Gentile è ormai un "nemico" per tutti gli antifascisti, moderati o estremisti che siano. E' il filosofo "ufficiale" del Fascismo, ha contribuito a consolidare la tirannide, ha plasmato le coscienze dei giovani perché si inchinassero alla dittatura, ha confermato il suo mussolinismo nel famigerato "Discorso agli Italiani".
Prima ancora che Concetto Marchesi gridi con violenza la sentenza di morte, Gentile è condannato. Vorrebbe, ancora, vorrà, anche in seguito, essere uomo della concordia perché la Patria che si lacera è una Patria che va in rovina: non gli è possibile. La sua idea, che identifica l'Italia col Fascismo e vede nel Fascismo il compimento politico, civile e "filosofico" della storia d'Italia, seguita di secolo in secolo nei personaggi che meglio la rappresentarono e che con più intelligenza perseguirono il disegno "nazionale" (si legga, ad esempio, il volume dedicato a Bertrando Spaventa con cui la Casa Editrice fiorentina "Le Lettere" ha portato a termine la pubblicazione dell' "Opera Omnia" gentiliana); questa sua convinzione, sempre più salda man mano che si approssima la fine, è respinta con rabbia da chi ha scelto l'antifascismo. Dunque, anche da molti che gli sono stati vicini negli studi e nella ricerca - si pensi a Cantimori, a Calogero, a Capitini, a Codignola, a Bianchi Bandinelli - e che ora, se non si augurano la sua morte fisica, di sicuro si battono per la sconfitta definitiva delle sue idee. E queste appaiono, in un modo sconcertante, più che mai tenaci, anche e soprattutto nella fedeltà a Mussolini.
"O l'Italia si salva con lui - par che abbia detto Gentile a Biggini, ministro dell'Educazione nazionale, dopo aver incontrato sul Garda il Duce nel novembre del '43 - o è perduta per molti secoli".
Dunque, lealtà ostinata. E il cuore gettato contro ogni ostacolo. Fino alla morte "necessaria". E qui Campi ripropone, non per gusto della polemica, ma per volontà di "capire" e dunque tutto "esplorare", i termini di una questione che va affrontata senza pregiudizi: oltre le mani armate dei partigiani che ammazzarono Gentile, c'erano cuori di Fascisti "armati" contro di lui? C'era un estremismo saloino che vedeva nel filosofo un barone del fascismo littorio, nemico del radicalismo rivoluzionario? Sono domande che possono dispiacere a chi vive di indiscusse certezze: il dovere dello studioso è quello di porle perché la verità storica non ha nulla da guadagnare né dalla fazione né dalla deformazione né dalla rimozione.
IL SECOLO D'ITALIA 20 Marzo 2001 Mario Bernardi Guardi
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FILOSOFIA DI UNA MORTE ANNUNCIATA Giovanni Gentile aveva una visione particolare della morte. I comuni mortali hanno paura della morte perché l'avvertono come qualcosa che c'è. Il filosofo dell'attualismo sosteneva che la morte "è paurosa perché non esiste, come non esiste la natura, né il passato, come non esistono i sogni". C'è l'uomo che sogna, diceva Gentile, ma non le cose sognate. Sarà anche vero, e molto suggestivo, ma resta il fatto che la tragica morte di Giovanni Gentile, ucciso il 15 aprile del 1944 da mano ignota, non è un sogno. Tutt'altro. Per cinquant'anni è apparsa come un incubo di cui liberarsi. In quella morte non c'è solo la tragica fine di un uomo di pensiero ma anche d'azione, c'è un idea dell'Italia, un nodo, forse un ingorgo storico di una nazione ancora non in pace con se stessa. I militanti comunisti fiorentini aderenti ai Gap non vollero uccidere solo un uomo, ma il suo pensiero. Ma se sulla morte aveva forse torto, sulla natura del pensiero Gentile aveva ragione: "Il pensare è vivere vita immortale". Così, ad oltre mezzo secolo dall'assassinio di Giovanni Gentile, la "morte del suo pensiero" si presenta ancora come una questione vitale per chi sente di voler essere italiano.
Quando la notizia della morte di Gentile arrivò a Benedetto Croce, il filosofo napoletano disse: "Ora ammazzano anche i filosofi". Ma l'assassinio di Gentile non avvenne per caso, non fu un incidente di percorso, un fatto che poteva accadere o che poteva non accadere. La sua morte fu necessaria.
Alessandro Campi, allievo di Ernesto Galli della Loggia, sulla "morte necessaria" del filosofo dell'attualismo ha scritto un bel libro pubblicato dall'Asefi intitolato Giovanni Gentile e la RSI; morte necessaria di un filosofo.
"Quella di Gentile - scrive Campi - fu una morte in larga parte annunciata, della cui inevitabilità fu consapevole lo stesso filosofo, e che ebbe numerosi mandanti ed ispiratori, più o meno occulti e consapevoli: i servizi segreti inglesi, la massoneria, l'ala comunista e insurrezionale dell'antifascismo, certe frange del fascismo repubblicano, in una trama di interessi e di convergenze che ha finito per stendere un velo di mistero sull'uccisione di Gentile".
Ma se la morte di Gentile fu annunciata, tanto che lo stesso filosofo avvertiva il momento della fine, quale ne fu il movente? La pacificazione. Il filosofo del fascismo, che aveva legato il suo nome non solo a una filosofia e al regime, ma ad una visione storiografica dell'Italia che aveva il suo punto di approdo nel fascismo, aderì alla Rsi quando vide la "patria in pericolo" e la guerra civile alle porte. La sua morte "segnò la fine" dei tentativi di pacificazione nazionale. Ma alla morte di Gentile seguì anche la "morte" del suo antico amico Benedetto Croce. La "morte necessaria" di Gentile, infatti, ha a che vedere anche con il ruolo egemonico che lui, con Benedetto Croce, ebbe nella cultura italiana.
"Per comprendere questo punto - scrive Campi - è necessario riferirsi al progetto perseguito, a partire dal 1944, dal leader comunista Palmiro Togliatti. Quest'ultimo, in linea con la cosiddetta "svolta di Salerno", aveva compreso l'importanza di dare al Partito comunista italiano una base ideologica nazionale, in modo da farne un protagonista della ricostruzione democratica dell'Italia. Ma per conseguire questo obiettivo si resero appunto necessarie la liquidazione fisica e morale di Gentile e quella intellettuale e morale di Croce, vale a dire della tradizione dell'idealismo italiano, assimilata tout court al fascismo e alla reazione.
Solo così fu possibile assegnare al marxismo una valenza nazionale, tale da permettere la sostituzione dell'egemonia crociana-gentiliana con quella gramsciana e l'apertura quindi, di una fase politico-culturale nuova".
Tutto questo in disprezzo non solo della storia d'Italia e del pensiero italiano, ma della stessa intelligenza di Antonio Gramsci.
IL SECOLO D'ITALIA 10 Marzo 2001 Giancristiano Desiderio
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Giovanni Gentile e il destino del Novecento. Tra pochi giorni sarà in libreria l'ultimo libro di Alessandro Campi, "Giovanni Gentile e la Rsi", Asefi editoriale, Milano, 152 pagine, lire 17mila. Ideazione.com pubblica in anteprima il capitolo "Morte necessaria di un filosofo".
Nella cultura e nella politica italiane, la morte violenta di Gentile è stata oggetto continuo di rimozioni e sensi di colpa, di imbarazzi, di veri e propri silenzi, di reticenze. Sia le giustificazioni sia le condanne sono spesso apparse ipocrite, volutamente ambigue, sono state quasi sempre improntate al moralismo e ad una certa retorica, quando non ad una vera e propria incomprensione delle più profonde implicazioni di tale morte, con quelle modalità e in quel contesto. Sul piano storico, essa ha altresì determinato lunghe polemiche relativamente ai mandanti ed agli esecutori del delitto: se gli autori materiali dell'agguato furono, senza alcun dubbio, militanti comunisti fiorentini aderenti ai Gap, tra gli ispiratori si sono via via indicati i servizi segreti inglesi, la massoneria, l'ala comunista ed insurrezionale dell'antifascismo, gli ambienti dello squadrismo pavoliniano e più genericamente del fascismo repubblicano più estremista, in un gioco di convergenze e di intrecci che ha finito per stendere un velo di mistero sull'assassinio del filosofo ufficiale del fascismo. Manca, a tutt'oggi, una versione della morte di Gentile, e delle vicende che la determinarono, che possa dirsi definitiva ed ufficiale, chiara e documentata in tutti i diversi aspetti. L'annuncio di clamorose rivelazioni - fatto a suo tempo, ad esempio, da Cesare Luporini - non ha avuto alcun seguito. Molti protagonisti hanno, a più riprese, detto la loro, in maniera più o meno completa; altri, più semplicemente, hanno taciuto o hanno preferito dimenticare.
L'uccisione di Gentile è stata spesso considerata come un atto di barbarie, come un gesto crudele ed inutile, compiuto ai danni di un uomo generoso, mite e leale, di un "povero vecchio" indifeso ed inerme. Un vero proprio martirio, secondo alcuni, non giustificabile nemmeno nel contesto di una pur sanguinosa guerra civile, vista l'alta personalità intellettuale dell'ucciso. Gli unici che, cogliendo appieno il significato storico-epocale della morte di Gentile, sin dal giorno seguente la notizia dell'agguato non si sono mai risparmiati, rivendicando a sé, pubblicamente, il merito di quel delitto politico, sono stati i comunisti - Togliatti in testa, prontissimo nel diffondere a titolo di rivendicazione, nel numero di luglio di "Rinascita", la sentenza di morte apparsa a marzo nel periodico clandestino del Pci "La Nostra Lotta" in calce all'articolo che Concetto Marchesi aveva già pubblicato, qualche tempo prima, su altri organi di stampa e con il quale l'illustre latinista aveva duramente stigmatizzato la politica di conciliazione nazionale perseguita da Gentile.
Dell'eliminazione di Gentile - l'unico intellettuale in grado di dare prestigio e legittimità al fascismo salotino, impegnatosi per di più in una campagna per la pacificazione e la moderazione sgradita sia al fascismo oltranzista sia all'ala insurrezionale della resistenza - si è detto che essa fu un epilogo a dir poco da prevedere e da mettere in conto, tragico quanto si vuole ma perfettamente coerente con le tensioni di quel periodo e con la personalità stessa del filosofo, talmente ingombrante ed in vista da costituire un bersaglio pressoché perfetto e sin troppo facile, abbattendo il quale si sarebbe inferto un duro colpo all'intera impalcatura della Rsi. Colpire Gentile era come colpire quello che nel fascismo ancora restavo di nobile e di sano. Si trattò, al dunque, di un atto di guerra. Ciò non toglie che sul piano generale - simbolico e storico-filosofico - quella di Gentile possa essere definita una morte, non solo annunciata e attesa, ma, in un senso più profondo, "inevitabile e necessaria", soprattutto allorché ci si soffermi non soltanto sulle cause immediate e sulle modalità dell'attentato, probabilmente destinate a non essere mai del tutto chiarite, ma sui significati e sul valore simbolico di essa, che ancora oggi la rendono così diversa dalle molte altre morti che hanno caratterizzato la guerra civile combattuta in Italia tra il 1944 e il 1945.
Morte necessaria in almeno due sensi, che riguardano ciò che stava alle spalle di Gentile e ciò che sarebbe venuto dopo di lui, un prima e un dopo della storia d'Italia dei quali egli fu, simbolicamente, lo spartiacque. Per quanto concerne il primo significato conviene partire dall'ipotesi che, sulle ragioni dell'assassinio di Gentile, ha avanzato lo storico della filosofia Gennaro Sasso, per poi trarne alcune considerazioni più generali sul rapporto tra giustizia e guerra e sul cosiddetto "diritto di guerra". Ha scritto Sasso nel suo libro-intervista "La fedeltà e l'esperimento": ho cominciato a pensare da qualche tempo a questa parte che l'uccisione di Gentile potrebbe essere stata […] la prova generale di quella di Mussolini; e che la ragione stesse nella volontà inglese di togliere di mezzo i principali personaggi del fascismo per contrastare la diversa e persino opposta tendenza degli americani a conservarli in vita e quindi a sottoporli a processo. Uccidere Gentile significava, che "a fortiori", anche Mussolini dovesse esserlo; e uccidere quest'ultimo significava stroncare alla radice l'idea stessa di processi […]. Insomma, nel condannare a morte Gentile e Mussolini, gli inglesi avrebbero criticato coi fatti, e avant la lettre, la mentalità, come potrebbe dirsi, di Norimberga. Secondo questa suggestiva interpretazione, l'assassinio di Gentile fu perpetrato - ammesso che i servizi segreti inglesi abbiano avuto una parte in esso (un punto, quest'ultimo, sul quale convergono numerose testimonianze) - nel segno della Realpolitik e del rifiuto della visione giusnaturalistica che è stata invece propria degli statunitensi per quel che attiene i crimini commessi dai capi del nazionalsocialismo. Gentile fu ucciso nel segno di una concezione europeo-continentale, appunto realista e per certi aspetti più umana e aliena da ogni moralismo, del diritto di guerra, concezione che può ammettere, dopo la conclusione del conflitto armato, solo due possibili strade nei riguardi del nemico: il perdono (e quindi in un certo senso l'oblio) oppure la vendetta (e quindi l'uccisione sommaria e senza processo di coloro che vengono ritenuti responsabili di aver violato le regole del diritto internazionale), ma non l'aberrazione giuridica di un tribunale penale di guerra composto unicamente dai vincitori e le cui decisioni sono, per forza di cose, già tutte iscritte nell'esito bellico. Se si ritiene, come scrive Sasso, che "l'idea del tribunale dinanzi al quale i vinti sono trascinati in catene ad ascoltare, in sostanza, una condanna già pronunziata, sta a mezza strada tra l'ingenuità e l'ipocrisia", allora Gentile "doveva" essere ucciso. Quel tanto (o quel poco) di nobilmente tragico che ha segnato l'epilogo del fascismo italiano - così diverso dal clima nel quale si è consumata la parabola del nazionalsocialismo, un misto di dissoluzione nichilistica e di patetismo piccolo-borghese - è dipeso anche da morti come quelle toccate a Gentile ed allo stesso Mussolini, uccisi entrambi nel furore della lotta in quanto simboli massimi di una tragedia alla quale era impensabile che sopravvivessero. Da questo punto di vista, del tutto incoerente è stato, per oltre cinquant'anni, il modo con cui il neo-fascismo italiano ha vissuto e giudicato certe vicende: da un lato esso si è battuto perché quella svoltasi in Italia nel biennio '44-'45 fosse riconosciuta, politicamente e storiograficamente, alla stregua di una guerra fratricida, dall'altro non ha mai colto il carattere consequenziale, tragicamente necessario, del tutto coerente con la natura propria di ogni guerra civile, dell'assassinio di Gentile o dell'episodio di Piazzale Loreto, rispetto ai quali esso ha invece spesso invocato un metro umanitario, ha fatto appello alla "pietas" ed al sentimento di clemenza e perdono. In realtà, la grandezza postuma di Gentile non sta solo nella sua statura di pensatore e di uomo di cultura, ma anche nel modo con cui ha tenuto ferme, sino alle conseguenze estreme, le proprie idee e il proprio progetto politico-culturale. Fatta salva l'umana pena dinanzi alla morte, come immaginare Gentile nei panni dell'epurato, collocato forzatamente a riposo, come avrebbe voluto Croce, o peggio trascinato alla sbarra "nella forma più alta e solenne" a rispondere delle proprie colpe dinanzi al paese intero, come avrebbe desiderato l'azionista Tristano Codignola? Nel fascismo, come uomo e come intellettuale, Gentile aveva investito tutto di sé: con esso doveva finire, anche fisicamente, cosa della quale peraltro egli non ha mai dubitato, a dispetto del moralismo un po' ipocrita con il quale è stata spesso giudicata la sua morte- soprattutto, e non casualmente, proprio degli intellettuali.
Ma morte necessaria, quella di Gentile, anche per un secondo motivo, che ha a che vedere con il ruolo egemonico, che egli, in condominio con Benedetto Croce, aveva svolto in Italia, sul piano culturale, per oltre trent'anni. Per comprendere questo punto è necessario riferirsi al progetto perseguito, a partire dal 1944, dal leader comunista Palmiro Togliatti. Quest'ultimo, in linea con la cosiddetta "svolta di Salerno", aveva compreso l'importanza di dare al partito comunista italiano una base ideologica nazionale, in modo da farne un protagonista della ricostruzione democratica dell'Italia. Ma per conseguire questo obiettivo si resero appunto necessarie la liquidazione fisica e morale di Gentile e quella intellettuale e morale di Croce - vale a dire della tradizione dell'idealismo italiano, assimilata tout court al fascismo ed alla reazione. Solo così fu possibile assegnare al marxismo una valenza nazionale, tale da permettere la sostituzione dell'egemonia crociano-gentiliana con quella gramsciana e l'apertura, quindi, di una fase politico-culturale nuova. Gentile - visto come simbolo massimo dell'impegno con cui il fascismo aveva perseguito il proprio disegno politico-culturale - doveva essere ucciso: per chiudere con il fascismo, troncando sul nascere qualunque ipotesi di continuità, e per consentire l'inizio di una diversa fase della storia italiana. Suggestioni, si dirà, ipotesi discutibili, che però lasciano intendere come le vicende storiche non possano essere interpretate unicamente in termini fattuali ed empirici, ma tenendo conto anche delle loro implicazioni e dei loro significati simbolici e metastorici.
IDEAZIONE 6 febbraio 2001
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QUANDO GENTILE SI RIFIUTO' DI SOSTITUIRE MUSSOLINI Che la morte di Gentile facesse piacere a molti e da più parti (fascisti inclusi) è risaputo. Che, però, i sicari comunisti abbiano agito per conto terzi, secondo la fantasiosa ricostruzione di Luciano Canfora, è inverosimile. I gregari sapevano a chi obbedire, e i capi avevano il loro programma da attuare. L'uccisione di Gentile rientrava, probabilmente, in quel programma comunista di creare nella Penisola una frattura insanabile, in cui ebbe una parte abominevole anche l'attentato di via Rasella, con le sue prevedibili conseguenze.
Un piccolo e denso volume di Alessandro Campi porta ora nuova luce sul delitto richiamando, tra molte motivazioni psicologiche, anche un episodio in sé secondario, ma indicativo di una potenziale evoluzione di Gentile che, poi, non si realizzò. Precisamente verso la riconciliazione nazionale. Si tratta di uno scambio di lettere con Leonardo Severi, che aveva collaborato con Gentile quando questo era succeduto a Croce al ministero della Pubblica istruzione. Croce aveva impostato una riforma della scuola secondaria ma, dopo il '22, si ritirò, e indicò in Gentile colui che sarebbe stato in grado di portar la riforma in porto. Accadde che, durante i 40 giorni di Badoglio, Severi divenne a sua volta ministro dell'Educazione nazionale, e Gentile non ebbe scrupolo a scrivergli per perorare alcuni interessi universitari, come qualsiasi cattedratico influente è solito fare. Ne ricevette una risposta sdegnata. Severi temeva, evidentemente, di compromettersi.
Che cosa dimostra questo accostarsi di Gentile? Dimostra che la sua fedeltà era istituzionale, non solo personale verso Mussolini. Poteva, infatti, coesistere con il nuovo regime. Dopo tutto le dimissioni le aveva date Mussolini stesso e la sfiducia era venuta dal Gran consiglio: Gentile non avrebbe tradito nessuno prendendone atto, come la stragrande maggioranza degli italiani. Severi motivò il suo sdegno con "l'infelice discorso" di Gentile in Campidoglio, del 24 giugno. Ricordo perfettamente quel discorso. Pur commissionato dal segretario del Pnf, trascendeva talmente le ragioni della guerra e del fascismo in quelle dell'Italia e della cultura da apparire, anzi, nobile e coraggioso. Gentile credeva nel Risorgimento e nella civiltà, e solo per questo nel fascismo, anche se ne aveva dato un'interpretazione storica ottimistica e ne aveva scritto (nella sua parte utopica) la dottrina. Anche con Mussolini, il rapporto personale (sempre fortissimo in un siciliano, nel bene e nel male) non prevaleva sulle ragioni ideali.
Aggiungo un particolare che mi viene dal filosofo Augusto Guzzo (non gentiliano, ma messo in cattedra da Gentile), fonte attendibile. Dopo il delitto Matteotti, alcuni vollero tentare un fascismo senza Mussolini, e si rivolsero a Gentile perché ne prendesse il posto. Ne ebbero, naturalmente, un rifiuto, ma da allora Gentile fu messo da parte.. Ebbe la direzione (non, si badi bene, la presidenza) dell'Enciclopedia italiana, e ne fece la sede di una cultura ecumenica. Era naturale, però, che i fascisti ortodossi gli rimproverassero quella tentazione che, pure, non veniva da lui ed era stata respinta.
Che, dopo l'8 settembre, Gentile accettasse la presidenza dell'Accademia d'Italia, era paradossale. Quell'Accademia aveva accolto personaggi come Fermi, Ma scagni e Pirandello, ma non lui. Fra i filosofi, Orestano e Carlini: alzi la mano chi se ne ricorda. E ora, che motivazione poteva spingere Gentile? La ricerca del seggio perduto? A soldi stava bene: l'Enciclopedia lo aveva liquidato con un milione con cui acquistò la Sansoni. Campi chiarisce, per contro, le circostanze che lo portarono a una reazione emotiva suscitata da eventi familiari funesti, da antiche ostilità preconcette, da nuove stupidità badogliane. Nel siciliano non si radica soltanto la fedeltà, ma anche il risentimento.
E, personalmente, Giovanni Gentile aveva l'impressione di non aver più nulla da perdere.
IL GIORNALE 6 febbraio 2000 Vittorio Mathieu 
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UNA RICERCA DI VERITA' Di Alessandro Campi e del suo raffinato lavoro su Gentile posso solo dire che ha cercato la verità con passione, cercando non di interpretare, ma di capire. In questo mondo dove gli intellettuali interpretano ma non capiscono non è cosa da poco: una fatica di Sisifo. Tutti coloro che non condividono la filosofia gentiliana, ma credono che - come diceva Nietsche - in un uomo ci sia ben più della sua filosofia non possono che ringraziare Alessandro Campi per il suo Giovanni Gentile.
Claudio Bonvecchio 
Sermonti Rutilio L’ITALIA NEL XX° SECOLO Storia dell’Italia moderna per gli studenti che vogliono la verità. Prefazione di Luigi Tedeschi
Il libro è edito da "Edizioni all’insegna del Veltro" 2001, pp. 205 prezzo euro 15,43 e può essere acquistato presso l’autore Rutilio Sermonti, Via Stella Polare n. 10, c.a.p. 00040 Montecompatri (Rm), tel. 06/9485643, fax 06/2006605, e-mail giuliosermonti@jumpy.it
 
 
Prefazione di Luigi Tedeschi: Il XX° secolo si chiude in un clima di cupo pessimismo. Prevale, in tempi di globalizzazione, un disfattismo cosmico, che vede il ‘900 come il secolo delle ideologie utopiche, delle guerre mondiali, degli olocausti. Un’eredità scomoda di cui ci si vuole liberare al più presto e dalle cui ceneri nasce il nuovo secolo, che si presenta come un orizzonte vuoto e incomprensibile. In realtà, dopo aver assistito nell’ultimo decennio, all’abiura di tutti gli ideali, della cultura e tradizioni che hanno informato di sé gli eventi decisivi del ‘900, l’Europa si trova a non comprendere più se stessa e quindi la propria storia, proprio perché sono state troncate le radici di tutti quei valori che sono tutt’oggi parte integrante della propria identità. Senza più una propria storia, i popoli europei sono destinati a subire l’azione disgregante ed aggressiva delle holding finanziarie che dominano i mercati e quindi le fonti stesse della propria sopravvivenza.
La letteratura abbonda d’analisi storiche sul ‘900, ma queste dimostrano tutta la loro insufficienza, nella misura in cui sono legate a schemi ideologici ormai superati e smentiti dalla storia. La storia ufficiale, prodotto della cultura politically correct dominante, fornisce una visione parziale, astratta, faziosa e in ogni caso inidonea a comprendere i fenomeni del nostro secolo. Si resta dunque prigionieri del manicheismo progressista, ci si rifiuta di comprendere (e quindi si condanna senza appello) tutto ciò che non sia compatibile con i pregiudizi ideologici di esso, a cominciare dal fascismo e da tutto ciò che ad esso viene assimilato, in campo politico, culturale ed economico.
Dalla lettura di questo libro, dal suo stile conciso, immediato, spesso ironico e polemico, emerge la personalità poliedrica del suo autore. Rutilio Sermonti infatti è un uomo di profonda cultura, dai molteplici interessi, storici, scientifici, filosofici, che ha vissuto in prima persona, nella Repubblica Sociale, l’epilogo di una epoca storica che egli identifica con la fine della stessa indipendenza nazionale. Quegli eventi rappresentano tuttora la fonte di un patrimonio ideale inestinguibile, cui occorre sempre far riferimento, per una obiettiva analisi della storia del nostro secolo. L’autore, esprime in questa sua opera tutta la passionalità ideale che avvince profondamente il lettore, senza tuttavia nuocere alla serenità della analisi storica. Anzi, la intensa partecipazione interiore con cui l’autore narra gli eventi, conferisce all’opera un particolare significato, poiché la storia del XX° secolo viene trattata nell’ottica di una storia degli ideali, delle passioni, dei grandi progetti culturali e politici che hanno animato la vita di milioni di uomini di questo secolo. 
Rutilio Sermonti vuole ristabilire la verità storica del XX° secolo, partendo dalla constatazione che non si può fare storia attribuendole finalità ideologiche ad essa esterne o estranee. Non è lecito in pratica servirsi degli eventi storici, interpretandoli esclusivamente come conferma oggettiva delle proprie tesi ideologiche, quasi la storia fosse un materiale d’analisi da laboratorio soggetto a sperimentazioni, guidate da presupposti ideologici che ne determinino a priori il campo d’indagine, le modalità, i fini e l’esito stesso della ricerca.
Per Rutilio Sermonti il soggetto della storia è l’uomo: non idee astratte poste al di la di dell’uomo stesso, ma che ne determinano la vita e il destino.
L’autore non ha voluto scrivere un testo "alternativo" che avesse il carattere di una "controstoria". Egli non vuole cioè limitarsi ad una polemica antiideologica in contraddittorio con la storia ufficiale, poiché in tal caso l’analisi storica di Rutilio Sermonti, si ridurrebbe ad una interpretazione tra le tante del XX° secolo più o meno ideologica, ma in ogni caso uguale e contraria alle altre. Non ci troviamo inoltre dinanzi ad un libro di testimonianza, ad un libro dunque "passatista", che si esaurisca nella narrazione degli eventi del ‘900 dal punto di vista della parte sconfitta, quasi che l’autore fosse "l’ultimo dei Moichani", che canti le gesta di un popolo dal passato glorioso, ma ormai condannato senza speranza all’estinzione.
Al contrario, proprio dal titolo "L’Italia nel XX° secolo – Storia dell’Italia moderna per gli studenti che vogliono la verità", si evince che questo testo, avendo come destinatarie le giovani generazioni, scaturisce proprio dall’esigenza di fornire un quadro obiettivo della storia del XX° secolo, perché i giovani, in un mondo ormai privo di ideali e vuoto di ogni contenuto spirituale, riscoprano il patrimonio storico e culturale della propria terra italiana ed europea. In altre parole, si vuole nei giovani la consapevolezza del ruolo storico e politico che l’Europa dovrà assumere nel secolo XXI° nel contesto mondiale.
Se il soggetto della storia è l’uomo, non si può scrivere la storia se non prendendo le mosse da una concezione reale ed obiettiva dell’uomo stesso. Partendo dalla considerazione della natura umana, quale si esprime nella sua storica determinazione, possiamo rinvenire, nello studio della storia stessa, le costanti aspirazioni ideali e le potenziali capacità creative dell’uomo, al di la delle diversità delle manifestazioni contingenti.
Il fascismo nacque e si affermò nel XX° secolo, quale sintesi ideale e politica di una visione dell’uomo in aperto contrasto con le ideologie ottocentesche dominanti negli anni ’20, quali il liberalismo ed il marxismo.
L’ideologia liberale, pur nella diversità delle sue espressioni, si basa fondamentalmente su una visione astorica dell’uomo, quale individuo razionale ed autosufficiente in quanto dotato di ragione e libero per diritto naturale. Questo stato di libertà individuale originaria ed innata nell’uomo (che si esprime principalmente nella libertà di iniziativa economica), se non alterato da istituzioni che ne ostacolino le manifestazioni (forze oscurantiste, quali la Chiesa e lo Stato), condurrebbe con un processo meccanicistico alla realizzazione di una società "perfetta", intesa come l’autogoverno degli individui liberi ed uguali. In questo contesto, la storia diviene un orizzonte vuoto, rappresenta solo il processo temporale in cui si realizzerebbero progressivamente la libertà e l’uguaglianza, a nulla rilevando lo stato di perenne contrasto e sopraffazione che si verrebbe ad instaurare in una società in cui regni una libertà economica selvaggia che finisca di fatto per annullare i diritti politici dei cittadini. 
L’ideologia marxista, pur essendo sorta in contrapposizione alle strutture economiche della società liberale dell’800, condivide tutti i postulati economici delle dottrine liberiste e la stessa visione progressiva della storia. Ne contesta semmai gli effetti, quali la stratificazione della società in classi sociali (la borghesia e il proletariato) che si realizza in funzione dell’appropriazione dei mezzi di produzione. Si profetizza quindi la conquista del potere da parte del proletariato e l’avvento in futuro del comunismo. Nella società comunista regnerebbero l’uguaglianza assoluta e la libertà dell’intera collettività umana. L’ideologia marxista ha tuttavia posto come cardine della propria filosofia la storia, intesa come fattore di sviluppo collettivo dell’agire economico dell’umanità, che si risolverebbe in una immanente contrapposizione tra le classi sociali, fino a determinarne la scomparsa con l’avvento del comunismo. Con l’avvento della società comunista si determinerebbe infine la scomparsa della storia stessa, perché con il comunismo tutte le finalità umane avrebbero il loro definitivo compimento.
Come si può osservare, le affinità tra le due ideologie prevalgono sulle differenze.
L’economia, la ragione, l’ereditarietà, le forze psichiche, sono entità estranee alla volontà dell’individuo e alle sue necessità concrete, ma che si impongono, quali finalità immanenti, alla persona umana, rendendola strumento dei processi deterministici della storia. Il risultato ultimo di tali concezioni ideologiche è l’oggettivazione dell’umanità, che diviene materiale da sperimentazione ideologica per la costruzione di modelli di società astratti ed utopici, concepiti sempre come mete ultime, poste al di la del divenire storico. Il fascismo invece, si contrappone ad esse perché rifiuta tutte le concezioni della storia che affermino la dipendenza del destino dell’umanità da forze estranee all’uomo stesso. Mussolini affermò nel ’19: "Basta teologi rossi e neri di tutte le chiese, colla promessa astuta e falsa di un paradiso che non verrà mai! Basta, politicanti di tutte le scuole, colle vostre querule <accademie>! Basta, ridicoli salvatori del genere umano che se ne infischia dei vostri <ritrovati> infallibili per regalargli la felicità. Lasciate sgombro il cammino alle forze elementari degli individui, perché altra realtà umana, all’infuori dell’individuo, non esiste!"
Il fascismo pone al centro della storia la volontà dell’uomo. Pur essendo consapevole dei limiti storici, ambientali, economici e naturali cui è soggetta la vita umana, la volontà diviene motore della storia, nella misura in cui sa affrancarsi ed imporsi a tutti questi fattori limitanti. La storia è considerata un processo creativo mai esaurito, mai definitivamente compiuto, che perennemente si rinnova e si evolve. Essa non ha finalità deterministiche o salvifiche che si impongono all’uomo, ma è il risultato degli obiettivi materiali e spirituali che la volontà individuale e comunitaria degli uomini riesce a realizzare nel tempo.
In questo libro, fuori da impostazioni ideologiche finalistiche, Rutilio Sermonti delinea una concezione della storia, intesa come storia del divenire dei popoli. Si fa riferimento infatti a quegli aggregati comunitari spontanei uniti, sin da lontane origini, da legami politici e che si costituirono sin da epoche antichissime in Stati, in istituzioni dotate di una autorità originaria. E’ questa una concezione che postula il primato della politica sull’economia ed ha un contenuto spirituale. Le istituzioni politiche infatti si legittimano e si evolvono sulla base delle esperienze, dei valori, delle fedi religiose su cui si articola la vita dei popoli nel corso della storia. Nessuna concezione dello Stato può dunque sussistere se non ha a suo fondamento la tradizione, intesa come patrimonio spirituale specifico di ogni popolo. Affatto peculiare del fascismo è la concezione dello Stato. La legittimità dell’autorità statuale è di natura eminentemente politica e totalitaria, in quanto lo Stato ha il compito di coinvolgere, disciplinare, coordinare nelle proprie istituzioni tutte le attività umane per renderle funzionali agli interessi morali e materiali della comunità nazionale.
Il fascismo si contrappone al contrattualismo liberale, che concepisce lo Stato solo nella funzione di garante del rispetto dei diritti individuali dei singoli, ma si estranea dalle loro attività. Il fascismo è altresì avversario irriducibile del marxismo, quale portatore di una visione classista che riconosce l’unica forma di aggregazione politica autentica nelle classi sociali considerate come mezzi idonei alla realizzazione degli interessi economici collettivi.
Ma il fascismo è nemico mortale sia dei liberali che dei marxisti soprattutto sul tema dell’egualitarismo. All’uguaglianza giuridica astratta dei liberali e all’uguaglianza livellatrice di natura economica dei marxisti, il fascismo antepone l’estrema eterogeneità della persona umana. L’uomo non è suscettibile di essere ridotto a numero come nella democrazia liberale, né di essere artificialmente subordinato agli interessi di classe. Disse Mussolini: "Non vi sono due sole classi sociali, ma infinite". Affermò inoltre "la diseguaglianza irrimediabile e feconda e benefica degli uomini che non si possono livellare attraverso un fatto meccanico ed estrinseco come il suffragio universale". Nel ’34 disse ancora: "La uguaglianza di base non esclude, ma anzi esige la differenziazione nettissima delle gerarchie dal punto di vista delle funzioni, del merito, delle responsabilità". 
Quella fascista è una concezione organica della comunità. Lo Stato per il fascismo esprime il fine ultimo e unitario in cui si realizzano le attività di tutte le componenti della nazione. Non l’astratta costruzione giuridica del giusnaturalismo liberale, né una entità strumentale nelle mani del partito unico, al fine di imporre la dittatura del proletariato, secondo la concezione leninista. L’idea rivoluzionaria del fascismo è incentrata invece sulla partecipazione diretta ed attiva dei cittadini alla vita dello Stato. Nello Stato sono infatti rappresentate e si articolano tutte le componenti del corpo sociale, nella collaborazione e nella reciproca integrazione. Non è mai un modello che assurge a perfezione, ma è sempre perfettibile. Lo Stato può vivere, nelle diverse epoche storiche, momenti di suprema unità, come può subire talvolta l’azione di forze disgregatrici, ma, nel divenire dei popoli sempre si evolve e si trasforma. E’ l’espressione etica della identità morale tra l’individuo e la comunità nazionale.
Rutilio Sermonti esamina gli avvenimenti del XX° secolo nell’ottica di un irriducibile confronto – scontro tra due opposte concezioni dell’uomo: l’una volontaristica, spirituale ed organica (il fascismo) e l’altra determinista, materialista ed economicista (liberalismo e marxismo, vale a dire l’antifascismo). Nello scontro mortale, la sconfitta del fascismo ebbe come conseguenze la fine della supremazia europea nel mondo e l’affermarsi del dominio mondialista degli U.S.A. e dell’U.R.S.S. Le aspirazioni europee erano limitate alla ricerca di "spazi vitali" (Italia e Germania) o alla difesa di posizioni di privilegio (Francia e Inghilterra). Solo gli U.S.A. che, più che uno Stato, erano e sono una grande potenza, in quanto rappresentano il baricentro degli interessi finanziari mondiali, potevano perseguire disegni politici ed economici dalle dimensioni mondialiste. Il capitalismo è una dottrina economica basata sull’espansione costante dei mercati. Secondo l’autore pertanto, poiché gli U.S.A. non riuscirono mai, nonostante le riforme dell’epoca del New Deal, a superare la crisi generata dalla "grande depressione" del ’29, la guerra contro le potenze dell’Asse, rappresentò per Rooswelt e per la finanza internazionale, una esigenza vitale per la sopravvivenza stessa del sistema capitalista. Solo con la guerra fu resa possibile infatti la ripresa della produzione interna su vasta scala ed il dominio di un nuovo mercato dai confini planetari. Il capitalismo però, per attuare il suo disegno di dominio imperialista, trovò in Stalin il suo naturale alleato, ideologico e politico. La stessa U.R.S.S. era portatrice di una dottrina mondialista, egualitaria e materialista, che, seppure di segno opposto al capitalismo, ne condivise le aspirazioni di dominio mondiale.
Se per i principali Paesi europei la 2a guerra mondiale rappresentò il declino del loro ruolo di potenze mondiali, per l’Italia fu la fine della sovranità nazionale. I partiti antifascisti furono legittimati dalla sconfitta e dalla occupazione militare alleata. Il confronto politico in Italia non fu più incentrato sugli interessi politici, economici e sociali della nazione italiana, ma si ispirò sempre alle ideologie mondialiste del bipolarismo U.S.A – U.R.S.S. Sulle ceneri della sovranità nazionale, si affermò il dominio mondialista del capitalismo made in U.S.A., che tuttora si sta imponendo con la globalizzazione.
Questo libro rivela tutta la sua attualità e originalità nel ripercorrere le varie fasi storiche di questo processo. Il dominio capitalista degli U.S.A. ebbe la sua genesi con la diffusione delle ideologie liberali e con il sorgere della società industriale nell’800, fu artefice della sconfitta degli imperi centrali nella prima guerra mondiale, si affermò come grande potenza in condominio con il comunismo dopo la 2a guerra mondiale ed infine, dopo il tracollo dell’U.R.S.S., si è imposto come unica superpotenza su scala planetaria.
Tra capitalismo e comunismo (U.S.A. e U.R.S.S.) non vi fu mai scontro frontale. Essi possono sembrare modelli antitetici, ma in realtà, per sussistere ed assurgere a potenze mondiali l’uno ha avuto necessità dell’altro, se non altro come termine dialettico opposto di riferimento. Infatti il comunismo tutte le volte che ha conquistato il potere, ha perso il suo carisma rivoluzionario, quale redentore della classe proletaria dallo sfruttamento capitalista, degenerando in burocrazia, brutale dittatura, stagnazione economica. Il capitalismo, dopo il crollo dell’U.R.S.S., perduto il suo ruolo di missionario e difensore della democrazia contro il totalitarismo comunista, mostra il suo vero ed unico volto imponendo a tutto il mondo una economia finanziaria che distrugge quella produttiva, generando disoccupazione, sfruttamento, ingiustizia sociale, privilegi di pochi. Nell’U.R.S.S. il comunismo è sopravvissuto a lungo al fallimento totale della sua economia, in virtù sia del suo ruolo di potenza mondiale, in qualità di alter ego del capitalismo, che del sostegno finanziario degli stessi paesi occidentali in tempi di distensione. 
Il capitalismo riuscì a sconfiggere le potenze dell’Asse con il determinante contributo militare dell’U.R.S.S. Nel dopoguerra, la diffusione della ideologia marxista in occidente, indusse i governi atlantici a mitigare le diseguaglianze sociali ed a promuovere riforme in tal senso. Il tracollo del comunismo ha infine offerto alle lobbies finanziarie possibilità incommensurabili di conquista di nuovi mercati.
E’ quindi evidente come il comunismo abbia di fatto collaborato alla espansione indefinita del capitalismo. Il comunismo restò sempre geneticamente legato al cordone ombelicale capitalista che non riuscì mai a recidere. Scrisse Jiulius Evola nel ’29 che se da una parte "la verità centrale del bolscevismo è <la disintegrazione dell’individuo>, la creazione cioè <dell’uomo massa>", dall’altra "l’America non parla dell’uomo massa: non ne parla perché di fatto se lo reca contenuto nella sua anima". Possiamo dunque constatare che la creatura è oggi tornata nella mente del suo creatore: il capitalismo non ha sconfitto il comunismo, semmai invece si è sostituito ad esso nelle sue realizzazioni pratiche di dominio mondialista.
In Italia l’indipendenza nazionale finì con il regime fascista, perché indipendenza fu sinonimo di sovranità interna ed internazionale dello Stato. Storicamente quindi il fascismo non fu solo un regime, ma un sistema politico che si identificò con la nazione italiana, nel ruolo di artefice della creazione di uno Stato che fosse espressione, nella sua unità, della intera comunità nazionale.
Oggi si assiste al fenomeno inverso. Si riduce progressivamente la presenza dello Stato, perché ostacolerebbe l’espansione del processo di globalizzazione. Il liberismo selvaggio sradica i valori, le tradizioni, la personalità dei singoli come dei popoli. In questo livellamento generale, ai popoli non resta che il ruolo passivo di consumatori. Il popolo, non più partecipe della sovranità statuale, in qualità di comunità nazionale, è succube delle manovre della finanza mondiale.
I diritti sociali (lavoro, sanità, istruzione, previdenza e assistenza sociale), acquisiti nel corso del ‘900 dal cittadino in quanto lavoratore e di conseguenza membro attivo della comunità nazionale, che avevano affrancato in Europa l’uomo dalla schiavitù del fabbisogno quotidiano, vengono progressivamente eliminati dall’avanzata del liberismo selvaggio, perché incompatibili con la massimizzazione del profitto. Mussolini disse che mentre nel XIX° secolo si era realizzata l’uguaglianza dinanzi al diritto, nel XX° secolo si era conquistata l’uguaglianza dinanzi al lavoro. Si avverte in questo fine secolo un senso di decadenza e regresso. Si profila l’avvento di una condizione umana succube del fabbisogno materiale, in cui si riproporranno i problemi legati allo sfruttamento, la povertà diffusa, l’emarginazione sociale. Il XXI° secolo si apre all’insegna di un liberismo cosmopolita, un ideale ottocentesco che credevamo ormai tramontato. Anziché il 2000, sembra quasi stia per cominciare il ‘900.
Al di la di ogni facile pessimismo, Rutilio Sermonti, in questo libro destinato ai giovani, offre loro speranze ed orizzonti ideali che non sono mai tramontati. Non a caso l’ultimo capitolo si intitola "C’è un Duemila per l’Italia?". Partendo dalla constatazione che l’Italia ha avuto una breve indipendenza, solo 84 anni (1861 – 1945), che dopo la "Liberazione" la libertà ha avuto "il raggio di un guinzaglio, come quella di un cane da pagliaio" e che la dominazione americana ha snaturato le qualità migliori del nostro popolo, l’autore si domanda: "Perché combattere ancora, perché non offrire il collo al giogo, perché sperare? Perché continuare a scrivere libri come questo?"
La risposta si può rinvenire nello stesso ordine naturale dell’universo, che continuerà immutabile ad esistere al di la ed oltre la "grande frode materialista". Vi è nell’autore una certezza metafisica che tutti noi, partecipi della stessa comunità ideale, facciamo nostra. Nessuna oppressione potrà mai annientare le potenzialità creative dell’uomo, che, quanto più oppresse e violentate, tanto più avranno capacità di reazione. Queste saranno le condizioni esistenziali da cui potrà generarsi una rivolta travolgente contro un mondo in decomposizione, ma che tuttavia, mediante il potere finanziario, opprime l’umanità intera.
L’autore fa appello quindi a coloro che sono scampati al contagio di "Mammona", perché sappiano suscitare il grande risveglio delle potenzialità del popolo italiano, ora narcotizzato, ma sempre depositario dei suoi valori e della sua plurisecolare civiltà. 
Non potrà essere certo la sola Italia a determinare la nascita di una nuova era di libertà e civiltà. Ma l’Europa ha le potenzialità morali e materiali per farlo. L’imperativo categorico è riassunto da Rutilio Sermonti nelle frasi conclusive del suo libro: "Un avvenire al nostro passato. Lo voglia Iddio, ma cominciamo intanto a volerlo noi. I milioni di giovani europei caduti combattendo gli uni contro gli altri per la Patria e conseguendo solo il trionfo dei plutocrati senza patria, troverebbero finalmente pace".
Fabrizio Bernini SALUTO AL DUCE! Mussolini tra Socialismo e Fascismo in Pavia, nell’Oltrepò ed in Lomellina
Edizioni Marvia Viale Repubblica 103 27058 Voghera (Pavia) Tel. 0383214282 pag. 90 Lire 25.000. 2001
Mussolini ha sempre mantenuto un rapporto particolare con l’area pavese.
Con questo testo l’Autore ha inteso ricostruire le motivazioni e la consistenza di tale rapporto privilegiato, ed inizia la sua analisi fin da quanto il maestro rivoluzionario approdò a Castelnuovo Scrivia per il primo incarico, da insegnante elementare.
La Lomellina, in seguito, non fu avara nel fornire uomini e mezzi al movimento fascista, anche se non furono rare le forme di dissidenza all’interno dello stesso Partito.
Pavia fu oggetto di ben tre visite del Duce, che fu sempre prodigo d’interventi notevoli per migliorare le condizioni di vita della provincia e delle Istituzioni.
Egli non abbandonò mai le radici socialiste, anzi esse furono il motore delle iniziative sociali, che caratterizzarono la Sua azione di governo, ed i ricordi dei trascorsi giovanili possono avere giocato un ruolo preminente in questo rapporto privilegiato.
Con dovizia di foto e documentazione varia, l’Autore ci propone un bel testo, rispettoso dei fatti e molto interessante sotto il profilo della cronaca e della storia. Ripercorrere gli itinerari di Mussolini nel pavese ci aiuta a comprendere l’animo di un Uomo, osannato dalle folle e dai potenti che vedevano in Lui un legislatore capace di dare vita ad un nuovo modo di governare che poneva il Lavoro al centro di ogni attività umana. Il testo, molto interessante, si legge con facilità e curiosità.
NUOVO FRONTE N. 216 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
 
 
Lionello Rossi Kobau PRIGIONIERO DI TITO 1945-1946 UN BERSAGLIERE NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO JUGOSLAVI
Mursia 2001. Pag. 186 – Lire 24.000
Rossi Kobau, Lionello
ISBD: Prigioniero di Tito 1945-1946 : un bersagliere - Milano : Mursia, [2001] - 186 p., [8] c. di tav. : ill. ; 21 cm. - Testimonianze fra cronaca e storia. Secondaguerra mondiale (( - In appendice: Visita in Jugoslavia di una delegazione italiana, Riservato agli ufficiali italiani, dello stesso A.
Collezione: Testimonianze fra cronaca e storia. Secondaguerra mondiale
Livello bibliografico: Monografia
Tipo documento: Testo a stampa
Numeri: ISBN - 88-425-2743-2
Nomi: Rossi Kobau, Lionello
Soggetti: Campi di concentramento - Iugoslavia - 1945-1946
- Diari e memorie
Classificazione: 940.5472497092 - CAMPI DI PRIGIONIERI DI GUERRA.IUGOSLAVIA. PERSONE
Paese di Pubblicazione: IT
Lingua di Pubblicazione: ita
Localizzazioni: BO0098 - Biblioteca universitaria di Bologna - Bologna - BO
BO0563 - Biblioteca Sala Borsa - Bologna - BO
FI0098 - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI
GE0038 - Biblioteca Universitaria - Genova - GE
MI0185 - Biblioteca nazionale Braidense - Milano - MI
PR0031 - Biblioteca civica - Parma - PR
PV0144 - Biblioteca della Facolta' di scienze politiche dell'Universita' degli studi di Pavia - Pavia - PV
RA0016 - Biblioteca comunale Manfrediana - Faenza - RA
RA0030 - Biblioteca di storia contemporanea - Ravenna - RA
RA0069 - Biblioteca dell'Istituto storico della Resistenza - Alfonsine - RA
RE0028 - Biblioteca comunale - Cavriago - RE
RM0098 - Biblioteca della Fondazione Istituto Gramsci - Roma - RM
RM0210 - Biblioteca della Fondazione Lelio e Lisli Basso - Roma - RM
RM0267 - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - RM
TO0473 - Biblioteca dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte - Torino - TO
TO0881 - Centro rete del Servizio bibliotecario territoriale di Pinerolo - Pinerolo - TO
TS0027 - Biblioteca statale di Trieste - Trieste - TS
TS0220 - Biblioteca dell'Istituto di geografia della Facolta' di economia e commerciodell'Universita' degli studi di Trieste - Trieste - TS
VT0074 - Biblioteca provinciale Anselmo Anselmi - Viterbo - VT
Codice identificativo: IT\ICCU\RAV\0718499
    L’Autore, classe 1926, è uno di quei giovani che l’otto settembre non esitò ad arruolarsi volontario nell’Esercito della Repubblica Sociale, nell’8° Reggimento Bersaglieri. Impiegato, nella zona del confine orientale, contro le bande del IX Corpus delle forze partigiane comuniste di Tito, fu tratto in prigionia alla fine dell’aprile 1945 fino al 25 dicembre 1946.
Può considerarsi fortunato (se così possiamo esprimerci) perché, delle migliaia di prigionieri fu uno dei pochi a rientrare in patria.
   Dal testo presentato si potrebbe trarre un film per far capire agli italiani, sui quali grava la cappa di piombo della disinformazione, la tragedia dei Soldati repubblicani che obbedirono solo al senso dell’Onore, pur sapendo che la sorte era segnata.
    La resa fu ottenuta con l’inganno, e ad essa seguì l’immediata fucilazione di un centinaio di bersaglieri. Dal momento della resa inizia la lunga peregrinazione per giungere al campo di concentramento, sottoposti alla continua spoliazione di scarpe ed indumenti, senza mangiare, percossi da una muta di belve in sembianze umane.
    Il 23 maggio, 3.500 italiani vengono rinchiusi nel campo di Borovnica. Vi sono militari della RSI, ex prigionieri in Germania catturati dagli slavi, partigiani italiani, civili imprigionati. Su di loro la morte è incombente per fame, freddo, malattie, raffiche di mitra, percosse e sevizie. Più della metà non supererà l’inverno.
    Il valore più umano è il sadismo. In sedici capitoli è racchiusa una storia raccapricciante che lascia nell’animo un senso d’angoscia, motivata dalla mancanza di riconoscimenti che lo Stato (nato come è nato, sui valori, diritti dell’uomo ecc.) dopo cinquantasei anni, non riesce a dare ai martiri che soffrirono per amore dell’Italia.
    Significativo è il rapporto che il 4 marzo 1946 stilò una commissione italiana (ovviamente comunista), che descrisse la vita nei campi di concentramento come sana e dignitosa. Una mascalzonata.
    E’ un libro da leggere, è vita vissuta, conosciuta solo da chi è riuscito a sopravvivere, attentamente occultata da cinquantadue governi italiani che trovarono la continuità solo nel falsare la storia.
    È nostro dovere squarciare l’oblìo e far conoscere la verità sugli italiani scomparsi nel nulla.
NUOVO FRONTE N. 209 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno. 
FASCISMO Cinque tesi e una promessa Franco Franchi
I quaderni di Storia Verità Edizioni Settimo Sigillo, Europa Libreria Sas, Via Sebastiano Veniero 74/76 00192 Roma, Tel. 06 39722155 fax -2166, pag. 118 - lire 16.000
Franchi, Franco
ISBD: Fascismo : cinque tesi e una premessa / Franco - Roma : Europa, [2001] - 118 p. ; 20 cm. - I quaderni di Storia verita
Collezione: I quaderni di Storia verita
Livello bibliografico: Monografia
Tipo documento: Testo a stampa
Nomi: Franchi, Franco
Paese di Pubblicazione: IT
Lingua di Pubblicazione: ita
Localizzazioni: PG0109 - Biblioteca comunale Augusta - Perugia - PG
VI0096 - Biblioteca civica Bertoliana - Vicenza - VI
Codice identificativo: IT\ICCU\VIA\0096183
    La storia deve essere ripensata, la mistificazione deve essere smascherata. I tempi sono maturi per ristabilire la verità e per riconoscere l’opera fattiva di Mussolini e del Regime Fascista nella costruzione di un’Italia moderna ed all’avanguardia in ogni campo.
    Franco Franchi con questa sua fatica ci permette di dare un ordine alle nostre conoscenza in materia, riportando alla memoria fatti ed avvenimenti vissuti o sentiti raccontare dai testimoni del ventennio.
    Nessuna demonizzazione e nessuna demolizione del passato riuscirà mai a nascondere agli italiani quanto fu realizzato dal fascismo, in ogni campo, dando impulso alla vita del Paese che ritrovò se stesso nell’ordine e nell’efficienza dello Stato.
    Nel testo presentato vengono affrontate quattro tesi in risposta alle denigrazioni degli omuncoli che della menzogna hanno fatto un’arte. Più si assottiglia il numero dei testimoni e più si perfeziona la mistifi-cazione, per cui è bene saper rispondere con l’elencazione dei fatti e non con le ciance da osteria.
    La prima tesi propone le realizzazioni sul territorio: opere pubbliche imponenti in Italia e nelle Colonie, migliaia di chilometri di strade, di ferrovie, di ponti, decine di porti e di aeroporti, infrastrutture civili e militari, scuole, ospedali, ricostruzione di paesi terremotati in tre mesi, bonifiche integrali delle paludi con la fondazione di città e borghi, acquedotti, fognature, villaggi rurali in Libia per ventimila coloni.
    Chi è avvezzo ai tempi ed alle ruberie e sprechi dell’era democratica non riuscirà mai a capire come queste opere fossero realizzate in pochi mesi, conseguendo persino dei risparmi sulle spese preventivate. Un ministro come Araldo di Crollalanza dovrebbe essere additato come esempio di capacità ed efficienza per il complesso delle opere realizzate. Occorrerebbe un grande libro solo per elencare e descrivere la modernizzazione ed il progresso tecnologico realizzati.
    L’altro tema trattato è l’antisemitismo che oggi, dopo anni di silenzio, si addebita al fascismo e rende impronunciabile il nome di Mussolini.
    In verità l’antisemitismo non solo fu tardivo e non applicato nei fatti, se non in rare circostanze, ma non fu applicato nei confronti degli ebrei che avevano acquisito dei meriti nei confronti dell’Italia. La componente ebraica in Italia fu trascurabile e non provocò mai le reazioni che, invece, furono evidenti in molti paesi dell’Europa. Mussolini stesso con una mano firmò la legge razziale e con l’altra la disattese e la fece disattendere. Il testo presentato ci fornisce esempi ed interventi da parte di organi dello Stato nel periodo più cruciale del 44/45.
    In merito, poi, alla propensione guerrafondaia del fascismo è facile dimostrare come Mussolini fu spinto alla guerra dall’ostilità concettuale della Francia e dell’Inghilterra, come dimostrato dalle decine di dichiarazioni di eminenti personalità anglo americane e francesi.
    La conquista dell’Africa Orientale che avrebbe risolto molti problemi nazionali e che avrebbe portato la civiltà umana in terre senza leggi e senza il minimo rispetto per le persone, fu ostacolata in ogni modo da chi aveva avuto immensi benefici, a guerra conclusa, proprio appropriandosi dei territori facenti parte dell’Impero coloniale tedesco. Poteva Mussolini pensare a scatenare una guerra proprio quando l’Italia, un immenso cantiere edile, stava realizzando l’E42 per ospitare la più grande esposizione mondiale? 
    Un’accusa senza fondamento è quella del mancato rapporto del fascismo con la cultura. Solo degli stolti possono sostenere tale diceria. Basterebbe citare la realizzazione dell’Enciclopedia Treccani per porre le malelingue a tacere. Durante il Regime le Arti, le scienze ed ogni attività attinente furono favorite da apposite normative, da concorsi ed iniziative che veramente generarono schiere di artisti e permisero al popolo, anche al più minuto, di avvicinarsi alla lirica, alla poesia, al racconto. La realizzazione del Dopolavoro mise in crisi il Partito comunista che vedeva sfuggire il controllo della massa operaia che veniva interessata dalle attività ricreative che trovavano nell’arte e nella manualità realizzatrice la possibilità di affermazione personale.
Altra espressione denigratoria da confutare è quella dell’emancipazione della donna negata dal fascismo. La donna, per la prima volta nella nostra storia, fu oggetto di particolare attenzione e tutela. Essa fu chiamata alla partecipazione di tutte le attività possibili in ogni campo e deve essere valutato che le resistenze provenivano dal popolo stesso che doveva adeguarsi alle nuove realtà di modernizzazione del Paese.
    Le organizzazioni giovanili vedevano le ragazze in prima fila. Fu creata un’Accademia femminile per formare un corpo insegnanti di Educazione Fisica, le massaie rurali partecipavano alle riunioni per la migliore gestione delle fattorie; la partecipazione femminile agli studi di ogni ordine e grado fu facilitata con ogni mezzo e gli uffici pubblici assumevano personale femminile senza criteri restrittivi. Alla donna fu assegnato un ruolo centrale nella famiglia e nella società; dalla donna dipendenvano i figli per quanto era loro attinente. Il processo di emancipazione femminile era evidente, certamente lento ma la lentezza non era determinata da ostacoli normativi ma da una società ottocentesca che il fascismo voleva modernizzare. Nella RSI fu costituito il Corpo delle Ausiliarie che pagò un alto tributo di sangue e ciò basta ed avanza.
    Che dire poi della capacità legislativa del fascismo? Ancora oggi la maggior parte dei codici e delle procedure sono quelli riformati nel ventennio e dove sono stati alterati sono stati operati dei guasti irreparabili. Non c’è stato campo in cui l’opera legislativa non abbia comportato effetti benefici per la società civile.
    Nel campo del lavoro, delle tutele sociali per i lavoratori, la protezione delle donne lavoratrici, la normativa sugli orari di lavoro e delle pensioni, delle previdenze, dell’assistenza sanitaria, non è sfuggito niente pur di tutelare il lavoro in ogni sua espressione, suscitando l’ammirazione in tanti paesi stranieri per il fervore di opere e leggi che distinguevano l’Italia in ogni campo.
    Una grande confusione regna sovrana quando si cerca di denigrare le funzioni del Parlamento durante il fascismo. Il Parlamento fu operante e combattivo perché rappresentava, oltre che gli eletti dei Fasci, anche quelli delle categorie che portavano in aula l’esperienza del lavoro e non rappresentavano interessi di lobby. Il testo presentato si legge in un fiato, meglio di un giallo; è ben costruito, interessante, pieno di riferimenti e di considerazioni opportune.
    Ne manderei una copia a tutti i cattocomunisti e a tanti afascisti perché ne traggano le opportune considerazioni e capiscano, una volta per tutte che il fascismo è la base della nostra società che per la prima volta ha visto realizzazioni in tempi brevi e leggi sagge ed eque.
NUOVO FRONTE N. 215 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
Luciano Fabris RODOLFO GRAZIANI IL MARESCIALLO DELL’ONORE
Edizioni Nuovo Fronte 
 
 
    Continua l’opera divulgativa di Nuovo Fronte per consentire la più diffusa conoscenza possibile di un periodo storico artatamente oscurato o fatto conoscere attraverso la diffamazione di uomini ed opere.
    L’infaticabile Luciano Fabris assolve l’impegno di ristabilire la verità con spirito missionario e ci propone una sintetica ma completa monografia sul Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani.
    Il testo è dedicato ai "Combattenti che l’hanno amato e a quanti, soprattutto giovani, sono orgogliosi di sentirsi italiani’’.
    Rodolfo Graziani è stato un mito per il Combattentismo italiano: incarnava il Condottiero romano sempre presente sui luoghi dell’azione; animatore e trascinatore, sapeva infondere nella truppa entusiasmo e partecipazione convinta.
    Dopo una breve esperienza in Africa, rientra in patria per partecipare alla prima guerra mondiale e si distingue per capacità di comando e personale coraggio; a trentadue anni viene promosso Maggiore per meriti di guerra. Avrà altre due promozioni, sempre per meriti di guerra, e alla conclusione del conflitto è Comandante del 241° Reggimento con il grado di colonnello.
    Si distingue, successivamente, in Libia dove, in pochi anni, ristabilisce la pace, si dedica alla modernizzazione del paese costruendo strade, scuole, ospedali, incrementando l’agricoltura e favorendo l’insediamento dell’industria locale.
    Terminerà il suo incarico nel 1934 come Generale di Corpo d’Armata e sarà promosso, dopo pochi mesi, Generale d’Armata.
    È una carriera fulminante, che susciterà non poche gelosie, basata solo su meriti personali dimostrati in guerra e non presso le sedi del potere.
    La guerra per la conquista dell’Etiopia lo vede ancora protagonista; relegato sul fronte somalo, senza mezzi di trasporto e con poca truppa, riesce ad approvvigionarsi di automezzi negli Stati Uniti e con un’ardita operazione scardina il fronte somalo e, superando una vasta distesa di deserto, determina il crollo dell’esercito etiopico.
    Il Leone Bianco, così lo appellano le truppe coloniali, eserciterà le funzioni di Vicerè d’Etiopia fino a quando le stesse vengono assegnate al Duca d’Aosta.
    Badoglio, pupillo di Casa Savoia, vide in Graziani il grande rivale fino al punto di boicottarlo, in piena guerra, lesinando rifornimenti di uomini e mezzi necessari per la condotta delle operazioni contro gli inglesi in Libia.
    Una faida assurda e meschina che fece da lievito al tradimento.
    La figura di Graziani assume grandezza vera nell’ora della scelta definitiva: l’8 settembre 1943. Accetta l’incarico di ricostituire le Forze Armate della Repubblica Sociale Italia na. È l’ora della riscossa morale dei Combattenti che vedono in lui l’Uomo che ridarà dignità alle Forze Armate dopo il tradimento di Badoglio.
    In effetti, il carisma di Graziani è il viatico per ottenere fiducia e stima dagli alleati traditi, evitando agli italiani lutti e tragedie come conseguenza del comportamento di Badoglio e del Re. Agì per alti fini morali e patriottici. La fiducia in Graziani fu tale che divenne Comandante dell’Armata Liguria.
    Quanti giovani sanno di Graziani, quanti associano il Suo nome a quasi quarant’anni di vita italiana, quanti sanno legare la Sua opera al momento più drammatico della nostra storia? Il testo presentato ci permette di entrare nella vita di un grande italiano che mai rinnegò gli ideali, che seppe affrontare carcere e processi posti in opera da una ciurma di traditori e d’invidiosi, profittatori ed irresponsabili.
    Facciamo conoscere Graziani ai giovani perché si apra una pagina limpida della nostra storia.
    Gioverà ai morti ed ai vivi.
NUOVO FRONTE N. 208 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno. 
 
 
Scarpellino Saverio. CAPITALISMO DELLA PARTECIPAZIONE.
Settimo Sigillo. 2001.
 
Approfondito, rigoroso, aggiornato, lo studio di Saverio Scarpellini colma una lacuna su uno degli obiettivi più cari alla destra sociale: la partecipazione dei lavoratori agli utili e soprattutto (cosa in realtà molto più importante) alla programmazione strategica e alla gestione delle imprese. In questo senso la partecipazione va vista non solo e non tanto come gratificazione per una sola parte del processo produttivo, il lavoro, ma come una soluzione testa a consolidare l'impresa, contrastando il crescente snaturamento della sua missione, nonchè la perdita della sua identità e del suo radicamento territoriale; tracciando la strada, quindi, per rafforzare nel tessuto delle nazioni la necessaria coesione sociale. Inoltre, proprio sul fronte della produzione, la partecipazione può restituire ossigeno e in parta legittimità ad un sitema che a livello macroeconomico è sempre più esautorato in alcuni suoi compiti tradizionali dalla potenza ingovernata dei mercati.
Nel "casinò globale" di questo inizio millennio, ecco dunque lo sviluppo di un'idea antica ma feconda, per lanciare un solido ancoraggio comunitario al nostro sistema produttivo. 
Garibaldi Luciano. VITA COL DUCE.
Effedieffe. 2001 
 
Addetto alla sicurezza di Benito Mussolini dal 1937, e dal 1942 suo attendente, quindi in pratica sua ombra, Pietro Carradori ha messo alla porta, per oltre mezzo secolo, rinunciando a compensi anche ragguardevoli, non pochi cosiddetti storici italiani, americani e inglesi che da li volevano soltanto pettegolezzi sulla vita sessuale del duce. Ora, giunto alla soglia dei novant'anni, e consapevole di avere cose ben più importanti da testimoniare sulla più grande personalità italiana del XX Secolo, ha chiamato uno storico di cui si fida e gli ha raccontato tutto quello che ha visto e ha sentito. Ne è uscito questo libro, "Vita col Duce", che descrive la dimensione umana di Mussolini, la sua natura più vera, i suoi tormenti, le sue speranze, gli inganni di cui fu vittima, i gesti di generosità di cui fu capace, e che riapre in maniera clamorosa la pagina misteriosa della sua morte: mani omicide italiane, menti direttive britanniche. Il libro è arricchito dalla narrazione, scritta da Luciano Garibaldi, dei capitoli centrali delle vicende politiche militari italiane tra il 1942 e il 1945, e da una drammatica testimonianza di Luigi Confalonieri: quel giorno a Piazzale Loreto. 
IL LIBRO DI MARIA UVA L'animatrice di Porto Said 
Ristampa anastatica. 2001 
 
La storia di Maria Uva è raccontata a sufficienza nelle nostre pagine (www.italia-rsi.org: cercare nel motore di ricerca interno: "maria uva"). 
Per chilometri e chilometri le poche barche e le macchine della comunità italiana, organizzate da Maria Uva responsabile femminile del Fascio locale, seguivano le navi con bandiere e canti suscitando l'entusiasmo dei soldati italiani che avevan lasciato la Madrepatria, suscitando la simpatia della popolazione locale egizia che sapeva bene chi erano i "colonialisti", e suscitando infine l'irritazione sempre meno taciuta degli Inglesi. Alla fine Maria Uva fu espulsa dal territorio egiziano occupato dagli Inglesi. 
Ebbe dedicata una copertina della Domenica del Corriere e una nota canzone. I soldati le scrissero migliaia di lettere, una piccola parte delle quali è appunto raccolta nel libro, entusiasti loro stessi di come venivano accolti dalla comunità italiana lungo il Canale di Suez durante il passaggio per il fronte etiope.  
 
 
 
 Massimo Lucioli/Davide Sabatini ROVETTA 1945 Storia di una strage partigiana
Ed. Settimo Sigillo Pag. 159 L. 28.000 (Euro 14,46)
Lucioli, Massimo
ISBD: Rovetta 1945 : storia di una strage - Roma : Settimo sigillo, [2001] - 159 p., [4] c. di tav. : ill. ; 21 cm. - Saggi (( - 
Segue: Appendice documentale.
Collezione: Saggi
Livello bibliografico: Monografia
Tipo documento: Testo a stampa
Nomi: Lucioli, Massimo
Sabatini, Davide
Soggetti: Guerra mondiale 1939-1945 - Eccidio di Rovetta
Paese di Pubblicazione: IT
Lingua di Pubblicazione: ita
Localizzazioni: BG0299 - Biblioteca dell'Istituto bergamasco per la storia del movimento di liberazione - Bergamo - BG
FI0098 - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI
PG0109 - Biblioteca comunale Augusta - Perugia - PG
RM0267 - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - RM
Codice identificativo: IT\ICCU\CFI\0525958
    Massimo Lucioli e Davide Sabatini sono due studiosi degli avvenimenti storici dell’ultimo conflitto e collaborano con diverse riviste del settore.
    Il testo presentato è frutto di lunghe ricerche sempre suffragate da testimoni che ebbero parte nella vicenda. È una storia allucinante che solo degli assassini accecati da un odio disumano, ingiustificato ed incomprensibile, lontano da ogni logica o necessità, potevano concepire.
    Di fronte a tali episodi è difficile sostenere che il movimento partigiano fu l’artefice della liberazione e del ripristino delle libertà politiche.
    Se avessero potuto quelle belve avrebbero soppresso tutti gli avversari politici. Fu una strage a freddo, concepita nel nome della pianificazione comunista dell’annientamento dell’avversario.
    Il 26 aprile 1945 quarantasette militi della Guardia Nazionale Repubblicana, comandati dal Sottotenente Panzanelli di 22 anni, della Legione "Tagliamento’’, rimasti senza collegamento con i Comandi superiori, decidono di aderire alla richiesta di resa avanzata dal CLN di Rovetta (BG) che annoverava come massimi esponenti, il Maggiore dell’Esercito badogliano Giuseppe Pacifico, il barone Alberto Mach di Palmestein ed il parroco Don Giuseppe Bravi, capo dei patrioti. La composizione del Comitato ispirava fiducia a quei giovani militi che avevano un’età compresa fra i sedici ed i vent’anni. Ed in effetti furono accolti con simpatia ed umanità. Le belve erano in agguato e quando seppero che con poca fatica potevano riempire il carniere, si presentarono ed imposero la consegna dei prigionieri. In realtà non fu difficile ottenere quanto voluto perché i conigli, cospiratori da retrobottega, non vollero o non seppero opporsi alla carneficina. Tutti si defilarono, lasciando quei ragazzi alla mercè dei carnefici che non tennero in nessun conto la giovane età e l’ingenua fiducia con la quale avevano aderito alla resa prospettata da un organo che al momento era l’unica autorità sul territorio.
Bastonati, seviziati, quasi privati dei conforti religiosi, furono fucilati a gruppi di cinque di fronte al muro del cimitero. Morirono da uomini, da Soldati, non chiesero pietà a chi prima e dopo la morte li depredò di ogni avere, scarpe, indumenti, denaro e quanto serviva per un’eventuale identificazione. Morirono da forti.
    Fra i Martiri c’era il Sergente Giuseppe Mancini, ventenne, figlio di Edvige Mussolini, sorella del Duce. Al Sergente Mancini fecero assistere alla fucilazione di tutti i suoi Camerati. Lo fuciliarono per ultimo ed Egli, offrendo il petto, salutò alla voce i legionari caduti.
    Differenza di stile, di capacità umane di quanti sanno affrontare la morte a disdoro degli assassini, il cui unico desiderio era quello di sporcarsi le mani di sangue fraterno.
    Questa, in sintesi, la strage di Rovetta, ma è opportuna la lettura del testo per apprendere tutti quei particolari che inquadrano la vicenda. La sentenza del Tribunale e la successiva amnistia, i tentativi di addossare la responsabilità a personaggi irreperibili, le testimonianze dal vivo rese dall’unico sopravvissuto e da un partigiano, cinquant’anni di ricerche in ambiente omertoso ancora terrorizzato. Ricca la documentazione allegata. La lettura è avvincente ed interessante, è la riprova della costante volontà di alterare la Storia.
NUOVO FRONTE N. 212 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
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26 Aprile 1945: la seconda guerra mondiale è all'epilogo. Quarantasette militi della Repubblica Sociale Italiana, appartenenti alla Leguione d'assalto "M" tagliamento cedono l armi al Comitato di Liberazione Nazionale di Rovetta, un piccolo paese della bergamasca.
Ai legionari viene garantito il trattamento riservato ai prigionieri di guerra. Due giorni dopo 43 di lorovengono trucidati da Partigiani comunisti e azionisti.
Per la storiografia ufficiale questo eccidio non si è mai verificato. Per la giustizia della Repubblica "nata dalla Resistenza" non esistono colpevoli.
Rossana Maseroli Bertolotti LA CHIESA REGGIANA TRA FASCISMO E COMUNISMO
IL GRASOLE D’ORO, Pavia Tel. 0382. 26974; Fax 0382. 531693 - L. 38.000
Maseroli Bertolotti, Rossana
ISBD: La chiesa reggiana tra fascismo e comunismo - Pavia : Il girasole d'oro, stampa 2001 - 271 p. : ill. ; 24 cm. - Saggistica
Collezione: Saggistica
Livello bibliografico: Monografia
Tipo documento: Testo a stampa
Numeri: ISBN - 88-7072-625-8
Nomi: Maseroli Bertolotti, Rossana
Soggetti: Sacerdoti cattolici - Uccisione - Reggio Emilia
- 1944-1946
Classificazione: 282.0922 - CHIESA CATTOLICA ROMANA. Gruppi dipersone
Paese di Pubblicazione: IT
Lingua di Pubblicazione: ita
Localizzazioni: FI0098 - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI
PV0291 - Biblioteca universitaria - Pavia - PV
RE0052 - Biblioteca municipale Antonio Panizzi - Reggio Emilia - RE
RM0267 - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - RM
Codice identificativo: IT\ICCU\REA\0050103
    Non è una storia semplice quella della Chiesa Reggiana, è piena di conflitti locali, è in perpetuo contrasto con gente che del credo comunista ha fatto un nuovo catechismo.
    Eppure il fascismo aveva attenuato questi contrasti che riemersero virulenti nel dopoguerra. I preti assassinati furono dodici.
Nella parte prima viene analizzata la situazione prima, durante e dopo il fascismo fino alle vicende di S.E. Monsignor Socche alfiere della lotta al comunismo nel dopoguerra.
    Nella seconda parte del testo sono riportati i racconti di 28 parroci ed è così possibile entrare nel vivo dei rapporti con il popolo e delle valutazioni personali che, a volte, sono influenzate dall’origine familiare o dal timore di reazioni locali.
    È una lettura molto interessante, specie quella che riguarda il periodo della RSI, e purtroppo bisogna ammettere che la Chiesa non fu leale con il Governo, aiutando le formazioni comuniste che male la ripagarono.
    È anche questa una pagina interessante da conoscere per una esatta valutazione della nostra storia.
    Lettura piacevole.
NUOVO FRONTE N. 212 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
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Reggio Emilia, una delle città più ricche e fiorenti dell'Italia settentrionale e più famosa -come annota lo scrittore Wilson Pignagnoli- per lo sventolio delle sue rosse bandiere che come culla del tricolore.
Terra nobile di profonda tradizione cattolixca, ma anche sensibile al verbo del socialista Camillo Prampolini ed ad un comunismo fortemente anticlericale che ha spinto molti cattolici a considerare iol fascismo quale portatore di ordine e quindi ad aderirvi. Il clero reggiano, nella quasi totalità, si è mantenuto neutrale per l'intero ventennio, mentra do po l'8 Settembre 1943, ha appoggiato la resistenza, nascondendo ex-prigionieri, renitenti alla leva e partigiani.
Questa collaborazione non ha però impedito che dal 1944 al 1946, nel reggiani, siano stati eliminati ben sette preti ed un seminarista di 14 anni.
Dop 55 anni di sofferto risperbo, alcuini sacerdoti reggiani raccontano coraggiosamente la storia di questi giorni terribili che il vescovo Beniamino Socche, nel 1946 ha definito "i giorni di Caino" ed i suoi artefici "assassini di preti".
Giorgio Roberti CON FEGATO SANO A MALA GUERRA
Edizioni Nuovo Fronte Pag. 245 Richiedere a Nuovo Fronte
Roberti, Giorgio <1926- >
ISBD: Con fegato sano a mala guerra : guastatori - [S.l.] : Edizioni Nuovo fronte, 2001 - 247 p. : fotogr. ; 24 cm
Livello bibliografico: Monografia
Tipo documento: Testo a stampa
Nomi: Roberti, Giorgio <1926- >
Paese di Pubblicazione: IT
Lingua di Pubblicazione: ita
Localizzazioni: TS0013 - Biblioteca civica Attilio Hortis - Trieste - TS
Codice identificativo: IT\ICCU\TSA\0439942
    Il titolo è il motto del Battaglione Guastatori Alpini "Valanga’’ della X MAS, Reparto nel quale l’Autore servì la RSI durante il periodo più tragico della nostra storia.
    "Per l’Onore’’ era il grido di riscossa che la più bella gioventù italiana innalzò al cielo per riscattare la Patria tradita e ferita, alla mercè dello straniero, storia che si ripete da secoli.
    Questo libro non è la storia del "Valanga’’, ma è quella di singoli uomini, diversi fra loro per età, ceto di appartenenza, grado militare, impiego bellico, esperienze vissute, ma tutti egualmente impegnati nell’espletare il proprio dovere di Soldati.
Attraverso le Storie di questi uomini riviviamo l’atmosfera che caratterizzava l’Italia del post armistizio. La spaccatura fu gravissima: personaggi illustri che si defilavano, militari che intendevano mantenere fede al giuramento che li impegnava al Re tentavano di organizzare la resistenza armata, i comunisti a caccia di proseliti non avevano scrupoli nel commettere ogni sorta di nefandezze, una massa amorfa gelatinosa, aspettava lo sviluppo degli eventi per decidere e, finalmente, il riscatto: i giovani.
Furono i giovani i grandi protagonisti che riscattarono l’Onore dell’Italia. Il loro ardore, il loro anelito al combattimento contro l’invasore anglo americano furono la concreta dimostrazione che esisteva ancora un popolo virile, pronto a non rinnegare se stesso. Gualtiero Frattali, Generale di Brigata del Genio, reduce dal fronte russo e dalla Sicilia non ha dubbi: sceglie la RSI e con lui i figli Sergio e Luciano, uno nel Valanga e l’altro nei paracadutisti del Battaglione Mazzarini. Sergio sarà ucciso, colpito alle spalle, da un sicario mentre Luciano, fatto prigioniero dai partigiani, riuscirà ad evadere. La storia del Capitano Morelli, del Cap. Satta, del Ten. Busca, di Enrico Mussato, Rinaldo Barbesino, Urbano Malacrea, Pier Benito Fornari, Giorgio Roberti (l’Autore), Lucio Ferretti, sono emblematiche, palpitanti di verità, di sentimenti, di dolore per la perdita di tanti camerati e per la sconfitta definitiva resa ancora più cocente per il prevalere dei valori negativi, che si tramutarono in persecuzioni decennali. Attraverso i ricordi personali rivivono le vicende di tanti altri che furono compagni di strada nella parte più dura del percorso della vita.
    Il testo presentato è molto interessante, è uno sprazzo di verità che Giorgio Roberti ha voluto testimoniare, come per assolvere un impegno, per portare una luce fra le tenebre del conformismo storico.
    La somma delle storie individuali contribuisce, in definitiva, alla costruzione della Storia.
NUOVO FRONTE N. 211 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno. 
 
 
 
Ettore Balzini - Franco Placidi ANZIO - NETTUNO 1944 Dalla retrovia di Anzio a Piazzale Loreto Cronistoria di un paracadutista-ragazzo del "Folgore’’ che non si sé mai arreso.
L’Ultima Crociata Editore Pag. 93 - Lire 22.000 Piazza Ferrari - 47900 Rimini
Balzini, Ettore
ISBD: Anzio -Nettuno 44 : dalla retrovia di Anzio a - [S.l.] : L'ultima crociata, stampa 2001 - 93 p. : ill. ; 21 cm.
Livello bibliografico: Monografia
Tipo documento: Testo a stampa
Nomi: Balzini, Ettore
Placidi, Franco
Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Anzio Nettuno 1944.
Paese di Pubblicazione: IT
Lingua di Pubblicazione: ita
Localizzazioni: MC0049 - Biblioteca comunale Mozzi-Borgetti - Macerata - MC
RM0267 - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - RM
Codice identificativo: IT\ICCU\UMC\0225696
    Ettore Balzini (fratello minore di Balzino - 7a Compagnia, "Folgore - Caduto alla difesa di Roma) è stato uno di quei "ragazzi’’ che nel 1943 reagì all’onta dell’8 settembre arruolandosi volontario nei paracadutisti del Reggimento "Folgore’’. Con questo libro di ricordi intende trasmettere ai giovani d’oggi le emozioni ed i sentimenti di un sedicenne che, con occhi attoniti vede sgretolarsi un mondo, vivendo come in un sogno una tragedia immane, inimmaginabile, dove il tradimento e la codardia diventano dei valori, un popolo plaudente viene sostituito dalla plebaglia becera, ricchi e beneficiati rinnegano il benefattore ed inneggiano al nemico.
    Un ragazzo dall’anima pulita, una persona coerente, un combattente onesto verso i fratelli Caduti non potevano rimanere inerti ed il riscatto dell’Onore della Patria diveniva un dovere. Il racconto diviene testimonianza viva, ci accora, nella sua semplicità ci fa rivivere momenti indelebili che hanno marcato la nostra vita fino a suscitare sdegno quando i malfattori del pensiero parlano con sprezzo, alterando i fatti.
    In questo semplice manoscritto vi è una espressione di serenità e di forza, di affetto per i Camerati Caduti o viventi che può albergare solo in uomini dai sentimenti puliti.
    Sembra di vederli, quei ragazzi che accorrono in armi ricevuti dai veterani, in rispettoso atteggiamento verso i Comandanti, ansiosi di impugnare le armi per ricacciare il nemico. L’occasione è data dallo sbarco di Anzio e Nettuno: accorrono i paracadutisti in addestramento a Spoleto. Bisogna difendere Roma. La difendono con l’ardore mistico di un amante, si gettano contro i carri armati, la 7ª Compagnia si immola, degna erede della "Folgore’’ di El Alamein. Non sono dei fanatici, sono figli che pensano al dolore delle madri, sono coscienti del proprio dovere, debbono essere il simbolo del riscatto e lo saranno per il riconoscimento dato dallo stesso nemico.
    La ritirata dei superstiti, la riorganizzazione del Reparto, la lotta interna, lo scempio di Piazzale Loreto rivivono in queste pagine di ricordi, di verità, di emozioni e sentimenti.
    I Reduci si ritrovano annualmente per ricordare i Caduti; ora sono uomini dallo sguardo pulito, non rinnegano, chiedono solo che il loro sacrificio venga riconosciuto perché l’amore per la propria terra è un valore per le giovani generazioni e trascende su ogni credo politico.
    Fortunatamente nell’area dove avvennero le operazioni di guerra, nei cimiteri ove riposano i Caduti, sono rispettati i monumenti eretti a ricordo e, finalmente, anche le Autorità Militari hanno reso omaggio al Valore ed al Sacrificio.
    Qualcuno lo racconti al Consiglio comunale di Pisa che ha fatto rimuovere la stele eretta a Coltano in ricordo dei prigionieri della RSI ivi ristretti. La civiltà non fa parte della cultura di quei signori.
NUOVO FRONTE N. 213 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
Claudio de Ferra UN MILIONE E 1 Trenta racconti per una storia del tempo di guerra e del dopoguerra
Edizioni NUOVO FRONTE Pag. 255
De Ferra, Claudio 
ISBD: Un milione e 1 : trenta racconti per una storia - Portogruaro] : Nuovo fronte, stampa 2001 - XIV, 255 p. ; 24 cm 
Collezione: Quaderni 
Livello bibliografico: Monografia 
Tipo di documento: Testo a stampa 
Nomi: De Ferra, Claudio 
Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Un milione e uno. 
Soggetti: REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA 1943-1945 - 
 DIARI E MEMORIE 
Paese di pubblicazione: IT 
Lingua di pubblicazione: ita 
Localizzazioni: FI0098 - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI 
 RM0267 - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - RM 
 RM1189 - Biblioteca della Fondazione Ugo Spirito - Roma - RM 
 TS0013 - Biblioteca civica Attilio Hortis - Trieste - TS 
 TS0027 - Biblioteca statale di Trieste - Trieste - TS 
Codice identificativo: IT\ICCU\IEI\0169896 
    Con grande successo di pubblico si sono svolte le presentazioni del volume "Un milione e 1’’ di Claudio de Ferra, edito da Nuovo Fronte. Nella Sala della Lega Nazionale di Trieste, sono giunti a portare il loro saluto l’on. Roberto Menia, l’assessore regionale Sergio Dressi, l’assessore provinciale Enrico Sbriglia oltre che il nostro direttore Fulvio Depolo. A Gorizia, nella sala della biblioteca comunale isontina, ottimamente organizzata dall’Associazione culturale "Area’’, l’assessore Luigi Coana assieme alla giornalista Alessia Rosolen hanno presentato il volume ad un pubblico numerosissimo ed interessato.
    All’inizio del terzo millennio poteva succedere anche questo, ed è successo. Un esimio professore di matematica si cimenta con la letteratura. L’Autore racconta i fatti minimi della sua vita. Adolescente con i suoi fratelli a Trieste, la scuola, la guerra, il dopoguerra; questi fatti minimi si intrecciano con la storia, la sua adolescenza, vissuta come tanti altri coetanei in un Paese, che non è certamente quello buio e oscurantista raccontato dai libri di storia; il suo essere studente, come tanti altri coetanei, con le sue speranze, i suoi ideali; il suo essere soldato, scegliendo di difendere la sua Patria sotto il tricolore con l’aquila e il fascio repubblicano, come tanti altri coetanei, come tantissimi altri, quel milione che, dopo Cassibile scelsero di difendere questa bandiera. Ma soprattutto è 1 di quel milione che provarono sulla loro pelle quanto sia disperante, faticoso e umiliante battersi per i propri ideali, senza certezze di potercela fare, passando spiritualmente ogni giorno sotto le forche caudine di una storiografia censoria che ha demonizzato la sua scelta.
    Quella dell’Autore è una comédie humaine a lieto fine. Dalle pagine di questo libro scaturiscono racconti di vita vissuta; la prosa agile, mai appesantita dalla retorica, ci tratteggia i personaggi che gli sono stati vicini, i frammenti dei ricordi si ricompon-gono aprendoci una finestra sull’abisso della memoria. La realtà non è soltanto visione tragica della vita ma è anche gioia e soprattutto presunzione di aver fatto, contro tutto e contro tutti, la scelta giusta. Sono trenta racconti che parlano di uomini, di valori, di scelte; l’Autore ci fa rivivere l’irripetibile clima dei seicento giorni della Repubblica Sociale Italiana, con parole semplici, dirette; sono le storie che un nonno affettuoso racconta alla sua adorata nipotina. Però questo è anche un libro che fa delle domande, incrina la certezza della verità, così come ci è stata raccontata negli ultimi cinquant’anni. George Orwell aveva la convinzione che controllando il passato si può controllare il futuro. I vincitori usano violentare la storia per santificare i nuovi poteri e squalificare gli avversari sconfitti. Questo è il paradosso della storiografia ufficiale italiana, che santifica le scelte di chi si è posto sotto il simbolo della falce e martello, mentre la storia li ha fatti sprofondare nel baratro, da loro stessi scavato, di errori e orrori che poche voci si levano a denunciare.
    Questo libro, nella scelta di pacatezza voluta dall’Autore, è una denuncia violenta, mai però astiosa, e così personaggi come Sergio, Legionario del Duce, assurgono al ruolo di eroi, mentre il Pancrazio del racconto "Pancrazio e le ‘granzievole’’’, assomiglia sempre meno al santo del ghiaccio che la tradizione popolare triestina associa a Venanzio e Bonifazio, diventando sempre più simile al Pancrazio borghese e filisteo, della commedia goldoniana, prigioniero delle sue bassezze.
    Un libro senz’altro da leggere, ma soprattutto da far leggere a chi, nella parte avversa, continua a nascondersi dietro al nulla.
NUOVO FRONTE N. 210 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno. 
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    Claudio de Ferra, classe 1925, Autore di questo libro, è uno del milione di giovani che accorsero al richiamo della Patria per rivendicarne l’Onore.
    Non è retorica ma è un dato di fatto: furono i giovani, i ragazzi, le ragazze ancora adolescenti che sentirono forte l’impulso di fare qualcosa per dimostrare che non tutti gli italiani saltavano il fosso per schierarsi con i vincitori.
Fu un accorrere disinteressato, nella piena convinzione che fosse un dovere irrinunciabile impugnare le armi contro l’invasore anglo americano e contro gli slavi che premevano sulle frontiere orientali. 
    Il testo presentato è la testimonianza del momento delle scelte, è un quadro di vita vissuta nei momenti felici e nei momenti più tristi.
    Trenta racconti ci immergono nella realtà passata, una realtà sconosciuta ai più, grazie a un’attenta opera d’occultamento della storia nazionale, condotta con tutti i mezzi che solo la malafede e la cattiva coscienza potevano suggerire.
    I giovani migliori seppero valutare le opere e le imprese che Musso-lini realizzò nel breve tempo di vent’anni e non si abbandonarono a sofismi giustificativi per tacitare la propria coscienza.
    Carlo è il protagonista dei racconti e tramite lui possiamo conoscere le condizioni di vita, i sentimenti ed i valori di riferimento di una famiglia borghese dell’anteguerra e dei suoi coinvolgimenti nel conflitto mondiale.
    L’otto settembre segna lo sparti-acque fra chi spontaneamente scelse la difesa dei valori più genuini e chi non prese decisioni rischiose, anche se molti rimasero, poi, pericolosamente invischiati.
    Conosciamo, così, le vicende di Trieste, contesa agli slavi, le vicissitudini dei giovani volontari al Corso per Allievi Ufficiali ed il loro successivo impiego nelle zone di guerra.
    La fine della guerra non conclude le sofferenze dei sopravvissuti, ma li costringe alla latitanza, alla fame, per sottrarsi alla vendetta di chi voleva eliminare gli elementi di confronto morale.
    L’Autore, Professore universitario, ha voluto regalarci questo libro di memorie per portare una pietra all’edificio della verità, per far conoscere ai giovani, vittime inconsapevoli della più grande opera di mistificazione storica, com’era l’Italia che non si vuol far conoscere.
    La prosa e gli argomenti rendono avvincente la lettura, suscitando il desiderio di sapere e di ricordare. 
NUOVO FRONTE N. 209 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
 
 

 
SUL SELCIATO DI PIAZZALE LORETO Fabrizio Bernini
Grafica MA.RO Editrice, 2001, p. 244
 
Dopo il libro inchiesta sull’uccisione di Mussolini e sui dodici partigiani dell’Oltrepò che fucilarono i gerarchi fascisti a Dongo, Fabrizio Bernini continua le sue indagini su quei giorni cruciali fra il 25 e il 29 Aprile del ‘45 che segnarono la fine della seconda guerra mondiale.
Lo storico vogherese completa e approfondisce la narrazione al centro di "Così uccidemmo il Duce", fornendo i nomi di tutti i partigiani della zona che furono a Dongo, compresi quelli omessi nell’opera precedente. Ma stavolta Bernini allarga lo sguardo più in là, alla vicenda del trafugamento della salma di Mussolini dal cimitero di Musocco, nell’Aprile del 1946 e del suo successivo ritrovamento alla Certosa di Pavia. L’ottica è dichiaratamente revisionista e l’autore non fa nulla per nasconderlo. Bernini si addentra senza timori in terreni minati: come la "bomba" della presunta violenza consumata su Claretta Petacci dai partigiani che ebbero in consegna lei e Mussolini fino alla fucilazione.
Scabrosa anche la questione riguardante il fratello di Claretta, Marcello Petacci, che tentò di sfuggire al plotone di esecuzione partigiano a Dongo, gettandosi nelle acque del lago, ma venne ripescato ed ucciso. Bernini pubblica la relazione dell’autopsia eseguita per volontà della famiglia alcuni anni dopo la morte. avallando. in sostanza, la tesi che il corpo sepolto a Musocco accanto alla sorella non è quello di Marcello, ma di uno sconosciuto. L’esame autoptico fu uno degli atti dell’inchiesta aperta in seguito alla denuncia sporta dai Petacci per l’uccisione di Claretta e Marcello, e conclusa con l’archiviazione. Un altro documento scottante è la grazia concessa nel 1939 da Mussolini al colonnello Valerio per lasciare il confino. "Per ottenere la grazia - scrive Bernini - Walter Audisio dovette fare atto di abiura del comunismo e per questo i compagni di partito non si fidavano fino in fondo di lui".
Fra le testimonianze inedite, spicca quella di Angelo Carboni, uomo di fiducia di Ferruccio Parri.
"Carboni - spiega Bernini - venne inviato al seguito di Valerio per cercare di condurre Mussolini vivo a Milano e farlo processare". Poi Aldo Malaspina, comandante del distaccamento Canevari della Brigata garibaldina Crespi (il reparto da cui provenivano quasi tutti i dodici di Dongo). Malaspina fornì la scorta che condusse Achille Starace, l’ex Ministro della Cultura popolare, in piazzale Loreto per essere fucilato.
Infine la vicenda della salma del Duce trafugata. Bernini ha raccolto la testimonianza di uno dei protagonisti, Domenico Leccisi. "Dopo l’arresto. Leccisi accettò di consegnare le spoglie di Mussolini - spiega Bernini - in cambio della promessa che avrebbero avuto sepoltura cristiana".
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Fabrizio Bernini SUL SELCIATO DI PIAZZALE LORETO
MA.RO Editrice, Strada Vicinale dalle Pieve, 10, 27010 Copiano (PV), Tel. 0382968151 Fax 0382968093, Pagine 243 Lire 35.000
Fabrizio Bernini non è nuovo nella trattazione di saggi storici che si distinguono per la sua capacità di ricerca e per la serietà delle argomentazioni. Ha collaborato e collabora con numerose riviste di carattere divulgativo ed ha pubblicato il saggio "Così uccidemmo il Duce. Da Varzi a Dongo con i fucilatori dell’Oltrepò’’ suscitando un notevole interesse per l’argomento trattato che è ripresentato con l’opera recensita.
L’assassinio di Mussolini e della Petacci e la sparizione dell’oro di Dongo, ancora oggi, non trovano una spiegazione chiara, nonostante qualche spiraglio di testimonianza resa in forma reticente e nebulosa.
Personalmente ritengo che in qualche recondito nascondiglio del vecchio PCI, o di vecchi militanti dello stesso Partito, esista un voluminoso fascicolo che potrebbe dare una risposta ai tanti quesiti che la relazione ufficiale non soddisfa.
Tutta la criminale operazione, gestita direttamente dal partito comunista, sembra arraffata e pasticciata ma, in realtà, le lacune ed alcuni comportamenti nascondono i veri esecutori che, con mano da professionisti ed in tempi ristretti, hanno portato a termine la soppressione del Duce e della Petacci.
Nel testo, tramite interviste ai pochi superstiti, la consultazione di opportune documentazioni, l’analisi della personalità di chi maggiormente ha contribuito o avrebbe potuto contribuire, il controllo dei tempi di spostamento dei singoli comprimari e delle vetture usate, l’elencazione dei partigiani ufficialmente coinvolti o prescelti per la strage, l’Autore ha cercato di dipanare il fitto mistero che avvolge la triste vicenda.
Una cosa è certa: Mussolini e la Petacci non furono fucilati di fronte al famoso cancello di Giulino di Mezzegra, ma furono uccisi altrove, con modalità ignote, forse durante una colluttazione per un tentativo di stupro della Petacci (difesa da Mussolini) o, forse, da altri sicari giunti prima del famoso colonnello Valerio che si assunse la "gloria’’ imperitura del massacro, salvando l’immagine di personaggi di rango del Pci.
In ogni caso rimane un’operazione indegna di un paese civile, frutto di una chiara matrice comunista che risolve i contrasti ideologici a colpi di mitra e d’infamanti calunnie. All’uccisione di Mussolini fa seguito la scomparsa di tutti i beni ed i valori che vanno sotto la denominazione di "tesoro di Dongo’’ e la scomparsa delle famose borse che racchiudevano importanti documenti di Stato. Il tesoro di Dongo lascia, dietro di sé, una lunga catena di delitti nei confronti di coloro che n’erano a conoscenza per avere contabilizzato la consistenza dei valori. Il caso più rappresentativo fu l’assassinio del Cap. Neri e della sua amante Gianna, ambedue implicati nella vicenda ed, in qualche modo, non troppo osservanti delle direttive del partito.
Interessante è la triste vicenda della fucilazione dei Ministri e Gerarchi sulla piazza di Dongo ove furono coinvolti anche personaggi che non rientravano nei canoni richiesti per essere fucilati, non avendo svolto attività politica o incarichi particolari. Si trattava del Rettore universitario Coppola, del giornalista Daquanno e del Capitano pilota Calistri fatti prigionieri ed inseriti fra i "condannati’’ per fare numero. Il Sindaco di Dongo invano chiese a Valerio (non riesce ad indicarlo come Colonnello) di compiere la carneficina fuori dal paese, ma il nostro "giustiziere’’, non venne meno alla decisione neppure di fronte alle dimissioni del Sindaco stesso. È un modo come un altro per essere ricordato dai posteri.
La terza parte di questo libro degli orrori descrive il modo di carico e trasporto delle vittime su un grosso camion dove trovarono posto, sopra i cadaveri, i partigiani di scorta. Le salme della Petacci e di Mussolini furono trasportate al bivio della strada per Como ove furono caricate sul famoso camion. Mussolini fu trascinato, in fondo alla discesa, attaccato ad una corda legata alla vettura dei "giustizieri’’.
Il macabro carico giunse a Milano nella nottata. Fermati da altri partigiani, per poco Valerio e scorta non sono posti al muro perché scambiati per fascisti travestiti. Piazzale Loreto conclude la tragica vicenda con l’orrida esposizione dei corpi dei fucilati, abbandonati alla follia del popolaccio che, in altri tempi, aveva osannato il Duce ed ora lo caricava di tutte le colpe possibili, senza riflettere che un popolo deve essere coerente e leale se vuole essere libero.
Il testo conclude con la relazione sull’operazione d’autopsia eseguita dal Professor Cova Villoresi, sul corpo di Mussolini. Viene anche narrata la vicenda del trafugamento della salma del Duce e riprodotto il Verbale di riconoscimento dei resti per la traslazione al Cimitero di S. Cassiano di Predappio nel 1957. Il libro presentato merita attenzione perché riporta pagine di storia, che si tende a dimenticare poiché i fatti esposti disonorano la Resistenza nata in un bagno di sangue fraterno, che trova giustificazione solo nelle parole del capo partigiano Piero (Giovanni Orfeo Landini) esponente comunista che affermava: "Io avevo i miei paraocchi. Chiacchiere se ne facevano fin troppe ed io pensavo, invece, che più se ne facevano fuori allora di fascisti e meno se n’avrebbero avuto dopo a rompere l’anima’’. Innumerevoli furono gli omicidi eseguiti da questo partigiano che, da poco tempo, ha reso l’anima a Dio.
La lettura di questo testo porta ancora acqua al fiume della verità.
NUOVO FRONTE N. 224 (2002) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
MUSSOLINI E IL PROCESSO DI VERONA Renzo Montagna
Pag. 125 Lire 20.000 Euro 10.33 Marvia Edizioni Viale Repubblica 103 – 27058 Voghera (Pavia) Tel. 0383/214282 Cell. 338/ 9874451 
Il gen. Renzo Montagna (Santa Giuletta 1894 - Voghera 1978) partecipa come ufficiale di complemento volontario del Regio Esercito alla Grande Guerra. Congedatosi nel 1920 col grado di Capitano di complemento, aderisce, sin dalla loro prima costituzione, ai Fasci di Combattimento. Nel 1923 si arruola nella M.V.S.N., di cui diventa Luogotenente generale nel 1937. E’ Console nel 1924 al comando della 38a Legione di Asti. Volontario nel conflitto etiopico, al comando del 6° Gruppo Btg. d’Assalto CC.NN.
Durante la Seconda Guerra Mondiale presidia la piazza di Lubiana, dal luglio 1942 sino alla fine dell’aprile dell’anno successivo, al comando del Gruppo CC. NN. XXI Aprile. Rientrato in Italia in convalescenza, poco prima del colpo di stato del 25 luglio 1943, è arrestato nel mese di agosto dai Carabinieri per ordine di Badoglio. Liberato da Forte Boccea (Roma) 1’8 settembre da paracadutisti tedeschi, si adopera per la riapertura delle sedi del P.N.F. nella capitale e per la ricostituzione della M.V.S.N., di cui Mussolini lo nomina Comandante Tattico per l’Alta Italia. Aderisce da subito alla Repubblica Sociale Italiana. 
Il Duce lo vuole tra i giudici del processo di Verona, istituito contro Galeazzo Ciano e quei gerarchi che nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio, votando la mozione Grandi, avevano provocato la caduta del regime. 
In questo memoriale, pubblicato coraggiosamente la prima volta nel lontano 1949, il generale Montagna, oltre ad esporre i fatti processuali di Verona, istruisce il lettore su alcuni episodi precedenti che lo hanno visto protagonista assieme ad altri camerati in quei giorni incerti successivi al 25 luglio 1943.
Interessante è il racconto della sua esperienza al forte Boccea, imprigionato in compagnia, tra gli altri, del maresciallo Cavallero, che si suiciderà nel giardino dell’albergo Belvedere di Frascati il 14 settembre 1943, dopo essere stato liberato dalla prigione dai tedeschi.
Montagna riporta inoltre l’interessantissima relazione del Primo Seniore Antonio Monticelli della Guardia di Verona relativa alla fucilazione dei cinque condannati (Ciano, De Bono, Pareschi, Marinelli e Gottardi) avvenuta al Poligono del Tiro a Segno di Verona la mattina dell’11 gennaio 1944.
Notevole è il passaggio finale dell’ultimo capitolo nel quale l’autore ricorda il suo incontro con Mussolini e le considerazioni del Duce sulla condanna, sintetizzabili nella esemplificativa frase "Cinque... ma non quelli!".
Nell’ottobre del 1944 Montagna ricopre la carica di Direttore Generale della Pubblica Sicurezza fino al 25 aprile 1945.
Assolto in sede di giudizio da reati di natura politica, trascorre il resto della sua vita a Santa Giuletta (PV).
Muore a Voghera il 6 luglio 1978.
M.M.
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Si tratta della ristampa del libro, dello stesso autore, pubblicato nel 1949 e doverosamente riproposto agli studiosi della nostra storia recente.
Il Processo di Verona rappresenta una tragedia nella tragedia di Mussolini e dell’Italia. Il Generale Montagna (18941978), l’Autore, è stato testimone ed attore del processo che ha visto la condanna di Ciano, Gottardi, De Bono, Pareschi e Marinelli.
Come Generale di Divisione con funzioni di Corpo d’Armata nell’Esercito della RSI, nell’ottobre del 1943 fu nominato Capo della Polizia e, come tale, vi rimase fino al 25 aprile 1945. La Sua nomina a Giudice presso il Tribunale che giudicava i 19 del Gran Consiglio del Fascismo, nel gennaio del 1944, fu un atto dovuto, una conseguenza delle funzioni rivestite.
Quanto scritto nel testo presentato, è attinto dagli appunti dell’Autore stesso che intende porre il lettore nella condizione di ben conoscere i fatti e gli antefatti che culminarono nella condanna dei giudicati.
Il cattivo andamento delle operazioni belliche aveva favorito lo sviluppo di quelle frange che orbitavano negli ambienti di Casa Savoia e che avevano trovato nelle ambizioni di Badoglio il coagulo per estromettere Mussolini non appena se ne fosse presentata l’occasione.
L’esito dell’ordine del giorno, a conclusione della riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio, fornì al re l’occasione per tradire la fiducia del Duce, ordinandone l’arresto e affidando il Governo a Badoglio e non ad uno dei partecipi del Gran Consiglio. Tali fatti portarono alla realizzazione del più grave tradimento della storia nei confronti dell’alleato tedesco al quale, la stessa mattina dell’8 settembre, fu data assicurazione sul rispetto dei patti.
L’Italia fu così trascinata nella guerra civile più atroce della sua storia, lasciata in balìa degli eserciti stranieri, alla mercé di chiunque avesse voluto cancellarla dal novero delle nazioni.
Con la costituzione della RSI, con gli animi arroventati per la situazione creata e sotto l’azione della Germania che voleva un atto di rottura con chi aveva provocato tale situazione, (Ciano era considerato, con Grandi il deus ex machina), fu inevitabile l’istituzione di un processo con le condanne già scritte.
Mussolini non intervenne per non influenzare, nel bene o nel male, l’esito del processo, ma non fu neanche posto in condizione d’intervenire con un atto di clemenza.
A pagare per tutti furono i più sprovveduti, coloro che non s’erano resi conto sulle conseguenze dell’ordine del giorno, pensando solo ad una restituzione della responsabilità militari al re, furono personaggi che tutto avevano dato alla Patria ed al Fascismo sia in pace sia in guerra.
In un clima di normalità avrebbero avuto sorte diversa.
Il testo presentato è di un interesse estremo perché apre una pagina di dolore che fu decisivo anche per i rapporti di Mussolini con la figlia Edda.
Appare evidente come l’Autore manovrò per salvare il salvabile, senza riuscire a calmare gli animi. Ancora oggi possiamo chiederci: fu una vendetta o un atto di giustizia?
NUOVO FRONTE N. 219 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
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Il Processo di Verona rappresenta una tragedia nella tragedia di Mussolini e dell’Italia. Il Generale Montagna, l’Autore, è stato testimone ed attore del processo che ha visto la condanna di Ciano, Gottardi, De Bono, Pareschi e Marinelli.
Come Generale di Divisione con funzioni di Corpo d’Armata nell’Esercito della RSI nell’ottobre del 1943, fu nominato Capo della Polizia e, come tale, vi rimase fino al 25 aprile 1945.
La Sua nomina a Giudice presso il Tribunale che giudicava i 19 del Gran Consiglio del Fascismo, nel gennaio del 1944, fu un atto dovuto, una conseguenza delle funzioni rivestite.
Quanto scritto nel testo presentato è attinto dagli appunti dell’Autore stesso che intende porre il lettore nella condizione di ben conoscere i fatti e gli antefatti che culminarono nella condanna dei giudicati.
Il cattivo andamento delle operazioni belliche aveva favorito lo sviluppo di quelle frange che orbitavano negli ambienti di Casa Savoia e che avevano trovato, nelle ambizioni di Badoglio, il coagulo per estromettere Mussolini non appena se ne fosse presentata l’occasione.
L’esito dell’Ordine del Giorno, a conclusione della riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio, fornì al Re l’occasione per tradire la fiducia del Duce ordinandone l’arresto e affidando il Governo a Badoglio e non ad uno dei partecipi del Gran Consiglio. Tali fatti portarono alla realizzazione del più grave tradimento della storia nei confronti dell’Alleato tedesco al quale, la stessa mattina dell’8 settembre, fu data assicurazione sul rispetto dei patti.
L’Italia fu così trascinata nella guerra civile più atroce della sua storia, lasciata in balìa degli eserciti stranieri, alla mercé di chiunque avesse voluto cancellarla dal novero delle nazioni.
Con la costituzione della RSI con gli animi arroventati per la situazione creata e sotto l’azione della Germania che voleva un atto di rottura con chi aveva provocato tale situazione (Ciano era considerato, con Grandi, il deus ex machina) fu inevitabile l’istituzione di un processo con le condanne già scritte.
Mussolini non intervenne per non influenzare, nel bene o nel male, l’esito del processo, ma non fu neanche posto in condizione d’intervenire con un atto di clemenza.
A pagare per tutti furono i più sprovveduti, coloro che non s’erano resi conto delle conseguenze dell’Ordine del Giorno pensando solo ad una restituzione delle responsabilità militari al Re, furono personaggi che tutto avevano dato alla Patria ed al Fascismo sia in pace sia in guerra e che in un clima di normalità certamente avrebbero avuto sorte diversa.
Il testo presentato è di un interesse estremo perché apre una pagina di dolore che fu decisivo anche per i rapporti di Mussolini con la figlia Edda. Appare evidente come l’Autore manovrò per salvare il salvabile senza riuscire a placare gli animi perciò ancora oggi possiamo chiederci: fu una vendetta o un atto di giustizia?
NUOVO FRONTE N. 221 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
Daniele Lembo I SERVIZI SEGRETI DI SALÒ. SERVIZI SEGRETI E SERVIZI SPECIALI NELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
MA.RO Editrice, Pagg. 160 Euro 15,49, 2001 
"Mentre gli Alleati fanno decollare, numerosi, i loro aerei da ricognizione, la Repubblica di Salò invia i propri informatori che attraversano le linee e compiono azioni di sabotaggio o informative, offrendosi in missioni spesso senza ritorno". Questo è il quadro in cui si muove l’opera di Lembo. Nonostante la schiacciante superiorità angloamericana, la RSI utilizzava il fior fiore dei suoi reparti per compiere azioni di infiltrazione e di sabotaggio. Il testo di Lembo si presenta come un'opera storica ben piantata e documentata, un’analisi di quelle branche dello Stato definite oggi servizi d’informazione e sicurezza che va dall’otto settembre1943 alla fine delle ostilità. Vengono analizzate nei singoli capitoli le varie strutture e ramificazioni del servizio sia militari che civili che si muovevano sul fronte italiano in quegli anni.
dal mensile "AREA"
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L’Autore è un appassionato di studi storici sulla partecipazione italiana alla seconda guerra mondiale ed è fecondo collaboratore di riviste specializzate.
Il testo è suddiviso in quindici capitoli. I primi due riguardano le vicende storiche che portarono alla costituzione della Repubblica Sociale, con riguardo alla struttura dei Servizi Segreti durante il corso della guerra.
È tendenza dei Servizi a prolificare ed anche nella RSI, nonostante sia stata posta attenzione al fenomeno, essi divennero troppi e non sempre a beneficio dello Stato.
Ogni organizzazione militare o civile ha la necessità di dotarsi di un sistema di controllo interno e di difesa esterna che, purtroppo, nel tempo si espande anche fuori del campo specifico di competenza fino ad entrare in concorrenza con gli altri. Il coordinamento, sempre invocato, funziona ufficialmente, ma non in concreto, per una somma di fattori che meriterebbero una trattazione a parte.
Il terzo capitolo tratta del servizio segreto della RSI, il quarto di quello tedesco in Italia ed il quinto della rete Pignatelli, costituita, nell’Italia invasa, a sostegno degli informatori paracadutati al Sud.
Come ben evidenzia il capitolo sesto, il Servizio Segreto della Decima MAS operò attivamente, subendo gravi perdite, in operazioni svolte nelle terre invase. Gli anglo-americani, in possesso del nome degli Agenti, spesso pervenivano alla loro cattura e fucilazione.
Dal settimo capitolo al dodi-cesimo sono descritti i Servizi delle varie organizzazioni militari o paramilitari ed un doveroso riferimento è fatto alle imprese delle "Volpi Argentate’’ che in Carla Costa trovano una rappresentante di spicco.
Il tredicesimo capitolo è un doveroso omaggio agli agenti speciali fucilati. Giovanissimi, per il loro comportamento, furono esemplari, suscitando l’ammirazione dello stesso nemico che mai implorarono. Si sacrificarono serenamente, lasciando un testamento di fede nella Patria e l’esortazione, ai propri cari, a non piangere la Loro morte.
Prevedendo la fine della guerra, con l’invasione totale dell’Italia, furono organizzate delle basi segrete con armi e denaro per l’attività clandestina ma, ancora una volta, il tradimento di alcuni portò alla scoperta dell’organizzazione che fu resa inoffensiva. L’argomento è trattato al capitolo quattordicesimo.
Agli agenti speciali gli "Alleati’’ riservarono dei campi di concentramento appositi per interrogarli e sottoporli ad un pesante condizio-namento psicologico, per ottenere risposte inerenti all’attività svolta, con i conseguenti comportamenti descritti al capitolo quindicesimo.
Il testo presentato è frutto di una laboriosa ricerca bibliografica giacché le fonti dirette hanno sempre mantenuto un estremo riserbo sulla partecipazione ad operazioni di spionaggio o sabotaggio, per non coinvolgere personaggi pubblici o istituzioni che diedero loro appoggio e protezione. Sorge sempre evidente l’alta qualità morale degli agenti che si sacrificarono senza reticenze o distinguo. L’autore, nelle conclusioni, appare molto preoccupato di dimostrare che con questo lavoro non ha inteso giustificare il Fascismo o dare attestati alla RSI. È vero, i fatti parlano da soli, raccontarli nella loro essenzialità porta alla verità storica, e se suscitano ammirazione ed, a volte commozione, non è colpa di chi racconta con doverosa imparzialità.
È proprio necessario ricordarlo tanto spesso? Non concordo con Lembo quanto afferma in chiusura del testo: "Purtroppo per loro, il sacrificio degli appartenenti ai Servizi Speciali, specialmente quello degli agenti con compiti informativi, spesso si rivelerà vano, ed è questo il punto; spesso mi sono chiesto a cosa serva avere informazioni su di un concentramento di truppe o di navi alleate, quando l’Aviazione Nazionale Repubblicana a stento riesce ad abbozzare una difesa delle città del nord. [...] Cosa che rende impossibile la distruzione dei concentramenti bellici avversari che si trovano dietro la linea del fronte’’.
Con il senno del poi tutto è criticabile. Usando lo stesso ragionamento, la guerra può essere conclusa a tavolino dove non esistono gli imponderabili, previsti anche nei giochi da tavolo, che sono sempre la speranza del perdente.
L’Autore è persona esperta e comprende benissimo l’importanza delle informazioni in ogni fase delle operazioni militari, per sfruttare ogni minimo appiglio, per vincere o per sperare in una stasi delle operazioni. Il discorso è lungo e non può trasformarsi in polemica.
NUOVO FRONTE N. 224 (2002) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
  
 
Marino Perissinotto UNA SOLA ERA LA VIA L’ultima battaglia del Sottotenente paracadutista Ubaldo Stefani
Aurora Edizioni - Casella Postale 4/2, 27049 Stradella (PV), Fax 0385/278819, Pag. 78 Euro 10,33. 2001.  35 illustrazioni
L'ultima battaglia del tenente paracadutista Ubaldo Stefani, volontario del Reggimento Arditi Paracadutisti "Folgore" della Repubblica Sociale sul fronte di Anzio-Nettuno. Stefani, ufficiale istruttore di reparti paracadutisti, viene destinato al fronte di Nettuno dove, nel primo giorno dell'offensiva generale contro la testa di ponte nemica, assume il comando di un plotone destinato a espugnare una munita posizione avversaria. 
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Con la breve narrazione che rievoca le vicende militari dei sottotenente Ubaldo Stefani, valoroso ufficiale paracadutista caduto combattendo contro gli anglo-americani sul fronte di Anzio-Nettuno, prende l'avvio una nuova collana, Italiani in guerra, dedicata alla figura del soldato italiano nella Seconda guerra mondiale, che si prefigge lo scopo di far conoscere alle nuove generazioni questi figli di unitala che non c'è più.
La collana che comprenderà una serie di agili volumetti incentrati sulle vivide testimonianze di combattenti talvolta noti e talora sconosciuti, ma tutti accomunati dal valore che ha contraddistinto la loro partecipazione al conflitto - intende tributare un doveroso omaggio al soldato italiano, il cui sacrificio, spesso oscuro, è stato purtroppo vanificato dalla ignominiosa resa senza condizioni dell'8 settembre 1943, giorno infausto che ha visto tra l'altro, come conseguenza, precipitare l'Italia nel baratro di una sanguinosa guerra civile, fermamente voluta da una fazione politica.  Ma il soldato, in quanto tale, è estraneo alla fazione, all'ideologia, perché il suo senso del dovere lo pone al servizio esclusivo della Nazione.  Egli è mosso da un sentimento trascendente, dall'amor di Patria, che affonda le radici nelle tradizioni del suo popolo e dall'attaccamento alla bandiera, che rappresenta il simbolo dell'unità nazionale.  E il tenente Ubaldo Stefani appartiene di diritto a questa schiera di combattenti, e incarna perfettamente il ruolo del soldato che per i suoi atti di valore in guerra, compiuti nell’adempimento del dovere, senza nulla chiedere e fino all'estremo sacrificio, assurge a dignità di eroe, nell'accezione più profonda del termine. 
Dalla copertina
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Con questo testo ha inizio la pubblicazione di una nuova collana, "Italiani in guerra’’, dedicata a diffondere la conoscenza del soldato italiano nella seconda guerra mondiale, affinché le nuove generazioni, spesso distratte da falsi profeti, abbiano cognizione dei sacrifici e delle sofferenze che affrontarono i loro nonni, in guerra, anteponendo i valori della Patria ad ogni altro interesse personale.
Il cieco odio ideologico ha fatto e fa di tutto perché il velo dell’oblio si stenda sugli uomini e sui fatti, in modo che nessuno sia indotto a riflessioni tali da sconvolgere "le vulgate resistenziali’’.
Di fronte a tanto valore quanto potrebbe resistere il mito di un popolo liberato dalla tirannide? Come si potrebbero proteggere gli assassini del Comintern e delle bande comuniste graziati da un’opportuna amnistia? Il Tenente Stefani è uno di quei ragazzi, cresciuti nel culto della Patria e dei valori di base di una società sana, nell’operosità e nel rispetto solidale per gli altri; ha offerto la vita per cancellare l’ignominia del disonorevole tradimento dell’8 settembre.
Ufficiale istruttore presso la Scuola Paracadutisti di Tarquinia non ha dubbi sulla scelta di campo ed è fra i primi ad aderire alla costituzione di Reparti volontari che hanno trovato immediato impiego contro l’invasore anglo americano che avanza dal Sud dell’Italia contrastato da esigue ma combattive formazioni germaniche.
Lo sbarco d’Anzio/Nettuno è l’occasione attesa. Il Battaglione Paracadutisti Nembo, in fase addestrativa a Spoleto, è immediatamente inviato al fronte per contrastare lo sbarco e si attesta nella paludosa pianura pontina.
Nel tentativo di ributtare a mare gli invasori i combattimenti sono feroci: nessuno vuol cedere ed ogni metro, difeso o preso, è pagato a caro prezzo. Il Tenente Stefani, al comando del suo plotone, non ha esitazioni, non manifesta cedimenti, è presente ovunque sia necessario il suo intervento e scompare nel turbinio di fuoco proprio nel tentativo di ricostituire i collegamenti con un Reparto vicino. La perdita è grave, ma è grande il Suo esempio e la Medaglia d’Argento sul Campo alla memoria attesta il sacrificio di un giovane italiano che non ebbe dubbi, concettualmente lontano dai sofismi della politica che altri presero per base per uccidere alle spalle altri italiani.
Questo testo non è solo rievo-cativo della figura del Ten. Stefani, ma ci offre la possibilità di percorrere, all’indietro, alcuni momenti della nostra storia, conoscendo più da vicino la fase storica attraversata dall’Italia dalla Prima Guerra Mondiale fino alle cupe giornate dello sbarco d’Anzio/Nettuno, con l’ausilio di numerose fotografie e cartine geografiche sullo schieramento dei Reparti impegnati al fronte.
La lettura diviene interessante fin dalla prima pagina, stimolando la voglia di conoscenza della storia negata e dai tanti quesiti che sono suscitati.
L’Autore merita un plauso per il Suo impegno nella diffusione dei fatti dimenticati dalla storia ufficiale.
NUOVO FRONTE N. 225 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
Grossi Enzo DAL "BARBARIGO" A DONGO
Editrice Aurora. 2001. VIA - pp. 80, 35 illustrazioni, euro 10,33
L'ultima battaglia del tenente paracadutista Ubaldo Stefani, volontario del Reggimento Arditi Paracadutisti "Folgore" della Repubblica Sociale sul fronte di Anzio-Nettuno. Stefani, ufficiale istruttore di reparti paracadutisti, viene destinato al fronte di Nettuno dove, nel primo giorno dell'offensiva generale contro la testa di ponte nemica, assume il comando di un plotone destinato a espugnare una munita posizione avversaria.
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«Questa è la storia di un soldato. Ve la narrerò da soldato, alla spiccia, senza commenti.  Il mio temperamento, e poi la somma delle mie esperienze, di guerra e di dopo guerra, vi preservano, dalla presunzione di darvi - attraverso il mio scarno racconto - una interpretazione morale o storica del tempo presente.
La morale, se vi aggradirà, la trarrete voi, a lettura conclusa: e giudicherete voi se io abbia fatto bene, dopo tanti anni, a prendere la decisione di raccontarvi me stesso. Vi assicuro che non mi ha spinto affatto la pretesa di poter fare di me stesso una specie di paradigma, e neppure il gusto del "memorialismo".  Mi sono deciso per un motivo di carattere personale che non ho nessuna difficoltà a manifestarvi: credo di avere il diritto, dopo dodici anni di diffamazione continuata ai miei danni, e ai danni degli uomini che hanno condiviso sul ßarbarigo il mio destino, di prendere la parola in prima persona e di ristabilire la verità».
Dalla copertina
Ludovico Galli Un Martire della Repubblica Sociale Italiana
Edito in proprio 2001. Richiedere a Lodovico Galli 25128 Brescia Via L. Pavoni 21 Tel. 030 304477 Euro 13.00 pag. 192
 
Ferruccio Spadini nacque a Mantova il 12 agosto 1895 da Renzo e Maria Baroni Ha una sorella.  La passione del calcio lo portò a far parte della squadra del "Mantova".  Studente universitario partecipò volontariamente alla 11 Guerra mondiale.  In quel tempo divenne amico anche di Gabriele D’Annunzio che lo defínì "compagno d'arme che per predestinazione eroica porta nel suo stesso nome l’acciaio ed il ferro".  Con gli uomini della "Mantova" si battè nel giugno 1918 sul Montello e sul Piave trasformatosi in quei giorni, causa le piogge diluviali, in un torrente in piena.  Gli austriaci, passati sulla destra del fiume sacro, si . aggrapparono alla riva in una situazione ormai disperata.  Il Comando Supremo italiano ordinò la controf¬ fensiva che iniziò proprio sul Montello.  Le brigate "Pisa", "Palermo", "Piacenza" nonchè la "Mantova" si batterono con onore sulle colline di Nervesa della Battaglia ridotte ormai in rovina.  Spadini, per il valore dimostrato sul Monte Solarolo il 15 giugno 1918, si meritò una medaglia d'argento.  Successivamente sempre sul Piave si guadagnò anche una croce di guerra al valore militare ed una al merito di guerra.  Dopo la vittoria di Vittorio Veneto ritornò a vita privata.
Si laureò in lettere e si diede all’insegnamento.  L'Istituto dei Gesuiti Arici di via Trieste a Brescia (oggi sede dell’Università Cattolica) lo vide professore; ebbe in tal modo l'opportunità di farsi stimare da docenti e studenti. Nel 1922 si sposò a Brescia con Guglielmina Varinelli, dalla quale avrà cinque figlio.  Giuliana, Giovanni, Rienzo, Giulio e Spartaco.  Per la conquista di "un posto al sole", nel 1935 partì nuovamente volontario con le Camicie Nere della 114 A Legione per l’Africa Orientale Italiana, trascinato da quell'ondata di patriottismo che coinvolse il nostro Paese.  Non va dimenticato, e qui gli storici sembrano d'accordo, che il possesso di quel territorio costituiva un contributo positivo alla soluzione della sovrappopolazione in Italia, che non trovava sbocco nel suo flusso migratorio anche per le restrizioni adottate dai tradizionali Paesi.  Amintore Fanfani così scriveva: "L'impero completa i doni materiali di cui la nostra nazione ha bisogno per difendere il suo patrimonio ideale, e di cui la natura dotò amaramente il suolo della Patria.  Per l'Italia l'impero non è un lusso.  E' il necessario completamento delle nostre possibilità.  Rinunziarvi significa il suicidio" Nelle prime ore del 27 febbraio 1936 iniziò la difficile e rischiosa scalata alla Amba Uork.  Le nostre truppe conquistarono in tal modo un baluardo sull'Aradam.  Qui Spadini si guadagnò una croce di guerra al v.m. Dopo la pausa africana ritornò all’insegnamento.  Ma per poco perchè nel 1940 scoppiò la guerra.  L'Albania fu la prima tappa.  Successivamente si trasferì in Slovenia al comando di una compagnia di mitraglieri incorporata nel 215 A battaglione "Nizza".  Si distinse in audaci e pericolose azioni lungo llsonzo.  Rientrò in Patria.  L'8 settembre 1943 lo colse a Brescia all’Ufficio matricola.
Aderì immediatamente alla Repubblica Sociale Italiana. Fu al comando di un battaglione della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) denominato O.P. (Ordine Pubblico) con sede in Castello, ed alle dirette dipendenze del Comando della XV Legione di Brescia.  Rifiutò la nomina a Questore di Cuneo in quanto contrario a cariche politiche.  Fu però nominato Maggiore ed è con questo grado che divenne responsabile dell’ordine pubblico in Valle Camonica dal luglio 1944, da Marone a Ponte di Legno. Si insediò con il suo ufficio a Breno.  Nel maggio 1945 si consegnò con i suoi uomini al C.L.N. di Fondo in Val di Non, nel Trentino.  Portato a Brescia subì un processo per collaborazionismo e per altre gravi imputazioni.  Con sentenza 20 agosto 1945 la Corte d’Assise Straordinaria di Brescia lo condannò alla pena di morte.  Ricorse contro la sentenza, ma la stessa venne confermata in data 24 settembre 1945 dalla Suprema Corte di Cassazione, sezione speciale di Milano.  L'esecuzione venne eseguita presso il poligono di Mompiano (Brescia) il 13 febbraio 1946.  La mamma per il dolore morirà dopo quattro giomi. Le ultime sue toccanti parole furono rivolte agli uomini del plotone: 'Io ho sempre fatto il mio dovere, ora voi fate il vostro. lo vi perdono.  Facciamo presto".  Morì gridando "Viva l’Italia".  Fu riabilitato il 22 aprile 1960 dalla Corte di Cassazione a seguito dell’accettazione di una istanza di revisione presentata dai familiari.  Riposa nel cimitero di Mantova.
Dopo la mia ultima fatica sul dramma di Manlio Candrilli, Questore di Brescia della R.S.I., non potevo non volgere la mia attenzione su un'altra tragica storia bresciana svoltasi in quei dolorosi anni di "guerra civile": quella che vide come protagonista il Prof.  Ferruccio Spadini, maggiore della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.).
Dalla Prefazione
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Le opere di Lodovico Galli sono numerose ed hanno la caratteristica dello scrupolo narrativo sempre suffragato da una vasta documentazione.
L’opera presentata ha un gran valore umano ed è la testimonianza di una tragedia che s’innesta tra le altre innumerevoli che furono freddamente determinate dall’odio comunista.
Il Professor Ferrini, uomo apprezzato per le qualità umane, valoroso soldato, incapace di arrecare male, equilibrato sotto ogni rapporto e sempre pronto a favore delle vittime, viene stritolato in un meccanismo infernale montato con destrezza da folli assassini.
Nell’esercizio delle sue funzioni, come responsabile dell’ordine pubblico in Val Camonica, si adoprò con ogni mezzo lecito per attenuare i disagi della popolazione stretta nelle morse del ribellismo e del banditismo.
Corse seri rischi pur di strappare condannati alla fucilazione e cercò sempre di mitigare le reazioni agli attacchi partigiani nel convincimento che non bisognava abbandonarsi all’odio cieco ed al modulo dell’occhio per occhio e dente per dente.
Nonostante le testimonianze a discarico, fu data importanza a quelle false o esagerate; Togliatti, pur interpellato da De Gasperi, negò ogni appello ed il 13 settembre 1946 Ferrini fu fucilato presso il poligono di Compiano. Il 22 aprile del 1960 a conclusione del processo di revisione, il Maggiore Ferrucci veniva assolto dai reati imputati per NON AVERLI COMMESSI. La giustizia partigiana può andare fiera dei suoi delitti.
Quanto brevemente accennato trova ampia informazione nel libro di Lodovico Galli che con precisione riporta le fasi dibattimentali del processo e della revisione.
Anche questo delitto è stato tolto dal pozzo buio dell’oblio di Stato.
Il testo è d’interesse avvincente.
NUOVO FRONTE N. 216 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
 
 
 
Autore: Autori vari LA LEGGENDA DI COZZARINI
Costo: € 2.58 (Lire: 5.000) Pag.: 18. A cura dell’Associazione Culturale "UNO DICEMBRE 1943’’ è stato ristampato il fascicolo su Rino Cozzarini, prima Medaglia d’Oro della RSI, pubblicato nel giugno 1944 per il Btg. Scuola Allievi Ufficiali della G.N.R. di Varese. Può essere richiesto all’Associazione alla Cas. Post. n. 6 - succursale n. 6 06127 Perugia Tel. 075.505.6674 E-mail: m250445@libero.it
Ai giovani italiani: prima che tutta la mia generazione raggiunga i coetanei che sono partiti per montare di guardia alle stelle, leggete questa fiaba, anzi questa che è ormai una leggenda. E' possibile che oggi molti di voi non la comprendano, ma conservatela ugualmente per rileggerla più avanti quando, più maturi, si risveglierà in voi il desiderio di conoscenza della nostra stirpe italica, delle nostre radici storiche. Allora noi non saremo più tra voi, ma da lassù, tra le stelle, potremo forse sorridere nel vedere che il nostro esempio non è stato vano, che la gioventù d'Italia si è resa degna di potersi gloriare di essere l'erede spirituale di una generazione che ha scritto in assoluto la più bella pagina della storia d'Italia.
La leggenda del Capt. RINO COZZARINI è anche la storia di altri centomila giovani italiani che ebbero il suo stesso destino: Lui ebbe solamente il privilegio di essere il primo Caduto e la prima Medaglia d'oro al valor militare di un Esercito che non volte accettare una sconfitta disonorevole. E quando l'ultimo di noi avrà raggiunto gli altri, rivolgete uno sguardo al Cielo: 800 mila brillanti stelle - tanti furono i giovanissimi volontari di quell'irripetibile epopea italica - montano di guardia a questa terra consacrata dal sangue di Rino Cozzarini e dagli alti centomila caduti che lo seguirono sulla via dell'onore.
Angelo Faccia - Div. ETNA/GNR - Presidente dell'Associazione culturale "uno dicembre1943" 
Pierangelo Maurizio e Mario Spataro AFFIDARONO AI TEDESCHI IL LAVORO PIÙ SPORCO. Come i comunisti si liberarono dei loro concorrenti nella corsa al potere. 1944: Rasella – Ardeatine e Bruno Buozzi prefazione di Pucci Cipriani
 
Controrivoluzione organo ufficiale dell’anti 89 Bimestrale Piazza Martiri 10 Borgo San Lorenzo 50032 Firenze Tel. 055 8459182
Trentadue pagine di accuse nei confronti del partito comunista per la strage di via Rasella e delle conseguenti fucilazioni d’innocenti alle Fosse Ardeatine.
Altre volte sono apparse delle pubblicazioni inerenti le stragi menzionate, ma questa ha il pregio di essere più incisiva.
Quando avvenne l’atto terroristico in via Rasella lo scrivente era a Roma e ricorda perfettamente i manifesti che minacciavano la rappresaglia ed i ripetuti appelli alla radio perché gli autori si presentassero al Comando di polizia.
Ogni invito fu inascoltato e la conseguenza fu la feroce rappresaglia che coinvolse reclusi politici e comuni.
Mistero, nel mistero; nella lista sottoposta a continui rimaneggiamenti furono cancellati i nomi degli appartenenti al partito comunista, sostituiti con altri appartenenti a fazioni comuniste dissidenti dal partito e con prigionieri politici che mai si erano dedicati al terrorismo. In seguito a tali eventi il Commissario di P.S. Raffaele Alianello, il "rimaneggiatore’’ meritò, come premio, una splendida carriera fino al grado di Prefetto mentre altri, come Carretta e Caruso, furono barbaramente uccisi al momento dell’occupazione di Roma. Fu così che i comunisti ebbero campo libero nella Resistenza romana ottenendo la possibilità di manovrare ogni forma di terrore per inasprire gli animi fino all’odio ed alle repressioni. Ancora oggi scontiamo questa tattica criminale.
Sulla morte di Bruno Buozzi permangono molte incertezza considerando che lo stesso, sindacalista socialista di specchiata onestà, era inviso ai comunisti che lo accusarono di "putrido riformismo’’ per le opinioni espresse sulle riforme delle leggi sindacali fasciste, la Carta del lavoro e le norme contrattuali.
È la stessa tattica delle Brigate Rosse che uccidono chi osa migliorare le condizioni di vita e di lavoro degli italiani.
NUOVO FRONTE N. 218 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
Salvatore Macca BOCCONI AVVELENATI E ALTRO. Contro l’antifascismo perenne
Cannizzaro Editore Corso Umberto In. 98 Modica (Ragusa) Tel. 0932/941462 Fax 0932/754291 Pag. 176 Euro 14,46
Salvatore Macca, Magistrato, Presidente della Corte d’Appello di Brescia dal 1994 al 1996, ha servito la RSI nei ranghi dell’Aeronautica Repubblicana, è poeta e scrittore.
Non manca certo il coraggio all’Autore del testo presentato ed il Suo passato gli consente un’adeguata analisi degli uomini e dei fatti.
Attento osservatore, pone il dito sulle discrasie che connotano la nostra società, che si nutre, a giorni alterni, di pane ed antifascismo.
Ironico, come solo i siciliani sanno essere, coglie l’essenza dell’argomento e lo sviscera con logica stringente, strappando un sorriso anche se sarebbe più opportuna la rabbia.
Il libro è dedicato a Carmelo Borg Pisani, italiano di Malta, Medaglia d’Oro al Valor Militare, impiccato dagli inglesi, dimenticato dagli italiani, simbolo dell’evoluzione negativa del popolo italiano bombardato da massicce dosi di antifascismo.
Programmi televisivi, avvenimenti politici, personaggi legati alla greppia, fatti di cronaca, mode e costumi, sono il campo d’osservazione dal quale emerge una società squallida, priva di valori e senza ideali.
Il porre in evidenza il malcostume, l’ipocrisia, la prepotenza è come cospargere il terreno di trappole e veleno per abbattere, come topi, tutti quelli che sono annidati nel corpo della società, come parassiti, sempre per il Movimento Sociale Italiano.
Il primo capitolo è dedicato alle sette versioni di "Giovinezza’’, da inno degli studenti a quello degli Arditi, da primo inno fascista fino alla versione della RSI.
Il Cap. II va dall’Antemarcia al Regime (ben trentotto testi) mentre il terzo comprende trentasei inni del Regime. Il Cap. IV è dedicato alla Campagna d’Etiopia, il V alla guerra civile spagnola, ed il VI, con sessantasei canzoni, alla seconda guerra mondiale.
Il VII Capitolo, con quarantanove canzoni, ci propone i testi della RSI, del dopoguerra e post fascismo.
Le canzoni, gli inni, raccontano la storia di un popolo, sono la "fotografia’’ canora della storia perché enunciano il coinvolgimento del cuore e della mente dei soggetti che partecipano agli eventi. In questi anni di "tirare a campare’’, con l’unica preoccupazione di far cassetta, non è nato un inno dedicato alla Patria, ai doveri, ai valori, all’unione fra gli italiani, ma canzonette insulse prive di riferimenti all’attualità.
Lo stesso Inno Nazionale incontra grandi difficoltà nell’essere cantato nelle opportune occasioni, segno di una metodica distruzione di tutto ciò che può essere un riferimento comune che doni agli Italiani l’orgoglio d’essere tali.
La scuola, certamente per ordini ricevuti, ha cancellato la Patria dal cuore dei ragazzi, sostituendola con massicce dosi di pacifismo imbelle e di retorica universalistica.
Torniamo alle canzoni, rileggiamole con una vena di nostalgia per il tempo passato, anche se non più proponibile, nei modi che furono. Il testo presentato è un contributo alla storia, alla verità storica e merita attenzione da parte di chi vuole conoscere il passato.
pronti a ricorrere alle benemerenze antifasciste d’oscura origine.
Quarantasei brevi capitoli sono altrettanti quadretti nei quali si fissano le immagini dei processi in corso, le fesserie dei vari telegiornali, le ipocrisie di regime, la morte di Craxi e le apologie ipocrite di chi prima lo aveva distrutto, i comunistelli di Mediaset, Haider, D’Alema, la questione del latte, quella dell’Olocausto, le profezie di Fatima, l’utero in affitto .. ecc… ecc.
Insomma, tutti quegli argomenti ai quali ormai guardiamo con fastidio e distacco e che, invece, dovrebbero essere oggetto di rilancio per inchiodare gli autori sul muro delle sciocchezze dette e commentate.
L’ironia è l’arma migliore per combattere chi esercita il potere tramite la menzogna. Si raccomanda questo testo a chi vuole una conferma del proprio buonsenso.
NUOVO FRONTE N. 222 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
 
 
 
Istituto di Studi Storici Economici e Sociali FOIBE La storia in cammino verso la verità Atti del convegno di studi storici tenutosi a Napoli il 28 gennaio 2001
I.S.S.E.S. - Via S. Rosa, 299, 80135 Napoli, Tel. 081/5495081 - 680755, E-mail: isses@libero.it, www.isses.it, Pag. 143
 
Vorrei qui ricordare una città italiana che si snoda lungo l'arco di un golfo stupendo con un porto tra i migliori dell'Adriatico.  Nell'antichità era stata roccaforte degli illirici e poi città romana di cui restano rovine grandiose. Veneta dal 1334 alla fine della Serenissima Repubblica. Nel 1938 aveva 42.000 abitanti ed era capitale di una provincia di 3.700 kmq con 41 comuni e 294.000 abitanti. ..Sto parlando di Pola.. ora perduta. E ricordiamo pure che la tragedia  della guerra ci ha strappato Fiume, porto importantissimo e 13 comuni della sua piccola provincia che aveva, sempre nel 1938, 103.000 abitanti appassionatamente italiani; e Zara, antica colonia romana, veneziana dal 1202 che contava con il suo piccolo territorio 22.000 abitanti; ed anche 27 dei 30 comuni della provincia di Trieste e 37 dei 42 della provincia di Gorizia. Il trattato di pace di Parigi del 1947 ci costò gravi sacrifici territoriali, quasi tutti sul confine orientale. Nei libri di storia questo è scritto anche se ci viene presentato come il prezzo che abbiamo dovuto pagare alla sconfitta nella guerra voluta dal Fascismo. Quello che non viene detto è che questo duro trattamento fu inflitto nonostante che l'Italia avesse  abbandonato la guerra con la Germania e avesse pagato questo suo cambio di alleanza con una lunga e sanguinosa guerra civile. Portare le armi contro i Tedeschi ci è costato, secondo quanto dichiarano le cifre ufficiali, migliaia di caduti tra le Forze Armate regolari del Sud e tra i partigiani. Di questo contributo di sangue che viene continuamente enfatizzato e posto a fondamento dei valori della nuova repubblica nata dalla resistenza, le potenze vincitrici non tennero alcun conto malgrado le promesse fatte all'Italia di Badoglio. Sul confine orientale con la resa incondizionata dell' 8 settembre si sono  avute migliaia di vittime subito dopo l'armistizio: gli infoibati della prima invasione dell'Istria. Successivamente gli aerei  della Aeronautica del Sud paracadutarono imponenti forniture di armi ai partigiani di Tito. Tito stesso fu curato in un nostro ospedale militare in Puglia e tanti dei suoi uomini sconfitti e in fuga furono accolti, riorganizzati e riportati in Dalmazia dalla Marina del Sud. A che cosa è servita la resa incondizionata?  Il "díktat" porò all’Italia solo ulteriori lutti e mutilazioni. Quello che scandalosamente non viene evidenziato nei libri di storia che vanno nelle mani dei nostri giovani è che la dolorosa cessione territoriale fu voluta ed imposta alle potenze vincitrici dal partito comunista italiano e dai suoi alleati all'epoca proni ai voleri di Stalin I comunisti avevano combattuto insieme alle forze armate di Tito conducendo una guerra, tutta loro. Avendo persino scontri cruenti con le altre formazioni partigiane italiane non di osservanza sovietica.    All’inizio del 1944 il CLN dell'Alta Italia aveva deciso di accantonare i problemi del confine orientale.  Ma nel corso di quell'anno il rappresentante del PC Vincenzo Bianco si era sempre più schierato su posizioni filoslave. A Trieste, Gorizia e Monfalcone il PCI uscì addirittura dal CLN locale. Togliatti incontrò il 13 ottobre 44 a Bari Kardelj, responsabile del partito comunista sloveno, concordando ufficialmente che "su tutte le regioni giuliane deve essere organizzato un potere popolare" e "questo vale soprattutto per la città di Trieste". In pratica Togliatti ipotizzava la consegna di tutta la Venezia Giulia fino all'Isonzo. Un altro fatto gravissimo è stato accuratamente tenuto nascosto alle giovani generazioni, il vero, reale genocidio che è stato perpetrato verso gli oltre trecentocinquantamila italiani che abitavano da secoli la Venezia Giulia e la Dalmazia in totale spregio del conclamato diritto di autodeterminazione dei popoli. Per accontentare il feroce dittatore rosso Stalin che voleva affacciarsi sul Mediterraneo una intera popolazione ha dovuto abbandonare le case e le terre che abitava da mille anni e, cosa che dovrebbe gridare ancora vendetta, questo esodo biblico è avvenuto Nel terrore lasciando dietro di se una scia di sangue di diecine e diecine di migliaia di morti che hanno riempito le foibe dell’altopiano carsico. Morti italiani, morti civili, morti a guerra finita, uccisi solo per obbedire al disegno criminale del comunismo.   E fino ad oggi L’intellighentia di sinistra e i mass media, quelli pronti a commuoversi per i diritti umani violati magari nel Sahara Occidentale, non hanno detto una sola parola. I politici italiani succubi delle sinistre hanno taciuto. Gli stessi profughi hanno rappresentato un peso di cui bisognava quasi vergognarsi. ora con il crollo dei regimi comunisti, ma non del castello di menzogne e di falsità messo in piedi in un sessantennio, qualcosa si deve muovere. Noi siamo qui a Napoli per contribuire, con questo convegno, alla verità storica e alla doverosa pietà verso le diecine di migliaia di nostri connazionali morti nelle foibe con inimmaginabile barbarie solo per essere italiani. Il dramma dell'esodo ha avuto un solo momento di tragica ribellione. Una donna, una ausiliaria della RSI, colpì a morte a Pola il generale inglese che consegnava la città ai titini. Siamo qui anche per rendere onore a Maria Pasquinelli che interpretò il senso di ribellione degli italiani di allora contro l'assurdo diktat.   Uccio de Santis Presidente dell'ISSES
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Sedici relatori si sono alternati per riportare alla memoria le nefandezze dei partigiani di Tito. Attraverso la presentazione e le relazioni suffragate da testimonianze, il lettore riceve sufficienti informazioni per capire la tragedia che ha investito i nostri fratelli istriani e dalmati.
Cinquant’anni di cultura di sinistra, imbelle ma forte con i deboli ed i perseguitati, sono stati sufficienti per cancellare dalla memoria nazionale la tragedia degli istriani e dei dalmati, i migliori italiani fra gli italiani, i quali hanno sofferto, oltre alle foibe, una serie di persecuzioni che li costrinsero ad abbandonare casa ed averi sperando in un’Italia che si dimostrò matrigna.
La propaganda e l’occultamento sono stati tanto efficaci da oscurare le menti fino al delirio storico. Un giovane dirigente comunista, intervistato sull’argomento, ha liquidato la Storia rispondendo che l’Istria e la Dalmazia non sono mai state italiane giacché ci furono date come grazioso dono per la nostra partecipazione alla prima guerra mondiale (seicentomila morti), che la reazione slava fu giusta perché avevamo sottratto loro delle terre, che la diaspora era una normale opera di riequilibrio (infatti, Tito li sostituì con i montenegrini!) e che in fin dei conti su quelle terre vi erano ancora degli italiani, perciò è da presupporre, che l’esodo non fosse coatto ma volontario.
Il nostro giovane esemplare trinariciuto non conosce evidentemente la storia di quelle terre, non capisce perché si parli un dialetto latino, non sa spiegarsi perché ogni pietra parli di Venezia e perché vi fu sempre il desiderio di ricongiungimento alla Madre Patria: non sa spiegarsi perché gli slavi, che provengono dalle sterminate pianure dell’est, siano stati bloccati all’interno delle nostre terre istriane e dalmate.
Tornando al testo presentato, è opportuno che sia divulgato, per rispondere ai falsificatori della storia, che giocano sul passare del tempo e sull’estinzione dei testimoni.
Si capiranno le foibe, si apprezzeranno gli italiani istriani e dalmati, si conoscerà la barbarie slava, si capirà il gran disegno comunista e, finalmente, quanto fecero i Soldati della RSI in difesa di quelle terre martiri. Maria Pasquinelli riemerge dalle nebbie del passato per il Suo amore di Patria, giungendo all’uccisione del Generale inglese Robin De Winton rappresentante dei Quattro Grandi. I campi di sterminio di Tito, la complicità di Togliatti con lo stesso Tito e la concessione di pensioni agli infoibatori completano un quadro di pulizia etnica appoggiata dai comunisti italiani.
NUOVO FRONTE N. 227 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
I CADUTI DELLA RSI CUNEO E PROVINCIA a cura di Emilio Scarone e Ernesto Zuccoli
Associazione Amici di Frà Ginepro e NovAntico Editrice, 2001. NovAntico Editore C.P. 28 10064 Pinerolo (Torino) Tel. 335 5655208 Fax 0121 71977 Segreteria telefonica 0121 74417 Pag. 512 Euro 27,00
 
Una nuova fatica degli Autori per ricomporre il mosaico delle vittime del terrorismo che tanti lutti ha provocato in Italia negli anni della Repubblica Sociale Italiana.
Furono colpite migliaia di persone nei modi più vigliacchi, fuori di ogni logica di guerra combattuta a viso aperto. Di molti non si trovarono neanche i miseri resti a supremo spregio e vilipendio, con lo scopo dichiarato di portare terrore e morte. Il testo presentato offre, all’umana pietà, oltre milleseicento nomi di persone appartenenti a tutte le età, di ogni condizione sociale, donne ed uomini, militari e borghesi rei solo di offrire la loro adesione alla RSI.
Forse, molti di loro non erano neanche fascisti, oppure avevano dato la propria adesione per le tante circostanze che la vita impone, altri aderivano per patriottismo, per un dovere morale sentito nel profondo dell’animo. Non meritavano di essere barbaramente assassinati solo per aprire la strada al comunismo! Gran merito, dunque, agli Autori ed alla Casa Editrice, per avere riportato alla luce tanti fatti che, a ragione, sono gli antefatti delle tante nefandezze delle Brigate rosse di oggi. Stessi metodi, stessa vigliaccheria, stesse ragioni. La pubblicazione non è un arido elenco ma un documento che racchiude un’ampia raccolta di testimonianze dell’epoca e ove i fatti assumono la concretezza del momento, non c’è l’affidamento alla memoria personale non sempre precisa o obiettiva.
Chi ha conosciuto quei tempi li rivive e prova emozioni che si credevano dimenticate, ricorda esperienze personali, l’isolamento, la temporaneità delle decisioni ed il rammarico di vedere l’Italia martirizzata. Per chi, invece, non ha avuto modo di conoscere il passato, il testo presentato fornirà un valido sostegno per raggiungere quella verità occultata per oltre mezzo secolo.
Il libro è corredato di dati riguardanti le vittime delle quali, in molti casi, riporta le fotografie agevolando l’opera di riconoscimento, e con il riporto di molti articoli di giornale, inquadra perfettamente le modalità delle uccisioni.
E’ un testo che farà riflettere il lettore anche per quanto riguarda il presente momento storico.
NUOVO FRONTE N. 218 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
MUSSOLINI E L'INNOCENTE I cinque incontri inediti del Capo della Repubblica Sociale nel ricordo dell'Ufficiale de "L'appello al Duce" oggi Fratel Renato dell'Ordine Francescano Emilio Cavaterra
Edizioni Bietti Corso Magenta 25 – 25121 Brescia Sito Internet: www.bietti.it Pag. 161 euro 11,00
 
Dalla copertina:  Un giovane allievo ufficiale, Renato Moretti contesta il Capo della Repubblica Sociale con un articolo dal titolo: "Appello al Duce" seguito da un secondo dal titolo ancor più categorico di "Riappello al Duce" pubblicati dal settimanale "Viva l'Italia" nel 1944.  Chiamato a discolparsi personalmente davanti al capo del fascismo si trova ad essere non solo "perdonato" ma a diventare protagonista ed interlocutore di ben cinque incontri riservatissimi con Mussolini, durante l'ultimo conclusivo tragico periodo della storia del fascismo e del suo leader.
Dopo la guerra, l'ufficiale della Guardia Repubblicana, Renato Moretti, diventò: Fratel Renato della Resurrezione ne, frate francescano.  Solo ora, Fratel Renato, ha deciso di affidare la sua testimonianza allo scrittore e storico Emilio Cavaterra, per consentire la divulgazione di ciò che seppe in quei colloqui, di cui Cavaterra ha ritrovato le più precise concerne documentali.
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Di Mussolini non è stato ancora detto tutto. La Sua capacità d’intervento nella politica interna ed estera, i mutamenti epocali di cui è stato protagonista, la volontà di volere solo ed esclusivamente il bene del popolo italiano, per proporlo alla ribalta del mondo come un popolo creatore, forte nel carattere e deciso nell’azione, sovvertendo ogni giudizio negativo od offensivo, hanno fatto trascurare l’analisi di Mussolini uomo, il Suo rapporto con il trascendente e con gli uomini che con Lui collaboravano.
Il testo presentato pone in evidenza un Mussolini "solo’’, desideroso di aprirsi con persona, non legata agli interessi personali, alla quale manifestare i dubbi e le certezze frutto di una vita intensa, piena di grandi passioni, costruita giorno per giorno inseguendo o creando gli avvenimenti che divennero Storia.
Ancora oggi, dopo cinquantasette anni dalla barbara esecuzione, il nome di Mussolini suscita forti sentimenti.
Il 25 luglio segnò la fine di una classe politica che aveva trovato nel Fascismo, ponendo da parte i puri ed i credenti, la possibilità di ottenere favori e prebende salvo poi demolire il Partito con la corruzione e le false attestazioni di fedeltà. L’8 settembre vede ancora alcuni di questi elementi, riproporsi suscitando la reazione dei giovani che volevano un nuovo Fascismo ed un nuovo Stato, che riscattasse l’Italia dal tradimento dei Savoia con il combattimento e, successivamente, ponesse in essere le riforme sociali tornando al primo Fascismo.
Ricordo bene quei giorni di fuoco e di passione che vedevano i giovani accorrere senza remore e riflessioni sul futuro personale, al richiamo della purezza, con l’innocenza dei sentimenti più puri.
Un gerarca quarantenne, privo di un vero passato da combattente, era già in odore di sospetto interesse personale nella sua adesione alla Repubblica Sociale. In effetti non erano pochi quelli che barcamenandosi con i tedeschi, gli industriali ed altri centri di potere cercavano di trarre profitto dalla situazione.
Il Sottotenente Moretti, della Guardia Nazionale Repubblicana, è uno di questi giovani che non accettano compromessi con il passato. Lo scrive in un articolo dal titolo "Appello al Duce’’ e ribadisce le sue contestazioni in un secondo articolo "Riappello al Duce’’ "pubblicati dal settimanale’’ "Viva l’Italia’’ nel 1944.
Mussolini lo convoca, ascolta quanto Moretti gli dice, e l’invita a presentare un promemoria scritto con i nomi ed i dati riguardanti gli "infedeli’’ maneggioni del Regime.
A questo primo incontro ne seguiranno altri quattro, pieni di spunti interessanti, per avere del Duce un quadro completo della Sua spiritualità e della Sua visione del "dopo’’.
Lo storico De Felice si dimostrò interessato a questa vicenda avendo ritrovato, nell’Archivio di Stato, traccia di questi incontri ma, solo oggi, l’Ufficiale della G.N.R. (ora Fratel Renato della Resurrezione, frate francescano), ha affidato ad Emilio Cavaterra la sua testimonianza consentendone la divulgazione.
Nel testo, oltre ai cinque colloqui, sono riportati il memoriale consegnato a Mussolini, le vicende del famoso carteggio MussoliniChurchill, alcune ipotesi sul carteggio antimassonico del Ministro Preziosi ed il discorso di Mussolini ai giovani Ufficiali della Guardia nel 1945.
Emilio Cavaterra, Ufficiale nella RSI, come giornalista e scrittore è stato collaboratore dalla RAI, di Radio Montecarlo e di quotidiani esteri. Ha scritto oltre venticinque libri di saggistica, di biografia e storia.
Nel 1996 ha ricevuto il "premio della Cultura’’ della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nel 1999 gli è stata assegnata "La penna d’oro’’ del Premio Nazionale "Cultura nel Giornalismo’’. È accreditato ufficialmente presso la sala stampa della Santa Sede come esperto di questioni Vaticane. Questo libro è molto interessante e sfaterà numerose leggende.
NUOVO FRONTE N. 221 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
 
 
Franchini Milena AUSILIARIA VIENI FUORI
Il fiorino per Centro Documentazione Donna 2001 
 
Dalla copertina: Una delle zone d'ombra nella storia delle donne modenesi è costituita dalle donne che credettero nella Repubblica di Salò (Repubblica Sociale Italiana) e s’impegnarono attivamente per il suo successo.  Alcune si arruolarono nel S.A.F (Servizio Ausiliario Femminile) un corpo militare composto interamente da donne, organizzato secondo l’ordine gerarchico militare, altre s’impegnarono "a latere" o con l'esercito tedesco o come semplici collaboratrici civili.  Si tratta comunque di un numero esiguo di donne, tra cui spicca per la forte personalità Stella Sace Steffenino, prima comandante del S.A.F. di Modena.
Un aspetto della ricerca particolarmente stimolante è stato quello di scorgere, dove fosse possibile, tratti di autonomia e di affermazione di sè, quali elementi di promozione della posizione della donna nella società italiana, attraverso la storia di alcune delle protagoniste.
Questo studio è un primo . ma approccio allargamento, estremamente arduo da indagare per la scarsa documentazione reperibile e per le resistenze che negli anni quel mondo ha costruito intorno a sé.
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Cyberamanuense Telemaco: L'autrice Milena Franchini, Insegnante di Lettere per molti anni all'istituto Tecnico Industriale Provinciale 'E.  Fermi' di Modena, nata e sempre vissuta a Modena, ha prestato il suo impegno nell'UDI (Unione Donne Italiane) associazione notoriamente vicina al PCI (del dopo non sappiamo). E' socio fondatrice dei Centro Documentazione Donna e attualmente si dedica alla ricerca storica.
Fa piacere vedere uno studio, condotto con professionalità e alieno dalle denigrazioni gratuite del passato tipiche dell'ambiente paracomunista. Che sia finita l'epoca della demonizzazione dei "fascisti manutengoli dei capitalisti"? Che stia per iniziare quella, già subdorata dal mangiafascisti Canfora (vedi lettera al Corriere della Sera del 20 Maggio 2003: Fratelli in Camicia nera). Certamente il libro della Franchini ha superato il concetto delle "ausiliarie puttane dei fascisti" e forse comincia a intravedere delle "Sorelle in Camicia nera".
In ogni caso è forse il primo studio sulle ausiliarie SAF della "controparte". Del resto fino a qualche anno fa il solito silenzio di tomba delle allegre compagini culturalresistenziali. A titolo di aneddoto riportiamo qui una lettera invano inviata al settimanale Gente nel 1996, da un nostro conoscente.
"Alla gentile S.ra Antonella Cimagalli, c/o Redazione di GENTE, Viale Sarca 235, 20126 MILANO.
Gentile Signora, tra un turno di lavoro e l'altro mi è capitato di leggere, su di un numero di Gennaio (?) di Gente una sua intervista ad una signora ormai anziana che aveva preso parte ad un  nucleo di forze ausiliarie femminili integrato nelle forze armate italiane che collaboravano con le forze anglo-americane.  Tale intervista voleva essere un contributo di ricerca storica al riguardo di "precedenti" sul tema delle donne nell'esercito, in occasione del recente esperimento fatto in Italia.  Mi sembra anche di ricordare, non ho più sottomano la rivista, che tale esempio fu molto limitato (100, 200 elementi?). Mi è capitato di recente di trovare in librerìa la pubblicazione che le accludo. Perchè non parlare anche di questo esempio non episodico e, come lei constaterà, ben più consistente che fu prerogativa dell'esercito italiano del Nord e che è molto più presente alla memoria dei più anziani per la più vasta consistenza che ebbe (10.000 elementi, etc...)?  Esiste persino una associazione di queste ex-ausiliarie che lei forse potrà contattare personalmente chiedendone informazioni presso la Unione nazionale combattenti RSI.
Certo di averle dato un contributo ed uno spunto per la sua attività giornalistica, le invio un saluto ed augurio di buon lavoro".
Avrebbe potuto la Cimagalli essere la prima donna, non di parte fascista, a impegnarsi professionalmente nella ricerca implicitamente suggerita nella lettera. Ma la sventurata non rispose...
QUATTROMILA STUDENTI ALLA GUERRA Emilio Cavaterra
Editore Settimo Sigillo, Nuova edizione 2001
La storia, Corso per Corso, di come furono addestrati i 4000 studenti che volontariamente accorsero per diventare Ufficiali nella GNR. Cambiamenti successivi determinarono, a fine Corso, il loro inserimento come Ufficiali nelle varie altre Unità. Dove portarono l'umanità, la serietà e il proprio amor di Patria. Così come nel dopo guerra contribuirono alla rinascita della Patria lavorando silenziosamente e discretamente al loro posto. 
Peirano Liliana RAGAZZI: PRESENTE. INTEGRAZIONE. PRIMO
2001 RA.RA tel. e fax 0174/567453 L. 30.000 ( e 15,49)
 
Cyberamanuense Telemaco: Trattasi di un primo volume (un secondo pare promesso) di integrazione al primo libro scritto dalla coraggiosa Liliana Peirano. Il primo libro, stesso titolo, uscì nel 1998 e ne potete trovare la recensione nell'anno corrispondente e brani nella antologia di www.italia-rsi.org.
Questo secondo libro continua al solito con precisa documentazione, quasi un microfono asettico che viene porto a superstiti e testimoni. Otterrà di sicuro l'effetto del primo: togliere la maschera agli "eroici" episodi pseudoresistenziali del cuneense restituendoli alla realtà vile e sanguinosa. E certamente come per il primo volume si faran vivi con le solite minacce anonime i maschietti sedicenti partigiani.
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L’Autrice aveva già scritto sulle angherie partigiane nei confronti dei giovani soldati della RSI operanti nella zona di Cuneo e, con la pubblicazione presentata, integra la conoscenza doverosa del martirio al quale tanti giovani, puri nell’animo, furono sottoposti.
Quanto riportato nel testo è frutto di lunghe ricerche, svolte in ambiente ostile, per poter dare un volto alla verità ed una cristiana sepoltura ai figli a conforto del pianto delle madri.
Sono migliaia le salme dei Caduti che non sono state ritrovate, vittime di un odio che non trova confini, sepolte sotto pochi centimetri di terra o gettate nei dirupi o nelle acque vorticose.
Liliana Peirano ha subìto tremende minacce per la Sua opera pietosa: i mostri non permettono che qualcuno ricordi e riaffermi che quella fu barbarie.
Fotografie, documenti vari e cartine rendono tangibile ed evidente ciò che era condannato all’oblìo ed alla falsità. I racconti sono suffragati anche da testimonianze partigiane.
Come risulta dalle relazioni d’archivio, fedelmente riportate, appare sempre più evidente la manipolazione della verità.
Il combattimento di Sommariva Perno e la fucilazione dei Marò superstiti, la tragica fine di un giovane partigiano che si rifiutò di far parte del plotone d’esecuzione, la canagliesca lettera di Togliatti con la quale comunicava a Vincenzo Bianco l’indisponibilità ad intervenire a favore dei prigionieri italiani in Russia perché il popolo italiano meritava un castigo (un castigo tremendo che servisse da antidoto), gli episodi di violenza descritti ci riportano indietro nel tempo e ci rafforzano nella decisione di divulgare la verità come pegno doveroso nei confronti di chi non ha avuto il tempo di capire quale fosse la parte giusta e quella sbagliata, come hanno potuto fare tanti altri.
Questo libro è consigliato particolarmente ai giovani perché comprendano quanto male è stato fatto a chi ha creduto nella Patria.
NUOVO FRONTE N. 217 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
 
 

AA.VV. PIACENZA NELLA RSI (con elenco dei Caduti Militari e Civili)
Biga Alata. 2001 Euro 10,00, Pagine 217.
Questo il titolo del libro, edito dalla Biga Alata, ma curato dalla comunità antagonista (fino ad un anno fa costituente la Federazione provinciale della Fiamma Tricolore) di Piacenza. Il libro è formato in buona parte da un carteggio redatto dal piacentino Mario Pavesi, prima della sua scomparsa avvenuta il 15/12/74, in cui sono raccolti nomi, date e circostanze dei caduti, militari e civili, della Repubblica Sociale Italiana, uccisi nel piacentino o originari della città emiliana e morti in altre parti d’Italia durante la guerra civile 43/45. A questo carteggio è stata anteposta un presentazione, alcuni cenni storici generali, e diversi approfondimenti, sempre di tipo storico, pertinenti a quegli anni e ai fatti accaduti in provincia di Piacenza. Si tratta nella buona sostanza di un contributo notevole alla storia locale scritta fino ad oggi con l’esclusivo angolo visuale della resistenza. 
CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEL LIBRO 
1) Dopo 50 anni è la prima volta che viene pubblicato un libro non di fonte resistenziale a Piacenza. 
2) Contiene un elenco dettagliato di buona parte dei caduti della Repubblica Sociale Italiana. Caduti di cui in maniera dignitosa mai nessuno aveva finora parlato. 
3) Esamina la storia della guerra civile nel piacentino con un diverso approccio e con un non convenzionale punto di vista. 
4) Nasce da un serrato dibattito sviluppatosi sulla stampa locale tra il maggio del 97 e dicembre 98, quando ci fu un convegno nella sala della Provincia di Piacenza. In quella circostanza fu annunciata la futura pubblicazione del libro stesso. 
Il libro, stampato in 1300 copie e presentato il 15 dicembre scorso, è quasi esaurito. Per l’acquisto del libro potete contattare: E-mail: MD5834@mclink.it
Da http://www.venetofronteskinheads.org/libri.htm 
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Questo testo è dettato dalla passione e dal desiderio di fare storia locale per portare un contributo alla Storia della RSI nel contesto nazionale.
Ormai dalla fine della guerra sono passati cinquantotto anni, ma gli avvenimenti di quei giorni bruciano ancora nelle carni e nell’anima di chi li ha vissuti.
I giovani di allora sono ormai vecchi eppure non si rassegnano alla verità negata. Combattono ancora con gli scritti e la parola per lacerare la coltre d’odio e di menzogne che con il terrore prima e la disinformazione, successivamente, è stata stesa sulla loro storia fatta d’amore per la Patria ed intrisa di sangue fraterno.
Il termine "fascista’’ è divenuto un dispregiativo, sinonimo di violenza e di prepotenza, di non rispetto per gli altri, di mancanza di senso sociale.
Eppure, una volta, il termine indicava una persona coraggiosa, pronta al sacrificio per gli altri, con forte senso sociale che si sublimava nell’amore per l’Italia e tutto ciò che la rappresentava.
Andiamo oltre. Testi come quello presentato hanno il gran dono della semplicità narrativa, in grado di destare grande interesse nel lettore che senz’altro si porrà degli interrogativi sul perché e come è nata la guerra civile che tanti lutti e guasti ha portato nella nostra società.
L’8 settembre giunse come un fulmine a cielo sereno. Le province italiane, dapprima attonite, subito si resero conto del disfacimento dell’Esercito rappresentato da torme di soldati abbandonati a se stessi, ingannati da un "tutti a casa’’ che si tramutò ben presto in prigionia, mitragliamenti, stenti e fame.
I cittadini assistettero increduli al disarmo dell’Esercito da parte di pochi e decisi tedeschi che rispondevano ad un piano preciso ed efficiente. La vergognosa fuga del Re pose il sigillo definitivo al disonore, al tradimento della parola data solo poche ore prima all’alleato tedesco di continuare la guerra al suo fianco.
Si formarono comitati di chiacchieroni subito messi a tacere da parte dei fascisti che si mobilitarono per ricostruire ciò che era possibile. Anche i comunisti, supportati dai fuorusciti addestrati dalla Russia, presero ad organizzarsi per portare lutti e devastazioni. Iniziarono i primi attentati omicidi per indurre alla rappresaglia coinvolgendo le popolazioni inermi. Fu uno stillicidio i cui risultati sono riportati, nel testo, con tanto di nome e cognome. Anche la provincia fu funestata da "banditi’’ dediti a furti e grassazioni che impegnarono il ricorso ad azioni di rastrellamento condotte dalla Divisione Turkestan e XXIX Divisione SS italiane. In questo testo, sia pure in forma succinta ma soddisfacente, si parlerà della vita a Piacenza, dei bombardamenti subiti, dei Reparti militari presenti e di tutte le vicissitudini che la popolazione affrontò fino al termine del conflitto.
Il testo è molto interessante e la sua lettura è avvincente.
Per acquisti telefonare al 052 37 60 464
NUOVO FRONTE N. 230 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno

Mario Dassovich Del Bianco (A cura di) GUERRIGLIA E GUERRA SUI DUE VERSANTI DEL NEVOSO 19431945. Aspetti storicopolitici nelle contrapposizioni delle molte forze in campo.
Editore Del Bianco. Udine. Euri 20,00 pag. 365. 2001.
La seconda guerra mondiale ha avuto termine da quasi sessant’anni, ma i problemi d’interpretazione degli avvenimenti ed il susseguirsi degli eventi, sono ancora oggetto d’analisi e studio, tanto profonde sono le ferite, che ancora non si rimarginano, inferte nell’animo e nel corpo della nostra gente istriana e dalmata.
Allo scopo di fornire un contributo alle ricerche storiografiche l’Autore ci propone questo volume che dovrebbe colmare alcune lacune alla luce delle testimonianze di chi all’epoca fu attore o testimone.
In questa ricerca Mario Dassovich preferisce le fonti "resistenziali’’ concedendo meno spazio a chi cercava di contendere il passo sia ai tedeschi sia ai comunisti di Tito.
Anche con questa limitazione è possibile formarsi un’idea sufficientemente chiara sulle speranze e gli apporti effettivi che le parti in causa ponevano in essere perché Fiume rimanesse all’Italia, o almeno fosse avulsa dal tallone jugoslavo.
L’8 settembre determinò il cambiamento della sovranità italiana sull’Istria e sulla Dalmazia a favore della Germania che per motivi bellici impose la sua amministrazione su tutto il litorale e, pur avendo promesso l’assegnazione dello stesso alla Croazia, evitò un aperto contrasto con gli italiani rinfrancati dalla costituzione della RSI.
La situazione non fu mai chiara ed i tedeschi, volutamente ambigui, adottarono misure amministrative che mantenevano buone le parti in causa.
Gli italiani fornirono, agli occupanti tedeschi, una discreta collaborazione resa opportuna dall’aggressività slava ma non mancarono adesioni al partito comunista italiano, al C.L.N. e ad organizzazioni spontanee di resistenza. I comunisti italiani, pur essendo a conoscenza sull’annessione alla Jugoslava di Tito, collaborarono al punto da essere sottoposti alle direttive del Partito Comunista Croato e si fecero sempre più complici delle stragi e delle efferatezze effettuate durante la guerra e per molto tempo dopo la fine della stessa. Le altre formazioni non ebbero voce in capitolo e furono le prime vittime della violenza slava che non tollerava forme d’autonomia italiana non legata al comunismo.
Alla malafede titina fu opposta l’ingenuità tipica di chi crede fermamente che il rispetto dei diritti umani e la fede alla parola data facciano parte dei valori dei comunisti.
Il testo è molto interessante, ma occorre avere una buona preparazione per interpretare le interviste e le testimonianze di parte slava sempre piene di feroci proclami e di false accuse verso l’Italia e gli italiani.
A proposito di malafede, è istruttiva la lettura dell’appendice che riporta tre interviste ad Oskar Piskulic detto Zuti, eroe della guerra popolare di liberazione, attivista comunista agente e capo dell’Ozna accusato dell’omicidio di tre fiumani.
La conclusione fu l’esodo degli italiani che non vollero rinnegare la loro italianità anche se la Patria fu ingrata di fronte a tanto sacrificio.
NUOVO FRONTE N. 217 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.

Luciano Carlo Villa STRADE DELLA SAVANA
Pag. 205 L. 30.000 Euro 15,50 Edizioni Imprimenda Padova. 2001.
Un’immensa distesa, desertica o verdeggiante, con rari alberi che offrano un riparo desiderato ma momentaneo, con una vita intensa ma nascosta, che concede poco o nulla all’uomo, costringendolo ad un continuo peregrinare alla ricerca di un riparo definitivo: questa è la savana.
Cos’è la nostra vita se non un peregrinare attraverso la distesa del tempo con brevi pause quasi prestabilite dal percorso prescelto? Per l’Autore "Savana è tutto: vuol dire strade, percorsi, ‘itinera’, e significa tormento e gioia, cammino, vicende, vita insomma… Esistenza.
E tu vai, lungo la tua Savana’’.
L’allegoria è ineccepibile e spesso abbiamo l’impressione d’essere soli e dispersi, dubbiosi sul sentiero da percorrere, posti al confronto con responsabilità che oscillano tra la ragione ed il sentimento, l’egoismo e la generosità.
Quando l’energia dell’età giovanile si attenua nell’età matura, si sente il desiderio di fare un riepilogo delle tappe superate e, nell’atto di rivolgersi al passato, emerge non la continuità della vita trascorsa, ma una continuità di volti, a volte senza nome, d’episodi frammentati fra di loro ma ben vivi nella nostra mente, pentimenti e rimorsi ma anche gioie e serenità. Viene così il momento di fissare tutto sulla carta: di scrivere per far partecipi gli altri della nostra esperienza.
L’Ingegner Villa ha saputo rendere avvincenti le sue esperienze nella Savana e le fa vivere con attenta curiosità, suscitando una fantasia che si credeva assopita dagli anni.
Par di vivere il deserto libico, (che per anni è stato un luogo che sentivamo nostro), quando racconta del lavoro per la costruzione delle strade, degli uomini arrivati da tutte le latitudini con i loro vizi, i loro segreti e le loro vicende.
L’uomo e le macchine da lui costruite graffiano la savana, lasciando il segno fino a quando lei vorrà.
Il volto della serenità ed anche del tormento è quello delle donne amate, rimasto in fondo al cuore, affiancato ad un momento della vita in cui offrirono conforto per superare la solitudine.
Regina, Joycy, Jane, Phoeliçia, sono rimaste in un angolo della mente a testimonianza di una realtà del passato che riaffiora come in un sogno.
L’ingegner Villa, l’Autore, conosce l’arte del racconto, ci fa rivivere o vivere i suoi momenti di vita vissuta, innestandoli con i nostri ricordi e le nostre esperienze più significative.
Sono i racconti della vita militare, trascorsa da Bersagliere nel III Battaglione del 3° Reggimento della RSI, che maggiormente ci coinvolgono.
Il lettore vive con l’Autore il dramma della scelta operata per amore della Patria, contro ogni tentazione opportunistica, mosso dalla lealtà e dal rispetto verso se stessi, fino all’ultimo giorno. Forse sono le pagine più belle, quelle che nel rispetto dei fatti mettono ben in chiaro la valenza morale dei combattenti dell’Onore rispetto alle bande sanguinarie che niente rispettavano.
Il ricordo dei Caduti è ben vivo e così scrive: "… li ricordo con i loro nomi, io, assente fra loro ma presente come croce fra le croci della loro ultima dimora, fra i simboli delle loro fedi, croce su loculo vuoto, presenza spirituale, sentinella delle loro spoglie che furono vittima di quella guerra, breve per me e per i miei coetanei ma lunga e difficile per gli altri, reduci dalla Francia, dalla Grecia, dall’Albania e dalla Russia… fu breve guerra per me, intensamente vissuta sofferta però, fu strada per le tante strade di quella "Savana’’ che percorsi, poi, solo e nel Loro ricordo, ai quali ho voluto dedicare queste mie pagine’’.
Questo libro è occasione di riflessione.
NUOVO FRONTE N. 219 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.

Francesco Ballista ALI SULLA MARCA (un secolo di volo su Treviso) 
Editrice L’Immagine – Treviso. 2001. 224 pagine.
E' recentemente uscito un interessantissimo volume, prevalentemente fotografico ma non solo fotografico, sulla storia del volo in provincia di Treviso e, con particolare riferimento, all’aeroporto militare "Giannino Ancillotto’’ ed alla sua storia completa. Il periodo storico compreso nella narrazione e nelle immagini va dall’inizio del secolo sino a praticamente… il giorno prima della pubblicazione. L’autore è un fotografo professionista figlio di un colonnello AMI deceduto alcuni anni or sono.
Particolarmente curate le parti relative alle due guerre mondiali e i riferimenti al post armistizio e alle incursioni alleate sulla vicinissima città di Treviso, vicina al punto che durante l’incursione tragica e terroristica del 7 aprile 1944 (venerdì Santo) le 166 Fortezze Volanti facenti parte della forza d’attacco vennero "prese in consegna’’ dalla IV Batteria del 311° Gruppo Flak schierato a difesa dell’aviocampo (e munito di potenti pezzi da 88, a detta dell’autore). Il reparto era composto tutto da avieri di leva lecchesi e comaschi della RSI e dichiarò l’abbattimento di due quadrimotori. L’USAAF (15th Air Force) lamentò la perdita di un solo velivolo che cadde nei pressi di Rosolina Mare (Chioggia, VE), mentre altri 80 velivoli (vale a dire poco meno del 50%) rientrarono alla base pugliese chi più chi meno danneggiato. Evidentemente gli avieri della Repubblica ci sapevano fare. Non sono un esperto di balistica né di trigonometria, ma se si dà per assunto che le formazioni di bombardieri volassero a 6500-7000 metri, sparando dalla località - presumo - San Giuseppe, ai pezzi da 88 non rimaneva molto margine per "tirare più in alto’’ delle formazioni e questo giustificherebbe il basso numero di velivoli certamente caduti. Molti dei rientrati negli aeroporti pugliesi di partenza però atterrarono con morti e feriti a bordo. Non risulta che degli oltre 30 caccia di scorta P-38 nessuno fosse a portata, o molto probabilmente gli artiglieri avevano preferito dedicare il loro puntamento ai mastodontici B-17.
Trascriviamo qui di seguito alcune note interessanti.
Piloti italiani caduti a Treviso:
Cap. Vincenzo Catalano, 50° Stormo Assalto - 14.12.38 con il Ro. 41 MM 3360 investiva la manica a vento della RUNA (aeroclub).
Sergente magg. Francesco Arena, 168.a Squadriglia CT; - 26.3.41; entrato in vite con Macchi 200 durante un volo d’allenamento
Serg. Antonio Messina, 160° Gruppo CT - 22.7.41 precipitato con il CR42 MM 7759 presso San Casciano di Quinto (TV)
Ten. Ferdinando Spreca, 2° Gr. Caccia ANR - 2.4.45; abbattuto per errore con il suo Bf109 dalla contraerea amica (probabilmente presso Silea, località Segheria, dove mi risulta fosse operativa una batteria germanica) cadeva nei pressi di Porto di Fiera in Località Paradiso, decedendo nell’impatto col terreno.
Piloti trevigiani decorati di medaglia d’oro al V.M.:
S. ten. Vittorio Bragadin, 238ma sq. BT, 101mo Gruppo ju.87 - Nato a Treviso il 5.5.1920; caduto nel cielo della Jugoslavia il 5.11.1941 in azione di guerra
Cap. Ugo Pozza - 67ma Sq/34mo Gruppo S 79.
- Nato ad Asolo il 19.9.1907, caduto nel cielo del Mediterraneo il 4.7.1940 in azione di guerra.
Cap. Giovanni Bonet, Squadriglia "Montefusco ANR’’
- Nato a San Fior 4.7.1914, caduto nel cielo di Alba (CN) il 29.3.1944 in azione di guerra.
Il libro consta di 224 pagine formato superiore all’A4 con CENTINAIA di fotografie in b/n e colore a partire dalle prime cartoline di inizio secolo.
NUOVO FRONTE N. 227 (2003) Bruno Fanton

Benito Bollati IL DELITTO PEDENOVI Quando uccidere un fascista non era reato. Storia di un omicidio "politicamente corretto’’
Edito dalla Lasergrafica Polver srl Milano via Kramer 17 Lire 19.000. 2001
Sembrano tempi lontani. Giorni bui, giorni di crimini, di minacce, di terrore.
Un terrore che condizionava i rapporti interpersonali, che inibiva la libera espressione del proprio pensiero sui luoghi di lavoro, di frequentazione e di studio.
La spranga e la pistola non erano simboli, ma concreti strumenti di morte a supporto della costruzione della democrazia comunista.
Nessuno osava disturbare i manovratori, per non essere tacciato come fascista, con le conseguenze che ne derivavano. Molti di quei giovani, che militavano, con mille sfumature e distinguo, in quelle formazioni criminali, oggi sono ben introdotti nel "sistema’’ che li ha ben "sistemati’’.
L’Autore, Benito Bollati, Avvocato milanese, deputato nazionale del MSI, conosce l’ambiente ed ha rappresentato la famiglia Pedenovi, costituitasi parte civile, contro quella associazione di delinquenti di Prima Linea che nutriva nel suo seno gli esecutori materiali dell’omicidio.
Negli anni ’70 lo scontro politico era molto elevato, le frange estreme avevano buon gioco e venivano manovrate da chi aveva interesse a mantenere in vita quell’anomalo connubio fra la Democrazia Cristiana ed il Pci. Venivano creati a tavolino gli accadimenti che dovevano dare credito alla necessità del compromesso storico e non era difficile suscitare azioni e reazioni che pervenivano al delitto politico.
Il 29 aprile del 1976, con alcuni colpi di pistola, veniva assassinato l’Avvocato Enrico Pedenovi consigliere provinciale iscritto al MSI.
Motivo? Era fascista e come tale doveva essere eliminato! La logica vigliacca di imprese simili a quelle di trent’anni prima, veniva di nuovo applicata al "nemico’’.
La verità è emersa dopo dieci lunghi anni e nel processo a Prima Linea è stato collocato il delitto Pedenovi.
Il testo presentato ricostruisce i fatti così come emergono dal processo e la lettura, interessante, ci offre un quadro chiaro delle organizzazioni armate della sinistra "combattente’’ che tante ferite ha inflitto all’Italia con centinaia di delitti.
Con questo libro l’Autore ci offre un documento a memoria futura contro il tentativo di far dimenticare agli Italiani i crimini dell’utopia comunista.
È un’opera da leggere con attenzione.
NUOVO FRONTE N. 216 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.

Michele Giusto L’ULTIMA FRONTIERA DELL’ONORE Fiamme Bianche al fronte IX Compagnia autonoma cacciatori di carri Divisione "Etna’’ GNR
NovAntico Editrice - C.P. 28 10064 Pinerolo (TO) pag. 96 - L. 22.000
 
 
    Il volontarismo giovanile della RSI ha sorpreso molti costringendoli a riflessioni opportune anche se incomplete. Lo stesso Presidente della Repubblica ha riconosciuto l’amor di Patria delle centinaia di migliaia di volontari, pur definendo sbagliata la parte scelta. È un passettino avanti.
    Personalmente, la parte scelta è quella giusta, non contesto le altre scelte in considerazione che gli italiani furono abbandonati alle interpretazioni, ai sentimenti personali ed alle vicende personali.
    L’8 settembre fu operato un tradimento odioso nei confronti di un alleato; furono dati ordini contrastanti che ciascuno interpretò a suo modo o per propria comodità La buona fede delle scelte fa testo e non si parli di parte sbagliata. Essa fu scelta sull’onda dei sentimenti, della necessità di compiere un atto riparatore di dignità nazionale e di coerenza con quanti avevano donato la propria vita sui vari fronti di guerra.
    Personalmente avevo superato da qualche mese i quindici anni, ero orfano di guerra, quando l’armistizio fu comunicato agli italiani; sentii un’emozione fortissima, mi crollava il mondo addosso, il sacrificio di mio padre veniva vanificato in ogni sua espressione da chi gettava le armi o passava le linee; anni ed anni di educazione all’amore della Patria venivano cancellati.
Ecco da dove nasce l’impulso della scelta, di una scelta che fu istintiva in tutti quei giovani che crebbero in un clima di italianità e di orgoglio nazionale particolare, con l’abitudine alla coerenza, nell’insegnamento della lealtà e del soccorso al più debole. Scelta sbagliata per chi fa dell’opportunismo una scelta di vita, non per chi è puro di cuore.
    Il testo presentato narra le vicende di un giovanissimo italiano che non esitò un attimo ad arruolarsi nell’organizzazione giovanile dell’Opera Balilla. Ben presto i giovani andarono a completare la formazione delle Forze Armate della RSI per opporsi all’invasore.
    Questi ragazzi si fecero onore e con la loro abnegazione e spirito di sacrificio riscossero l’ammirazione dei tedeschi e degli anglo-americani.
    L’Autore ci descrive le sue vicende militari che ricostruiscono l’impegno e l’attività bellica del Reparto dapprima impiegato nella difesa contraerea, integrato nella Flack tedesca, e poi, nel volgere degli ultimi giorni di guerra, schierato sulla riva del Po a difesa della pianura padana, infliggendo sensibili perdite in aerei e carri armati al nemico invasore.
Dopo un lungo ripiegamento ed un aspro combattimento, quando tutte le altre formazioni militari si erano arrese, anche la IX Compagnia depone le armi ed affronta le angherie partigiane che preludevano alla fucilazione.
    A testimonianza del cameratismo che salda l’amicizia di chi ha affrontato rischi e pericoli per un ideale, i reduci del Reparto s’incontrano con la freschezza emotiva degli anni giovanili.
    Il testo è una testimonianza storica molto utile per la più grande storia delle FFAA della RSI ed è un notevole tassello per consolidare e completare la verità storica. Si legge con piacere. Ottimo il corredo fotografico.
NUOVO FRONTE N. 215 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.

Ennio Innocenti LA CONVERSIONE RELIGIOSA DI BENITO MUSSOLINI
Il libro è edito dalla Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe (maggio 2001 Roma) e si può richiedere all’autore, via Capitan Bavastro, 136 - 00154 Roma, Lire 30.000.
 
 
    Libro-documento di inconfutabili verità. Ennio Innocenti non è uomo da rintanarsi unicamente in biblioteche e archivi. Egli coniuga la costanza dell’analisi al desiderio del messaggio: questo in funzione di quella, perché il popolo sappia e cresca di conoscenza. È un ministero che abbraccia dal 1957, quando fu ordinato sacerdote a Roma, dopo un profondo travaglio: a dodici anni nel 1944 gli fu ucciso a Bologna il padre militare, in un agguato alle spalle; a tredici anni la caduta della nazione e la disfatta dell’uomo.
    Si è alleata la sua voce alle onde radiofoniche per 27 anni nella rubrica "Ascolta, si fa sera’’ e la sua penna ha tracciato cammini di spiritualità per otto anni sul "Gazzettino di Venezia’’. Recano il suo nome 60 libri e 300 saggi, vibrando tastiere di filosofia e teologia, cultura e storia, spesso controcorrente, fermo restando che la casa, edificata sulla roccia, resiste, a diversità di quella costruita sulla sabbia. Poteva un uomo del genere sottrarsi al fascino di un personaggio, quale Benito Mussolini, tanto amato dalla gente nella gloria, altrettanto esecrato nella sorte sfortunata?
    Si è allora rivoltato le maniche e giù a studiare, leggere, scrivere, intervistare quanti hanno avuto col Mussolini colloqui, confidenze, confessioni, sfuggite per lo più ai cosiddetti storici. Ma non basta: ecco l’Innocenti frugare la cronaca grande e piccola, quella cioè di quotidiani e riviste autorevoli, e l’altra di notiziari provinciali e bollettini parrocchiali, eccolo compulsare documenti pubblici e riservati, cogliere informazioni da cappellani militari della RSI, in primis Padre Eusebio e Fra’ Ginepro, come pure da sacerdoti che furono proprio nell’ora più tragica vicini al Duce, quali Don Luigi Maria Dies, Don Salvatore Capula, Don Giuseppe Chiot, Don Giusto Pancino. Testimonianze queste, deprezzate dagli storiografi sulla cresta dell’onda, che guardano gli altri con aria di sufficienza, svalutandole a muffa di sagrestia o a lezzo di candela, eppure, nel quesito propostosi dall’autore, d’importanza fondamentale, per afferrare notizie e captare istanti inavvertiti di conversione e ascesi religiosa.
    Cosa possono sapere filosofi e giornalisti sui tormenti di un’anima che vuole a tutti i costi progredire nel suo scavo personale e ogni momento deve rispondere alla ragione di stato, alle istanze internazionali, alle violenze della guerriglia, alle soluzioni forti dei propri fedeli?
    "La conversione religiosa di Benito Mussolini’’, titolo della fatica di Ennio Innocenti, appare dunque monumentale impresa sulla vita del Duce e sbugiarda quanti sul fronte cattocomunista sbandierano, per tornaconto e arrivismo, un Mussolini ateo e anticlericale e un fascismo anticristiano.
    L’Innocenti assolve così a un’opera di giustizia, maturando dalla documentazione riflessioni inoppugnabili per una catarsi cristiana del Duce, vuoi di anagogia interiore vuoi di precetti canonici.
È una disputa che procede per 323 pagine con ricca bibliografia e panoramica vasta, anche sulla politica sociale e morale di Mussolini, tanto sorretta ed esaltata dal Vaticano, perché pure da questa si deve giudicare il Duce sotto il profilo umano e trascendente.
    A scopo ausiliare giova in appendice una sinossi sulla sua evoluzione spirituale. Senza dubbio è un libro che farà discutere, colmando una lacuna nella propedeutica mussoliniana, aprendo il fascismo a ulteriore euristica, basata sulla verità senza damnatio memoriae.
NUOVO FRONTE N. 213 (2001) Mario Varesi Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.

A cura di Raffaele La Serra IL BATTAGLIONE GUASTATORI ALPINI VALANGA della Xª Flottiglia MAS RSI 29/9/1943-28/4/1945
ISBD: Il battaglione guastatori alpini Valanga - [S. l.] : Raffaele La Serra, c1999, stampa 2001 - 189 p. : ill. ; 24 cm.
Livello bibliografico: Monografia
Tipo documento: Testo a stampa
Nomi: La Serra, Raffaele
Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Il battaglione guastatori alpini Valanga.
Paese di Pubblicazione: IT
Lingua di Pubblicazione: ita
Localizzazioni: GO0025 - Biblioteca statale Isontina - Gorizia - GO
RM0267 - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - RM
VT0031 - Biblioteca comunale Alfredo Tarquini - Marta - VT
Codice identificativo: IT\ICCU\TSA\0312452
    Storia interessante di un Reparto che riassume in sé le tradizioni del Genio Guastatori, del quale si sente parlare poco ma che, invece, raduna il fior fiore del combattentismo nazionale.
    Il volume apre con una breve sintesi sulla nascita del Genio Guastatori e sulle sue attribuzioni.
    L’apertura di varchi, la demolizione di fortificazioni, minamenti e sminamenti furono alcuni dei compiti sempre svolti sotto il fuoco nemico, con cuore saldo e solida preparazione professionale.
    Il Valanga fu ricostituito nell’ottobre del 1943 dal Capitano Morelli come Battaglione Guastatori Alpini e nel marzo del 1944 entra a far parte della Xª MAS.
    Partecipa a numerose azioni di guerra. Nel Goriziano contribuisce alla rinconquista di Tarnova contro i titini.
Nel testo presentato, corredato da materiale fotografico e da opportuna documentazione, viene riportata tutta la vicenda del Reparto fino all’ultimo giorno di guerra, ponendo in luce la formazione militare e la preparazione tecnico professionale di sicuro affidamento. La seconda parte del volume è dedicata ad una serie di interviste ad alcuni appartenenti del Battaglione che portano una nota personale nella documentazione. L’elenco dei Caduti, la ricostruzione dei quadri del Valanga, la descrizione dell’armamento e delle uniformi, la descrizione dell’organizzazione del Battaglione completano l’opera di facile ed interessante lettura che ci fa conoscere una pagina della nostra storia.
    Per ordinazioni rivolgersi a: Libreria Editrice Goriziana, Corso Verdi 67, 34170 Gorizia.
NUOVO FRONTE N. 212 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.

Sergio Corbatti – Marco Nava SENTIRE - PENSARE - VOLERE Storia della Legione SS italiana
Ritter s.a.s., C.P. 17191 - 20170 Milano, Pag. 423 – Lire 100.000
Corbatti, Sergio
ISBD: Sentire , pensare , volere : storia della - Milano : Ritter, stampa 2001 - 423 p. : ill. ; 31 cm.
Livello bibliografico: Monografia
Tipo documento: Testo a stampa
Nomi: Corbatti, Sergio
Nava, Marco <1962- >
Soggetti: Schutzstaffeln - Volontari italiani - 1944-1945
Classificazione: 940.541343 - OPERAZIONI MILITARI DELLA SECONDAGUERRA MONDIALE. UNITA MILITARI DELLE FORZEDELL'ASSE
Paese di Pubblicazione: IT
Lingua di Pubblicazione: ita
Localizzazioni: FI0098 - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI
MI0185 - Biblioteca nazionale Braidense - Milano - MI
RA0069 - Biblioteca dell'Istituto storico della Resistenza - Alfonsine - RA
RM0267 - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - RM
Codice identificativo: IT\ICCU\MIL\0513768
    L’Opera apre le sue pagine con una bella prefazione del Professor Pio Filippani Ronconi, Ufficiale della Legione e valoroso combattente decorato di Croce di Ferro ad Anzio.
    L’introduzione degli Autori fornisce la chiave di lettura del testo presentato che ha lo scopo di chiarire l’apporto ideale dei protagonisti nel particolare momento che rappresentò l’infausto armistizio dell’8 settembre 1943.
    L’articolazione su dodici capitoli, completati da un organigramma, dall’elenco dei Caduti, da un’ampia indicazione della bibliografia di riferimento, corredato da un grande numero di fotografie e documentazione varia, ci permette una lettura razionale in grado di darci una conoscenza completa dell’organizzazione della Legione, i suoi successivi sviluppi e delle azioni di guerra nelle quali fu impiegata.
    Si può affermare che, per la sua completezza, frutto di un lavoro certosino svolto tra mille difficoltà, questa è l’opera più seria pubblicata in Italia.
    Nel primo capitolo viene descritta la nascita della Milizia Armata costituita da volontari tratti dagli internati in Germania, dai   Reparti della MVSN che non vollero cedere le armi e dai volontari reclutati nel territorio nazionale.
Il secondo e terzo capitolo trattano della costituzione della Ia Sturmbrigade e della dislocazione dei Reparti, della loro   struttura organizzativa e logistica.
    Il quarto capitolo entra nel cuore della vicenda bellica sul fronte di Anzio e Nettuno contro gli Anglo Americani.
Il Kampfgruppe "Diebitsch’’ ed i Battaglioni che lo costituirono, sono l’argomento di riferimento per l’impiego al fronte di Anzio e Nettuno. I Legionari si distinsero per il valore e la tenacia dimostrati, meritando circa venti Croci di Ferro e cinquanta promozioni per merito di guerra.
    Il comportamento dei componenti del Gruppo indusse i tedeschi a giudicare opportuno un potenziamento dei Reparti legionari.
    Dal quinto all’ottavo capitolo la narrazione riguarda la ristrutturazione della Brigata SS, la dislocazione in Piemonte ed il complesso delle operazioni antiguerriglia.
    Il nono capitolo riguarda la costituzione della "29.a Waffen Grenadier Division der SS’’ e l’operazione "Hochland’’.
    Il decimo e l’undicesimo capitolo illustrano le ultime operazioni belliche e la resa dei vari Reparti.
    Il dodicesimo ed ultimo capitolo tratta delle uniformi e delle insegne e tutto il libro viene completato da un’appendice con riportati gli inni, documentazioni personali, ed una descrizione dei personaggi di spicco come Karl Wolff, Lothar Debes, Peter Hansen, Gustav Lombard, Piero Mannelli, il Ten. Colonnello Carlo Federico degli Oddi ed il Ten. Colonnello Celebrano.
Organigrammi, ruolini e l’elenco nominativo di trecentoquaranta-cinque Caduti concludono l’esposizione delle vicende eroiche della Legione SS italiana.
    E’ opportuno dissipare false notizie ed informazioni tendenziose: la Legione non è assolutamente da confondersi con le SS germaniche che effettuavano particolari operazioni di polizia o politiche.
    Questo Reparto è prettamente militare come furono le Divisioni SS impiegate sui vari fronti di guerra.
    Il testo presentato è importante storicamente perché completa il quadro dell’apporto militare della Rsi. Furono migliaia i giovani che risposero agli appelli di arruolamento e tutti coloro che furono impiegati al fronte sentirono alto l’impiego del riscatto morale per l’Onore della Patria.
    L’apporto di sacrificio è di offerta della propria vita non può essere sbrigativamente archiviato fra le nebbie dell’oblio: vi sono valori che appartengono all’uomo e tra di essi fa spicco la virtù militare.
    Un grazie al merito va agli Autori che hanno reso evidente una pagina di storia.
NUOVO FRONTE N. 210 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.

A cura di Lucia Motti e Marilena Rossi Caponeri ACCADEMISTE A ORVIETO Donne ed educazione fisica nell’Italia Fascista 1932-1943
Ministero per i beni culturali e ambientali, Archivio di Stato di Terni Sezione di Orvieto FONDAZIONE ISTITUTO GRAMSCI Archivio storico delle donne
ISBD: Accademiste a Orvieto : donne ed educazione - Ponte S. Giovanni, Perugia - 252 p. : ill. ; 30 cm.(( - In testa al front.: Ministero per i beni culturali e ambientali; Archivio di stato di Terni, Sezione di Orvieto; Fondazione Istituto Gramsci, Archivio storico delle donne
Livello bibliografico: Monografia
Tipo documento: Testo a stampa
Numeri: ISBN - 88-85962-39-4
Nomi: Rossi Caponeri, Marilena
Motti, Lucia
Soggetti: DONNE - EDUCAZIONE FISICA - ORVIETO - STORIA 
1932-1943
Classificazione: 305.420945 - DONNE. FUNZIONE E STATUS SOCIALE.ITALIA
Paese di Pubblicazione: IT
Lingua di Pubblicazione: ita
Localizzazioni: AT0047 - Biblioteca dell'Istituto per la storia della Resistenza e della societàcontemporanea in provincia di Asti - Asti - AT
BO0098 - Biblioteca universitaria di Bologna - Bologna - BO
BO0284 - Biblioteca del Centro di documentazione ricerca e iniziativa delle donne - Bologna - BO
BO0305 - Biblioteca comunale di Storia della Resistenza - Bologna - BO
BO0392 - Biblioteca dell'Istituto Gramsci - Bologna - BO
CA0300 - Biblioteca interdipartimentale dell'area umanistica dell'Universita' degli studi di Cagliari - Cagliari - CA
CR0062 - Biblioteca statale - Cremona - CR
FC0011 - Biblioteca comunale Malatestiana - Cesena - FC
GO0025 - Biblioteca statale Isontina - Gorizia - GO
MC0221 - Biblioteca del Dipartimento di scienze storiche, documentarie, artistiche e del territorio dell'Universita' degli studi di Macerata - Macerata - MC
MI0185 - Biblioteca nazionale Braidense - Milano - MI
MI0339 - Biblioteca delle Civiche raccolte storiche. Museo del Risorgimento - Milano - MI
MI1262
MO0205 - Centro documentazione Donna - Modena - MO
NA0043 - Biblioteca dell'Archivio di Stato di Napoli - Napoli - NA
PD0070 - Biblioteca dell'Archivio di Stato di Padova - Padova - PD
PG0035 - Biblioteca comunale - Foligno - PG
PG0049 - Biblioteca comunale Sperelliana - Gubbio - PG
PG0109 - Biblioteca comunale Augusta - Perugia - PG
PG0398 - Sistema di pubblica lettura del Comune di Perugia - Perugia - PG
PR0040 - Biblioteca dell'Archivio di Stato di Parma - Parma - PR
PR0173
RA0030 - Biblioteca di storia contemporanea - Ravenna - RA
RM0098 - Biblioteca della Fondazione Istituto Gramsci - Roma - RM
RM0110 - Biblioteca dell'Istituto Luigi Sturzo - Roma - RM
RM0210 - Biblioteca della Fondazione Lelio e Lisli Basso - Roma - RM
RM0255 - Biblioteca di storia moderna e contemporanea - Roma - RM
RM0459 - Biblioteca dell'Archivio di Stato di Roma - Roma - RM
RM1189 - Biblioteca della Fondazione Ugo Spirito - Roma - RM
SA0060 - Biblioteca dell'Archivio di Stato di Salerno - Salerno - SA
TO0473 - Biblioteca dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte - Torino - TO
TR0022 - Biblioteca comunale Luigi Fumi - Orvieto - TR
TR0032 - Biblioteca comunale - Terni - TR
TV0112 - Biblioteca dell'Archivio di Stato di Treviso - Treviso - TV
Codice identificativo: IT\ICCU\UM1\0025577 
    Orvieto è collocata su un’enorme massa tufacea che si erge a picco sulla campagna circostante. Per il viaggiatore, che percorre la tratta Firenze-Roma, la sede dell’Accademia di Orvieto appare sulla destra, in alto, imponente e bella, quasi perpendicolare alla ferrovia.
    Sono passato fin da ragazzo sotto quel grande masso e sempre ho rivolto lo sguardo a quella costruzione ove si preparavano le insegnanti di Educazione Fisica per le scuole italiane. L’equivalente maschile era presso la Farnesina di Roma.
Certamente con questo libro ricco di bellissime fotografie e di documentazioni si dà un taglio alla "vulgata’’ antifascista che vuole presentarci la donna del ventennio come una fattrice di figli e relegata alla custodia del focolare. A parte i piccoli veleni - doverosi, considerato il committente dell’opera - le giovani italiane ci appaiono proiettate ad una modernità sana, vitale, che trova, attraverso lo sport, l’indipendenza, la misura delle proprie capacità e possibilità.
    L’istruzione a livello universitario, la medicina affianca la preparazione del corpo all’impegno sportivo, i movimenti sono armonizzati, tesi al raggiungimento graduale dello sviluppo fisico, senza eccessi o palestrature oggi tanto di moda.
    Nella follia distruttrice del passato è stato perso un patrimonio di scienza e di capacità professionale che poteva tornare utile ai giovani di oggi i quali, senza guida, si inoltrano in palestre tutto fare.
    Lo sport come disciplina di vita così come le attività d’ardimento, non fanno parte del DNA catto-comunista più propenso allo spinello e al diverso.
    Elisa Lombardi fu la Comandante dell’Accademia e diede ad essa un’impronta di disciplina militare, quasi monastica, così da ottenere che solo le più preparate e decise rimanessero tenacemente fino al completamento dei corsi.
    L’iniziativa dell’istituzione dell’Accademia d’Orvieto fu merito di Mussolini che intese dare veste organica alla funzione dello sport come miglioramento del fisico. Renato Ricci fu l’organizzatore dell’Opera.
    Anche se non si possono condividere alcune interpretazioni di carattere politico, tuttavia il testo è molto interessante per ricostruire la Storia negata.
NUOVO FRONTE N. 211 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.     

Lodovico Galli UNA VILE ESECUZIONE Il dramma di Manlio Candrilli Questore di Brescia della Repubblica Sociale Italiana
Stampa a cura dell’Autore 25128 Brescia - Via L. Pavoni 21 tel. 030/304477.
 
 
    Pag. 160 - lire 25.000 Il Questore Candrilli è una delle tante vittime dei tribunali istituiti nel-l’immediato dopoguerra, che con-dannarono migliaia d’innocenti sotto la pressione di elementi comunisti che tendevano alla "pulizia ideologica’’ per via legale, fornendo prove false di delitti mai commessi.
    La condanna a morte di Candrilli fu emessa dalla Corte Straordinaria di Assise di Brescia il 13 giugno 1945 dopo un processo sbrigativo con falsi testimoni e prove false.
    Turpi personaggi infierirono contro un galantuomo che diede sempre tutto alla Patria, sia in pace che in guerra, che operò sempre a favore degli altri rischiando in proprio senza mai cedere alle lusinghe del potere.
La determinazione dei familiari del Questore Candrilli portò ad un riesame del processo ed in data 27 novembre 1959 (quattordici anni dopo la fucilazione) la Corte Suprema di Cassazione emanava una sentenza assolutoria perché i fatti non erano stati commessi.
    Questa è la storia di uno dei tanti "criminali di guerra’’, italiani puri, che nel dovere e nei valori della Patria trovavano conforto per le loro azioni sempre a disposizione dei più deboli: il testo di Galli è un atto coraggioso.
Con dovizia di documentazione ha riportato alla luce una tragedia tutta italiana, simbolo di un tempo che ancora non passa.
Giuseppe Rocco
NUOVO FRONTE N. 208 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno. 
***
Possiamo qualificarlo, senza ombra di dubbio, uno dei tanti delitti impuniti commessi dalla resistenza, un assassinio premeditato, un omicidio politico, una vendetta all’insegna dell’esempio marxista del "… colpirne uno per ammonire gli altri’’, slogan poi fatto proprio dalle B.R. negli anni di piombo del terrorismo comunista.
Ancora una volta fu un prodotto delle famigerate CAS, volute da Togliatti e avallate da Umberto di Savoia, Luogotenente del regno col D.D.L. n. 142 del 22.4.1945 – pochi giorni prima dell’insurrezione del CLN, pronto ad essere applicato per legittimare omidici singoli e uccisioni di massa.
Vittima innocente di tale arbitrio fu il Questore RSI di Brescia Dr. Manlio Candrilli, condannato a morte con sentenza del 13 giugno 1945, una delle tante emesse in quei giorni di terrore (il "Terrore’’ durante la rivoluzione francese fu un sovvertimento di fanatici esaltati se confrontati con quei pseudo giudici che non conoscevano non solo il codice penale ma ignoravano alternative diverse dalla pena capitale). Furono necessari 14 anni di coraggiosa lotta per dimostrare alla vedova signora Carla Garnaschelli e al figlio Giancarlo, che Manlio Candrilli era innocente, non aveva commesso alcuno dei delitti e delle malefatte attribuitegli e che la sua morte fu arbitraria, anche se l’allora ministro della "giustizia’’ Palmiro Togliatti – l’uomo di Stalin in Italia – ignorò volutamente circostanze e codici, sanzionando ignobilmente la morte per il valoroso, pluridecorato, invalido di guerra Questore. Manlio Candrilli venne assolto post mortem dalla Suprema Corte di Cassazione il 27 novembre 1959, che annullava la sentenza della CAS (Comitato Assassini Spudorati) a firma del presidente Giuseppe Basile, il cui pubblico ministero Alfonso Bonora, un comunista delegato dal partito alle funzioni del Robespierre di turno, che aveva definito Manlio Candrilli: "feroce criminale, capace di qualsiasi azione delittuosa, mandante di delitti, losca figura’’, poi sostituito da Giorgio Castellano che richiese e ottenne la pena di morte (Manlio Candrilli verrà fucilato da un plotone di polizia partigiana il 1° settembre 1945) verrà condannato nel 1947 dalla Corte di Assise di Torino a cinque anni per concussione. Vergogna!
Col Questore Candrilli verranno anche assolti in date diverse e differenti località, gli altri funzionari e agenti della Questura repubblicana di Brescia, alcuni dei quali condannati a pene capitali e lunghi anni di detenzione. La tenace e ammirevole lotta dei familiari per restituire a Manlio Candrilli la sua onorabilità, la sua integerrima figura di fedele servitore dello stato, di valoroso ufficiale veniva premiata dall’affermazione della verità.
La CAS di Brescia (come d’altronde quelle di altre città del nord) non era nuova a simili nefandezze, regolamentate faziosamente dalla plebaglia che il PCI raccoglieva quotidianamente per convogliarla nelle aule di giustizia, per assecondare le decisioni e gli umori dei giudici popolari politicizzati, verso i processati e, quando circostanze favorevoli e testimoni a discarico facevano intravedere una diversa soluzione, individui adeguatamente istruiti intervenivano per rimettere il processo – nel bene o nel male – nel "giusto verso della giustizia sommaria’’ come accadde durante il processo Sorlini, allorché un carabiniere ex partigiano a nome Giuseppe Barattieri, sparò una raffica di mitra nella gabbia dell’imputato uccidendolo al cospetto della Corte e del pubblico. Era il 28.7.1945.
Ancora una volta la meritoria fatica di Lodovico Galli, da anni imparziale e appassionato cultore di verità e giustizia, ci ha donato questo volumetto che rende giustizia ad un innocente, una preziosa testimonianza, un drammatico evento vissuto negli anni terribili dell’oscurantismo ciellenista; ne prendiamo atto con piacere aggiungendo questo importante tassello al grande mosaico della storia e della verità; una testimonianza da aggiungere alle altre del Galli, che ha rivisitato molte contrade bresciane, ricostruendo con serietà e pazienza fatti ed eventi: incursioni terroristiche dell’USAAF, guerra civile, stragi di Rovetta, S. Eufemia, Botticino. Grazie, Lodovico per questo prezioso contributo!
Nino Arena
Il volume "Una vile esecuzione’’ si potrà richiedere all’autore inviando euro 13 per spese e spedizione. Tel. 030/304477.
NUOVO FRONTE N. 228 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno

LA PICCOLA CAPRERA IL SOGNO E LA MEMORIA DI FULVIO BALISTI
Lire 30.000 pag. 151 Società Editrice Barbarossa C.P. 136 - 20095 Cusano Milanino (MI) Collaborazione per i testi: Aus. Com. Vittoria Galli, Aus. Velia Mirri, S.Ten. GNR Nedi Gurgo Coll. fotografica: Fausto Sparacino
 
 
    La Piccola Caprera è stata il rifugio terreno di Fulvio Balisti ed oggi, per sua volontà testamentaria, è un luogo di Memorie Sacre del Combattentismo italiano.
    Combattente della prima e della seconda guerra mondiale, pluridecorato, mutilato di guerra, legionario fiumano, ha dedicato la Sua esistenza alla Patria italiana, senza mai rinnegare i valori ai quali ispirava la sua dinamica vita.
    Dopo avere subìto le angherie della "Repubblica nata dalla Resistenza’’, si ritirava nella campagna di Ponti sul Mincio iniziando la realizzazione del Sacrario in onore di tutti i Caduti in guerra.
    È stato, così, realizzato un luogo ove gli italiani possono trovare il conforto della memoria resa tangibile perché non nasce da un atto burocratico, ma dalla volontà di combattenti reduci da ogni fronte.
È in questo luogo sacro che i Caduti delle Forze Armate della RSI sono accomunati ai Fratelli che prima di loro offrirono la vita sui campi di battaglia in Africa, in Russia ed in Europa.
    Fulvio Balisti fu il Comandante del 1° Battaglione Volontari Giovani Fascisti che si distinse a Bir-el-Gobi impedendo agli inglesi di aggirare le forze dell’Asse, imponendosi all’attenzione di chi non credeva nelle loro capacità militari. Da quel momento i Giovani Fascisti, fior fiore della gioventù italica, assolsero compiti di punta fino alla resa in Tunisia.
Se non fosse stato per Balisti, oggi quei Soldati non sarebbero ricordati.
    Il termine Volontari Giovani Fascisti provoca le convulsioni mentali in chi ha fatto soldi e carriera tradendo la Patria.
    Il testo presentato è costituito da una meravigliosa raccolta di immagini della Piccola Caprera e delle oltre settanta lapidi e cippi, offerti dalle Associazioni di reduci che vollero onorare i Camerati Caduti.
    Le immagini fotografiche suscitano emozioni vivissime e le semplici frasi che le accompagnano valgono più di uno scritto esplicativo.
    Nel testo non vi sono cedimenti alla retorica, ma è vivo l’elemento rievocativo che ci induce alla riflessione suscitatrice di orgoglio, come una ventata di aria pura che porta via le miserie umane e le beghe terrene, con nel cuore piacevoli sensazioni di distensione.
    Significative le lapidi e le parole dedicate ai Combattenti inglesi, francesi e tedeschi: "Non l’oblio, ma il rispetto del valore può affratellare il futuro dei popoli’’.
    "Il ricordo dei Caduti unisce i nemici leali’’! "Camerati di una guerra, camerati di una sorte, chi divide pane e morte non si scioglie sulla terra’’.
    La bella copertina è opera del Volontario G.F. Sergio Bianchi Galangan.
    Questi valori non debbono andare dispersi.
NUOVO FRONTE N. 208 (2001) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno. 

Giovanni Biddau (Nino) RICORDI E MEMORIE DI UN SOLDATO ITALIANO PRIGIONIERO IN RUSSIA
Ed. Ferlandia - Predappio
 
 
    Una raccolta di memorie di vita di un soldato italiano arruolato nella "Pasubio’’ durante la spedizione in Russia.
    Racconta i drammatici giorni ed eventi che hanno contraddistinto la grande ritirata dal fronte e le testimonianze precise ed agghiaccianti di tre lunghi anni trascorsi in prigionia nei lager sovietici. Un racconto semplice ma profondo, arricchito di riflessioni personali che rendono il libro estremamente piacevole nella lettura, da leggere quasi d’un fiato!
    Una preziosa verità storica da preservare e divulgare alle nuove generazioni.
    L’autore, Nino Biddau, fulgido esempio di Italiano e di Camerata, ha voluto dedicare questo diario a tutti i nostri soldati caduti in Russia, ai "Nostri Morti’’ come ama lui stesso definirli, affinché il loro sacrificio, il loro calvario rimanga nel cuore di tutti gli italiani quale esempio di imperitura memoria! Il libro, da me curato nella pubblicazione, è stato presentato a Predappio il 28 ottobre 2000 ed a tutt’oggi ha già riscontrato notevole interesse e compiacimento da parte di numerosi lettori.
    Il libro è in vendita al prezzo di Lire 15.000 e può essere richiesto telefonando al mio recapito 0332/772920 o direttamente presso l’editore Ferlandia di Predappio 0543/923335.
NUOVO FRONTE N. 209 (2001) Gianluca del Marco Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno. 

 
>>>Titolo privo di Recensione 
Pardini, Giuseppe <1967- > 
ISBD: La Repubblica sociale italiana e la guerra in - Lucca : S. Marco litotipo, 2001 - 437 p. : ill ; 24 cm.(( - In testa al front.: Istituto storico della Resistenza e dell'eta contemporanea di Lucca. 
Collezione: Quaderni 
Livello bibliografico: Monografia 
Tipo di documento: Testo a stampa 
Nomi: Pardini, Giuseppe <1967- > 
Soggetti: REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA - LUCCA 
1940-1945 
Classificazione: 945.53 - STORIA. LUCCA (PROV.) 
Paese di pubblicazione: IT 
Lingua di pubblicazione: ita 
Localizzazioni: AL0135 - Biblioteca dell'Istituto per la storia della Resistenza e della societa' contemporanea in provincia di Alessandria - Alessandria - AL 
AT0047 - Biblioteca dell'Istituto per la storia della Resistenza e della societàcontemporanea in provincia di Asti - Asti - AT 
BG0299 - Biblioteca dell'Istituto bergamasco per la storia del movimento di liberazione - Bergamo - BG 
BL0081 - Biblioteca dell'Istituto storico bellunese della Resistenza e dell'eta' contemporanea - Belluno - BL 
BO0098 - Biblioteca universitaria di Bologna - Bologna - BO 
BO0305 - Biblioteca comunale di Storia della Resistenza - Bologna - BO 
CA0194 - Biblioteca universitaria di Cagliari - Cagliari - CA 
CN0040 - Biblioteca dell'Istituto storico della Resistenza in Cuneo e provincia - Cuneo - CN 
CR0062 - Biblioteca statale - Cremona - CR 
FI0098 - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI 
FI0101 - Biblioteca Marucelliana - Firenze - FI 
GE0038 - Biblioteca Universitaria - Genova - GE 
LI0027 - Biblioteca comunale Labronica Francesco Domenico Guerrazzi. Centro di documentazione e ricerca visiva - Livorno - LI 
LU0022 - Biblioteca statale - Lucca - LU 
LU0103 - Biblioteca civica - Lucca - LU 
MI0185 - Biblioteca nazionale Braidense - Milano - MI 
MI0270 - Biblioteca-Archivio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli - Milano - MI 
MI0305 - Biblioteca Ferruccio Parri - Milano - MI 
MI1022 - Biblioteca dell'Istituto milanese per la storia della Resistenza e del movimento operaio - Sesto San Giovanni - MI 
MN0144 - Biblioteca dell'Istituto mantovano di storia contemporanea - Mantova - MN 
NA0079 - Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli - NA 
NO0061 - Biblioteca dell'Istituto storico della Resistenza in provincia di Novara Piero Fornara - Novara - NO 
PD0328 - Biblioteca del Dipartimento di storia dell'Universita' degli studi di Padova - Padova - PD 
PI0112 - Biblioteca universitaria - Pisa - PI 
PU0154 - Biblioteca-archivio Vittorio Bobbato - Pesaro - PU 
PV0291 - Biblioteca universitaria - Pavia - PV 
RA0069 - Biblioteca dell'Istituto storico della Resistenza - Alfonsine - RA 
RM0267 - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - RM 
RM0280 - Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma - RM 
RM1189 - Biblioteca della Fondazione Ugo Spirito - Roma - RM 
RN0013 - Biblioteca civica Gambalunga - Rimini - RN 
TO0473 - Biblioteca dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte - Torino - TO 
VE0049 - Biblioteca nazionale Marciana - Venezia - VE 
Codice identificativo: IT\ICCU\LO1\0548204 
 
 
>>>Titolo privo di Recensione 
Antonini, Sandro 
ISBD: La Liguria di Salo : Repubblica sociale e - Genova : De Ferrari, [2001] - 495 p. ; 24 cm. - Sestante 
Collezione: Sestante 
Livello bibliografico: Monografia 
Tipo di documento: Testo a stampa 
Numeri: ISBN - 88-7172-397-X 
Nomi: Antonini, Sandro 
Soggetti: ITALIA - STORIA - 1942-1945 
REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA . 1943-1945 
Classificazione: 945.10916 - Storia Penisola italiana e isoleadiacenti. Liguria. Periodo della resistenzaarmata e della fine del regno, 1943-1946. 
Paese di pubblicazione: IT 
Lingua di pubblicazione: ita 
Localizzazioni: AL0001 - Biblioteca civica - Acqui Terme - AL 
GE0393 - Biblioteca del Consiglio regionale della Regione Liguria - Genova - GE 
TO0473 - Biblioteca dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte - Torino - TO 
Codice identificativo: IT\ICCU\TO0\1031088 
 
 
>>>Titolo privo di Recensione 
Borghi, Marco <1965- > 
ISBD: Tra fascio littorio e senso dello Stato : - Padova : CLEUP, [2001] - 311 p. ; 24 cm. - Fonti e studi per la storia del Venetocontemporaneo (( - Segue:c Documenti. 
Collezione: Fonti e studi per la storia del Venetocontemporaneo 
Livello bibliografico: Monografia 
Tipo di documento: Testo a stampa 
Numeri: ISBN - 88-7178-707-2 
Nomi: Borghi, Marco <1965- > 
Soggetti: Repubblica sociale italiana <1943-1945> - 
Burocrazia 
Classificazione: 352.630945 - IMPIEGO PUBBLICO. Italia 
Paese di pubblicazione: IT 
Lingua di pubblicazione: ita 
Localizzazioni: AL0135 - Biblioteca dell'Istituto per la storia della Resistenza e della societa' contemporanea in provincia di Alessandria - Alessandria - AL 
BG0299 - Biblioteca dell'Istituto bergamasco per la storia del movimento di liberazione - Bergamo - BG 
BL0081 - Biblioteca dell'Istituto storico bellunese della Resistenza e dell'eta' contemporanea - Belluno - BL 
CR0062 - Biblioteca statale - Cremona - CR 
FE0152 - Biblioteca della Facoltà di lettere e filosofia Amleto Bassi dell'Università degli studi di Ferrara - Ferrara - FE 
FI0098 - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI 
GO0025 - Biblioteca statale Isontina - Gorizia - GO 
LU0022 - Biblioteca statale - Lucca - LU 
MI0185 - Biblioteca nazionale Braidense - Milano - MI 
MI0270 - Biblioteca-Archivio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli - Milano - MI 
MI0305 - Biblioteca Ferruccio Parri - Milano - MI 
MI0339 - Biblioteca delle Civiche raccolte storiche. Museo del Risorgimento - Milano - MI 
MI1022 - Biblioteca dell'Istituto milanese per la storia della Resistenza e del movimento operaio - Sesto San Giovanni - MI 
MI1262 
MN0144 - Biblioteca dell'Istituto mantovano di storia contemporanea - Mantova - MN 
MO0155 - Biblioteca dell'Istituto Storico della Resistenza di Modena e Provincia - Modena - MO 
NA0079 - Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli - NA 
NA0230 - Biblioteca dell'Istituto campano per la storia della Resistenza - Napoli - NA 
NO0061 - Biblioteca dell'Istituto storico della Resistenza in provincia di Novara Piero Fornara - Novara - NO 
PD0090 - Biblioteca civica - Padova - PD 
PD0158 - Biblioteca universitaria di Padova - Padova - PD 
PU0154 - Biblioteca-archivio Vittorio Bobbato - Pesaro - PU 
RM0098 - Biblioteca della Fondazione Istituto Gramsci - Roma - RM 
RM0255 - Biblioteca di storia moderna e contemporanea - Roma - RM 
RM0267 - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - RM 
RM0289 - Biblioteca statale Antonio Baldini - Roma - RM 
RM0731 - Biblioteca centrale giuridica - Roma - RM 
TO0473 - Biblioteca dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte - Torino - TO 
TO0661 - Biblioteca del Dipartimento di storia dell'Universita' degli studi di Torino - Torino - TO 
TV0033 - Biblioteca comunale - Cornuda - TV 
TV0050 - Biblioteca comunale - Loria - TV 
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV 
VE0039 - Biblioteca d'arte del Museo civico Correr - Venezia - VE 
VE0047 - Biblioteca Querini Stampalia - Venezia - VE 
VE0049 - Biblioteca nazionale Marciana - Venezia - VE 
VE0237 - Biblioteca dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti - Venezia - VE 
VE0239 - Biblioteca della Fondazione Giorgio Cini - Venezia - VE 
VI0005 - Biblioteca Archivio Museo - Bassano del Grappa - VI 
VI0096 - Biblioteca civica Bertoliana - Vicenza - VI 
Codice identificativo: IT\ICCU\LO1\0603981 
 
 

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