VERBALI DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELLA REPUBBLICA
SOCIALE ITALIANA Edizione critica a cura di Francesca Romana Scardaccione
Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Reperibile nelle Librerie di
Stato. 2002.
Nella storia italiana del '900 c'è stato e c'è un "buco
nero”, che riguarda la Repubblica Sociale Italiana. Questa circostanza
fu denunciata già da uno dei principali storici di quel periodo,
F. W. Deakin. il quale nel corso di un convegno affermò senza mezzi
termini che «una storia della RSI è ancora da scrivere».
Sono passati degli, anni, molti saggi sono usciti in. proposito, è
cambiato il clima culturale, favorendo approcci meno ideologici a un problema
così difficile e controverso, ma quel buco denunciato da Deakin
non è stato colmato, in gran parte per le difficoltà che
s'incontravano a scandagliare in profondità, attraverso la documentazione
originale, i programmi e l’attività.: della repubblica
del Nord.
Ora quella storia si può finalmente scrivere. Sono infatti
usciti, nella collana delle Fonti degli Archivi di Stato, i verbali del
consiglio dei ministri della Repubblica Sociale Italiana (settembre 1943
- aprile 1945), a cura di Francesca Scardaccione, che ha studiato e ordinato
criticamente l'immensa documentazione dell'Archivio centrale dello Stato,
pubblicata nelle oltre 1600 pagine dei due volumi ricostruendo inoltre
nell'introduzione le vicende istituzionali di Salò e la storia dei
suoi archivi.
I verbali forniscono non solo i provvedimenti del governo della RSI
durante i 600 giomi, ma soprattutto le loro motivazioni politiche, giuridiche,
amministrative e sociali, presentando un quadro ben più complesso
e ricco, do quanto non fosse possibile pensare finora, giudicando da quanto
emergeva dalla saggistica specializzata, attenta soprattutto agli aspetti
militari (sull'uno o sull'altro fronte) e all'occupazione tedesca. Queste
fonti completano altresì quarto era stato pubblicato nei verbali
dei governi che si erano succeduti dal '43 al '48 (Badoglio, Bonomi, Parri
e De Gasperi), contribuendo a quella riunificazione della memoria sugli
anni della transizione, della quale tutti, o quasi, negli ultimi tempi,
hanno invocato la necessità.
Come Vichy per la Francia, così la RSI per l'Italia è
stata fino a ieri oggetto di una rimozione ideologica ben superiore a quella
che ha impedito per anni uno studio obiettivo del fascismo. A Salò,
anche per le lacune e il disordine della documentazione esistente, venne
contestata la natura di Stato, riducendolo a semplice copertura dell'occupazione
tedesca. Fu necessario l’intervento di De Felice per ridare credito
a una tesi già avanzata da Mussolini, secondo cui la Repubblica
del Nord rappresentò comunque un valido cuscinetto tra l'occupante
tedesco e il Paese, evitando all’Italia conseguenze paragonabili a quelle
subite da altre nazioni sotto il controllo dell'esercito nazista.
La documentazione dei verbali ci permette di andare oltre quella
tesi, e di conoscere per la prima volta l'altra faccia di quel vero e proprio
'Giano bifronte' che fu la RSI: da una parte priva di sovranità
sul piano militare e della grande politica, dall'altra pressoché
autonoma nella legislazione e amministrazione interna, al punto che, mentre
al Sud i decreti dovevano avere il visto degli Alleati. al Nord, questo
non avveniva, almeno formalmente. Con una burocrazia che a tutti
i livelli continuò a operare secondo le vecchie regole e con la
consueta efficienza, conservando quelle condizioni di 'normale amministrazione'
che dopo la liberazione consentirono una rapida riunificazione dei Paese,
con difficoltà assai inferiori a quanto si sarebbe potuto prevedere.
Durante le 17 riunioni del governo, dal 23 settembre 1943 al
15 marzo 1945 (quella del 16 aprile non fu verbalizzata), vennero varati
quasi un migliaio di provvedimenti: più o meno quanti ne adottarono
negli stessi mesi i governi che si succedettero nel Sud e poi a Roma, anche
se per questo dovettero riunirsi ben 67 volte, in quanto gli equilibri
tra i diversi partiti richiedevano confronti ravvicinati.
E’ scandagliando tra questi mille provvedimenti, ma soprattutto tra
le relazioni e le corrispondenze dei ministri che li promossero (Mussolini
compreso) che si possono trovare le vere novità che i verbali restituiscono
alla conoscenza storica. A cominciare dal nome stesso della nuova
formazione, che dopo aver assunto il nome provvisorio di “Stato nazionale
repubblicano”, solo il 24 Novembre adottò quello di Repubblica Sociale
Italiana, con implicazioni politiche del tutto evidenti.
Queste implicazioni emersero esplicitamente nel progetto di Costituzione
affìdato al ministro dell' Educazione, Carlo Alberto Biggini, che
lo scrisse tenendo davanti a sé una copia della costituzione della
Repubblica romana del 1849 inviatagli da Mussolini, e dove all’art. 1 si
legge: “Repubblica, ossia popolo sovrano, padrone assoluto dei propri destini...
Sociale perché ciascuno dovrà godere in pieno il frutto del
proprio lavoro”, e nel finale veniva richiamato il pensiero mazziniano
come “il migliore aderente ai desideri della natura umana”.
I richiami risorgimentali sono presenti anche nell'appunto del sottosegretario
alla Marina sulla foggia della nuova bandiera, con il quale si propone
di adottare “la vecchia bandiera della Repubblica Cisalpina, tricolore
con quattro coroncine d'alloro agli angoli. Simbolo che vide la rinascita
militare degli Italiani e sarebbe, gradito ai più, riagganciandosi
ad una tradizione di combattimento e di libertà”.
Ma le durezze della guerra, al fronte e all’interno, emergono, anche
se indirettamente da molti passaggi.
Intanto dalle difficoltà del reclutamento, che inducono alla
fine di settembre del 1944 a consentire l'arruolamento anche dei non idonei.
Come spiega Graziani nella sua relazione, s'intende «venire incontro
a questa categoria di benemeriti figli della Patria», che si sono
distinti in combattimento, “equiparandoli ai volontari regolarmente inquadrati”.
O come si ricava dal provvedimento discusso il 24 Marzo del 1945, che intende
autorizzare l'arruolamento dei minori anche senza il consenso del padre:
provvedimenti che la dicono lunga sulla fine ormai imminente.
Ma il dramma della guerra civile si ricava anche dalla durezza dei
rapporti con i tedeschi sul trattamento dei prigionieri. Il ministro
della giustizia, Pisenti, in una relazione a Mussolini del dicembre del
1944 invoca un accordo per «evitare gli arresti e le deportazioni
dei cittadini italiani al di fuori dell’ingerenza della autorità
nazionali», ottenendo che le misure contro gli '”italiani fossero
di esclusiva competenza della polizia repubblicana” , che andava diffidata
«dal ricorrere a quella tedesca nei confronti dei compatrioti».
In ogni caso, concludeva Pisenti, ogni italiano, “qualunque sia il suo
pensiero politico” dovrà un giorno riconoscere quanto sarebbe stata
“più onerosa la situazione” senza la RSI.
La repubblica però, come s'è detto, voleva essere soprattutto
“sociale”, e questa sua vocazione prese forma con molte leggi draconiane,
anche se spesso destinate a rimanere sulla carta. Di qui la legge
sulla confederazione generale del lavoro, che riuniva «tutti i produttori
della RSI», con l'esclusione dei capitalisti che avevano «collaborato
alla disfatta del 25 luglio». .Ma anche quella sulla socializzazione,
che creò i consigli di gestione tra operai e imprenditori, destinati
a sopravvivere anche nel dopoguerra, rappresentando uno dei nodi più
controversi, cavallo di battaglia di una parte delle sinistre. Come
pure una serie di provvedimenti tecnici ma di grande rilievo sociale, come
l'unificazione dei contributi e la tenuta del libretto di lavoro nell’industria,
che passarono pari pari allo stato sociale dei dopoguerra.
E’ dagli infìniti provvedimenti di gestione della quotidianità
e delle piccole riforme che emerge in fondo la maggiore novità di
questo Stato, che continuò ad assicurare , una “normale amministrazione”
a gran parte del Paese consentendone una più facile riunificazione
nel dopoguerra. E’ questa Italia che ha continuarto a viverenella Repubblica
Sociale, oltre a quella che è stata protagonista della RSI, che
consente finalmente di fare una storia a 360' gradi di quella realtà,
colmando quella lacuna denunciata già da Deakin, e facilitando quella
riunificazione della memoria storica che tutti sembrano oggi auspicare.
IL TEMPO Quotidiano del 12 Marzo 2003. Aldo G. Ricci
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Li chiamarono «repubblichini», ma non furono soltanto marionette
di Hitler. L' altra faccia dell' Italia, quella Repubblica Sociale
rimossa per anni dagli storici ufficiali, demonizzata nel ricordo dai vincitori
o idealizzata dai fascisti nostalgici, esce finalmente dalle nebbie. Fu
cupamente tragico, certo, lo Stato mussoliniano, e crudele nel perseguitare
gli ebrei, gli oppositori, i partigiani. Velleitario, anche, nei programmi
socialisteggianti e in quella specie di rifondazione fascista che si accaniva
nel punire i «traditori, i disfattisti, gli imboscati». Tuttavia
si sforzò di ristabilire una parvenza di sovranità legislativa
sulle rovine del regime e del paese. Soprattutto, permise all' immensa
«zona grigia» dei tiepidi, dei non schierati e dei delusi di
continuare a mandare avanti le cose. Tanto che pubblica amministrazione,
economia e società riuscirono a superare l' emergenza, presentandosi
all' appuntamento con la Liberazione. Queste tesi non appartengono all'
ultimo studio di uno storico «revisionista», ma sono quanto
risulta dai Verbali del Consiglio dei ministri della Repubblica
Sociale Italiana, pubblicati nella prima edizione critica
per l' Archivio centrale dello Stato, a cura di Francesca Romana Scardaccione
(alla quale si deve l' introduzione istituzionale e archivistica, mentre
quella storica è affidata ad Aldo G. Ricci). Quasi duemila pagine
fitte di rimandi e note, ordinate per calendario e argomenti; una specie
di diario dei seicento giorni di Salò fra l' autunno del 1943 e
la primavera del ' 45. La prima novità: dagli oltre mille provvedimenti
approvati durante quei seicento giorni emerge la complessità di
una organizzazione statale che continuò a svolgere il suo compito
sino alla fine. Insomma, Salò non fu solo uno stato cuscinetto tra
i tedeschi e il paese, come sostenne De Felice, cioè un' entità
che consentì di limitare i danni dell' occupazione; fu anche uno
Stato che garantì a oltre metà dell' Italia una gestione
della cosa pubblica complessivamente efficiente. Certo, c' erano le violenze
della guerra, le rappresaglie, i bombardamenti, le persecuzioni razziali;
e c' era soprattutto il tentativo tutt' altro che nascosto, anzi proclamato
e sbandierato, di trasformare la società in senso totalitario. Tuttavia,
furono «totalitarie» soprattutto le intenzioni, mentre mancò
il tempo e forse anche la volontà di metterle in pratica; l' amministrazione,
al contrario, ne venne quasi interamente risparmiata. La seconda novità
storica: il forte senso di continuità amministrativa che si percepisce
tra Salò e l' Italia del dopo Liberazione, a partire da quella unificazione
dei contributi e dei libretti di lavoro nel settore dell' industria che
avrebbe dovuto costituire l' avvio della politica di «socializzazione»,
e che rimase invece senza seguito per il rapido crollo del regime. Ma è
giusto mettere nel conto anche la lotta all' inflazione condotta capillarmente
dai commissari dell' ufficio ministeriale nelle varie province, spesso
combattendo con l' improvvisazione e l' indisciplina dei politici locali
e l' ostilità dei tedeschi; e la riforma dei licei e dei ginnasi,
varata nel febbraio del ' 45 per correggere alcune novità introdotte
da Bottai e ritornare alla lettera della riforma gentiliana. Più
di mille provvedimenti approvati in seicento giorni. Il che spiega la linea
difensiva adottata da Mussolini nei confronti dei tedeschi, alleati diventati
padroni: abbandonare le rivendicazioni velleitarie di indipendenza politica
da Hitler, e «barcamenarsi». Ecco la frase integrale rivolta
da Mussolini all' ambasciatore Mazzolini, che gli raccomandava di contenere
le pressioni germaniche: «Non mi considero su di un piano storico,
né su di un piano politico, ma su di un modesto piano amministrativo.
Né può essere altrimenti fino a che i tedeschi interferiscono
nella vita del paese, dispongono di polizie e contropolizie al cui servizio
non soltanto tedeschi, ma anche italiani o sedicenti tali sono adibiti».
Le quasi duemila pagine dei Verbali contengono poi, appena occultate dalla
asettica prosa ministeriale, passaggi indicativi del clima di quei mesi
nella fortezza assediata: ad esempio, il dibattito del novembre 1943 sulla
sostituzione delle stellette per i militari, e sull' inopportunità
di mettere al loro posto i fasci. Si ritrova una significativa ammissione
circa la «istintiva diffidenza verso tutto ciò che sappia
di politica dopo i recenti trascorsi»; il fatto che «la parola
Fascismo è oggi giù di moda» e anche un' inquietante
prospettiva: «Se domani i badogliani marciassero con le stellette
al bavero contro di noi, nell' opinione pubblica gli italiani sarebbero
loro e noi, al massimo i fascisti». Meno simbolica, e più
drammaticamente significativo, invece, il dibattito nella seduta del dicembre
1944 sulla «opportunità di diffidare tutti gli organismi periferici
dal ricorrere alla polizia germanica anziché alle nostre autorità
contro cittadini italiani». Il braccio di ferro, infatti, riguardava
la richiesta tedesca di introdurre la pena di morte per danneggiamenti
alle forze armate anche in mancanza di vittime: alla fine approvato però
mai adottato, a provare lo sforzo di arrestare la macchina dell' imbarbarimento
sull' orlo dell' abisso. Molto altro si trova nei Verbali, ma ciò
che colpisce è, soprattutto, il correre inconsapevole di tutti verso
la catastrofe. Se scorriamo l' ordine del giorno dell' ultimo Consiglio
dei ministri, convocato il 16 aprile 1945, dunque a nove giorni dalla Liberazione,
troviamo una grigia lista di decreti che non poterono mai essere presi:
tariffe, nomine, commissioni destinate a finire fra le curiosità
della storia mancata. Perché nessuno ebbe la sensazione della fine
imminente? Fu un caso di cecità collettiva? Più probabilmente,
un tentativo estremo di giustificarsi davanti alla storia e alla propria
coscienza: non camicie nere, non poliziotti del regime, ma «amministratori»
corretti di un patrimonio in liquidazione, di un' idea fallita. Dario Fertilio
L' OPERA Sei anni di storia I Verbali completano quelli dedicati al consiglio
dei ministri dal 1943 al ' 48 dei governi da Badoglio a De Gasperi, già
pubblicati (sempre a cura di Ricci) dalla presidenza del Consiglio con
la prefazione di Ciampi, allora capo del governo. I Verbali sono pubblicati
per le edizioni della Direzione Generale per gli Archivi e potranno presto
essere acquistati presso la Libreria dello Stato.
CORRIERE DELLA SERA Quotidiano di Venerd? 28 febbraio, 2003.
Dario Fertilio. SALO' MILLE LEGGI PER SEICENTO GIORNI. Dal libretto di
lavoro alla riforma della scuola: così la Rsi influenzò il
dopo fascismo. Pubblicati dall' Archivio Centrale dello Stato tutti gli
atti politici e amministrativi approvati da Mussolini fra il ' 43 e il
' 45.
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