RECENSIONI DI LIBRI SULLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA - 2003

 
    Tema di queste recensioni è la Repubblica Sociale Italiana. Le recensioni, inizialmente riprese soprattutto dal mensile NUOVO FRONTE di Trieste, sono poi state integrate anche con altre di diversa fonte, ivi compresa -talvolta- le presentazioni di copertina. Quando si è potuto abbiamo aggiunto le immagini delle copertine e queste sono state proposte, in attesa di recensione che non abbiamo, anche per libri che a nostro avviso potevano rientrare in questo soggetto.
    Si fa presente che il criterio di scelta è stato molto ampio. Talvolta trattasi anche di libri che trattano solo marginalmentre di RSI  (per esempio: foibe etc.) o di argomenti che, per vicende storiche, in qualche modo sono con la RSI connessi (per esempio: novità importanti anche sul ventennio fascista.
    Si sta cercando di associare ad ogni titolo le notizie presenti nel CATALOGO IN RETE OPAC che copre tutte, quasi tutte, le biblioteche d'Italia. Questo permetterà ai lettori di conoscere la più vicina ubicazione accessibile della pubblicazione.
    Nel corso di tale integrazione abbiamo ritenuto di segnalare anche i titoli che risultavano presenti in OPAC al Soggetto: "Repubblica Sociale Italiana".
    L'ordine temporale di presentazione dei libri è quello di edizione basato sul Catalogo OPAC. Se è presente più di una registrazione in OPAC le abbiamo presentate tutte per non omettere ogni possibile ubicazione. Se le registrazioni risultano in anni diversi abbiamo collocato il titolo (eventuale recensione ed eventuale copertina) nell'anno di edizione più datata, lasciando accanto anche altre registrazioni più recenti (forse quest'ultimo criterio sarà in futuro corretto).
    Poichè molti titoli sono sprovvisti di recensione saremo grati al lettore che vorrà collaborare inviandoci eventuale recensione di terzi (completa di fonte) o anche propria recensione accompagnando l'invio con proprio nome o pseudonimo.
ULTERIORI TITOLI SI POSSONO OTTENERE RICERCANDO IN OPAC CON LE PAROLE REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA OPPURE CON LE PAROLE 1943-1945 (O ALTRO) NEL CAMPO "TUTTI I CAMPI". SE SI VOGLIONO I TITOLI COMPLETI USARE LA VARIANTE SUTROS INVECE CHE ISBD.                          

 
  
  
Elena Curti IL CHIODO A TRE PUNTE Schegge di memoria della figlia segreta del Duce Storia di una donna Prefazione di Antonio Spinosa
2003 Prezzo: € 15,00 Dati p. 222 Formato cm. 15 X 21 cm. Copertina a colori  Edizioni: GIANNI IUCULANO EDITORE Collana I MEMORIALI 
Elena Curti, figlia che Mussolini amò in privato, ma non riconobbe mai ufficialmente. Per quelli che c’erano e sanno, per quelli che non c’erano e pretendono di sapere senza conoscere, tutta la verità di colei che é stata testimone degli eventi che hanno segnato profondamente la storia italiana. Un amore profondo, una dedizione assoluta alla Patria vissuti sull’onda delle vicende politiche del Duce, dai fasti di Palazzo Venezia al tragico epilogo della fucilazione a Dongo.
Questa è la storia di una donna, Elena Curti, la figlia che Mussolini amò in privato , ma non riconobbe mai ufficialmente. Per quelli che c’erano e sanno, per quelli che non c’erano e pretendono di sapere senza conoscere, tutta la verità di colei che è stata testimone degli eventi che hanno segnato profondamente la storia italiana. Un amore profondo, una dedizione assoluta alla Patria vissuti sull’onda delle vicende politiche del Duce, dai fasti di Palazzo Venezia al tragico epilogo della fucilazione a Dongo. Elena Curti nasce a Milano il 19 ottobre 1922. Nel 1941, in pieno clima di guerra, si trasferisce con la madre Angela Cucciati a Roma, dove incontra per la prima volta Benito Mussolini. Nel luglio del 1943, dopo la destituzione del Duce e la sua liberazione ad opera dei tedeschi, si sente pronta a collaborare con la Repubblica Sociale Italiana per ripristinare i valori della giustizia e della lealtà. Assunta al Ministero dell’Economia Corporativa, solo più tardi riprende contatto con Mussolini che agevola il suo trasferimento alla Direzione del Partito. Segue Mussolini sino alla fine : la ritroviamo sull’autoblindo quando il Duce viene fatto prigioniero e giustiziato. La fine delle ostilità segna per Elena l’inizio di molte difficoltà, prima fra tutte la prigionia. Tornata nuovamente a Roma, prosegue gli studi ed ottiene il titolo di Esperta in Scienze della Comunicazione. Trasferitasi in Spagna, si laurea in Belle Arti all’università di Barcellona. Sposa nel frattempo il pluridecorato Col. Enrico Miranda. Affermata pittrice, è titolare di un’azienda che si occupa di riproduzione di mobili spagnoli esportati in tutto il mondo. Nel settembre 2003, dopo quarant’anni di sofferta lontananza, torna in Italia dove vive tuttora con il marito.  
 
  
 
Pellegrinetti Mario APPUNTI PER UNA STORIA DELLA GUERRA CIVILE IN GARFAGNANA 19431945
Maria Pacini Fazzi Editore Pag. 182 15,50 Collana di cultura e storia lucchese. 2003
Tra breve disponibile in edizione pdf CYBERSAMIZDAT
Ricercare la memoria, scovarla nei meandri delle testimonianze, sfrondarla dalle deformazioni del tempo, restituirla integra ai contemporanei offrendo la conoscenza della verità occultata e prossima all’oblio.
Questa è la gran consegna per chi ha la possibilità e la capacità di scavare nel passato, per restituire i giusti onori e riconoscimenti a chi ha sofferto in guerra sia combattendo con le armi in pugno, sia come inerme cittadino sottoposto agli orrori dei bombardamenti e dei combattimenti.
L’Autore del testo presentato ha "limitato’’, nel tempo e nello spazio, la sua ricerca ad un’area ben precisa, la Garfagnana storica costituita, all’epoca, da diciassette comuni che gravitavano attorno alla valle del fiume Serchio.
Chi avrebbe mai immaginato, all’inizio della guerra, che le vicende belliche del nostro paese avrebbero trovato un epilogo nelle balze, aspre e sconosciute ai più, della Garfagnana? Ma proprio fra quegli aspri monti bruciò l’ultimo atto di guerra del nuovo esercito Repubblicano che volle ritrovare il riscatto dell’Onore nazionale con l’offensiva del Natale 1944, giungendo alle porte di Lucca, ponendo in crisi il sistema difensivo angloamericano.
Fu una vittoria effimera perché non vi erano i mezzi di supporto per un’ulteriore avanzata.
Quanti italiani conoscono i sacrifici e gli atti di valore compiuti dai Soldati della RSI fra quei monti sconosciuti, attaccati alle spalle da tristi figuri che si facevano chiamare partigiani? Quanti italiani sanno dell’umanità che questi Soldati manifestavano verso la popolazione, supportandola in ogni esigenza, pur sapendo che fra di essa si nascondeva la mano fratricida? I bombardamenti accaniti, richiesti dai partigiani, arrecarono molti danni ai paesi della Garfagnana ed innumerevoli furono i furti, le violenze, le grassazioni, i ricatti, gli omicidi di gente inerme rea di avere simpatizzato per la RSI. Quanti furono i Caduti civili vittime della guerra e della guerra civile? L’Autore pone il dito anche sulla putredine delle diserzioni favorite dalle circostanze e da chi aveva interesse a minare la volontà di combattere, ma il fenomeno fu circoscritto e non provocò i danni attesi.
Con un’analisi attenta delle testimonianze e dei fatti, Mario Pellegrinetti ci offre la possibilità di rivivere quei giorni, rinverdendo la memoria, restituendo il ricordo delle vittime che elenca nel capitolo diciassettesimo, concedendo la possibilità di giudicare le azioni di chi ebbe parte attiva nelle vicende di guerra.
Il testo è molto interessante e si legge con avidità, non è di parte. La sua lettura è un’ottima occasione per conoscere la nostra storia occultata.
Richiedere a: Mario Pellegrinetti Via del Forno, 2 55031 Camporgiano (LU) NUOVO FRONTE N. 229 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
Nesi Sergio UN ALCIONE DALLE ALI SPEZZATE
Bologna : Lo Scarabeo, 2003 (il terzo volume corrispondente alla parte terza).  - 312 pp. - ill. b/n - brossura - ed. 2005 - Lo Scarabeo Editrice EUR 22,00.
Erano 172 gli "Alcioni" usciti dall'Accademia Navale di Livorno il 4 giugno 1940 con il grado di Aspirante Guardiamarina e con una licenza in tasca di 15 giorni da trascorrere nelle rispettive città o ai monti o al mare, in quei sereni ultimi giorni di primavera. Dopo sei giorni di festeggiamenti con la famiglia o con i propri amori, il 10 giugno l'Italia entrò in guerra e gli Alcioni dovettero prendere subito il volo per i nuovi destini. Il 10 luglio 1940, tra i gorghi dell'incrociatore Colleoni nelle acque di Capo Spada sparì un Alcione; fu lui il primo a cadere in guerra. Quando inizia il racconto di questo libro, cioè l'8 settembre 1943, erano trentotto i caduti in azione e due i deceduti per malattia, mentre quindici erano i prigionieri, per lo più in India. L'armistizio spaccò i superstiti. Quelli rimasti al Sud continuarono la carriera e tanti di loro raggiunsero i più alti gradi della Marina, fino ad Ammiraglio di Squadra. Quelli rimasti al Nord, quarantotto, dalla stessa Regia Marina, furono ritenuti "dispersi in territorio occupato dal nemico" , che non era il territorio occupato dal nemico anglo-americano ma quello della Repubblica Sociale Italiana. Tra questi quarantotto c'era anche il vostro "Alcione" che in questo volume narra quanto è accaduto a lui, nella X Flottiglia M.A.S. della R.S.I., e il perché, anziché Ammiraglio, si è trovato ad essere nominato, sempre dalla Regia Marina, "marò S.V." (Servizi Vari), la categoria dei lavapiatti. Sergio Nesi ha scritto articoli per vari giornali e ha pubblicato con Mursia "Decima Flottiglia Nostra...". Nel 2000 è uscito in due parti "Rivisitando storie già note di una nota Flottiglia" (Lo Lo Scarabeo editrice Bologna). Con la stessa casa editrice nel 2004 ha pubblicato "Junio Valerio Borghese. Un Principe, un Comandante, un Italiano", una completa e ufficiale biografia del Comandante della Decima che, a distanza di otto mesi dalla sua uscita in 2.000 copie, è già alla prima ristampa. "Un alcione dalle ali spezzate" è stato stampato in proprio nel 1989 in tre volumi. La prima parte, "Il Nido", riguarda il periodo che l'Autore ha passato all'Accademia Navale di Livorno terminando il corso il 3 giugno 1940; la seconda parte, "Il volo", inizia con il suo richiamo alle armi e termina l'8 settembre 1943. La terza parte, "La caduta", qui riproposta, prosegue il racconto fino alla sua cattura avvenuta in mare il 13 aprile 1945 durante un'azione contro gli alleati.
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Il testo è stupendo. La sua qualità è testimoniata dal fatto che si legge d'un fiato. Non stanca. Interessa in ogni pagina. [...] Il tema ideale sembra questo: la Patria è il valore supremo, è la religione che ha come suo cardine l'onore e la lealtà senza compromissioni. [...] Si può accettare la sconfitta e le sue conseguenze, non si può accondiscendere al tradimento di certi principi. [...] Sotto questo profilo il testo ha un contenuto politico importante: lo straniero, anche se al momento alleato, resta sempre uno straniero; l'italiano, anche se ignobile, resta sempre un membro della famiglia. Giorgio Bonfiglioli, 1989, (Docente di Storia e Filosofia, Presidente dell’Istituto Regionale per la Storia della Resistenza e della Guerra di Liberazione in Emilia Romagna) 
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Nesi Sergio, IL COMANDANTE NESI: UN "ALCIONE" DALLE ALI SPEZZATE - Erano 172 gli "Alcioni" usciti dall'Accademia Navale di Livorno il 4 giugno 1940 con il grado di Aspirante Guardiamarina e con una licenza in tasca di 15 giorni da trascorrere con la famiglia. Il 10 giugno l'Italia entrò in guerra e gli Alcioni dovettero prendere subito il volo per i nuovi destini. Il 10 luglio 1940, tra i gorghi dell'incrociatore Colleoni nelle acque di Capo Spada sparì un Alcione; fu lui il primo a cadere in guerra. Quando inizia il racconto di questo libro, cioè l'8 settembre 1943, erano trentotto i caduti in azione e due i deceduti per malattia, mentre quindici erano i prigionieri, per lo più in India.L'armistizio spaccò i superstiti. Quelli rimasti al Sud continuarono la carriera e tanti di loro raggiunsero i più alti gradi della Marina, fino ad Ammiraglio di Squadra. Quelli rimasti al Nord, quarantotto, dalla stessa Regia Marina, furono ritenuti "dispersi in territorio occupato dal nemico" , che non era il territorio occupato dal nemico anglo-americano ma quello della Repubblica Sociale Italiana.Tra questi quarantotto c'era anche il vostro "Alcione" che in questo volume narra quanto è accaduto a lui, nella X Flottiglia M.A.S. della R.S.I., e il perché, anziché Ammiraglio, si è trovato ad essere nominato, sempre dalla Regia Marina, "marò S.V." (Servizi Vari), la categoria dei lavapiatti.
Boscolo Armando [coordinatore dell'edizione e autore di prefazione e note sparse Fernando Togni] I GIORNALI DI PRIGIONIA: 1940-1946
Clusone-stampa 2003 
 
 
Piredda Pasca L' UFFICIO STAMPA E PROPAGANDA DELLA X FLOTTIGLIA MAS: persone e vicende 
Bologna: Lo Scarabeo, 2003 
In un certo momento della sua vita Pasca Piredda si è trovata letteralmente scaraventata in un mondo del tutto nuovo, a lei fino ad allora del tutto sconosciuto: quello della X Flottiglia M.A.S., unità della Marina Militare che non aveva mai nemmeno sentito nominare. E in quel mondo ha potuto conoscere (condivivendo con loro) straordinari personaggi, ben diversi da quelli con i quali aveva avuto a che fare fino ad allora. Aveva vissuto prima totalmente immersa nella politica e si era di colpo ritrovata in un mondo in cui la politica era rimasta fuori dalla porta. Perché nella X non si faceva politica. Ogni sforzo era teso all’organizzazione di reparti di volontari ansiosi di lavare l’onta dell’armistizio a prezzo del loro sangue e della loro vita. Pasca è stata accanto a questi giovani diciottenni, ventenni ed è stata testimone del loro rammarico, del loro pianto e del loro dolore quando non erano scelti per quelle missioni in cui l’unica cosa certa era la morte o, nei casi migliori, la prigionia.  Nel suo ufficio, l’Ufficio Stampa e Propaganda della X Flottiglia M.A.S., si lavorava alacremente, incuranti di stanchezza o sonno, lei e solo due o tre suoi stretti collaboratori. Migliaia di volantini, con la sigla X in rosso in tutta la loro ampiezza, venivano diffusi in ogni sito della R.S.I.; cartelloni e manifesti bellissimi, molti dei quali di Boccasile, adornavano le mura delle città e, con non poche grane, le facciate di varie chiese. In questo volume l’Autrice raccoglie le esperienze della sua vita, ricorda i valorosi che in quel periodo ha conosciuto, documenta il suo lavoro nella X Flottiglia M.A.S. 
Buonaprole Ferruccio MORTE A PARTITA DOPPIA: una storia del Battaglione Freccia : 1943-1945
Bologna: Lo Scarabeo, 2003 
L'Autore rende testimonianza, con questo suo dettagliato racconto, di un periodo della sua vita militare, svolta in tempo di guerra, partendo dall'8 settembre 1943, quando si trovava in Albania e fino alla militanza nel Btg. Freccia della X Flottiglia M.A.S. della Repubblica Sociale Italiana a cui ha appartenuto con entusiasmo, spirito di sacrificio, passione e profondo amor di Patria, fino alla fine dell'aprile 1945. È una storia dettagliata e documentata di un giovane Ufficiale del Genio militare, cresciuto nel ventennio tra le due guerre mondiali ed allevato nel clima della cultura dei valori sacri ed immutabili nella vita di una Nazione. La sua gioventù ebbe come lievito il senso del dovere, lo spirito di sacrificio, l'amore verso la Patria come madre comune e la fierezza di appartenere ad una nazione temuta e rispettata. Egli narra l'esperienza bellica vissuta personalmente in cui ha conosciuto gli errori della condotta della guerra, prima nei Balcani poi in Italia. Ha potuto toccare con mano e descrivere con grande aderenza alla realtà, sine spe et metu, le vicende che hanno portato l'Italia e l'Europa alla sconfitta ed il filo conduttore che si svolgeva dall'impressionante groviglio dei tradimenti, delle consorterie, della disonestà e della mancanza dell'amore di Patria. Queste pagine sono ricche di emozioni e di sentimenti che l'Autore ha amaramente confrontato con gli ideali ed i valori che aveva appreso nella sua formazione. Episodi e racconti sono descritti con stile narrativo che avvince il lettore e lo spinge a condurre la lettura fino in fondo, fino all'appendice. Appendice che è una denuncia ed una critica piuttosto severa, e soprattutto ben motivata, sulle gravi responsabilità che le alte cariche dello Stato hanno avuto nel disastro bellico.
De Ferra, Claudio Titolo: DONNE ARMI E BANDIERE: un ragazzo della RSI
Bologna: Lo Scarabeo, 2003 
Claudio de Ferra è uno del milione di volontari che aderirono alla Repubblica Sociale Italiana come egli stesso si racconta nel suo primo libro di memorie di guerra “Un milione e 1”, per l’appunto. Un ragazzo allevato negli anni ’30 dal Fascismo che voleva un’Italia Grande fra i Grandi, Rispettata fra i Potenti. E per questo voleva che i suoi giovani fossero forti e leali, seri e onesti e avessero ideali e amor di patria: fossero Uomini e non semplici cittadini. È con questo spirito e con un grande amore per la vita che de Ferra scrive questo suo secondo libro di guerra, non più racconto autobiografico come il primo, bensì storie romanzate (a volte di fantasia) che però prendono sempre spunto da fatti ed episodi realmente accaduti anche con protagonisti dell’“altra parte”. Un libro che, non avendo nulla di personale, meglio racconta “come eravamo” e dunque un libro di memorie, un libro che fa rimpiangere quei ragazzi se non altro per la loro forza interiore e per quella volontà che li ha spinti a perseguire fino in fondo i propri ideali. 
 
 
Gerardo Picardo AURELIO PADOVANI. Il fascio intransigente 
2003 Controcorrente Napoli
Mezzano Alessandro I DANNI DEL FASCISMO
Edizioni "All'insegna del Veltro" di Parma. pg. 71 2003. Euri 8,00. Gli ordini vanno spediti a: Edizioni del Veltro, viale Osacca 13 -   43100 PARMA insegnadelveltro@libero.it Alle varie associazioni culturali, la casa editrice applicherà specifici sconti per ordini multipli.
Si tratta di un saggio che descrive e commenta, in modo chiaro e succinto e con riferimento al numero d'ordine ed alla data di promulgazione, le principali Leggi e Riforme realizzate dal Fascismo nell'arco di 22 anni di potere.
Sono le Leggi e le riforme che hanno creato lo stato sociale, che hanno attuato le bonifiche, che hanno espropriato il latifondo, che hanno decimato la mafia.
Sono le Leggi che ancora oggi costituiscono il 95% del "Corpus iuris" vigente; segno che finora non si è saputo e potuto fare di meglio.
A confutazione di quanto afferma la kultura resistenziale che denigra senza documentazione e si appropria di meriti non suoi, questo libro dimostra quanto il Fascismo sia stato rivoluzionario nelle idee e nella loro attuazione pratica e quanto sia stato determinante per il riscatto sociale dei lavoratori, molto di più di quanto il marxismo ed il capitalismo abbiano mai saputo fare..!
E' un libro soprattutto per i giovani che questo regime tiene volutamente nell'ignoranza con una scuola che mente per falsità, per omissione e per reticenza!
Sarà opera meritoria il divulgarlo ( l'edizione non è a scopo di lucro!) per aiutare, soprattutto i giovani, a farsi una propria, autonoma, idea su quali furono "i danni" che il Fascismo portò all'Italia, senza dover attingere alle idee surgelate che il supermercato dell'informazione antifascista propina da sessanta anni con la pretesa di mantenere ingessata una "storia" del Fascismo scritta il 26 Aprile 1945 all'ombra dei carri armati e delle baionette "alleate".
Salvatore Macca QUASI UN DIARIO Cronaca, attualità, storia, politica, costume
In proprio. 2003. pag. 160, euro 15,00
L’Autore è stato Presidente della Corte d’Appello di Brescia ed ha pubblicato raccolte di poesie, racconti e riflessioni. Ha prestato servizio nell’Aeronautica Nazionale Repubblicana della RSI dall’autunno del 1943 alla fine dell’aprile 1945.
Attento osservatore delle vicende che caratterizzano quest’epoca, dalla politica estera ed interna fino ai comportamenti di singoli o di Enti Pubblici, interpreta fedelmente i sentimenti della "gente’’, ormai smaliziata ma troppo spesso influenzata dalla propaganda che tende ad uniformare l’opinione pubblica specie nei grandi avvenimenti internazionali.
Quasi come un diario, il testo si sviluppa su trentanove brevi capitoli che focalizzano gli eventi nazionali o internazionali che maggiormente hanno colpito l’opinione pubblica. La tragedia di Cogne apre la lettura e l’Autore (magistrato) esprime le Sue osservazioni giungendo a conclusioni mai prese in considerazione dagli inquirenti che, invece, potrebbero essere la soluzione del caso.
Vi sono sentenze che colpiscono l’opinione pubblica, come quella su Andreotti, oppure comportamenti violenti da parte di cittadini per risolvere liti che si trascinano da tempo; si osserva l’imbarbarimento della nostra lingua assalita da termini inventati o stravolta nella grammatica e nella sintassi, con l’aiuto dei giornalisti televisivi.
Lo stravolgimento del buon senso e del senso dell’opportunità è agevolato dalla prepotenza della marmaglia di sinistra che giunge ad imporre la dedica di una piazza al giovane che morì nel tentativo di colpire un altrettanto giovane Carabiniere. Anche questi sono i tempi che corrono!
Quante volte abbiamo osservato che i crimini del comunismo non sono mai citati o, al massimo, sono riportati come opera di un regime totalitario, confondendo la testa a chi non conosce la storia?
Questi sono alcuni esempi del comune sentire che Salvatore Macca pone alla nostra attenzione.
Particolare spazio è dedicato alla vicenda irachena chiaramente ed artificiosamente posta in essere dal Governo degli USA onde portare la guerra in Iraq per scopi che vanno anche oltre il problema petrolio. Non mancano dure critiche all’attuale governo italiano.
Non manca una dedica ai ricordi personali con le riflessioni sul servizio prestato nella RSI nel V° Battaglione Anti-paracadutisti ed un particolare pensiero all’eroico Capitano Faggioni, che ricostituì un Gruppo d’Aerosiluranti che operò contro le navi anglo americane ad Anzio. Faggioni cadde nel corso di una di queste azioni. Sempre sull’onda dei ricordi sono descritti i tristi giorni della resa del 25 aprile, sconosciuti alla massa o male interpretati.
A chiusura la visita di Ciampi ad El Alamein e la mancata occasione per riconoscere, a tutti i Caduti, la parità di considerazione. La storia, purtroppo, divide ancora gli italiani.
Una data non può dividere i buoni dai cattivi. I traditori non possono invocare una data per essere immacolati. Prima o dopo l’8 settembre chi operò in nome della Patria non può essere discriminato ed un articolo del trattato di pace non cancellerà mai il tradimento.
Questi esseri hanno ancora la forza per dividere gli italiani. Fino a quando?
Per acquisti, informazioni, ecc... Tel. 030 375 0855
NUOVO FRONTE N. 230 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
 
 
Pieraccini Monica FIRENZE E LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA (1943-1944)
Edizioni Medicea, Firenze, 2003, pp 357.
Monica Pieraccini ricostruisce minuziosamente uno dei momenti più difficili e dolorosi della storia nazionale, ribaltando (documenti alla mano) alcuni luoghi comuni di certa storiografia agiografica.
Forse, per una volta, non assisteremo alla replica di Politici (e intellettuali) sull’orlo di una crisi di nervi; già, perché quando si vanno a toccare argomenti quali il Fascismo o la Repubblica Sociale Italiana senza aver l’accortezza di dipingerli come la schiuma del vituperio, c’è sempre chi viene colto da un furibondo mal di pancia, come dimostra anche la recente, grottesca polemica sull’abortito convegno sul contributo di Pavolini all’urbanistica e alla cultura fiorentine. Firenze e la Repubblica Sociale Italiana (1943-44) è infatti semplicemente (ed è uno dei suoi pregi) un libro di storia: non mira a demonizzare o a santificare, ma a diffondere dati e informazioni su uno dei momenti certo più difficili e dolorosi della storia nazionale, così come fu vissuto nel capoluogo toscano. L’autrice, la giornalista Monica Pieraccini, è una laureata in Scienze Politiche appassionata di storia contemporanea che si occupa di ricerca sulla storia del Novecento; e la sua deve essere stata veramente una ricerca lunga e appassionata tra archivi di stato e di quotidiani d’epoca, un lavoro certosino che non si lascia sfuggire neppure il dettaglio più minuto, quale il colore delle tessere annonarie o ciascuna delle frequenti variazioni dei prezzi di una merce che in guerra diventa più preziosa dell’oro, i generi alimentari. Allora è solo una sterile, per quanto utile per il ricercatore pigro affetto da archiviofobia, esposizione di dati statistici e documentari? Nient’affatto. Dal libro esce un quadro organico e coerente , che rende ragione del clima, delle idee e della vita quotidiana nella Firenze dell’epoca, e che ribalta alcuni luoghi comuni lasciati da certa storiografia agiografica, di una Firenze agguerritissima e pronta a fare a pezzi tedeschi e fascisti per buttarli in Arno. 
Può sembrare sconcertante, ma la maggior parte della cittadinanza sembra aver continuato a farsi gli affari suoi, vivendo quasi come se la guerra non la riguardasse e pensando a tirare a campare alla meno peggio. Coloro che realmente erano coinvolti, Fascisti da un lato, Partigiani dall’altro, erano delle minoranza, anche se l’autrice ammette onestamente che sia difficile, per la lacunosità delle fonti, quantificarle in modo preciso. Molte volte, durante la Repubblica Sociale, i giornali lamentano l’atteggiamento passivo e distaccato del capoluogo toscano, città che pure aveva vissuto il Fascismo in modo piuttosto intenso e che nei primi anni venti si era divisa e scontrata, a volte anche in modo tragico. La cosa però è comprensibile: la lunghezza della guerra, le privazioni e l’avvicinarsi del fronte avevano provocato una stanchezza e un senso di smarrimento che era ben difficile da superare, data soprattutto l’estrema incertezza del domani. E questo malgrado le autorità repubblicane riuscissero nel complesso, almeno durante i primi mesi, a mantenere una situazione, per quanto riguardava i trasporti, i rifornimenti ed in generale l’apparato socio-amministrativo, nel complesso discreta: "Così, anche se il fronte passò da Firenze solo nell’agosto ’44, è davvero difficile riuscire a credere che nei mesi della Repubblica Sociale in città i tram e più in generale i trasporti pubblici funzionassero, che gli uffici pubblici, così come i negozi, fossero aperti mattina e pomeriggio, che i ragazzi andassero a scuola e che la popolazione potesse assistere ai film di maggior successo, a riviste, commedie, opere e gare sportive. Eppure la realtà…era questa". Certo, non lasciamoci ingannare, non era né poteva essere, un quadro idilliaco. L’autrice non nasconde i bombardamenti, le tragedie, gli eccessi dei fanatici d’ambo le parti, i difficili rapporti con i tedeschi che non di rado creavano problemi e gettavano i bastoni tra le ruote alle stesse autorità repubblicane. Intende soltanto dire che, malgrado tutto questo, e anche di peggio, fino alle giornate del 29 e 30 luglio del 1944 ci fu un sostanziale funzionamento delle attività cittadine, che vengono veramente passate in rassegna in tutti i settori: quello, delicatissimo, dei rifornimenti alimentari, l’amministrazione cittadina e la giustizia, l’istruzione e la cultura, il tempo libero. E vediamo così una città dove, nonostante tutto, c’è chi pensa a divertirsi fino ad una ostentazione che riesce fastidiosa, e sui giornali si trova il modo di scandalizzarsi delle troppe donne che fumano nei caffè e nei ritrovi, e dei troppi elegantoni e "zazù" ostentatamente originali. Si trattava solo di una propaganda fascista esasperata dalla mancanza di entusiasmo, o dell’eterna, italica arte di arrangiarsi in ogni circostanza? In ogni caso questo libro è la fotografia di un’epoca che sarebbe quanto mai opportuno conoscere a fondo.
IL GIORNALE (DELLA TOSCANA) Quotidiano di  mercoledì 24 dicembre 2003. Domenico del Nero
Enzo Erra LA SINDROME DI FIUGGI  - IL FASCISMO ALLA RESA DEI CONTI
Edizioni Il Settimo Sigillo. 2003. Può essere acquistato presso la Libreria Europa, Via S. Veniero, 74/76 - 00192 Roma.
e-mail: ordini@libreriaeuropa.it 
E' uscito il nuovo libro di Enzo Erra: "La sindrome di Fiuggi - Il Fascismo alla resa dei conti". L'autore ha voluto sviluppare un'attenta approfondita riflessione sui temi che hanno coinvolto tutti noi in questi ultimi anni: si è verificato infatti un cambiamento di prospettive politiche, culturali, morali e sociali tali da comportare un mutamento sostanziale dell'area di estrema destra che già si riconosceva nel MSI. E' scomparsa, o almeno ha subito profonde trasformazioni, quella parte politica che per 50 anni si è contrapposta, sola e spesso criminalizzata, al sistema istituzionale derivato dalla "repubblica democratica  e antifascista nata dalla resistenza". Il MSI si identificava cioè con quell'area che aveva la sua origine nel Fascismo e che non era assimilabile al sistema democratico - parlamentare antifascista. Il MSI fu relegato ai margini della vita politica del Palazzo, in quanto non condivise i valori fondanti della repubblica nata dalla resistenza, dalla occupazione dell'Italia ad opera degli angloamericani e quindi dalla sconfitta della Patria e dalla conseguente perdita della propria sovranità nazionale.
Questo libro è frutto di una analisi attenta e densa di considerazioni storico - politiche che inducono il lettore a riflettere e a interrogarsi in merito alla vicenda missina durata mezzo secolo. Il MSI rappresentò la continuità e la successiva evoluzione con quella concezione spirituale della vita, con quella visione dello Stato etico fondato sulla partecipazione attiva del popolo propugnata dal Fascismo. Il MSI ebbe al sua ragion d'essere quale partito depositario di un patrimonio politico e culturale alternativo al sistema e come tale costituì, nel momento successivo alla caduta del Fascismo, nella prospettiva storica delineata da Erra, una ulteriore fase del Fascismo stesso, che risorse dalle ceneri della sconfitta e perpetuò, mediante il MSI, i suoi valori nel tempo.
Questo libro di Enzo Erra vuole sollecitare nei lettori un approfondimento delle tematiche che costituirono parte integrante dello sviluppo della storia del MSI dal '45 al '95 e l'autore ne illustra con acume politico e capacità di sintesi le vicende di un periodo storico in cui il MSI dovette confrontarsi e scontrarsi sempre con un sistema politico antifascista ad esso estraneo e ostile. Tuttavia i veti imposti dai padri della chiesa antifascista, non impedirono che il MSI restasse radicato nel Paese reale e si riconoscessero in esso vari strati della società italiana di cui restò parte integrante, quale interprete di una volontà popolare, che perpetuò un patrimonio ideale essenziale ancor oggi alla rinascita della Patria italiana, rinnegata da un sistema politico ed ideologico ispirato al liberalismo, al marxismo, al clericalismo, concezioni cosmopolite ed ostili alle tradizioni nazionali, alla sovranità dei popoli, al senso dello Stato.
Il linguaggio di Enzo Erra è discorsivo, meditato, polemico e vivace. Riflette appieno la personalità dell'autore che svolge un'analisi storica e politica obiettiva, scevra da pregiudizi ideologici, ma nello stesso tempo appassionata e ricca di contenuti ideali: assistiamo ad una perfetta simbiosi tra l'analisi politica e la fede ideale, consapevolezza della gravità della presente fase storica contrassegnata dalla rinuncia a ideali che, lungi dall'essere circoscritti alle vicende interne della ideologia di un partito minoritario, costituiscono il patrimonio morale e spirituale della nazione. Enzo Erra svolge un dialogo con il lettore, appassionandolo e coinvolgendolo in una problematica che non si limita ad un esame del passato recente, ma pone grandi interrogativi sulla identità dell'area che già si riconosceva nel MSI, ma si ritrova smarrita nel presente ed incerta sulle prospettive future.
La disamina storica si svolge in un rapido ed intenso panorama sulla società italiana dell'ultimo cinquantennio, caratterizzata da una cultura istituzionale antifascista. Il sistema demoparlamentare scaturito dalla resistenza fu l'immagine speculare opposta alla concezione dello Stato fascista. Se quest'ultimo si incardinava sul senso dello Stato, sul coinvolgimento del popolo nelle strutture dello Stato, i partiti antifascisti costituirono l'anti-stato. Le strutture dello Stato vennero infatti smembrate, i suoi organi istituzionali vennero resi inoperanti, perché lo Stato costituisse la sovrastruttura legale della volontà politica dei partiti, che esercitarono nei fatti il reale potere decisionale che si formava fuori dello Stato: quest'ultimo divenne lo strumento attraverso il quale venivano attuate le direttive politiche emanate dalle segreterie dei partiti che, prescindendo dalla volontà popolare, furono e sono le istanze di gruppi economici, politici, ideologici, i cui orientamenti non possono mai identificarsi con le esigenze della comunità nazionale.
L'autore nella vicenda storica italiana dell'ultimo cinquantennio enuclea tre diverse fasi: quella della ricostruzione, dal '46 al '60 in cui la sfera politica cedette spazio a quella economica, quella del predominio della politica dal '60 all''80 e quella del nuovo dominio economico sulle istituzioni politiche dall''80 al '94. Dopo la guerra, la partitocrazia lasciò alla libera economia di svilupparsi: questa fase è denominata dall'autore "NEP all'italiana", sulla scia della memoria storica leninista; l'economia doveva produrre infatti ricchezza allo scopo di governarla e di assorbirla successivamente nella sfera politica.  Nella seconda fase, denominata "socialismo reale" si assistette ad un prepotente ritorno di natura ideologica dell'antifascismo nella politica e nella società italiana: il predominio del pubblico sul privato in economia costituì la base essenziale per l'affermazione dei partiti nelle istituzioni politiche derivate dal CLN sull'economia. Partiti che, pur partendo da prospettive ideologiche diverse, convergevano nell'attuare una progressiva statalizzazione della società simile a quella dei paesi dell'est europeo. Questo orientamento produsse l'elefantiasi burocratica e la voragine del debito pubblico, mali di cui la società italiana ancora sconta le conseguenze. La terza fase, a seguito del fallimento ideologico delle sinistre, produsse una nuova affermazione dell'economia sulla politica, contribuendo alla progressiva trasformazione della società italiana in senso consumistico, con conseguente americanizzazione della cultura, della mentalità, dei costumi del popolo italiano.
Il crollo del muro di Berlino, la fine dell'URSS e il terremoto giudiziario di Tangentopoli, furono i fattori decisivi che condussero alla fine della partitocrazia e alla scomparsa della classe politica dominante, che era diretta emanazione del CLN. Nel '94 fu nominato il primo governo della repubblica di centrodestra formato da tre partiti estranei all'antifascismo e alla resistenza: Forza Italia, la Lega e AN. Si era intanto verificata nell'ambito antifascista una catarsi dei partiti della prima repubblica: scomparvero il vecchio pentapartito e il PCI, che si rigenerò su basi liberaldemocratiche in PDS (poi DS) e Rifondazione Comunista. Mentre la deflagrazione della prima repubblica comportò per i partiti antifascisti la necessità di una radicale trasformazione onde adeguarsi (non senza rinnegamenti, opportunismi e millanterie varie) ad un quadro del tutto mutato, non si comprende perché una forza politica come il MSI, partito non compromesso e reietto nel precedente assetto istituzionale, affermatosi nelle elezioni del '94, procedette anch'esso, all'apice della sua affermazione, a mutare il proprio codice genetico con la sua trasformazione in AN. Avvertì l'impellente esigenza di rinnegare il proprio patrimonio ideale derivatogli dal Fascismo, per rendersi ben accetto nell'ambito di un antifascismo morente, storicamente sconfitto, unitamente alle sue istituzioni,  sconfessate apertamente dal popolo italiano. A Fiuggi nel '94, la mutazione del MSI in AN, rappresentò la fine di ogni radice ideale e legame culturale con il Fascismo. Secondo Erra, tale scelta fu dettata unicamente da opportunismi elettorali e da ingordigia di potere: se il MSI, criminalizzato ed isolato, con le sue radici fasciste aveva conseguito quei successi elettorali, figuriamoci quali plebisciti avrebbe ottenuto se avesse rinnegato il retaggio fascista, già marchio d'infamia nel campo antifascista. I fatti non hanno dato ragione a Fini & C: la svolta di Fiuggi non fu una questione di ideali, ma si ridusse ad una omologazione, senza idee né progetti, alla liberaldemocrazia antifascista. AN, nel dopo-Fiuggi, ha subito una erosione di voti e di consensi tuttora perdurante, al di là dei successi riportati per via del sistema elettorale maggioritario. Mentre i partiti del defunto arco costituzionale, pur essendosi riciclati in forme diverse nel calderone liberaldemocratico, mantengono la loro ragion d'essere e una unità sostanziale, in quanto si riconoscono sempre nell'antifascismo, dinanzi ad un Fascismo fantomatico e tutto da inventare. Ma soprattutto questi nuovi partiti, surrogati della prima repubblica e della resistenza convergono, anche se con riferimenti non più marxisti, ma liberal, nella loro concezione materialistica dell'uomo e della storia, rimasta sostanzialmente immutata.
I rappresentanti del vecchio MSI, ormai spogliatisi della propria identità, con la sua mutazione genetica in AN, non riescono a dare un contenuto ideale e politico alla compagine di centrodestra e soprattutto, sono incapaci di elaborare un programma definito di riforme istituzionali dinanzi alle esigenze della società italiana. Anzi, AN oggi al governo, evidenzia, dinanzi agli avversari, una debolezza e un senso di colpa del tutto ingiustificato, quale corpo estraneo alla logica dell'antifascismo. AN invero avverte una subalternità ideologica e non si sente mai abbastanza omologata alla "democrazia", ostenta continue scuse e pentimenti, conferendo all'antifascismo (assurto ad arbitro e giudice unico dei carati di democraticità conseguiti), una legittimità istituzionale che non ha.
Si avverte ogni giorno di più il vuoto lasciato dal patrimonio ideale ereditato dal Fascismo, in tema di spiritualità della vita, di senso dello Stato, di partecipazione popolare nell'ambito decisionale economico e politico. Nel '900 la politica mondiale fu imperniata sullo scontro tra tre diversi ideologici e politici quali il liberalismo, il marxismo e il fascismo. I primi due furono tra loro avversari solo apparenti, poiché, uniti nella loro comune matrice ideologica materialista, si ritrovarono alleati nel combattere e distruggere il Fascismo, quale loro irriducibile nemico. La scomparsa del marxismo e la crisi cronica del modello capitalista, sono eventi di portata mondiale a cui non è succeduta al momento una alternativa credibile, proprio per l'assenza, nell'agone politico del loro nemico mortale, il Fascismo, che oggi, avrebbe tutte le ragioni per rivendicare il suo ruolo di antagonista nei processi di trasformazione della società. A seguito di Fiuggi, infatti, non si è verificato solo un cambiamento di prospettiva ideologica di un partito, ma si è determinata la fine di qualsiasi alternativa globale ad un sistema liberaldemocratico in disfacimento, con il suo stesso modello economico - sociale, in quanto l'economia si è rivelata incapace a gestire la sfera politica. Il Fascismo quindi avrebbe le carte in regola per affermarsi sulle ceneri delle ideologie morte e sepolte. La scelta di AN si è dunque rivelata antistorica e incapacitante.
Il vuoto ideale lasciato dal Fascismo coinvolge direttamente tutta la società italiana ed i suoi valori civili: si comprende quindi oggi, nel momento in cui è venuta meno qualsiasi forza politica che si richiamasse al Fascismo, quali radici profonde aveva perpetuato quest'ultimo nel popolo italiano, quale religione civile, espressione della dignità dello Stato e della indipendenza nazionale. 
Lo stesso scontro global - no global, non produce alcun esito nella lotta al capitalismo, proprio perché si avverte l'assenza di una forza che si ponga al di là di antinomie solo apparenti e proponga nuovi modelli di sviluppo basati sulla identità ed indipendenza dei popoli.
Secondo Erra, dopo la rivoluzione del '22, la fase del regime, la RSI e il dopoguerra con il MSI, il Fascismo non è riuscito a generare una sua quinta fase nel contesto storico. Poiché le idee politiche camminano sulle gambe degli uomini, c'è da domandarsi seriamente se il destino del Fascismo non sia quello di rimanere nel mondo delle idee platoniche proprio nel momento in cui si avverte il bisogno necessario della sua presenza ed affermazione. Sulle ceneri di un mondo liberaldemocratico in perenne e progressiva decadenza, occorrerà dunque inventare il nuovo Fascismo, se si vuole costruire un futuro per l'Italia e per l'Europa. E' questo il messaggio più profondo e coinvolgente questo libro di Enzo Erra rivolge ad ognuno di noi. Il Fascismo nella sua genesi storica fu ansia di rinnovamento e di futuro: non a caso ebbe tra le sue componenti originarie il Futurismo e il suo inno era Giovinezza… 
ITALICUM N.? 2003 Recensione di Luigi Tedeschi.
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Il libro di Enzo Erra "La sindrome di Fiuggi – Il Fascismo alla resa dei conti", Edizioni Il Settimo Sigillo, pp. 141, prezzo euro 12,50 può essere acquistato presso Edizioni Il Settimo Sigillo, Roma 2003, Via Santa Maura 15 00192 Roma. Tel 06/39722155 – Fax 06/39722166; rete www.libreriaeuropa.it; Posta: ordini@libreriaeuropa.it.
Intervista a Enzo Erra, autore del libro, a cura di Luigi Tedeschi: Il nuovo libro di Enzo Erra, La sindrome di Fiuggi. Il Fascismo alla resa dei conti, promette già nel titolo una ricostruzione delle vicende che precedettero e seguirono la metamorfosi del MSI in Alleanza Nazionale, e un esame delle conseguenze a largo raggio che quella svolta provocò sugli sviluppi della recente storia italiana. E’ il primo studio completo e sistematico di un evento tanto vicino nel tempo, e occupa quindi un posto molto particolare nel panorama editoriale, a metà fra il distacco storico e la passione polemica. Sforzo peraltro non prematuro, perché l’esigenza di riesaminare gli eventi e riordinare le idee si avvertiva da tempo. Erra lo conduce allargando il discorso al collasso della cosiddetta "prima Repubblica" e alla mancata nascita di una nuova realtà istituzionale e politica in grado di prenderne il posto. Tra l’una e l’altra la sua analisi colloca proprio il congresso di Fiuggi, con la repentina scomparsa della forza che avrebbe avuto i titoli ideali e storici per reclamare la "successione al regime", e che invece scelse proprio quel momento per passare nel campo che aveva sempre avversato, e che era finalmente andato in crisi. E’ una diagnosi - come si vede - molto spregiudicata, e per certi aspetti sorprendente. Abbiamo cercato perciò di discuterne con ‘Autore alcuni passaggi salienti.
La svolta epocale che si verificò al congresso di Fiuggi e comportò la fine del MSI non fu accompagnata da tensioni e contrapposizioni ideali interne alla base militante Si può definirla quindi come un parto indolore? E come mai un simile capovolgimento passò senza difficoltà?
In realtà tensioni e difficoltà ci furono, e in misura non indifferente, Nelle votazioni finali del congresso, la richiesta di sopprimere dalle Tesi la famigerata frase sulla libertà "conculcata" dal fascismo fu respinta solo perché Fini pose su di essa una vera e propria questione di fiducia, e anche così l’emendamento votato per alzata di mano e quindi con i contestatori obbligati a farsi vedere e riconoscere - raccolse quasi duecento voti. Se si potesse analizzare bene quello che accadde, si vedrebbe che la svolta non sarebbe passata senza quell’atto di forza.
Tutto il gruppo dirigente missino tuttavia la sostenne, tanto è vero che gli interventi contrari, tra cui il tuo, si contarono letteralmente sulle dita di una mano. Forse i germi di AN erano già presenti nel MSI, che dai primi anni ’70, ricordiamocelo, era anche Destra Nazionale?
Un così totale rivolgimento non può avvenire senza cause profonde, e dunque una incubazione certamente ci fu, anche se fino all’ultimo non fu percepibile. Non credo però che si possa farla risalire all’esperimento della Destra Nazionale, che si concretò nel 1972 con l’ingresso di numerosi esponenti liberali e monarchici, ma andò in crisi dopo soli quattro anni nel 1976, con una scissione che allontanò dal Movimento non solo tutti i nuovi venuti, ma quasi metà dei vecchi quadri organizzativi e parlamentari. Se comunque c’erano dei germi, proprio in quella occasione vennero asportati. Tanto è vero che, come reazione alla scissione, il MSI si rinchiuse nella formula della cosiddetta "alternativa globale al sistema" che andò all’eccesso opposto, e tagliò i già fragilissimi fili tra il MSI e il mondo esterno.
Con questo non mi hai detto quali furono secondo te le cause.
La prima è la stanchezza provocata da cinquant’anni di "esilio in Patria", e l’esigenza di rilassarsi per godere un po’ di bella vita. Ci fu poi, come ho detto nel libro, la suggestione degli orizzonti che si schiusero quando l’esilio - con i risultati elettorali del ‘93 e del ‘94, e con la prima andata al governo - accennò a finire. Paradossalmente, la situazione che si aprì con la crescita dei consensi e con la partecipazione a una coalizione vittoriosa, non spinse a intensificare gli sforzi per sbaragliare il fronte avverso e impadronirsi del potere, ma ad abbandonarli per precipitarsi a raccattare i frutti che erano già caduti per terra. Esplose insomma la cupidigia umana, tanto a lungo compressa in una forzata astinenza. Può sembrare una spiegazione semplicistica, ma a me sembra invece preconcetta e infondata l’altra, che tende a vedere nel MSI una specie di anteprima, già predestinata fin dalla nascita a generare AN.
Dopo Fiuggi, tuttavia, abbiamo assistito solo alla liquidazione del patrimonio storico e ideale del MSI, mentre AN non ha mai acquisita una nuova e ben definita identità.
Ecco, è appunto questo che mi fa vedere in Fiuggi un fatto traumatico (di qui la "sindrome") e non un naturale e quasi fisiologico passaggio da una fase all’altra, come sostengono i protagonisti della svolta, e come finiscono per credere - dal punto di vista opposto e certo involontariamente - anche quei loro contestatori che parlano di una "tara originaria". Che lo strappo sia stato brusco si vede proprio dall’aspetto incerto e vago di AN, che ancora non fa capire che cosa sia o voglia essere. L’"identità" non si inventa, né si estrae come un coniglio dal cappello a cilindro del prestigiatore. Si può anche abbandonarla come un vestito scomodo, ma trovarne una nuova è un altro discorso.
Tu sostieni, a questo riguardo, che le conseguenze di Fiuggi non provocarono solo un mutamento interno al MSI, ma investirono, paralizzandola, l’evoluzione che si stava affacciando in Italia. In effetti, la fine della continuità ideale e storica con il fascismo ha fatto venir meno in seno alla società italiana il senso dello Stato, dell’unità e della sovranità nazionale. Ma la recente contrapposizione agli Stati Uniti, in occasione della guerra all’Iraq, da parte di Francia, Germania e Russia, non restituisce attualità ai valori degli Stati nazionali, quale necessaria alternativa alla globalizzazione capitalista?
Certo, il compito di ripristinare in Italia quei valori nazionali che erano stati cancellati con la caduta del Fascismo sarebbe spettato proprio al MSI, se anche il MSI stesso non fosse stato cancellato con la svolta di Fiuggi. Come ho sostenuto altre volte anche sulle pagine di Italicum, dalla falsa e materialistica alternativa "global-no global" si esce solo in nome della Patria e dello Spirito, e questo mi sembra l’orizzonte a cui guardare nell’immediato futuro. Non credo però che vi abbia qualcosa e che fare l’atteggiamento dei tre paesi che mi citi che sono notoriamente i migliori clienti dell’Iraq attuale, e per questo non vogliono vederlo passare sotto il controllo americano. Il modo in cui si sono defilati mi sembra dettato da interessi e non da valori. Senza dubbio, avere interessi e difenderli è sempre meglio che non avere nemmeno quelli e non sospettare di poterne avere, come appunto è il caso dell’Italia. Ma non bisogna scambiare un conflitto interno - o meglio una rivalità di mercato - nell’ambito del sistema capitalistico, per un indizio di rivolta contro il sistema stesso. Altri sono i segni da rialzare, se davvero si vuoi puntare a un’alternativa.
Dal tuo libro vedo che indichi ancora e sempre nel fascismo il riferimento da cui partire per una riscossa nazionale. Ma davvero vedi che sia possibile riprendere quella strada anche dopo Fiuggi?
Proprio Fiuggi dimostra che non ve ne sono altre. Quando si abbandona il fascismo si ricade nella liberaldemocrazia o nel marxismo. Tutto il XX secolo è stato dominato dal contrasto fra queste tre idee-forza, e una quarta non si è mai affacciata. Per questo AN non ha trovato - come dicevi - una nuova identità, e si è ridotta fin dalla nascita a un tardo tentativo di riproporre il liberalismo, sotto forme neanche tanto aggiornate. Tutto questo può apparire teorico o addirittura velleitario, di fronte alla "globale" potenza del sistema imperiale americano, ma proprio gli ultimi eventi (successivi anche alla stesura del mio libro) hanno rivelato l’inconsistenza dei pilastri - l’ONU, la NATO, l’UE - su cui il sistema si reggeva, e che ora penosamente vacillano. Se dunque sembra che non vi siano speranze, non è perché la realtà non le offra, ma perché nessuno ha la forza o la voglia di nutrirle.
Sarebbe meglio però definire esattamente che cosa intendi per fascismo. In uno dei passaggi cruciali del libro, tu definisci "socialismo irreale" il tentativo di statizzazione dell’economia condotto negli anni ‘60 e ‘70 dal centro-sinistra. Ti ricordo però che anche Gentile affermò "‘pubblico o privato purché di stato"’ propugnando quindi il primato statale. Quale è, a tuo parere, la differenza tra la prospettiva fascista e quella perseguita nel dopoguerra dalla sinistra italiana?
La sinistra italiana perseguiva gradualmente gli obiettivi che negli stessi anni venivano realizzati - con gli esiti catastrofici che poi si videro - dal regimi comunisti dell’Est, e cioè l’esproprio della proprietà privata e la pianificazione del processo economico. Tentativo che fallì, come credo di aver dimostrato - in Italia e altrove nello stesso periodo e per le stesse cause. Il fascismo invece estese e protesse la proprietà privata, e non pretese mai di dettare a tavolino le leggi dell’economia. Nel sistema fascista, la guida dello sviluppo veniva affidata alle forze stesse della produzione - capitale e lavoro - riunite categoria per categoria negli organi corporativi. La Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che dal 1939 assunse il potere legislativo, nasceva dalla confluenza dei due Consigli Nazionali, quello del PNF e quello delle Corporazioni. Economia e politica convivevano e si confrontavano nell’ambito degli stessi organismi. Non si può immaginare antitesi più netta con quello che avvenne nell’Italia del dopoguerra.
La tua ricostruzione storica suddivide la vicenda del fascismo in quattro fasi, la rivoluzione del ‘22, il regime, la RSI, e nel dopoguerra il Movimento Sociale. Osservi, però, che finora, benché il marxismo sia defunto e il liberalismo condannato a una crisi irreversibile, il fascismo non è riuscito e generare una sua quinta fase. Credi che sia possibile nel prossimo futuro una rinascita dell’idea fascista, quale superamento di questi due termini falsamente antitetici? Il fascismo non nacque come istanza di rinnovamento, sulle ceneri delle due ideologie ottocentesche?
Credo senz’altro che sia possibile, ma non credo che avverrà automaticamente, come per forza propria. La crisi del liberalismo e del marxismo, ma anche l’insofferenza largamente diffusa contro la globalizzazione, e per quanto riguarda l’Italia la consunzione della cosiddetta Prima Repubblica, convergono nel riportare al centro dell’attenzione la soluzione fascista. Le condizioni che richiamano il fascismo alla ribalta ci sono tutte, ma sono scarsi e per di più discordi gli uomini che dovrebbero incarnano e sostenerlo. Contro le teorie deterministiche dell’800, il fascismo ha sempre sostenuto che non è la storia che fa l’uomo ma è l’uomo che fa la storia. Spetta ora ai fascisti stessi di dimostrarlo, prendendo o non prendendo nelle mani le file del loro e non soltanto loro destino.
Da ITALICUM n. 3-4 -2003
MARINO PERISSINOTTO. IL SERVIZIO AUSILIARIO FEMMINILE DELLA DECIMA FLOTTIGLIA MAS 1944-1945
Ermanno Albertelli Editore. Il libro è reperibile, oltre che nelle librerie, presso Tuttostoria, Casella Postale 305, 43100 Parma, al prezzo di euro 25.00. 2003.
Nel marzo del 1944 nasceva con tutti i crismi dell’ufficialità il primo reparto militare femminile della storia d’Italia: il Servizio Ausiliario Femminile della Decima Flottiglia MAS, precedendo di pochi giorni la costituzione dell’analoga struttura organizzata dal Partito Fascista Repubblicano.
Elitario ed autonomo, il SAF X^ formò con quattro corsi un numero limitato di volontarie. 
Donne in grigioverde, e donne marinaio, dunque.
A costituirlo materialmente, ed a dirigerlo, fu Fede Arnaud, una giovane donna volitiva; ed il suo era un progetto, forse definito solo per linee di massima, che andava oltre alla guerra in corso, oltre al semplice vestire l’uniforme. Per dirla con parole dei nostri giorni, un “progetto donna”.
A questo punto, non sorprenderà il lettore scoprire che le allieve della Scuola SAF si formavano attraverso assemblee aperte, che vi s’insegnava a svolgere qualsiasi mansione con pari dignità ed impegno, che si rifiutavano galloni ed onori.
Più notevole il fatto che ad inventare questo Servizio Ausiliario furono donne giovanissime, poco più che ventenni; con risultati stimati ottimi anche dal fraterno rivale Servizio del Partito.
Questo libro racconta la genesi, l’attività, e la fine del SAF X^.
Accanto ai dati storici, viene dato largo spazio alla voce delle protagoniste, ai loro sentimenti, alle loro vicende.
Sono pubblicati per la prima volta integralmente un’intervista alla Comandante Arnaud, ed il diario di Luciana Cera, la Vice Comandante.
Attraverso i loro ricordi, scritti a pochissima distanza di tempo dagli eventi, il lettore può ascoltare quelle che Giampaolo Pansa definirebbe “le figlie dell’aquila”: grandi fatti, e piccoli avvenimenti quotidiani, che alla fine danno un ritratto impressionista, la somma di tante pennellate, di questa vicenda assieme militare ed umana.
Il libro presenta anche le altre donne della Decima: collaboratrici civili, mogli e sorelle, agenti speciali, attrici note e sartine. Un microcosmo femminile sorprendentemente complesso in un reparto militare, in un mondo di solito rappresentato al maschile.
L’analisi cerca di comprendere anche altri aspetti: dall’uniforme indossata, al codice di comportamento accettato, e sino alle canzoni del SAF X^.
Si seguono infine le tracce del SAF nel dopoguerra: dalle Volontarie celebri, e sino a quelle che raccolsero i resti dimenticati dei caduti, nella piana di Nettuno.
La documentazione fotografica, in parte inedita, permette di seguire queste ragazze nella loro vita militare, dalla scuola, al reparto, e sino al fronte; non mancano immagini dedicate alle altre Ausiliarie della RSI, la prime donne soldato d’Italia.
 
  

Alessandro Tesauro, Pound Beat. EZRA POUND E LA BEAT GENERATION
2003. Libreria Ar di Salerno. Pagine 48, euro 5.
 
Ezra Pound, un precursore della Beat Generation?
Probabilmente William Blake aveva ragione quando scrisse che "senza contrari non c'é progresso", come dimostra il frequente ma inaspettato intrecciarsi di vite e vicende apparentamente lontanissime. E' quindi un incontro sorprendente ma inevitabile, quello tra Ezra Pound e i poeti beat, come racconta Alessandro Tesauro nell'elegante volumetto 'Pound Beat. Ezra Pound e la Beat Generation' appena pubblicato dalla Libreria Ar di Salerno (pagine 48, euro 5) con una nota introduttiva di Anna K. Valerio. Fino al 1956 l'autore dei Cantos è rinchiuso in un manicomio criminale di Washington mentre fuori monta una contestazione che non è solo letteraria ma anche esistenziale e politic: il movimento beat.I beat si ribellano ai ritmi di vita e alle abitudini della società altamente industrializzata e consumistica che è uscita vincitrice dalla seconda guerra mondiale...
'Pound Beat' riporta le testimonianza di questi incontri (tra Pound e Ginsberg), con un Gisberg pieno di entusiasmo di fronte a un Pound già chiuso nel tempus taciendi:..."anche in politica avete colto nel segno - gli racconta Ginsberg - lo vediamo giorno dopo giorno nel Vitnam. Voi ci avete spiegato chi è che trae profitto dalla guerra. Addirittura, nel libro Allen Verbatim, Ginsberg dà pubblicamente credito a Pound "di aver smascherato e demistificato la natura delle banche e del denaro, dimostrando che l'intero sistema finanziario è un allucinazione, un gioco d'azzardo...
Lo stile di questo breve saggio che Alessandro Tesauro, dedica al poeta Ezra Pound - da lui considerato, in anni passati, come autore da tramandare, e ora come persona da ammirare - è quello dello schizzo: lieve, divagante. Dato che la migrazione delle idee di poetica ha sempre qualcosa di fatale e allo stesso tempo di vago, Tesauro ha l'intonazione del narratore mentre riflette sulla potenza dell'arte di Pound. Il suo scritto, come il titolo suggerisce, vede nel grande poeta scontroso l'ascendente implicito della Beat Generation. Allen Ginsberg, Jack Kerouac, e i loro colleghi più introversi, mutuarono tutti da Pound la spregiudicatezza del poetare-contro. I supporti che la filologia dà a questa tesi sono, in fondo, di interesse marginale - e l'autore infatti li trascura in favore dell'intuizione immediata di un'indole comune, tra questi liberi discepoli e il loro ispiratore silente, che sfocia in una visione del mondo analoga. Equilibrato e garbato, questo saggio non si preoccupa di prendere parte al dramma dello scontro tra il poeta e il suo tempo, ma è sapiente nel considerare gli effetti di questo scontro e il lascito di consapevolezza che tocca al lettore.
AVVENIRE, 21 gennaio 2004 (estratto) Luca Gallesi 

 
 
Pansa Giampaolo IL SANGUE DEI VINTI
Sperling & Kupfer, 2003
Esce "Il sangue dei vinti", il nuovo libro di Giampaolo Pansa."Dopo le atrocità dei repubblichini, l'altra faccia della medaglia"
Quei fascisti uccisi dopo il 25 aprile
di SIMONETTA FIORI
Intervista a Giampaolo Pansa 
ROMA - E' una pagina orrenda della storia italiana del Novecento. Storie di impiccati e traditori, di stupri e torture, di fucilazioni di massa ed efferatezze gratuite, di cadaveri irrisi e violati, della furia vendicativa che travolse il Nord d' Italia alla fine della guerra. Storie laceranti e dolorose, perché nelle vesti di aguzzini e seviziatori, tra il maggio del 1945 e la fine del 1946 (talvolta anche più in là), s' incontrano alcuni dei partigiani che avevano liberato il paese da nazisti e fascisti. 
E tra le vittime, ritratte nella luce livida della morte, uomini della Guardia Nazionale Repubblicana, brigatisti neri, federali di Salò, ma anche farmacisti, avvocati, artigiani, commercianti, operai, casalinghe, maestre elementari, affittacamere, talvolta condannati alla forca soltanto per una tessera del Partito fascista repubblicano. Per quasi sessant' anni questa vicenda è rimasta avvolta in un velo di reticenze e di silenzi imbarazzati. 
La racconta ora, con la passione storiografica degli esordi e la limpidezza del narratore sapiente, Giampaolo Pansa, in un libro - Il sangue dei vinti (Sperling & Kupfer, pagg. 382, euro 17, dal 14 ottobre in libreria) - che susciterà polemiche non lievi. 
"Dopo tante pagine scritte, anche da me, sulla Resistenza e sulle atrocità compiute dai tedeschi e dai repubblichini, mi è sembrato giusto far vedere l'altra faccia della medaglia. Ossia quel che accadde ai fascisti dopo il crollo della Repubblica sociale italiana". 
Il risultato è un viaggio attraverso l'orrore compiuto dall'autore insieme a Livia, una bibliotecaria quarantenne che è l'unico personaggio inventato del racconto. Meticolosa e sconvolgente è la mappa dei crimini. Scuole e ville trasformate in luoghi di tortura. Uomini gettati vivi nei forni delle acciaierie. Fiumi gonfi di cadaveri sfigurati. Un'intera colonna di soldati - la "Morsero" - esposta al linciaggio popolare, esecuzioni di massa sul Piave, assalti furibondi alle carceri, donne stuprate e poi finite con una pallottola. 
A Milano, Torino, in tanta parte della Liguria, nel Veneto, in Emilia. E tanto più feroce era stata l'occupazione nazifascista, quanto più furiosa esplode la vendetta. Soltanto alla fine di questo viaggio scopriremo che Livia è figlia d'un ex partigiano della Volante Rossa (la squadra che nel dopoguerra a Milano seminò terrore tra gli ex repubblichini) e con quel controverso passato vuol fare i conti. 
Lei, Pansa, perché ha voluto aprire una pagina così spinosa? 
"Avevo diciannove anni quando cominciai a studiare la storia della Resistenza. A quella straordinaria vicenda civile ho dedicato con slancio la mia tesi di laurea, avviata con Alessandro Galante Garrone e conclusa con Guido Quazza, i miei maestri. Da allora ho continuato a scriverne, con una curiosità mai soddisfatta: ma cosa è realmente accaduto alla fine della guerra? Nessuno mi ha mai dato una risposta. Non gli accademici, per cui la storia si concludeva con il 25 aprile. Né la storiografia di sinistra, che per opportunismo partitico o faziosità ideologica ha quasi sempre ignorato quegli avvenimenti. A sessantasette anni mi sono detto: ma perché non provare a raccontare il 'dopo 25 aprile'?". 
Nessun disagio nel confrontarsi con una materia così incandescente? 
"No, perché dovrei? Sono un ex ragazzo di sinistra, ho un pedigree antifascista, l'eroe per antonomasia è il partigiano che liberò la mia città, Casale Monferrato. Ma ho sempre saputo che la guerra civile è una scuola terribile per tutti. Ti abitua alla violenza disumana. Chi sostiene che soltanto una parte s' è macchiata di pratiche bestiali sa di dichiarare il falso. Quello schifo l'abbiamo visto in entrambi i campi e io ho voluto raccontare quel che è accaduto nel mio campo". 
Claudio Pavone, che per primo ha sdoganato a sinistra il termine di "guerra civile", scrive che crudeli e sadici furono presenti nelle due parti in lotta (in numero senza confronti superiore tra i repubblichini) e tuttavia ciò che differenzia i due fronti è la diversa struttura culturale di fondo, più adatta nel caso dei fascisti a selezionare crudeltà e sadismo. 
"Ma ciò che sconvolge, nei mesi successivi al 25 aprile, è l'indistinta caccia al fascista, che poteva essere un criminale di guerra, o soltanto un tesserato del Pfr, oppure niente di niente. La morte come una falce impazzita, che non distingue l'erba buona da quella cattiva. Famiglie intere spedite sottoterra, per un semplice sospetto. Complessivamente furono oltre ventimila le persone, tra militari e civili, che rimasero travolte dalla resa dei conti e dagli omicidi politici. Desaparecidos d' una guerra brutale". 
Come spiega tanta violenza? 
"Intanto fu una reazione istintiva alla spietatezza degli occupatori nazisti e dei fascisti collaborazionisti. Non a caso tanto più feroce era stata l'azione di tedeschi e repubblichini, quanto più cruenta fu la ribellione. Senza contare le vendette personali: dietro molte esecuzioni, c' era una resa dei conti privata". 
Lei scrive che dietro questa furia violenta agiva anche un'illusione. 
"Era diffusa la convinzione che più fascisti venivano accoppati, minore sarebbe stata la possibilità di rinascita del fascismo. Un'illusione fallace". 
Oggi gli eredi di quella storia sono al governo. 
"Sì, è così. Anche se Fini non può essere inchiodato al suo passato fascista, così come Fassino non può essere impiccato alle sue radici comuniste". 
Furono numerosi allora i giustizieri improvvisati. 
"Spuntarono ovunque tantissimi partigiani finti. Ci sono le testimonianze di Italo Pietra e del socialista Gianni Baldi: scendevano in campo gli antifascisti dell'ultim' ora, decisi a mettersi in bella vista in soccorso del vincitore". 
Su quali fonti storiografiche ha lavorato? 
"Ho dovuto camminare sulle sabbie mobili di fatti lontani, che spesso hanno lasciato poche tracce. Mi ha soccorso una vasta memorialistica di parte - disseminata presso sigle editoriali minori, quasi invisibili - oltre che i censimenti dei caduti della Rsi, mentre nell'ambito della letteratura di segno opposto non c' è granché, tranne i preziosi contributi di Massimo Storchi, Gianni Oliva e Mirco Dondi. Gli istituti storici della Resistenza, su questo argomento, hanno prodotto molto poco". 
Ma le testimonianze di parte fascista non rischiano di essere faziose, devianti? 
"No, non c' è questo rischio. Tutte le storie che ho raccolto in questo libro sono assolutamente credibili. Il mio difetto è averne tralasciato un'enorme quantità". 
Tra tutte colpisce la pagina dedicata a un personaggio-simbolo, Arrigo Boldrini, presidente dell'Anpi. Lei definisce i suoi uomini "eroici e spietati". Ne racconta la ferocia esercitata a Codevigo, in Veneto, contro i fascisti ravennati. 
"Boldrini è stato un grande comandante militare, intelligente e coraggioso. Nel febbraio del 1944 ottenne una medaglia d' oro dagli inglesi. Ma a Codevigo tutti ricordano ancora quel che accadde alla fine della guerra: gli uomini di Bulow era meglio non trovarseli davanti, né di giorno né di notte". 
Non teme di sfigurare un'icona? 
Ma no, quella era una guerra spietata. Se avessi avuto dieci anni di più, mi sarei trovato al loro fianco". 
Lei Pansa affronta anche un altro argomento tabù, il cosiddetto triangolo della morte, i delitti commessi nel dopoguerra in Emilia da partigiani comunisti. 
"Sì, fu l'inizio d'una seconda guerra civile. Una guerra di classe che avrebbe potuto fare da innesco a una rivoluzione comunista. Si cominciarono ad ammazzare i preti, gli agrari, i borghesi ricchi. Il vero drammatico problema era che nel partito di Togliatti, di Longo, di Secchia e di Amendola, l'intero gruppo dirigente, compresi i capi locali, non fece nulla per stroncare alla radice questa convinzione". 
Ma nel Pci, su queste violenze, ci fu uno scontro molto aspro. 
"Esisteva un partito deviato, all'interno del partito legale. Gruppi clandestini che godevano dell'appoggio di non pochi dirigenti del Pci reggiano. Finché Togliatti, nel settembre del 1946, disse basta. Di lì a poco il vertice della federazione reggiana venne silurato. Hanno ragione Elena Aga Rossi e Viktor Zaslavsky quando sostengono che le vendette e poi l'epurazione miravano a indebolire un'intera classe, la borghesia, e a sostituire il vecchio ceto dirigente con una nuova leadership in cui il Pci fosse rappresentato". 
Pansa, mi viene in mente l'obiezione mossa da un dirigente cattolico del Cnl, Pasquale Marconi, a un bel personaggio del suo racconto, il Solitario, che pagò con la vita la sua ansia di verità. 
"Se è lecito che si faccia luce e giustizia, non è bene rimestare continuamente tutto quello che vi può essere stato di marcio nella causa partigiana: rischieremmo di essere ingiusti verso quello che c' è stato di bello". 
Lei non vede questo rischio, oggi? 
"No, affatto. Potrei rispondere con un motto di Giancarlo Pajetta: 'La verità è sempre rivoluzionaria'. Il marcio che pure vi fu tra le file partigiane non cancella le pagine eroiche. E non azzera la distinzione tra le due parti in lotta: gli uni combattevano per la libertà, gli altri al fianco della dittatura nazifascista. Mi chiedo soltanto se i vincitori di quella guerra non sarebbero potuti essere più clementi con l'avversario". 
Un libro sui partigiani rossi lordi di sangue non rischia di essere inopportuno in un paese guidato da un premier che elogia la benevolenza di Mussolini? 
"Ma io non sono un uomo da opportunità! Io me ne infischio. Quel che dice il cavaliere sul regime fascista è un discorso da ubriaco. Penso che la partita con Silvio Berlusconi vada giocata su un altro terreno, spiegando che quella maggioranza porta il paese al disastro". 
Tra i valori oggi in gioco c' è anche l'antifascismo.
 
"Ma il mio è un grande servizio reso all'antifascismo. Questa storia, di morte e vendetta, la raccontiamo fino in fondo noi che veniamo da quella parte. Gianfranco Fini non lo fa. Di Salò non vuole parlare". 
I vinti di allora sono i vincitori di oggi. 
"L'ho già detto, ammazzare i fascisti non è servito a niente. Anche se la destra di oggi, ripeto, è una cosa diversa". 
Pansa, non si sorprenderà se il suo libro susciterà discussione.
 
"Quelli della mia parte s' arrabbieranno. Ma a me piacciono i dibattiti furibondi. Voglio continuare a scrivere libri "politicamente scorretti", scuotere certezze acquisite. Saranno i lettori a giudicarmi. Il mio lavoro precedente, I figli dell'aquila, protagonista un ragazzo di Salò, ha venduto ottantamila copie, e vinto il premio Acqui Storia. Se qualcuno s' incavola, faccia pure: io vado avanti". 
FONTE: LA REPUBBLICA (tramite sito in Internet) del 10 ottobre 2003 
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I PADRONI DELLA MEMORIA. La storia scritta (e riscritta) sempre a sinistra 
Galli Della Loggia Ernesto
C' è davvero qualcosa di singolare nel modo in cui è venuta formandosi la memoria della Repubblica, nel modo in cui tale memoria è stata ed è elaborata dalla cultura ufficiale del Paese. Per molti decenni, ad esempio, a quanto accaduto dal 1943 al ' 45 fu vietato dare il nome che gli spettava, il nome cioè di guerra civile. Parlare di guerra civile era giudicato fattualmente falso, e ancor di più ideologicamente sospetto. Bisognava dire che quella che c' era stata era la resistenza, non la guerra civile; di guerra civile parlavano e scrivevano, allora, solo i reduci di Salò, i nostalgici del regime e qualche coraggioso giornalista o pubblicista di rango come Indro Montanelli, che mostravano così da che parte ancora stavano. Le cose andarono in questo modo a lungo. Finché, all' inizio degli anni Novanta, come si sa, uno storico di sinistra, Claudio Pavone, scrisse un libro sul periodo 1943-' 45 che si intitolava precisamente Una guerra civile: solamente da allora tutti abbiamo potuto usare senza problemi questa espressione, ben inteso non cancellando certo la parola resistenza. Altro esempio: il cosiddetto "triangolo della morte", ovvero le uccisioni indiscriminate di fascisti e non commesse dai partigiani dopo il 25 aprile. Anche qui è valsa fino ad oggi la regola che bisognava negare che quelle uccisioni fossero avvenute, per lo meno che fossero avvenute su larga scala e assai spesso con efferatezza e gratuità spaventevoli. Solo quelli di Salò e i neofascisti ne parlavano, naturalmente si può immaginare come. Il discorso storico ufficiale, invece, al massimo e solo dopo molte riluttanze arrivava alle mezze ammissioni: più in là c' era ancora una volta il divieto del politicamente e dello storiograficamente corretto; finché con il recente libro di un noto e bravo giornalista di sinistra, Giampaolo Pansa (Il sangue dei vinti), il divieto è stato tolto, sicché ora siamo tutti finalmente autorizzati a conoscere e a discutere liberamente gli avvenimenti di quei terribili giorni. Ma mi domando: non è singolare che su due aspetti così significativi della fondazione del nostro presente, la memoria ufficiale del Paese abbia per tanto tempo preferito guardare dall' altra parte? E non è ancor più singolare che a conti fatti su entrambi quei nodi di eventi la versione anche lessicalmente più vicina alla verità non fosse quella della democrazia repubblicana e della sua memoria bensì quella dei suoi nemici? Ma le singolarità non finiscono qui. C' è anche il non trascurabile particolare che è solo nel momento in cui personalità culturali di sinistra decidono che è giunto il momento di cambiare la versione fin lì consacrata dei fatti, è solo allora che il Paese si sente autorizzato a prendere ufficialmente conoscenza di parti di verità che fino ad allora, viceversa, si riteneva ideologicamente più opportuno far finta di ignorare; è solo allora che giornali, televisioni, opinione pubblica, si sentono in grado di poter discutere liberamente. Non solo, ma, come ha ricordato Otello Montanari in una lunga lettera al Foglio, capita addirittura che proprio l' odierno denunciatore delle stragi del dopo 25 aprile, proprio lui solo una decina di anni fa giudicasse negativamente e con pesante sarcasmo il suddetto Montanari che, pur militando da sempre nel Pci, cercava già allora di sollevare il velo della verità su quelle indiscriminate uccisioni; che cercava cioè di fare in anticipo la medesima cosa che lui stesso fa oggi. Siamo una democrazia, insomma, che per troppo tempo ha avuto un rapporto problematico con la verità delle sue origini. E che dunque ha avuto un rapporto egualmente problematico con l' anima profonda del Paese che invece quella verità sapeva, o spesso intuiva, ma non poteva né sapeva dire. Una democrazia troppo abituata a praticare innanzitutto sulle proprie stesse vicende il conformismo culturale, l' ossequio alle versioni di comodo, a incensare come maestri gli araldi del primo e i fabbricanti delle seconde. Siamo una democrazia nata con una difficoltà profonda a fare i conti con il passato e che, forse anche per questo, si è poi trovata costretta in sessant' anni ad assistere tanto spesso senza batter ciglio al repentino cambiamento di senso che ha colpito il passato di tante biografie politiche: ieri postlittorie o postmonarchiche, oggi postfasciste, postcomuniste, postcraxiane, domani chissà postberlusconiane o postleghiste. Siamo una democrazia in cui la chiave della memoria pubblica è ancora e sempre nelle mani di una parte sola, non da ultimo a causa dell' incapacità e dell' inconsistenza culturale dell' altra, la quale, trovandosi tagliata fuori dall' elaborazione attiva e riconosciuta del passato collettivo, è come se si trovasse essa stessa senza radici e sempre sul punto di essere espulsa da quel passato medesimo, di vedersi cacciata dalla koinè nazionale. Fino a quando sarà così non lo sappiamo: sappiamo solo che finché la memoria degli italiani non diverrà finalmente la sua stessa memoria, la Repubblica sarà condannata ad accontentarsi di una memoria sempre parziale e omissiva, a sentire sempre incerto e provvisorio il suo presente proprio come sempre incerto e provvisorio è il suo passato. Ernesto Galli della Loggia 
IL CORRIERE DELLA SERA sabato, 1 novembre, 2003 
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SINISTRA PADRONA DELLA MEMORIA: DAGLI STORICI AUTOCRITICI E ACCUSE. Lepre: è vero, ci siamo politicizzati. Rumi: effetto della sconfitta comunista Tranfaglia: il problema è invece l' inconsistenza culturale della destra Sabbatucci: impostazione figlia della Rivoluzione francese pensare che la legittimità sta solo da una parte. Dopo l' editoriale di Galli della Loggia sul monopolio nella lettura del passato. 
Fertilio Dario 
«La storia è sempre scritta dalla parte del vincitore» annotava amaramente Trotzky, dopo aver perso la sua battaglia contro Stalin e imboccato la via dell' esilio. E qualcosa di vero doveva pur esserci, se nell' articolo di fondo sul Corriere, ieri, lo storico Ernesto Galli della Loggia ha denunciato un simile conformismo ortodosso a proposito della Resistenza. Certo in Italia, a differenza della Russia, ha trionfato la democrazia: ma come negare che, all' ombra delle truppe liberatrici, si siano fatti largo i regolamenti di conti e gli atti di giustizia sommaria illustrati da Giampaolo Pansa nel suo ultimo libro? E che proprio questi lati oscuri, a volte vergognosi, siano stati considerati tabù dalla storiografia ufficiale, da sempre allineata a sinistra? Ebbene, Galli della Loggia ha parlato chiaro: da noi, almeno fino ad oggi, sono esistiti i «padroni della memoria», gli unici autorizzati a ripartire meriti e colpe delle nostre vicende comuni. E, finché questi «padroni» l' hanno proibito, tutti i saggisti e gli studiosi (o quasi) hanno rispettato disciplinatamente il silenzio. Poi, prima con Claudio Pavone e più recentemente con Giampaolo Pansa, il divieto è stato tolto: ma è accaduto soltanto perché il via libera è venuto da personaggi schierati a sinistra? «Il problema invece è tutto della destra - risponde polemicamente Nicola Tranfaglia - perché a cinquant' anni dalla fine del fascismo essa non riesce ancora ad affrontare adeguatamente quel periodo storico. Un po' per sua inconsistenza culturale, e un po' perché sono temi che, si vede, continuano a scottarla». Non nega, Tranfaglia, quegli «episodi di giustizia anche sommaria» avvenuti «al di fuori delle regole della legalità»: tuttavia, nota, «venivano pur sempre dopo vent' anni di regime, e di crudeltà commesse dai seguaci di Salò». Questo non autorizza nessuno, comunque, a parlare di «occupazione della memoria»: «Le capacità non sono ereditarie, gli spazi può prenderseli chi vuole». Sarà, ma secondo Piero Melograni è storicamente vera, piuttosto, la spartizione delle zone d' influenza: «La sinistra agli intellettuali ha promesso il potere, e si è conquistato un' egemonia; la destra, al massimo, ha promesso loro dei soldi». Tuttavia, ha l' impressione che le cose stiano cambiando in meglio: «L' analisi di Galli della Loggia la trovo nell' insieme azzeccata, però sono meno pessimista sul futuro. Oggi gli studiosi possono lavorare meglio di prima, anche se parecchi anni di studio sono andati perduti, e poi l' ostilità contro il revisionismo si sta esaurendo. Se alcuni politici continuano a opporsi, dev' essere perché in fondo pensano che l' Italia non possieda un' identità e una vera memoria condivisa. Poi dimenticano di dire che se l' identità italiana esiste, ed è così, dev' essere anche nel male, non solo nel bene». Come si potrà arrivare allora a quella «memoria condivisa» auspicata da tanti? «Identificandola con la capacità di comprendere le ragioni degli altri: vale per la destra nei confronti della sinistra, e al contrario». Il sostegno più convinto Galli della Loggia lo ottiene sul versante cattolico: Giorgio Rumi concorda in pieno sulla denuncia di «un' egemonia di sinistra sulla storia, al punto da far sentire a tutti, oggi, umiliante e scandaloso l' averla tollerata». Se le cose sono cambiate, a suo giudizio, è in parte merito di De Felice, «il primo che ha avuto il coraggio di sollevare questo macigno», ma si può considerare anche un semplice effetto della sconfitta storica dei regimi comunisti. «Le cose sono cambiate dopo l' 89 e il ' 91, è venuto meno quello "spirito satellite" che a sinistra la faceva da padrone. Se ne vuole una controprova paradossale? Proprio la storiografia di sinistra, in tutti questi anni, ha continuato sistematicamente a sottovalutare il ruolo dell' Armata Rossa, non meno che degli alleati anglo-americani, nella liberazione dal nazismo. Il motivo è stato tattico: si preferiva lasciare in ombra gli aspetti considerati, per un motivo o per l' altro, imbarazzanti, e puntare tutto sulla guerra di liberazione, un argomento su cui era ovvio che tutti fossero d' accordo». Se si vuole un' autocritica a sinistra, ebbene Aurelio Lepre è pronto a farla: «Negli anni del dopoguerra noi progressisti ci siamo troppo politicizzati, abbiamo considerato i nostri studi storici come un modo di fare politica». E il tema, anch' esso toccato da Galli della Loggia, della «guerra civile»? Non è vero che è stata a lungo negata, solo perché rischiava di oscurare l' aspetto eroico della Resistenza? «Guerra civile ci fu tra italiani - risponde Lepre - mentre la Liberazione fu quella dai tedeschi. Resistenza invece è un termine più generico: significa che la popolazione, pur non partecipando sempre attivamente alla lotta, stava in generale dalla parte dei partigiani, si opponeva alla continuazione di una guerra che appariva ormai inutile». Una discussione, comunque, che non si applica solo all' Italia: Giovanni Sabbatucci trova molte somiglianze tra noi e la Francia, quest' ultima spaccata a suo tempo attorno al tema della resistenza antigiacobina in Vandea, o sulla repubblica di Vichy e le responsabilità del collaborazionismo. «La nostra storia europea, anche quella contemporanea, resta sempre figlia della rivoluzione francese. Di conseguenza, si tende a pensare che la legittimità sia solo a sinistra, e ad essa spetti naturalmente un' egemonia culturale. Un effetto? Da noi anche il Risorgimento è stato possibile finora criticarlo soltanto da sinistra. La destra, già malconcia, è uscita definitivamente delegittimata dalla disavventura del fascismo. «Certo - conclude Sabbatucci - è scoraggiante ritrovarci ancora oggi, nel 2003, a discutere le legittimità di un libro come quello di Pansa. Un' arretratezza di cui dovremmo vergognarci un po' ». 
IL CORRIERE DELLA SERA  domenica, 2 novembre, 2003 . (STORIA, Pag. 013) 
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Il dibattito MEMORIA
In un editoriale pubblicato sul Corriere della Sera di ieri, Ernesto Galli della Loggia ha posto il problema dei «padroni della memoria»: per decenni la storiografia, appannaggio della sinistra, non ha parlato di guerra civile per gli anni dal 1943 al 1945 e non ha fatto luce adeguata sui delitti commessi dai partigiani dopo il 25 aprile REVISIONISMO All' inizio degli anni Novanta l' atteggiamento della storiografia «ufficiale» comincia a cambiare. Fondamentale il saggio dello storico di sinistra Claudio Pavone, intitolato Una guerra civile, in cui si indagano i fatti del periodo 1943-' 45 LE VITTIME I federali di Salò, gli uomini della Guardia nazionale repubblicana, ma anche semplici farmacisti, avvocati, e casalinghe con la tessera del Pfr: sono le vittime della vendetta partigiana esplosa in modo furioso in Emilia, Veneto, Toscana, Lombardia, Piemonte e Liguria 
IL CORRIERE DELLA SERA  domenica, 2 novembre, 2003 . (STORIA, Pag. 013) 
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OPINIONI A CONFRONTO
PIERO MELOGRANI La sinistra agli intellettuali ha promesso il potere, e si è conquistata un' egemonia; la destra, al massimo, ha promesso loro dei soldi. Azzeccata l' analisi di Galli della Loggia, ma sono meno pessimista sul futuro GIOVANNI SABBATUCCI La nostra storia europea, anche quella contemporanea, resta sempre figlia della Rivoluzione francese. Di conseguenza, si tende a pensare che la legittimità sia solo a sinistra, e ad essa spetti naturalmente un' egemonia culturale NICOLA TRANFAGLIA Il problema è tutto della destra perché a 50 anni dalla fine del fascismo essa non riesce ancora ad affrontare adeguatamente quel periodo storico. Un po' per sua inconsistenza culturale, e un po' perché sono temi che continuano a scottarla AURELIO LEPRE Nel dopoguerra noi progressisti ci siamo troppo politicizzati e considerato i nostri studi come un modo di fare politica. Guerra civile ci fu tra italiani, Liberazione fu quella dai tedeschi. Resistenza? Il popolo stava dalla parte dei partigiani 
IL CORRIERE DELLA SERA  domenica, 2 novembre, 2003 . (STORIA, Pag. 013)
Corridoni Filippo (a cura di Andrea Benzi) PER LE MIE IDEE
Società Editrice Barbarossa, 2003
  E' uscito un nuovo volume degli scritti di Filippo Corridoni, curato da Andrea Benzi. Sono lettere, frammenti epistolari, cartoline dal fronte, una produzione che va dal 1904 al 23 ottobre 1915, giorno della morte del sindacalista soldato. Una testimonianza autobiografica di uno dei personaggi più importanti della storia nazionale del primo '900: Corridoni contribuì infatti alla saldatura fra sindacalismo ed interventismo rivoluzionari, conquistando alla causa della guerra mondiale gli operai di Milano e ponendo le radici di quello che sarebbero stati i Fasci di combattimento del 23 marzo 1919, della Reggenza dannunziana a Fiume, e della Unione Italiana del Lavoro di Edmondo Rossoni.
 Numerose le lettere inedite, preziosi spaccati della vita economica e sociale di quel tempo, dei fermenti politici e sindacali (in particolare signficativa una testimonianza sul giovane Mussolini). Lettere ad Alceste De Ambris, Amilcare De Ambris, Benito Mussolini, Attilio Deffenu ed altri ancora. Un crescendo drammatico che, dagli anni della giovinezza conduce, con una tragica esasperazione rivelata da quanto Corridoni scriveva, alla morte avvenuta in faccia agli Austriaci, il 23 ottobre del 1915 alla Trincea delle Frasche (vicino a Redipuglia). L'eroe scomparve nel fuoco e nelle fiamme del combattimento, senza che il suo corpo, come avveniva per gli antichi eroi, venisse più ritrovato.
Il libro è composto da 215 pagine ed è la naturale prosecuzione del tentativo di Andrea Benzi di arrivare a raccogliere e pubblicare tutto quanto di scritto ha lasciato Filippo Corridoni.
Chi è interessato può ordinarlo a compro@orionlibri.com o ad andreabenzi64@virgilio.it al prezzo di 15 euro, con contributo per le spese postali di 2,50 euro. Potete altresì telefonare al 3404682621 Per ordini superiori alle due copie non vi saranno spese postali. Chi è intenzionato ad acquistare anche il primo volume degli scritti corridoniani ("Come per andare più avanti ancora", pagg. 284) può ordinarlo congiuntamente. Entrambi i volumi verranno inviati a 30 euro senza spese postali.  
Da www.orionlibri.com 
Luca Fantini ESSENZA MISTICA DEL FASCISMO TOTALITARIO
2003? Pagg. 320 circa, 30 foto tra le più significative dell’epoca.
Dato il carattere divulgativo tra le giovani generazioni di italiani, viene fissato un prezzo modico di 15 euro, più spese di spedizione. Prenotazione del volume a: associazioneunodicembre943@virgilio.it, tel. 338 - 8175942. Indirizzo postale: Ass. Cult. “uno dicembre1943”, Casella Postale n. 1 – Succ. 6 -  06127 Perugia. Nota: inviando un vaglia postale o un assegno di c/c  di euro 20 all’indirizzo postale dell’associazione , riceverà il volume per posta ordinaria (costo 5 euro, considerato il peso dello stesso); diversamente, in contrassegno, il costo sarà di E. 24,70) 
 
 
“Che esso sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che la fede abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il fascismo ha avuto i suoi Caduti e i suoi Martiri. Il fascismo ha oramai nel mondo l’universalità di tutte le dottrine che, realizzandosi, rappresentano un momento nella storia dello spirito”. Benito Mussolini.
E’ il “viaggio” di un giovane di oggi in un mondo quasi del tutto sconosciuto ai più: quello di una generazione che oltre mezzo secolo fa che visse il fascismo come una religione di vita.
L’autore si riallaccia alla Scuola di Mistica fascista fondata da Nicolò Giani in stretta collaborazione con  Arnaldo Mussolini dove si formavano i quadri del fascismo che si ispiravano a una concezione di vita altamente spirituale.
Solo una conoscenza dei principi a cui si ispirava l’ascetismo fascista può dare al lettore
la giusta chiave di interpretazione dell’atteggiamento sprezzante con cui migliaia e migliaia di giovani e non giovani fascisti affrontarono la “signora morte” in modo beffardo.Sono state  le migliaia e migliaia di volontari, nella stragrande maggioranza giovani o adolescenti, i quali, avendo assimilata e fatta propria la ventennale predicazione di Mussolini , erano già “l’italiano nuovo”, che era portatore dei valori spirituali, morali ed etici che il fascismo aveva fatto emergere e che, se si dimostrarono utili in tempo di guerra, ancora più preziosi si dimostrarono in tempo di pace. 
E’  grande merito di LUCA FANTINI, giovane laureato in scienze politiche, nella sua opera prima, quello di aver delineato i meccanismi psicologici per i quali l’ideale fascista suscitò quegli immensi entusiasmi, al punto da indurre quasi un’intera generazione al sacrificio supremo, disponibilissima a morire in un impeto di generosità e di altruismo.  
 
 
 
Longo Luigi Emilio. I VINCITORI DELLA GUERRA PERDUTA.
Settimo Sigillo. 2003.
 
 
Un libro di storia, se tratta argomenti lontani nel tempo, non incide sul presente nè lo subisce e non ha particolari rapporti con il momento in cui viene stampato. Anche se contiene allusioni più o meno dirette all'attualità, non è a quella che mira, e non dipende dall'occasione, soprattutto se la sua struttura e il suo contenuto presuppongono una lunga maturazione e preparazione. Come le altre della sua categoria, anche quest'opera di Luigi Emilio Longo, ha come tema il passato e non il presente.
Essa per altro non è di quelle che nascono "di getto", malgrado lo stile fluido e scorrevole che lascia trasparire il corso immediati e spontaneo del pensare e del sentire. Ognuna delle biografie che si alternano nelle sue pagine comporta uno sforzo di ricerca e di analisi sufficiente per un intero libro e la loro stessa scelta rivela la profondità di una preliminare, profonda meditazione. E tuttavia, se Longo le avesse scritte per farle apparire in questo particolare momento la loro pubblicazione non sarebbe più efficace e tempestiva: il libro non è stato predisposto, eppure si presenta come se non fosse inatteso, come se i giorni che stiamo vivendo l'avessero segretamente richiesto.
Mieville Roberto. FASCISTS CRIMINAL CAMP
2003. Associazione Culturale 1 Dicembre 43, C.P. n. 37. Succ. n. 6.   06127 Perugia. Posta elettronica: cincinnato31@virgilio.it
12 euro compreso il CD (film on DVD Texas 1944). Da inviare a: Faccia Angelo, C/C postale n. 13017629, C.P. 37 - Succ 6, O6127 Perugia
INTRODUZIONE
Chi si accinge a scrivere questa breve nota introduttiva non fa parte della generazione dei protagonisti descritti in questo libro di memorie. Purtroppo il sottoscritto è parte della generazione moderna... Purtroppo? Certo, purtroppo.
Generazione di uomini senza idee né ideali, incapaci di sacrificarsi per qualcosa che non sia il piacere immediato, il divertimento, il tornaconto... Uomini che non hanno mai vissuto né mai vivranno i momenti di fierezza dei prigionieri
protagonisti di questo libro.
Ci fu un tempo in cui la gioventù si sacrificava per un ideale, considerato più importante della vita stessa; i maltrattamenti, i tormenti, le torture fisiche e psicologiche che i prigionieri di guerra subirono, mirabilmente descritte da Mieville, avrebbero potuto essere evitate con una semplice abiura, una semplice dichiarazione con la quale si giurava di rinnegare i propri ideali
e quello per cui si era combattuto.
Ma la stragrande maggioranza degli uomini di quella generazione scelsero consapevolmente il martirio, piuttosto che tradire sé stessi, il proprio Paese e le proprie idee. Certo, anche allora vi fu chi corse vergognosamente verso i vincitori della guerra, rinnegando tutto quanto poteva essere rinnegato e beandosi della propria condizione di traditore. Ma furono un'infima minoranza, schifata e rifiutata dai più.
Oggi sarebbero certamente la maggioranza... Viviamo i tempi in cui gli ideali sono stati sostituiti dalla discoteca, dall'alcool, dalle droghe, dalle fuoriserie che sfrecciano a 200 chilometri orari sulle autostrade... Tempi in cui per i giovani il massimo sopruso tollerabile è la chiusura anticipata di una discoteca, o il mancato regalo da parte di qualche genitore degenere dell'automobile alla moda.
Oggi quelli che si autodefiniscono "impegnati" si limitano a devastare vetrine, a dare fuoco alle automobili ed a celebrare come un "eroe" un delinquente abbattuto da un tutore dell'ordine mentre stava per ucciderlo a colpi di estintore!
Leggano questo libro le nuove generazioni, e provino ad immedesimarsi in qualcosa che non hanno mai conosciuto: la fedeltà ad un'idea, l'amore per la propria Patria, l'orgoglio di non cedere di fronte ad alcun sopruso, neppure quello più terribile, inferto da quelli che oggi come ieri si definiscono "portatori di civiltà e democrazia"...
Comprendano i giovani d'oggi le nefandezze di cui furono capaci questi "civili e democratici" aguzzini; le stesse nefandezze che si stanno perpetrando in queste ore in paesi come l'Iraq e l'Afghanistan, con il beneplacito di tutto il mondo che si pretende "evoluto e civile".
E comprendano il carattere ed il valore di chi seppe sopportare tutto questo a testa alta' senza mai un attimo di tentennamento o di desiderio di svendere la propria persona per fare cessare le torture'
Forse non è troppo tardi per il nostro mondo corrotto e decadente; forse l'esempio che viene dal passato e la testimonianza diretta dei pochi che sono in vita ancora oggi potrà fare sussultare qualche cuore e spingere alla riflessione qualcuno dei giovani che si stanno consumando fra discoteche e centri sociali... E’- per questo e solo per questo che ci siamo impegnati nella ristampa di questa testimonianza, dura come un macigno, ma vera e genuina come l'autore che la redasse durante la prigionia, dandola alle stampe subito dopo la fine della guerra. Non per tentare di realizzare proventi. Non per diventare famosi nel mondo dell'editoria e del giornalismo. Non per realizzare uno dei cosiddetti "best seller"...
Solo per testimoniare... Testimoniare la grandezza di una generazione che non si arrese e che continuò a battersi nonostante la sconfitta militare, nonostante le torture straniere e nonostante le epurazioni subite per decenni in Patria.
Se anche un solo giovane di oggi si soffermerà a riflettere su questo libro, la nostra missione sarà compiuta.
Un solo giovane strappato ai centri sociali, un solo giovane strappato alla discoteca ed alle droghe varie, un solo giovane che dovesse comprendere che esistono cose molto più importanti del profitto, dell'interesse, della soddisfazione dei propri sfizi: questo il nostro obiettivo e questa la nostra vittoria.
Perché la nostra Patria e l'Occidente intero non continuino ad essere terre di servi e di schiavi di altre genti, di altri interessi e di altri Stati; perché l'Italia tomi grande e contribuisca a creare una grande Europa di popoli sovrani, fieri delle proprie tradizioni e della propria storia, indisponibili a diventare terre di conquista per idee venute dall'Est e dall'Ovest per imporsi sulle nostre e cancellare secoli di civiltà.
Impariamo tutti qualcosa da uomini che hanno fatto grande l'Italia e diamoci da fare per diffondere questa testimonianza alle nuove generazioni, soprattutto ora che i diretti testimoni di questi avvenimenti sono rimasti sempre di meno.
La civiltà italiana del passato si è espansa in tutto il mondo; non lasciamo che oggi tale civiltà venga cancellata nella nostra stessa Patria dai bruti che stanno colonizzando militarmente e culturalmente l'universo con la loro inciviltà.
Carlo Gariglio
Dall'INTRODUZIONE
Erich Priebke e Paolo Giachini ERICH PRIEBKE AUTOBIOGRAFIA "VAE VICTIS"
2003. Al prezzo di 20 Euro inclusa in omaggio una videocassetta o DVD. In libreria o contrassegno presso:
Associazione Uomo e Libertà Via Panisperna 209, 00184 Roma, Tel.  06 478 21 743, Fax  06 478 21 742, E-Mail: info@uomoeliberta.it, http:www.priebke.it   
Nel buio delle Cave Ardeatine, più di mezzo secolo fa, uccise due uomini con un colpo d’arma da fuoco alla nuca. Oggi, condannato all’ergastolo per crimini di guerra, Erich Priebke ci racconta la sua storia.Nato nell’isolamento di una cella, quando il protagonista già quasi novantenne era sotto misure carcerarie speciali, questo libro ci porta indietro nel tempo, nella Germania nazionalsocialista al cospetto dei gerarchi Göring, Himmler, Heydrich. Poi durante la guerra, a "Roma città aperta", con i ricordi tetri della prigione della Gestapo in via Tasso, dove venivano rinchiusi i partigiani e da dove, con le mani legate, uscirono molte delle vittime della rappresaglia per andare a morire quel 24 marzo del 1944. Dopo aver avuto parte nella liberazione di Mussolini dal Gran Sasso e nella fuga di Galeazzo Ciano e della moglie Edda, a fine conflitto Erich Priebke deve abbandonare la divisa di capitano delle SS per vestire quella del prigioniero di guerra fino al giorno in cui, scivolando sotto il filo spinato, fuggirà verso una vita completamente nuova nel paradiso argentino. Improvvisamente dopo più di 50 anni di oblio, il 5 maggio 1994, la sua faccia appare in America dagli schermi in uno speciale televisivo della ABC e il giorno dopo è sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo. Da allora, per diversi anni, i media si sono occupati di lui. Né Eichmann né Barbie né altri ancora tra quegli uomini, che oggi sembrano quasi fantasmi emersi dalle nebbie del passato, ci hanno lasciato un documento vero, da testimoni oculari degli eventi di quel mondo quali essi furono, cosa che invece, con questo libro ha fatto Erich Priebke. Un documento di eccezionale valore non solo storico; soprattutto un messaggio dall’incommensurabile valore umano.
Di famiglia prussiana Erich Priebke nasce il 29 luglio 1913 a Hennigsdorf, nelle vicinanze di Berlino e rimane orfano di entrambi i genitori a sette anni. Accolto nella casa di una zia materna, a 14 anni viene avviato al lavoro nel settore alberghiero. Ventenne, emigra in Italia per lavorare in un hotel della costiera ligure, poi a Londra ed in fine, tornato in Patria, si arruola nella polizia ottenendo così anche i gradi militari di appartenente al corpo delle SS. Scoppiata la seconda guerra mondiale, come tenente di prima nomina fu inviato in Italia presso l'ambasciata tedesca con funzioni di vice Polizei Attaché. Dopo l'otto settembre fu inquadrato nell' Aussenkommando Roma che, nella sede di via Tasso, svolgeva funzioni di polizia. Lì, dopo l'attentato di via Rasella, insieme al suo comandante Kappler e ai suoi colleghi fu raggiunto dall'ordine di Hitler che lo porterà a far parte dei plotoni di esecuzione nella rappresaglia delle Cave Ardeatine. In seguito prestò servizio a Brescia e alla fine della guerra, scappato da un campo di prigionia, si rifugiò a Vipiteno riunendosi a moglie e figli. Emigrato in Argentina nel 1948, dopo una vita di intenso lavoro, da pensionato si dedicò per vent'anni alla comunità tedesca di San Carlos di Bariloche, diventando presidente sia dell'associazione culturale germano-argentina che della commissione direttiva del prestigioso istituto tedesco "Primo Capraro". Quando la sua storia fu portata a conoscenza del grande pubblico tramite un servizio della TV americana ABC, nel 1994, le autorità italiane vollero la sua estradizione. Una volta in Italia, dopo un primo proscioglimento, venne riarrestato e riprocessato per essere condannato a 14 anni e poi in appello definitivamente all'ergastolo. Oggi novantenne, mentre sua moglie vive a Bariloche, Erich Priebke è a Roma all'ergastolo, in detenzione domiciliare.
Indice: Prefazione dell’autore. Parte prima: la vita, il “caso Priebke”, gli anni della gioventù, scoppia la seconda guerra mondiale, il tedesco da alleato diventa invasore, attentato in via Rasella, rappresaglia alle cave, il campo di concentramento, verso la speranza argentina. Parte seconda, il caso giudiziario: un “criminale nazista” da prima pagina, in Italia, l’interrogatorio, i testimoni, le deposizioni (inserto), entra in scena un altro “criminale nazista”, primo verdetto: non punibile, sull’attentato di via Rasella, chi erano i GAP (inserto), secondo verdetto: punibile ma presto libero, una pena perpetua, note, considerazioni sul caso Priebke, indice dei nomi ricorrenti.
Dall'introduzione
 
 
 
Luciano Garibaldi LA PISTA INGLESE Chi uccise Mussolini e la Petacci? (Con un saggio di Massimo Caprara)
Ed. ARES, Via Stradivari 7, 20131 Milano, pp. 240 – Euro 15,00 da versare sul c.c. postale n. 414201, 2003
 
Sulla morte di Benito Mussolini e di Claretta Petacci restano ancora solo nuvole nere.  Che cosa accadde veramente tra Dongo e Bonzanigo nella giornata del 28 aprile 1945?  Chi ha materialmente premuto il grilletto?  Chi fu l'effettivo mandante?  Questo libro fa il punto sulla «vulgata» ufficiale, evidenziandone le contraddizioni sia nelle argomentazioni sia negli stessi fatti.  Gli unici elementi certi sono che insieme con Mussolini scompaiono l'ingente tesoro e i documenti riservati che portava con sé; e che chiunque abbia abbozzato un tentativo di intervento a salvaguardia o recupero dell'uno o degli altri ha pagato nel sangue.  Su tutti il valoroso «capitano Neri», capo di stato maggiore della brigata che arrestò Mussolini, e la «Gianna», sua inseparabile compagna d'anni.  Fu a lei che toccò di catalogare il cosiddetto «oro di Dongo» al seguito del convoglio fascista, che autorevoli fonti finora sottaciute attribuiscono alla proprietà degli ebrei, spogliati dalla polizia prima della deportazione in Germania.  Un patrimonio che, nell'ipotesi suggestiva dell'autore, suffragata da una molteplicità di testimonianze convergenti in un'unica logica ricostruzione, potrebbe essere finito nelle casse dell'allora Pci; col tacito benestare dei servizi segreti inglesi, ma in cambio della documentazione sui contatti segreti che il capo del fascismo intrattenne con Winston Churchill fino a poco prima della fine.  Un'ipotesi che ha affascinato Massimo Caprara, segretario per vent'anni di Palmiro Togliatti, il quale nel saggio conclusivo La pista inglese vista da Botteghe Oscure consegna importanti rivelazioni.
Luciano Garibaldi, giornalista e storico, autore di molti libri, ha già pubblicato per le Edizioni Ares L'altro italiano, biografia di Edgardo Sogno, e La guerra (non) è perduta, che raccoglie le testimonianze degli ufficiali italiani nell'8' Armata britannica dopo l'8 settembre 1943.  La sua opera più recente è Un secolo di guerre (White Star editore).  Appassionato di automobili, collabora con Quattroruote 
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Si voglia o no, le vicende di Benito Mussolini sono destinate ad essere sempre presenti come atto d’accusa verso i "vincitori’’, che si sono serviti di oscuri assassini per eliminarlo dalla scena della politica mondiale.
La prima attribuzione dell’omicidio al rag. Audisio ha rivelato la sua fragilità fin dagli esami necroscopici sulle spoglie del Duce. Alcune tesi individuano l’omicida in Luigi Longo, il numero due del P.CI., altre nel Cap. Neri coinvolto nell’oro di Dongo e scomparso nel lago di Como. Altre tesi ancora danno per scontato l’intervento del Servizio Segreto inglese impersonato da un misterioso Capitano John il quale soppresse personalmente Claretta Petacci. L’intervento inglese fu ordinato da Winston Churchill per recuperare il famoso carteggio e per eliminare i diretti testimoni di un tentativo d’accordo per volgere Hitler contro la Russia Sovietica, chiudendo la partita con gli Alleati. L’oro di Dongo fu così barattato con il PCI che chiuse un occhio, anzi intervenne per la messa in scena della doppia fucilazione. Morti misteriose, terrore sparso a piene mani, ancora oggi non permettono una ricostruzione, condivisa storicamente, sull’uccisione di Mussolini, della Petacci e dei fucilati di Dongo. Clamorosi gli omicidi del Cap. Neri e della sua amica Gianna, partigiani comunisti, forse legati al Servizio Segreto inglese - sicuramente a conoscenza della consistenza dei valori sequestrati alle Autorità della RSI e meticolosamente elencati, dalla stessa Gianna - entrati in rotta di collisione con il partito comunista per la consegna allo Stato del tesoro. Dal giorno della loro morte non c’è più un punto di riferimento per tutte le vicende legate alla morte del Duce, della Petacci e della fine dell’oro di Dongo. Non esiste alcuna documentazione ufficiale che tratti l’argomento. Forse nei tanti segreti di stato fra stragi e terrorismo, sovvenzioni dall’Unione Sovietica, intrallazzi di ogni ordine e grado, c’è un angolo anche per la tragica e delittuosa fine di Benito Mussolini e Clara Petacci, rei di ostacolare i torbidi disegni delle potenze belligeranti.
Il testo desta molto interesse sia per l’argomento trattato che per l’esposizione chiara e, per quanto possibile, esauriente. Si legge in un momento, ma non dipana i tanti dubbi che la vicenda pone.
NUOVO FRONTE N. 228 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
Luca Tadolini, La Repubblica Sociale Italiana a Reggio Emilia. 1943
Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 2003, pp. 222, Euro 15,00 (NOVITA')
 
Questo libro, relativo agli eventi che si svolsero a Reggio Emilia nel 1943, dalla caduta del fascismo fino alla fucilazione dei fratelli Cervi, costituisce la prima parte di una ricerca ampiamente documentata; la seconda e la terza parte, rispettivamente dedicate al 1944 e al 1945, riguarderanno i successivi sviluppi politici e militari, fino agli eccidi del "Triangolo della morte".  L'autore, Luca Tadolini, ha al suo attivo una ricerca già  pubblicata dalla nostra casa editrice: I franchi tiratori di Mussolini. La guerriglia urbana contro gli invasori angloamericani da Napoli a Torino, Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 1998.
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La caduta del fascismo, l’8 settembre, i fratelli Cervi… A distanza di sessant’anni quegli eventi terribili sono rievocati da Luca Tadolini (…) È una storia costruita principalmente sulla meticolosa raccolta di documenti e testimonianze di parte fascista, che spesso la storiografia ha trascurato. L’autore, peraltro, cita ampiamente anche le fonti della Resistenza. (…) È interessante cercare in queste pagine i ritratti dei personaggi dell’epoca, a incominciare dai fratelli Cervi, di cui Tadolini riporta i verbali degli interrogatori nel carcere dei Servi.
GAZZETTA DI REGGIO, 5 marzo 2003-08-30
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Con questo libro l’Autore ricostruisce gli eventi che caratterizzarono il 1943, con particolare riguardo per quelli del 25 luglio e dell’8 settembre, dai quali discenderanno tutti gli altri.
Per il periodo 1944/1945 fino al triangolo della morte, saranno pubblicati altri due volumi.
Il colpo di stato del 25 luglio suscitò speranze di pace in molti italiani, pose in allarme l’alleato tedesco, suggerì ai comunisti di serrare le file per fare fronte a nuovi eventi e gettò nello sgomento tutti gli italiani che avevano aderito in pieno al Regime ed ora si trovavano perseguitati da Badoglio.
L’8 settembre fu il giorno della catastrofe nazionale. L’Italia si trovò esposta alla rappresaglia tedesca, senza un Governo e con le Forze Armate dissolte. La liberazione di Mussolini e la riorganizzazione dello Stato ridiedero speranza a molti. Furono riaperte le sedi del Partito fascista che assunse la denominazione di Partito Fascista Repubblicano.
Anche il partito comunista non rimase alla finestra e con l’aiuto di comunisti rimpatriati dalla Russia o reduci dalla guerra di Spagna, incominciò ad organizzarsi politicamente e militarmente con il sogno di fare dell’Italia una repubblica sovietica. Tra le torme di sbandati che non volevano il proseguimento della guerra ed i numerosi gruppi di prigionieri nemici fuggiti dai campi di concentramento si formarono le prime bande in cerca di cibo e di riparo, ben disposte ad ogni forma di violenza e d’abuso per vivere alla macchia.
Nel campo fascista aleggia uno spirito di profondo rinnovamento, rispetto al fascismo pre 25 luglio, ma non c’è ancora chiarezza fra la discriminazione del vecchio, la vendetta verso chi ha determinato la caduta di Mussolini o il ricorrere ad un abbraccio fra tutti gli italiani, lasciando da parte i rancori della politica.
Il Congresso di Verona determina le linee guida della nuova Repubblica, ma anche i comunisti non stanno a guardare e danno vita alla feroce attività gappista basata sull’omicidio a sangue freddo come attività terroristica. Anche l’attività d’appoggio all’organizzazione partigiana diventa sempre più organizzata, spargendo il terrore nelle popolazioni che si vedevano spesso rapinate del bestiame e degli ammassi. In tutta questa attività emerge la famiglia Cervi che viene arrestata ed in seguito fucilata come rappresaglia per due omicidi dei gappisti. Nell’autunno del 1943 i comunisti riescono a trascinare nel vortice dell’odio i più accesi fra i fascisti.
Mussolini, che aveva intuito il pericolo, dopo l’eccidio di Ferrara disse: "Gli avversari, che hanno da tempo inaugurato l’assassinio politico come mezzo di lotta, fanno evidentemente il possibile per portarci sul loro stesso terreno, sarebbe da parte nostra un grave errore il seguirli per fare il loro gioco’’.
Libri come questo presentato contribuiscono alla ricostruzione storica di un periodo oscurato da chi ha paura del confronto, ponendo alla luce eventi nobili e fango, frutto di un’azione fredda per eliminare una classe dirigente con l’omicidio premeditato e la susseguente reazione di chi non ha saputo troppo aspettare per rendere la pariglia. La lettura è consigliata a chi ha curiosità storiche da soddisfare anche nel particolare provinciale: è proprio collegando il particolare con il quadro generale che sia accede alla verità storica.
NUOVO FRONTE N. 231 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
Sergio Cappelletti e Corrato Liberati (a cura di) FIAMME BIANCHE Adolescenti in Camicia nera nella R.S.I.
Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi della Repubblica Sociale. 2003. Editrice L’Ultima Crociata, Euro 30,00
Finalmente è colmato un vuoto sul volontarismo giovanile della Repubblica Sociale Italiana.
Molto è stato scritto (ma mai abbastanza) sui vari Reparti delle Forze Armate Repubblicane ed era stato chiaro che la massa giovanile aveva risposto al richiamo del combattimento per l’Onore della Patria, ma poco si conosceva sulle reazioni degli adolescenti all’infamia dell’8 settembre 1943.
Questo testo rende giustizia alla rabbia, al senso di solitudine determinato da parenti, amici, conoscenti e parroci targati Don Abbondio, all’impotenza per risolvere le sorti dell’Italia, al rifiuto costante opposto nei centri di reclutamento con l’immancabile ritornello "sei troppo giovane’’ che ti faceva crollare ogni speranza.
Eppure in questi ragazzi c’era la purezza di una scelta determinata, virile, coraggiosa che si opponeva alla logica della ragione, del proprio tornaconto, del "chi me lo fa fare’’ o del "chi te lo fa fare’’.
Il comportamento della Gioventù Italiana fu degno dell’attenzione che in venti anni il Regime Fascista manifestò nell’educazione dei giovani ai nobili sentimenti.
Anche le ragazze affrontarono con decisione i contrasti familiari pur di contribuire alla riscossa della Patria e seppero dimostrare che sofferenze, insulti, prigionia, violenze che solo menti malate sanno concepire, minacce e morte non potevano scalfire la loro fede.
Esse furono la rappresentazione ideale delle donne spartane, sempre pronte a sostenere chi andava in guerra. In prima linea, nelle retrovie, nei posti di ristoro, sotto i bombardamenti, fra le macerie a soccorrere le vittime, nei campi di prigionia, sfilando impavide con i capelli rasati a zero o denudate di fronte alla plebaglia, le Ausiliarie e le "Balilline’’ non ebbero mai momenti di debolezza, non vennero mai meno al giuramento prestato.
Attraverso i racconti dei protagonisti sono ricostruiti i momenti salienti della costituzione dei Reparti delle Fiamme Bianche, ove furono inquadrati tutti gli adolescenti che anelavano all’arruolamento nei Reparti operanti.
L’organizzazione fu rapida, nonostante le difficoltà contingenti; l’Opera Balilla sostituì la G.I.L. ed in breve raggiunse i 650000 iscritti. Fra questi furono scelti circa 4000 Avanguardisti Moschettieri per costituire quattro Battaglioni di Fiamme Bianche.
Per le giovani "Balilline’’ furono organizzati tre corsi. Al compimento d’ogni corso le partecipanti furono smistate presso i reparti militari con mansioni logistiche ed operative.
I giovani delle Fiamme Bianche furono avviati al Campo nazionale (Campo DUX) per ricevere un idoneo addestramento militare al termine del quale una parte fu assunta in organico da Reparti operativi e gli altri presso comandi territoriali, sostituendo il personale idoneo a prestare servizio nei Reparti combattenti.
Si calcola che il quattordici/quindici per cento di questi giovani pagarono con la vita il loro amore per la Patria.
Purtroppo le vicende belliche hanno impedito una raccolta organica di documenti, ma la coincidenza di rapporti o relazioni personalmente redatti, permettono un’attendibile ricostruzione degli avvenimenti più interessanti come il combattimento di Tonezza, ove le Fiamme Bianche furono attaccate dai partigiani che credevano d’avere facile successo con i "bocia’’ che invece risposero al fuoco e respinsero l’attacco.
Per quanto riguarda le "Balilline’’ (il termine diminuisce troppo il loro valore e la loro capacità) è molto interessante la conferenza dell’Ausiliaria Velia Mirri, sia per la cronistoria sia per la descrizione dei sentimenti di quelle giovanissime volontarie che dovettero affrontare con grinta le opposizioni familiari e le reazioni ambientali.
Nel testo è riportato il sacrificio di due eroiche volontarie: Luciana Minardi trucidata il 26 maggio 1945 ad un mese dalla fine della guerra, alla quale, nell’ultimo periodo aveva partecipato in zona d’operazioni con il Colleoni della Decima, e Anna Forni: catturata dai partigiani, con un tranello, fu percossa a sangue e appesa ad un gancio in una macelleria. Trascinata al cimitero, i suoi resti mortali furono sepolti in una fossa comune. Questi sono gli insegnamenti della Resistenza (con la R maiuscola per non incorrere nei rigori della legge).
Occorre leggerlo questo libro per penetrare in un mondo sconosciuto di sentimenti, di sacrificio estremo, d’amore per la Patria, di dedizione al bene secondo i principî inculcati da uno Stato che vogliono fare apparire come l’emblema della violenza.
Leggete il Decalogo dell’Ausiliaria e ne apprezzerete il gran valore morale:
… Onora sommamente la Patria … esalta col tuo canto, soprattutto col tuo lavoro… Sia la tua esistenza simile allo specchio che restituisce in chiarezza luminosa l’immagine che riceve… Conserva intatta la tua femminilità che è gentilezza, è grazia, è bellezza, è soprattutto bontà manifestatasi nel gesto, nella parola, nel sorriso, nella serena austerità del costume quale si conviene ad una donna italiana e ad un’Ausiliaria… Non indulgere a transazioni di coscienza, sfuggi le avide lotte che mirano a soddisfare la vanità e l’arrivismo… Fa’ del tuo lavoro quotidiano la tua aspirazione e la tua gioia… Rammentati che la vita ha valore non in quanto tu esisti e ti appartieni, ma in quanto tu sei destinata ad OPERARE PER IL BENE DELLA COLLETTIVITÀ NAZIONALE DI CUI FAI PARTE.
Leggete anche il Decalogo della Mistica Fascista edito nel 1932 con il richiamo specifico al senso del dovere, all’invito a considerare la ricchezza come un mezzo che - unito ad alti ideali - crei una vera civiltà... a credere fermamente nel bene. Avere vicina sempre la verità e come confidente la BONTÀ GENEROSA.
A questo furono educati i giovani italiani, non alla violenza di gruppo, allo stordimento delle droghe, ai guadagni facili.
La risposta ci fu: furono i volontari e le volontarie della REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA.
Vada un plauso a chi ha affrontato la fatica per offrirci questo squarcio di storia. Numerose le foto allegate.
NUOVO FRONTE N. 231 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
 
 
 Luigi Saverio FASCISMO 
Edizioni "All'insegna del Veltro" 2003.
Ernesto Zucconi (a cura di) Repubblica Sociale I MANIFESTI
Novantico Editrice Ritter Pag. 203 euro 45 Novantico Ed. C.P. 28 Pinerolo (TO) Ritter C.P. 17191 Milano. 2003.
Magnifico testo che non mancherà di essere gradito ai cultori di quest’arte, perché di arte si tratta, di porre in immagini pittoriche stati d’animo, richiami ideologici, incitamenti propagandistici.
La cartellonistica fu molto diffusa per veicolare la propaganda di guerra ed in Italia ebbe il suo massimo sviluppo con la Repubblica Sociale Italiana. Boccasile e Dante Coscia furono due artisti fecondi che fecero scuola per l’originalità e la capacità di colpire l’immaginazione.
Opere d’arte da gustare sfogliando il libro presentato, edito in veste signorile, con colori e stampa che rispettano la cromaticità delle opere raccolte.
NUOVO FRONTE N. 221 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
Lodovico Ellena VICOLI DI STORIA (quello che non si trova sui corsi)
Menhir libri Pag. 120, Euri 6,00 Richiedere telefonando al Lodovico Ellena via Don Caffaro 19 13040 Alice Castello (VC)
2003.
Aureo libretto per il contenuto.
L’Autore ha il senso della ricerca ed è stato molto efficace nello scovare e raccogliere, per farcene dono, una serie di fatti ed avvenimenti che pongono al giusto posto la Verità.
La storia è scritta dai vincitori, (così dicono), ma, alla lunga, le menzogne imputridiscono ed ammorbano l’aria. Imbalsamare la verità non serve.
Aureo libretto da portare in tasca e da esibire ogni volta che qualcuno scrive o spaccia falsi storici e giudizi inesatti o menzogneri. Questo è un volumetto coraggioso da donare agli studenti perché possano confrontare la controstoria con i falsi che a loro propinano. Personaggi storici, stragi partigiane, scrittori, Premi Nobel, il revisionismo, i campi di concentramento inglesi, intellettuali di sinistra, giudizi sul comunismo addolciti dai soliti "lecchini’’, il vero rapporto fra fascisti ed ebrei e tante altre informazioni, buone come controinformazioni, faranno accendere il desiderio di saperne di più.
Si legge con curiosità, non stanca e, forse, ci induce ad una sorda inquietudine contro chi, per cinquant’anni, ha mentito spudoratamente in nome della… libertà.
NUOVO FRONTE N. 221 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
 
 

Angelo Faccia (a cura di) MUSSOLINI GIUDICATO DAGLI STRANIERI
Pagine 120 - Prezzo: 15,50 euro + spese invio. Per informazioni: Cincinnato31@virgilio.it, Tel. 075-505.66.74 o 349-5878759. Indirizzo postale: C.P. 37 - Succ. 6, 06127 - Perugia. 2003?
 "...Ho cercato di educare degli uomini e di metterli alla prova. Vi è già  una classe di eccellenti governanti, per esempio Grandi, Balbo, Bottai. Naturalmente  vi sono delle situazioni storiche che non possono ripetersi per la seconda volta, oppure solo in una forma più modesta. Ogni uomo intelligente, di carattere, può rappresentare  e amministrare una nazione. Si passa dal misticismo  alla politica, dalla epopea alla prosa. Credo veramente che non verrà un Duce numero due.." Mussolini ad Emil Ludwing nei Colloqui (1932)  
    Mai fino ad ora era stata realizzata un'opera organica che raccogliesse le opinioni e i giudizi dei più grandi statisti e pensatori sulla figura e l'opera di Mussolini, prima e dopo la sua morte.
    Capi di Stato, Pontefici, diplomatici, cardinali, uomini di scienza, artisti di fama mondiale: l'occhio attento del mondo che ha valutato e giudicato.
      Il tutto è preceduto dal suo "Testamento politico", mai come oggi di grande attualità; e anche dalle dolorose vicende della sua salma, "sequestrata" per dodici anni dal governo italiano, e  raccontate qui da Donna Rachele.
    L'occhio che si posa sulla copertina percepisce quasi come immateriale la figura del Duce: come se il suo spirito, così come emerge da queste pagine, ammonisca il popolo che tanto ha amato a riprendere il cammino da Lui tracciato.

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