RECENSIONI DI LIBRI SULLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA - 2005

 
    Tema di queste recensioni è la Repubblica Sociale Italiana. Le recensioni, inizialmente riprese soprattutto dal mensile NUOVO FRONTE di Trieste, sono poi state integrate anche con altre di diversa fonte, ivi compresa -talvolta- le presentazioni di copertina. Quando si è potuto abbiamo aggiunto le immagini delle copertine e queste sono state proposte, in attesa di recensione che non abbiamo, anche per libri che a nostro avviso potevano rientrare in questo soggetto.
    Si fa presente che il criterio di scelta è stato molto ampio. Talvolta trattasi anche di libri che trattano solo marginalmentre di RSI  (per esempio: foibe etc.) o di argomenti che, per vicende storiche, in qualche modo sono con la RSI connessi (per esempio: novità importanti anche sul ventennio fascista.
    Si è rinunciato a riportare per ogni libro le notizie da CATALOGO IN RETE OPAC, perchè troppo impegnativo e inattuale col tempo a causa di eventuali nuove acquisizioni da parte delle Biblioteche. Perciò si riporta speso il link al CATALOGO IN RETE OPAC dove facilmente ognuno potrà, se il titolo è presente, trarne le notizie in merito al reperimento sul territorio nazionale e, immettendo nela stringa dedicata al Soggetto le parole "Repubblica Sociale Italiana" si potranno reperire eventuali titoli non presenti nelle nostre recensioni.
ULTERIORI TITOLI SI POSSONO OTTENERE RICERCANDO IN OPAC CON LE PAROLE REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA OPPURE CON LE PAROLE 1943-1945 (O ALTRO) NEL CAMPO "TUTTI I CAMPI". SE SI VOGLIONO I TITOLI COMPLETI USARE LA VARIANTE SUTROS INVECE CHE ISBD. 
    Poichè molti titoli sono sprovvisti di recensione saremo grati al lettore che vorrà collaborare inviandoci eventuale recensione di terzi (completa di fonte) o anche propria recensione accompagnando l'invio con proprio nome o pseudonimo.


 
 
  
  
Enrico Cernuschi VINCERE, VINCEREMO... E se avessimo vinto?
Prezzo: € 13,50, 160 pagine Formato cm. 13,5X20,5 Anno 2005 Editore: Gianni Iuculano Editore Collana BIBLIOTECA UNIVERSALE ISBN 88-7072-694-0
Questo divertissement è classificabile, a prima vista, nell’ambito della “storia fatta con i se”, genere letterario assai diffuso nei paesi anglosassoni e attivamente sponsorizzato, in Italia, nel corso degli ultimi anni, da Sergio Romano. In realtà la dimostrazione per assurdo proposta in queste pagine da Enrico Cernuschi si basa sull’autentico e documentatissimo substrato di intese trasversali, reciproci equilibri, interessi e accordi inconfessabili che legava, da oltre vent’anni, in un’unica rete, la politica italiana a quella europea e mondiale. Il quadro generale che emerge, alla fine, nitido e ricco di particolari rivelatori è, pertanto, quello che sia Mussolini sia Re Vittorio Emanuele III avevano fatto proprio, rispettivamente la mattina del 25 luglio e il pomeriggio dell’8 settembre 1943. Entrambi avevano prefigurato, infatti, un imminente e, tutto sommato, più che accettabile epilogo “logico” della Seconda Guerra Mondiale, salvo ricredersi amaramente tutti e due, nel giro di qualche ora, davanti al manifestarsi, incontrollabile, del corso reale e “folle”, degli avvenimenti correnti. Su questo sfondo, ben noto agli storici di maniera, ma apposta per questo coperto, fino ad oggi, da tonnellate di silenzio ufficiale, si muovono agilmente un umanissimo Mussolini, colto alle prese con i problemi grandi e piccoli di ogni comune mortale, ancorché Duce; un godibile e faceto Churchill, apparentemente in disarmo dopo la sconfitta; l’illustre viaggiatrice e scrittrice britannica Freya Stark, ultimo cantore del grande impero inglese e il principe dei giornalisti italiani del secolo Ventesimo, già famoso all’epoca dopo i suoi reportages dalla Polonia e dalla Scandinavia.
ENRICO CERNUSCHI, classe 1960, è un bolognese radicato a Pavia. Annoverato tra i principali studiosi di storia navale in Italia e in Europa ha dato alle stampe, nel corso degli ultimi quindici anni, dieci volumi di saggistica (Tra i più recenti: Il grande gioco, storia della politica energetica italiana, 1949-1974, La vittoria in prestito e Fuoco dal mare), risultati spesso oggetto di vivaci dibattiti sui giornali, dato il loro taglio non convenzionale basato sempre su ricerche inedite d’archivio. Ha scritto, fino ad oggi, più di duecento articoli di storia contemporanea pubblicati regolarmente dalle principali riviste italiane, inglesi e statunitensi, dalla Rivista Marittima, il mensile dello Stato Maggiore della Marina Militare, a Storia militare, oltre che sulle pagine di Lega Navale, RID, Warship e Warship Inter-national. È altresì autore, assieme a Erminio Bagnasco, de Le Navi da guerra italiane 1940-1945, definito dalla critica anglosassone come l’opera “definitive” relativa alla complessa storia della Regia Marina durante l’ultimo conflitto mondiale. 
Borghese Junio Valerio, DECIMA FLOTTIGLIA MAS - DALLE ORIGINI ALL'ARMISTIZIO 
Assente dagli scaffali delle librerie italiane ormai da più di quarant'anni, oggi il mensile STORIA MILITARE ripropone la ristampa dell'ultima edizione che il comandante Junio Valerio Borghese scrisse alla fine degli anni Quaranta sulla storia della Decima Flottiglia Mas, denominazione convenzionale del reparto della Marina Italiana incaricato della preparazione e dell'impiego dei mezzi d'assalto durante la seconda guerra mondiale - 374 pp. - ill. b/n - ril. - ed. 2005 - Albertelli Ed. speciali, Collana "Storia Militare" - NUOVO. EUR 26,00   1x1_06097
Mario Tavella IO PRIGIONIERO IN TEXAS: un paracadutista della "Folgore" da Anzio ad Hereford '43-45
Bologna : Lo Scarabeo, 2005 
Mario Tavella ha poco più di diciassette anni quando, nel dicembre 1943, lascia il liceo e si arruola volontario nella R.S.I.  Perché lo fa? L'otto settembre lo soffre come un disonore da riscattare ma il movente più immediato è un altro: vuole in qualche modo sottrarsi al clima di faida civile che sta montando nel suo Piemonte così come nel resto dell'Italia centro-settentrionale; non sopporta più l'angoscia che gli provocano le pressioni di chi lo vuole partigiano o, per contro, brigatista nero. Per evitare la guerra fratricida sceglie di combattere al fronte contro altri militari e si arruola nella Folgore, la divisione che dopo El Alamein è diventata leggenda.  Dopo un duro addestramento, prima a Spoleto poi alla Scuola di paracadutismo di Friburgo, egli conosce l'esperienza del fronte ad Anzio, gli orrori della guerra e la prigionia nel Fascist Criminal Camp di Hereford nel Texas, rivelatasi una eccezionale scuola di vita e di conoscenza dell'animo umano. L'Autore, come la maggior parte dei suoi commilitoni, prova un senso di orgoglio e di dignità che gli impone di "non cooperare" con il nemico. Rimanere coerentemente dalla parte dei perdenti, senza furbeschi salti sul carro del vincitore, prolunga la sua permanenza nel campo. L'odissea dei giovani prigionieri non è meno avvincente di quella dei combattenti.  Riconquistata finalmente la libertà, agli inizi del 1946, egli si trova ad affrontare il difficile reinserimento nella mutata realtà sociale. Lo attende però la beffa di un inaspettato richiamo alla leva obbligatoria, per lui fonte di amarezza e delusione.  Le vicende narrate dall'Autore rappresentano uno spaccato efficace di storia italiana nel periodo cruciale della guerra e dell'immediato dopoguerra. Sono rese straordinariamente avvincenti anche da uno stile asciutto, diretto, scevro da rancori, sostenuto da una personalità solida e tranquilla. 
Mario Tavella è nato a Solero (Alessandria) il 23 settembre 1926. Laureato in chimica, è stato dirigente di importanti aziende industriali. Ha operato per diverso tempo in Liguria. Attualmente vive a Roma. 
 
  
Marco Carducci  LA LEGIONE "M" GUARDIA DEL DUCE Nel diario del suo ultimo Comandate il Ten. Col. Attilio Jaculli. 
2005, brossura, 87 Pagine. 16 pagine di foto b/n. Formato 17 x 24 cm Editore: Ritter edizioni 

A sessant'anni dalla morte di Mussolini, questo libro ripercorre le vicessitudini della Legione "M" Guardia del Duce e del suo Comandante, preposti alla difesa personale del Capo di Stato. Il testo è arrichito con documentazione inedita e dalla lista completa dei Legionari in forza al reparto. 
Zelmira Marazio IL MIO FASCISMO Storia di una donna
Verdechiaro Edizioni Collana: Voci dalla storia oltre la storia Uscita GIUGNO 2005   272 pagine formato 14x21 € 12,20   ISBN 88-88285-20-2  
In questo libro Zelmira Marazio, rievoca un periodo storico che risuona tuttora come un opera lirica drammatica, in cui lei, tra i personaggi scelti dalla vita a dispiegare il suo disegno, segue il sentiero del destino con il cuore acceso dall'idealismo e dal coraggio di chi sa di combattere per la propria verità, e che da qualunque parte decida di schierarsi non si spegne nel momento del pericolo e della sconfitta, ma continua ad amare quella luce che a torto o a ragione crede la migliore. L'importanza di dare voce a tutti gli strumenti che compongono una sinfonia per avere un ascolto completo, ci consiglia di leggere questa testimonianza senza preconcetti o giudizi, per poter inoltre raggiungere la consapevolezza che per cambiare il mondo si può solo partire da se stessi. Il dolore di uno stesso popolo che non trova altra soluzione che levare le mani reciprocamente e con violenza, ci spinge a cercare in noi soluzioni nuove che facciano fiorire un nuovo paradigma nell'inconscio collettivo, cercando di sostituire un immobilismo moralista con la coscienza dell'unione con il tutto. E' un libro importante per capire meglio il periodo piu' tragico della nostra storia recente ed il dramma di una generazione che venne travolta dagli eventi.   Zelmira Marazio, nata a Torino nel 1921, laureata in lettere, direttrice didattica in servizio a Palermo per trent'anni. Ha pubblicato con la SEI di Torino il volume Palermo e la Conca D'oro; con il comune di Palermo il volume Dai monumenti alla Storia - Itinerari didattici attraverso Palermo medievale. Ha collaborato con alcuni musei palermitani ( Galleria d'Arte Moderna " Empedocle Restivo" e Galleria Regionale di Palazzo Abbatellis ) pubblicando guide didattiche e cd-room dedicati alle scuole dell'obbligo.     Verdechiaro Edizioni stampa@verdechiaro.com www.verdechiaro.com   ( per le librerie: potrete contattare i nostri ditributori di cui troverete elenco nel nostro sito www.verdechiaro.com) Per informazioni o per acquisti diretti potete contattare i seguenti numeri: 339/7503879 Sonia Borghi    -   348/5637424 Benito Lusenti   Cordiali saluti Ufficio Stampa Verdechiaro Edizioni
SALO' LA REPUBBLICA NERA
2005. Pagine 265, 100 delle quali dedicate alla sezione iconografica. Costo 21 € comprese spese postali. Richiedere a giorgiodichiaro@libero.it o telefonare al 348/5230422
 
 
Riccardo Borrini (a cura di) IL TRICOLORE INSANGUINATO Documenti sulla guerra civile in provincia di La Spezia negli anni 1919-22 e 1943-45. Storia del fascismo spezzino dalle origini al tragico epilogo
Brossura 16 pagine di foto b/n Formato cm 17 x 24  € 23,00  400 pagine, varie fotografie formato. 2005
Franco Bandini L'ESTATE DELLE TRE TAVOLETTE
2005 Eu 16.00 Breve saggio che analizza la situazione politica e militare in Europa nell'anno 1943, punto di svolta della IIGM e svela alcuni importanti segreti riguardo le relazioni segrete intercorse fra il regime fascista e gli Alleati 
Fiorani Giuliano BAGATELLE PARTIGIANE. L'altra faccia della resistenza
2005 225 pagine formato 17x24 cm. fotografie e documenti originali Euro 23,00  Grafica MA.RO. editrice
Raccolta di brevi studi e saggi dedicati a fatti della guerra partigiana poco conosciuti o tenuti nascosti avvenuti tra il 1944 e il 1945. Numerose foto e riproduzioni di documenti originali b/n Sottolineare la menzogna e tentare il recupero della verità, riconoscere i bugiardi e conoscerla la verità, è impresa difficile, sconveniente; si corre il rischio di essere censurati e isolati. Con questa raccolta di ricerche si vuole proporre episodi che mettano in luce fatti poco noti, male conosciuti e addirittura taciuti. Perchè i giovani devono sapere che gli "eroi" non erano da una sola parte, non solo tra i "partigiani"; devono sapere che le atrocità liquidate in nome della fatalità, da coloro che "sparavano e sparivano", che cercavano il morto, che volevano la rappresaglia per aumentare l'odio e coinvolgere gli incerti.
  
 
Vincenzo Podda MORIRE COL SOLE IN FACCIA Ridotto Alpino Repubblicano - Le Termopili del Fascismo 
384 pp. - ill. b/n - brossura - ed. 2005. Edizioni Ritter, 30 euro.
Sulla "bella morte" di Pavolini sono corsi fiumi di inchiostro: è un'etichetta che gli rimarrà appiccicata addosso per sempre. A lui interessava in primo luogo "finire bene", e la Valtellina dell'aprile 1945 era il luogo adatto. Al di là degli stereotipi e dei conformismi della vulgata storiografica, ecco la prima opera organica di quello che avrebbe dovuto essere il capitolo conclusivo di Salò. 
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Morire col sole in faccia (tratto da La Prealpina del 18 novembre 2005)
Il ridotto alpino repubblicano (Rar) doveva essere l’ultima, gloriosa sacca d’una sorta d’epopea fascista della sconfitta. E cioè un cadere a schiena dritta al cospetto dell’avanzare delle truppe alleate e dei militanti del Cln. E quindi una trincea dove immolare, incrociando senza paura il fuoco nemico, ideali nei quali i fedelissimi della Causa credevano fortemente tanto da reclamare in loro nome, se non un “bella morte”, almeno una “fine giusta”.
A capeggiare la Schiera era Alessandro Pavolini, figura su cui s’è dilettata molta letteratura storica, soprattutto per denunciare l’inafferrabile volatilità del progetto valtellinese dei “duri” della Rsi. E invece adesso, nel libro “Morire col sole in faccia” edito da Ritter, il saggista milanese Vincenzo Podda dà dell’idea e della sua possibile esecutività un’interpretazione diversa, fondata sul ritrovamento e l’analisi di documenti numerosi corredati da particolari inediti. La sintesi che se ne può dare è la seguente: Pavolini non era un romantico visionario che vagheggiava improbabili epiloghi della tragica avventura repubblicana. Era, al contrario, un realistico assertore della della praticabilità della soluzione del “ridotto”. Non gl’importava di chiudere tra memorabili pompe combattentistiche la vita sua e del repubblicanesimo nero, ma di dare –per dir così- una sepoltura nobile a un’esperienza da lui ritenuta comunque l’unica possibile, considerata la piega assunta dagli eventi bellici dopo il ’43.
Il Rar rimase un febbricitante sogno non per al sua impalpabilità fattuale, ma per l’intervento di fattori esogeni. Lo impedirono i tedeschi, che ben si guardarono dal far parte l’alleato di Salò della trattativa di resa della Wehrmacht nel nord dell’Italia, con ciò compiendo un gesto non altrimenti definibile che tradimento; e lo impedì il Duce in persona, scettico fin dall’inizio – nonostante qualche esternazione di tono opposto sull’opportunità dell’impresa. Se non avesse tagliato la corda rifiutandosi d’impersonare il ruolo del comandante che onorevolmente cade alla testa dei suoi più appassionati accoliti, Mussolini avrebbe consentito un’azione temeraria, sì, e però non utopistica. Tanto che i partigiani se n’erano non poco preoccupati, dandovi serio credito, proprio pochi giorni prima della Liberazione. Il fascismo dunque non ebbe –come avrebbe potuto- le sue Termopili in Valtellina per il paradossale “afascismo” di chi ne sarebbe dovuto essere il primo e più valoroso alfiere. Un mediocre muretto fu testimone della fucilazione di Pavolini e di chi, come lui, aveva pensato a un diverso “altare” su cui sacrificare il bilancio –sia pure fallimentare- di un’esistenza politica. Tra le infinite colpe fu ad essi estranea quella di non aver scelto una morte migliore: per il peggio decisero altri.
NOTA DI REDAZIONE: lontani da sentimenti nostalgici, riteniamo doverosa una nota al fondo di questa recensione, di recente rassegna stampa, che volentieri riproponiamo sul web per una celere visione.
Alessandro Pavolini, gerarca fascista della prima ora, fucilato a Dongo assieme a Bombacci ed altri fu, durante il periodo repubblichino, un teorico della resistenza a oltranza, nonchè della costituzione del cosiddetto “Ridotto alpino repubblicano” (Rar), una zona impervia del territorio italiano dove i fascisti irriducibili si sarebbero dovuti insediare stabilmente, per difendere l’onore fino alla morte. 
Di Pavolini si è detto anche che, fucilato e morente, si sarebbe nuovamente rivolto al plotone del Cln col braccio teso.
Roberto Beretta STORIA DEI PRETI UCCISI DAI PARTIGIANI
Casale Monferrato: Piemme, 2005 
Storia dei preti uccisi dai partigiani recensione di Paolo Smeraldi - 7 ottobre 2005
Roberto Beretta introduce il suo nuovo saggio citando Guareschi; nella realtà - scrive - don Camillo è morto, assassinato da Peppone. Un libro scomodo, risultato di una ricerca difficile da svolgere e da presentare in maniera organica, che integra la vasta memorialistica sui sacerdoti vittime dei nazifascisti senza cadere nella retorica della conta dei morti attribuiti all'una o all'altra fazione.
Consultando archivi, parroci, studiosi e testimoni di tutta Italia l'autore ha ricostruito il tragico sacrificio di circa 130 sacerdoti uccisi dai partigiani in un arco di tempo che va dal 1942 al 1951; un po' meno della metà dei 279 religiosi uccisi complessivamente nel conflitto per rappresaglia. Le cifre in sé non stupiscono, se confrontate con le dimensioni della guerra; bisogna però considerare che fra i cappellani militari, presenti su tutti i teatri bellici, vi furono solo 148 morti e che gli stessi bombardamenti aerei uccisero 256 religiosi in tutta Italia. Insomma, per tutta la durata del conflitto i sacerdoti furono bersagli esemplari, vittime predestinate dei facinorosi dell'una e dell'altra parte.
I partigiani uccisero sacerdoti fascisti o filofascisti, anticomunisti, apolitici o addirittura filopartigiani e partigiani «bianchi». Pochissimi agirono realmente contro le forze della Resistenza, limitandosi nella maggior parte dei casi ad esprimere pubblicamente la loro disapprovazione per quanti avevano scelto la via della montagna. Tutti pagarono con la vita, trucidati barbaramente senza processo anche dopo la fine della guerra, a volte torturati e vilipesi. Fra i caduti, Beretta include un seminarista di quattordici anni, Rolando Riva, giustiziato con due colpi alla testa nell'aprile del 1945 dopo essere stato costretto a scavarsi la fossa, ed un sacerdote di ottantacinque anni - don Carlo Beghè - morto di paura dopo essere stato sottoposto a maltrattamenti e ad una finta fucilazione.
Dopo l'uccisione, i sacerdoti vittime dei partigiani subirono una «damnatio memoriae»; anche i più insospettabili furono accusati di essere collusi con i fascisti, di avere avuto relazioni sentimentali che gli avrebbero resi odiosi a mariti gelosi, di avere agito come delatori. In nome della conciliazione degli animi si preferì dimenticare e rinunciare a perseguire i colpevoli. La maggior parte degli omicidi furono concentrati in Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia, in parte della Toscana e nelle regioni di confine con la Jugoslavia. Beretta parla di un «quadrilatero dell'orrore» compreso fra le città di Massa, Bologna, Piacenza ed Alessandria.
In numerosi episodi è citato l'intervento di partigiani slavi, che si distinguevano per essere fra i più feroci persecutori dei religiosi. Se da un lato il ruolo di questi elementi può essere stato enfatizzato dai loro complici per addossare ad altri la responsabilità dei crimini commessi, le stragi compiute in Istria ed in Friuli accreditano la tesi che gli stranieri si distinguessero per ferocia e per carica ideologica. In quei mesi tormentati, questi emissari dell'Internazionale fecero conoscere agli italiani il vero volto del comunismo. Proprio lo studio organico dell'operato dei partigiani stranieri in Italia potrebbe essere una delle prospettive aperte dal saggio di Beretta.
Storia dei preti uccisi dai partigiani ha il pregio di porre in luce il contributo pagato dalla Chiesa italiana, ed in particolare dal clero, a questa pagina oscura della storia nazionale. La Chiesa, in fondo la più grande organizzazione spontanea di cittadini che il nostro Paese abbia mai espresso nella sua storia, è spesso oggetto di critiche anche feroci, mentre il contributo che i suoi membri di ogni livello danno al bene comune viene sovente passato sotto silenzio, come una sorta di atto dovuto. In campo storico, ed in particolare per quanto riguarda lo studio del ventesimo secolo, i critici hanno puntato il dito contro le presunte connivenze del clero e delle gerarchie cattoliche nei confronti di Hitler, di Mussolini, contro l'inadeguata difesa degli ebrei, postulando forse che i dittatori chiedessero istruzioni al confessore o al direttore spirituale.
Beretta dimostra che anche fra i liberatori non mancavano coloro per i quali i preti valevano più da morti che da vivi, adombrando l'esistenza di un programma più o meno ufficiale di palingenesi sociale nel quale il clero doveva essere eliminato. In molti casi, i sacerdoti uccisi sapevano di avere dei nemici: molti erano stati caldamente esortati dai superiori a trasferirsi in altre sedi; i più rifiutarono, convinti che bastasse non avere colpe per non subire punizioni.
Un'ultima riflessione alla quale il libro si presta è sul ruolo del sacerdote di fronte alla vita sociale, alle passioni dei parrocchiani dei quali condivide le tribolazioni. In questo caso, il confronto era fra sacerdoti fascisti ed antifascisti, ma il ventesimo secolo ha visto il clero schierarsi su molti temi, con comprensibili lacerazioni anche fra i fedeli. Beretta cita la lettera di un sacerdote filofascista, don Federico Semprini, ad un confratello antifascista, nel quale il primo riportava il giudizio del comune maestro sulla questione: «Gli ero andato a chiedere che cosa pensava di me, già suo simile scolaro, che ero diventato filo [fascista, ndr], filissimo!...Ebbene, mi rispose che in tutte le crisi della società è provvidenziale che anche i preti, almeno in parte, stiano dalla parte dei novatori: non tutti dalla parte dei conservatori. Aggiunse però subito: "Purchè restino veri preti e non falsi preti!". Ora io spero d'essere restato sempre vero e non falso prete». Un giudizio tutto sommato equilibrato, a maggior ragion quando si consideri che era il novembre del 1943; per don Semprini fu una sorta di testamento spirituale, poiché un mese dopo morì a seguito di un feroce pestaggio.
Paolo Smeraldi
Da http://www.ragionpolitica.it/testo.3970.html
Alessandro Moro I MISTERI DI ZARA
Laserinvest. 112 pp. - brossura - ed. 2005 Euro 14,00  
IL GIALLO "FILATELICO" Al culmine della Seconda Guerra Mondiale, Zara, ultimo isolato avamposto italiano in Dalmazia, oppone l'estrema resistenza agli attacchi dei partigiani jugoslavi che la circondano, mentre dall'aria è incessantemente martellata dall'Aviazione americana. Dentro la città assediata, i difensori sono insidiati da misteriosi assassinii senza logica apparente che complicano la già tragica situazione. L'indagine è affidata al tenente dei Carabinieri Umberto Favaretto, che per risolvere lo strano caso dovrà passare attraverso la scoperta di se stesso.
Inverno 1943-44, coste orientali dell’Adriatico. All’acme della seconda guerra mondiale si consuma la tragedia storica di Zara. L’enclave italiana soggiace all’occupazione tedesca, subisce i tentativi di annessione dei partigiani titini, è stremata dagli estenuanti bombardamenti degli Alleati. In un’atmosfera da “Crepuscolo degli Dei” sono perpetrati strani delitti, su cui indaga il tenente dei carabinieri Umberto Favaretto. Sullo sfondo giganteggiano i rari francobolli italiani sovrastampati dai tedeschi “Deutsche Besetzung Zara”, veri protagonisti della vicenda. 
Romanzo storico e thriller filatelico, “I misteri di Zara” di Alessandro Moro con il suo impianto narrativo ben congegnato, avvincente nell’intreccio di amore e guerra, puntuale nell’ambientazione topografica e storica, inganna il lettore: nessuno, nulla è come appare. Anche “l’eroe buono” ha i suoi fantasmi e, nonostante gli indizi sparsi, il finale è sorprendente. A rendere la trama ancora più allettante per i collezionisti, riferimenti concreti a loro familiari, come quelli al commerciante triestino Sfiligoi, allo scaligero Nicodem, o al veneziano Degani. 
  
 
  mancano copertine (scala 33%)
Bettini Emilio - Govi Gilberto - Zanotti Enzo (a cura di) - R.S.I. ADDIO ... DAI RAGAZZI DI UNA SCUOLA ALLIEVI UFFICIALI DELLA "GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA" 
136 pp. - ill. b/n - brossura - 1a ed. 1993 Lo Scarabeo Editrice. NUOVO.  2005
Con l'intendimento di lasciare una testimonianza storica dei fatti accaduti in Italia alla fine dell'ultima guerra mondiale, alcuni giovani Ufficiali della Repubblica Sociale Italiana hanno descritto come hanno vissuto, in circostanze diverse, gli ultimi giorni della loro appartenenza alle forze armate della RSI. Alla testimonianza dei fatti si accompagna la testimonianza dei sentimenti e della tempesta psicologica che nel volgere di pochissimo tempo, anche di ore, si è svolta nei reparti che si andavano sgretolando o sciogliendo sotto l'incalzare degli eventi. Si potrebbe valutare come un volume di "controstoria" perché descrive avvenimenti ed interpretazioni che finora sono stati descritti con un'unica direttiva: quella di esaltare il `mito della resistenza'; in realtà si tratta di un ricordo di quelle che per loro furono delle `radiose giornate' viste dall'altra parte sine ira et studio, cioè descritte con atteggiamento obiettivo e privo di eccessivi coinvolgimenti. Nel volume viene considerata la ribellione di quei giovani che, cresciuti nel ventennio fascista, non se la sono sentita di subire la disonorevole condizione che il re Vittorio Emanuele III ed il suo governo volevano imporre, con l'armistizio, a tutti gli italiani. Una parte di questi ha detto no. E questa è la loro storia - 352 pp. - ill. b/n - brossura - ed. 2005 - Lo Scarabeo Editrice (Storie di guerra 1943-45). NUOVO. EUR 22,40   1x1_02061  
Cuzzi Marco, L'INTERNAZIONALE DELLE CAMICIE NERE - I CAUR, COMITATI D'AZIONE PER L'UNIVERSALITA' DI ROMA 1933-1939 
472 pp. - brossura - ed. 2005. Mursia 
Dalla fine degli anni Venti il regime fascista iniziò a rivolgere lo sguardo oltre frontiera. La stagione dell'"universalismo fascista" fu sostenuta da numerosi gerarchi e intellettuali, e infine appoggiata dal Duce. Il passo successivo fu la costituzione dei Comitati d'azione per l'universalità di Roma (CAUR) di Eugenio Coselschi, che ebbero il compito di inquadrare i simpatizzanti stranieri residenti in Italia, ma soprattutto di preparare il terreno all'estero mediante la creazione di una rete di rapporti tra il partito-guida italiano e i suoi epigoni. Si creò in questo modo la base di un'Internazionale fascista per molti aspetti speculare al Komintern comunista, con tutti i corollari fatti di ispettori itineranti, intelligence, attività ai limiti della cospirazione, propaganda. L'anno di nascita dei CAUR (1933) coincise con l'ascesa al potere di Hitler e con la presenza in Europa di un concorrente diretto del fascismo italiano. La guerra d'Etiopia e la lotta antisanzionista sancirono il culmine della parabola storica dei Comitati, mentre il tormentato ma inesorabile avvicinamento italiano alla Germania ne determinò il tramonto
Bonacina Giorgio, OBIETTIVO: ITALIA - I BOMBARDAMENTI AEREI DELLE CITTA' ITALIANE DAL 1940 AL 1945
Decine di migliaia di civili italiani sono morti sotto le bombe degli aerei angloamericani. Un saggio critico che cerca la verità nascosta sotto le macerie - Nella notte dell'11 giugno 1940, a poco più di ventiquattro ore dalla dichiarazione di guerra dell'Italia alle potenze occidentali, piccole formazioni di bombardieri della RAF, partite dall'Inghilterra, attaccarono Torino e Genova. Era la prima incursione aerea cui veniva sottoposta l'Italia nella Seconda guerra mondiale e, sebbene risultasse quasi innocua, era una chiara dimostrazione delle intenzioni del nemico. Nell'ottobre-novembre del '42 e nel '43, fino all'8 settembre, le città del triangolo industriale del Nord Italia - Genova, Milano, Torino - furono oggetto di terrificanti bombardamenti, mentre quelle delle isole e del Sud, con Napoli in testa, subivano quasi quotidianamente massicce incursioni. Erano necessari per gli Alleati i bombardamenti delle città italiane? Quale scopo si prefiggevano? Che cosa volevano colpire? In Obiettivo: Italia l'Autore risponde esaurientemente a tali domande e descrive, giorno per giorno, le azioni dei bombardieri inglesi e americani, illustrandone la tecnica d'attacco, gli aerei impiegati e i risultati raggiunti - 280 pp. - ill. b/n - brossura - ristampa 2005 dell'ed. 1970 - Mursia - Testimonianze fra cronaca e storia (1939-1945: Seconda Guerra Mondiale). NUOVO. EUR 21,00   1x1_06096  Bordogna Mario (a cura di),
 
 
STETEFANO FABEI MUSSOLINI E LA RESISTENZA PALESTINESE
Pagine 304 € 23,50 Codice 13192F ISBN 88-425-3469-2 http://www.mursia.com/. 2005.
      «Settant’anni fa, nel più assoluto segreto, l’Italia fascista si adoperava validamente nel tentativo di dare una patria agli arabi della Palestina. Non si trattava soltanto di un appoggio politico, ma di un autentico sostegno materiale.» Angelo Del Boca
Tra il 1936 e il 1938 l’Italia versò al Gran Mufti di Gerusalemme, leader della rivolta palestinese contro la Gran Bretagna e i sionisti, circa 138.000 sterline. Questo contributo fu deciso dal Duce non solo a sostegno del nazionalismo arabo e in funzione antinglese, ma anche in omaggio all’anticolonialismo del Mussolini socialista rivoluzionario e del primo fascismo. Il ministero degli Esteri decise inoltre l’invio ai mujâhidîn della prima grande intifâda di un carico di armi in principio destinato al Negus ma acquistato in Belgio dal SIM. La consegna, cui avrebbero dovuto provvedere i sauditi, non ebbe mai luogo. Per Mussolini fu anche il tentativo di non farsi scavalcare da Hitler nella solidarietà agli arabi. Una pagina della nostra politica mediorientale ricostruita sui documenti del ministero degli Esteri e dello Stato Maggiore dell’Esercito.
    L'Autore    Stefano Fabei nato a Passignano sul Trasimeno nel 1960, laureato in Lettere moderne, insegna all’Itas «Giordano Bruno» di Perugia. Suoi saggi sono apparsi, fra l’altro, su «Studi Piacentini» e «Nuova Storia Contemporanea». È autore di: La politica maghrebina del Terzo Reich (1988), Guerra santa nel Golfo (1990), Guerra e proletariato (1996), Il Reich e l’Afghanistan (2002). Per Mursia oltre a Il fascio, la svastica e la mezzaluna (2002), di cui è imminente l’uscita in Francia, ha pubblicato Una vita per la Palestina. Storia di Hâjj Amîn al-Husaynî, Gran Mufti di Gerusalemme (2003). 
Lorenzo Baratter LE DOLOMITI DEL TERZO REICH
Mursia 2005. pp.376 – euro 24,00
«Le Dolomiti del Terzo Reich» è il titolo del volume di Lorenzo Baratter, già autore nel 2003 di «Dall´Alpenvorland a via Rasella. Storia dei reggimenti di polizia sudtirolesi 1943 – 1945» e nel 2004 di «Tra vespri e soldati. Cronache dal santuario di Pietralba/ Weissenstein nel secondo conflitto mondiale», che uscirà nelle librerie il 20 novembre. Sedici capitoli di storia contraddistinti da materiale inedito frutto di ricerche dell´autore, molte interviste a protagonisti e documenti nuovi con un'attenta lettura della storiografia sia in lingua italiana che in lingua tedesca.
Baratter, cosa racconta il suo libro? «Ricostruisce la storia delle province di Trento, Bolzano da quando fecero parte dell´Impero austro-ungarico all´inizio del Novecento fino al periodo di annessione alla Germania nazista nel biennio 1943 – 1945; il libro si conclude con gli accordi Degasperi - Gruber del settembre 1946 e a questo tema è dedicato un capitolo del volume che ho intitolato “La fine di un´epoca” proprio perché quegli accordi furono per molti aspetti la conclusione di una lunga stagione storica per la nostra regione. Il testo lascia spazio anche a temi importanti come quello degli internati militari italiani della provincia di Trento, di cui mi sto occupando in questo periodo, si parla di almeno diecimila trentini internati, di cui ottocento non più ritornati; oppure il discusso attentato di Via Rasella in cui le vittime furono soldati sudtirolesi trasferiti a Roma per ragioni di servizio d´ordine pubblico, su cui credo sia stato detto tutto tranne i fatti».
Perché un libro proprio su questo periodo storico? «Perché mancava, viene a riempire un vuoto, è un libro che ha un forte valore divulgativo e credo che possa essere destinato a degli studenti, a dei ricercatori, ma anche a chi vuole capire questo passaggio molto controverso della nostra storia. Credo sia un libro rigoroso e dirompente allo stesso tempo perché narra pagine inedite».
Cosa pensa del volume "Trentino provincia del Reich" di Piero Agostini riguardo a questo argomento? «La storiografia del primo conflitto mondiale è molto fitta, mentre la parte relativa alla seconda guerra mondiale, al di là delle importanti pubblicazioni che ha curato il museo storico di Trento, è ancora ad un livello insufficiente».
Quindi “Le Dolomiti del terzo Reich” si può definire un‘opera più approfondita rispetto a quella di Agostini? «Sì, certamente; il grande volume di Agostini è stato ripubblicato in edizione aggiornata nel 2002, però per molti aspetti ripropone quello del 1975 e risente di tante ricerche che sono state svolte in questi anni e che io ho voluto condensare nel mio volume. Nei sedici capitoli ho trattato importanti approfondimenti tematici, si parte dalla la storia dell'appartenenza all´impero austro-ungarico, poi c´è tutta l´esperienza della prima guerra mondiale sia negli aspetti bellici che civili, inoltre compaiono i temi del nazionalismo e vengono approfondite le figure di Cesare Battisti ed Ettore Tolomei».
La presentazione del suo volume è del dott. Hans Heiss, archivista storico a Bolzano e insegnante di storia moderna e contemporanea all´Università di Innsbruck; come nasce questa collaborazione? «Per una profonda amicizia personale e perché ritengo che il dott. Heiss sia un grande conoscitore della storia dell´Alto Adige e rappresenti una scuola di storici sudtirolesi di grande rilievo, i cui lavori sono ancora poco conosciuti al di fuori della provincia di Bolzano, però hanno il merito di essere scesi nel dettaglio in certe situazioni storiche».
Che genere di lezione di storia vuole essere quella de “Le Dolomiti del Terzo Reich” ? «Quello che ho voluto fare è raccontare una parte così complessa della nostra storia cercando di superare quei vincoli ideologici e culturali che spesso hanno condizionato una certa storiografia. Ho cercato di riportare solo fatti, mentre i miei giudizi sono separati da una riga di bianco, così il lettore è in grado di distinguere. Ho fatto questa scelta perché ritengo che la serietà di uno storico stia nel dare la possibilità a chi legge di risalire alle informazioni che vengono riportate. L´obiettivo del libro è quello di costruire attraverso la storia una “mediazione”, che non significa compromesso, ma comprensione della storia e delle ragioni dell´altro, consolidando il valore e l´esempio che può dare la nostra regione rispetto ad altre situazioni conflittuali che ci sono nel mondo».
È un invito ad imparare dalla storia? «Non vorrei banalizzare, ma credo che conoscere il passato aiuti a creare il futuro, ma per fare questo lo storico deve dare una garanzia al lettore e lo deve fare mettendo da parte le proprie motivazioni o condizioni personali e lanciare un messaggio che sia diretto a tutti e che come fine abbia quello di costruire. Una cosa che mi piace spesso dire è che per costruire degli argini ad ogni tentazione bellica è importante conoscere la guerra e lo storico lo può fare molto bene, ad esempio facendo parlare i protagonisti, entrando nei dettagli senza lasciarsi trasportare da analisi superficiali o dettate da “rigurgiti nazionalisti”».
Testimonianze, interviste a sopravvissuti, episodi di opposizione al nazismo, trecentosettantasei pagine di storia, “storia vera – come ricorda Baratter nell´introduzione al suo volume - quella che non dimentica mai che i suoi protagonisti sono gli Uomini, tutti gli Uomini, senza vincitori né vinti, quella che non appartiene a nessuno, ma può servire a chiunque per conoscere le proprie radici, senza le quali non si può vivere con lucidità il presente.”
Il Terzo Reich sulle Dolomiti Novecento di Silvia Cesaro
Tratto da L'Adige del 16 novembre 2005 
Giampaolo Pansa SCONOSCIUTO 1945
Milano : Sperling & Kupfer, [2005]
La Stampa 7 ottobre 2005
SCONOSCIUTO 1945»  Il silenzio dei vinti sul calvario del mite ciabattino  Aveva cucito scarponi per i brigatisti neri Perciò venne pestato, cinghiato, frustato. Dal capitolo «Il calzolaio» di Sconosciuto 1945 pubblichiamo la storia di un ciabattino di Tortona che accettò di lavorare per la Brigata nera, e per questo è bersaglio, dopo il 25 aprile, della vendetta partigiana
Non posso dimenticare il giorno in cui mia madre, piangendo, mi disse per la prima volta di suo padre, il mio nonno materno, V.M. E mi narrò la storia che adesso racconterò a lei [...]. Il 25 aprile 1945, mio nonno si trovava in Val Curone con un reparto della Brigata nera. Erano dei militi già demoralizzati, per la cattura del comandante Celeste Gianelli e di molti camerati, avvenuta a Garbagna poco più di un mese prima. Ci fu un fuggi fuggi generale. Anche mio nonno gettò la divisa. Dei contadini di Brignano Frascata gli diedero un abito da civile. E, così vestito, lui tornò a Tortona e si nascose in casa.
Come tanti altri nella sua situazione V. pensava di salvarsi. In fondo aveva fatto il milite calzolaio, non aveva mai sparato un colpo di fucile né picchiato nessuno, neppure durante le poche operazioni alle quali aveva dovuto partecipare. Ma qualcuno gli fece una spiata. E presto i partigiani di Castelnuovo bussarono alla sua porta. In casa c’erano soltanto mia nonna e le due figlie. Furono costrette ad assistere impotenti a una perquisizione violenta dell’alloggio. Non avendo trovato V., i partigiani andarono a cercarlo nelle strade di Tortona. E lo incontrarono di fronte al municipio, dove V. si era recato per avere non so quale documento. Troppa imprudenza? Certo, davvero troppa per un milite della Brigata nera.
Ma immagino che, nelle sue ricerche per «Il sangue dei vinti», lei si sarà trovato di fronte a un’infinità di casi del genere: quelli di tanta gente presa e uccisa per aver continuato a muoversi in quei frangenti terribili come se niente potesse accadergli. Quando invece la voglia di vendicarsi poteva spazzare via anche le ultime ruote del carro, quelli che non avevano compiuto né violenze né crimini di guerra.
V. venne messo sopra un camion e portato a Castelnuovo. Qui i partigiani lo rinchiusero nella caserma dei carabinieri, vicino alla piazza. Per mio nonno cominciò una prigionia terribile. Gliene fecero di ogni colore. Venne pestato, cinghiato, frustato, tormentato in tutti i modi. Spesso, da un balcone posto al secondo piano, lo esponevano alla folla, che di sotto lo ingiuriava.
Una volta alla settimana, mia nonna e mia madre andavano a trovarlo, arrivando in bicicletta a Tortona. La mamma, che allora aveva 19 anni, restava fuori dalla caserma. La nonna entrava nell’edificio e, poco dopo, ne usciva terrorizzata per le condizioni in cui aveva trovato il marito.
Il calvario di V. durò un mese. Nell’ultimo incontro, aveva la faccia devastata dalle botte. Disse a mia nonna: «Abbi cura della piccola», intendendo la figlia minore. Forse si era reso conto che stava per arrivare il momento in cui l’avrebbero ammazzato.
Alla fine del maggio 1945, la moglie e la figlia, ritornate a Castelnuovo Scrivia per vederlo, non lo trovarono più. Allora domandarono a un comandante partigiano delle Garibaldi che fine avesse fatto il loro uomo. Ma lui si rifiutò di dirglielo. Non poteva non saperlo, però tenne la bocca chiusa. E quando in seguito ritornarono a chiederglielo, più di una volta, la risposta fu sempre un silenzio infastidito. E’ possibile che V. sia morto in quella caserma per le percosse quotidiane. Però sono propenso a credere che sia stato soppresso in qualche luogo solitario, attorno a Castelnuovo Scrivia. Le mie sono soltanto congetture, perché ancora adesso non sappiamo dove e come sia stato giustiziato. Senza nessun processo, naturalmente. E condannando la sua famiglia a una pena senza fine: quella di non avere neppure un corpo da seppellire e da piangere.
Molti anni dopo, per attenuare il dolore di mia madre, ho acquistato un loculo nel cimitero di Tortona. E ci ho messo una lapide con la foto di V. e le date d’inizio e di fine della sua vita: 1900-1945. Ma quella tomba è vuota.
Penso che sia questo l’aspetto più barbaro della resa dei conti imposta ai fascisti sconfitti. Negare ai parenti la possibilità di rintracciare i resti dei loro morti è la crudeltà più dura da accettare. Anche da chi, cresciuto dopo, nell’Italia tornata alla libertà, si rende conto del clima di odio e di violenza cieca che imperava dopo la fine della guerra. E ne comprende le ragioni storiche e politiche.
Oggi mia nonna e mia zia non ci sono più. E’ scomparso anche mio padre. Soltanto mia madre è rimasta alle prese con quei ricordi tremendi. Ci sono cuori che sanguinano ancora. La crudeltà di troppa gente, in quei momenti, ha portato a negare a chi è sopravvissuto il ricordo delle persone care. Al di là dei bombardamenti, delle invasioni, delle privazioni, è questa la prova del male assoluto che la guerra porta con sé.
E qui voglio dirle un’ultima cosa. Entrambi i miei genitori, e io stesso, siamo sempre stati di sinistra. Intendendo per sinistra quel pensiero volto all’affrancamento dei poveri dalla miseria, alla piena realizzazione umana di tutti, in base alle proprie capacità, alla pace come condizione per un mondo migliore.
Sono certo che lei mi capisce, perché credo che siamo fatti della stessa pasta. E la ringrazio per avermi aiutato a non far dimenticare la storia di un semplice calzolaio, travolto da una guerra crudele. Molto più crudele e più grande di lui.
     Come eravamo nei giorni aspri Il nuovo libro di Giampaolo Pansa, Sconosciuto 1945 (Sperling&Kupfer), raccoglie lettere e ricordi di persone che hanno avuto parenti o amici vittime di vendette dopo il 25 aprile. Nel libro appare un interlocutore immaginario, l’avvocato Alberti, che è un parto di fantasia.  Pansa ha all’attivo una ventina di titoli. Fra i romanzi ricordiamo Ma l’amore no, Siamo stati così felici, I nostri giorni proibiti, La bambina dalle mani sporche, Il sangue dei vinti. 
LA STAMPA 7 ottobre 2005
 
 
Massimo Lucioli (a cura di) MAFIA & ALLIES - Sicilia 1943: Massoneria, Mafia e Liberatori sbarcano in Italia
Pagine 144 - € 15,00. Scriptamanenti Diffusione Libraria. 2005.
Disponibile dal 17.12.2005 la nuova pubblicazione della Scripta Manent Diffusione Libraria s.a.s.
Scheda del Libro: http://www.scriptamanent.biz/SchedaDettaglioLibro.asp?ID=1503 Contatto diretto: 329.3905133
Lo scellerato connubio tra la mafia italo-americana ed i servizi segreti degli Stati Uniti d’America -ONI e OSS- determinò allora le premesse di ciò che oggi è sotto gli occhi di tutti: I giornali e la televisione quotidianamente raccontano del dilagare e dello strapotere della criminalità organizzata in Italia; pochi sanno che la Mafia, riarticolatasi ed organizzata come vera e propria attività “imprenditoriale”, ritornò nel Vecchio Continente sotto l’egida delle forze alleate durante le operazioni per la conquista della Sicilia del ‘43 coordinata da Salvatore Lucania alias “Lucky Luciano”, agente al soldo dell’intelligence a stelle e strisce…
Dalla prefazione di Rutilio Sermonti:
“Questo lavoro di Lucioli mette appunto in rilievo i fattori che, a livello militare e quello civile, operarono in Sicilia a favore del nemico. Al di là dei singoli responsabili come gli ammiragli Pavesi e Leonardi che consegnarono al nemico senza lotta Pantelleria e Augusta, piazzaforti essenziali abbondantemente armate e accuratamente munite, al di là degli "alti traditori" di Supermarina, dove persino il capo dei servizi di informazione, l'ammiraglio Maugeri, lavorava esclusivamente per il nemico della sua Patria, due erano le grosse organizzazioni fratricide: la Massoneria, che -come il libro ricorda- operava intensamente attraverso i suoi segreti accoliti di alto livello, fin dal 1935, e Cosa Nostra, potente malavita organizzata americana, ovviamente legata alla Mafia siciliana che, distrutta e costretta al sonno dal Fascismo, stava risollevando la testa nella disgrazia nazionale ed era ben lieta di riprendere la pacchia del precedente dopoguerra.
Sui metodi ignobili ma purtroppo efficienti usati da quest'ultima, l'Autore particolarmente  si sofferma, dopo un'attenta indagine che gli permette di rivelare anche aspetti poco conosciuti, enormemente aggravati anche dal ricordato dolo dello Stato maggiore che aveva letteralmente invertito il tassativo ordine del Duce (30% di soldati siciliani e 70% del continente).
Buona parte delle notizie sono ricavate dai documenti resi pubblici dal Pentagono, e ancor più brucianti sarebbero se -a ulteriore riprova della coscienza poco pulita dei "liberatori"- essi non fossero abbondantemente censurati, soprattutto nei nomi.
L'agile pamphlet è doppiamente meritorio.
Da un lato, esso permette di meglio valutare, anche in rapporto alle vicende siciliane, come Italia e Germania non siano state battute sul campo, ma con la corruzione e il tradimento. Nel 350 avanti Cristo, dopo le sconfitte di Isso e Arbela, il satrapo persiano Besso, nell'illusione di ingraziarsi Alessandro Magno vincitore, fece uccidere il proprio re, Dario III, che presso di lui si era rifugiato. Saputolo, Alessandro, anziché lodarlo, lo fece giustiziare per tradimento, e alla salma del nemico ucciso fece rendere solenni onori. L'Alexander inglese del 1943 e il suo compare Eisenhower, invece, coi traditori ci andavano a letto, li decoravano e li facevano colonnelli "ad dishonorem". Questione di civiltà!
Dall'altro lato, l'attuale studio di Massimo Lucioli ha il gran merito di difendere l'onore dei soldati italiani e tedeschi che, a migliaia, tinsero del loro sangue l'isola Trinacria, fedeli alla consegna avuta e a perenne vergogna dei figuri gallonati e dei malfattori loro complici che li tradirono e vorrebbero diffamarli.
Ulderico Munzi GESU' IN CAMICIA NERA (prefazione di Giulio Andreotti con un intervento di Romano Mussolini)
Milano : Sperling & Kupfer, 2005, Codice identificativo: IT\ICCU\TO0\1396274 Volumi: 1     Pag: 210
Dal 1943 al '45, i preti non furono certo risparmiati dal clima di odio che incendiava le due parti in guerra. Ma loro con chi decisero di stare? Come evitarono le trappole della coscienza, se le evitarono? E i cappellani che aderirono alla Repubblica sociale Italiana, e quelli che invece decisero di unirsi ai partigiani, quale fedeltà stavano seguendo? Quella giurata a Dio o un'altra molto più terrena? Ulderico Munzi compie in questo libro un pellegrinaggio alle origini di queste vicende, interroga i protagonisti di quella stagione - di entrambe la parti - chiedendo loro il racconto, talvolta pieno di omissioni più o meno consapevoli, della loro presa di posizione. Un libro tra ricordo e riconciliazione, che indaga nelle scelte morali di una generazione di preti, parlando anche ai sacerdoti di oggi. Prefazione di Giulio Andreotti e contributi di Romano Mussolini
Romano Mussolini ULTIMO ATTO: le verità nascoste sulla fine del Duce
Milano : Rizzoli, 2005 Codice identificativo: IT\ICCU\UBO\2709109
 
 
 Precedente edizione: vedi copertina in 1992
Jelardi Andrea, GOFFREDO COPPOLA - UN INTELLETTUALE DEL FASCISMO FUCILATO A DONGO 
Euro 17,30   - 200 pp. - ill. b/n - brossura - ed. 2005 - Mursia - Testimonianze fra cronaca e storia (1939-1945: Seconda Guerra Mondiale). Descrizione fisica: 197 p., [4] c. di tav. : ill. ; 21 cm. 
La Repubblica Sociale Italiana finisce tragicamente tra il 27 e il 28 aprile 1945, nei pressi di Dongo, sul lago di Como, dove Mussolini e alcuni suoi fedelissimi, in un disperato tentativo di fuga, vengono arrestati e poi giustiziati dai partigiani. Tra loro c'è anche Goffredo Coppola, professore universitario di origini sannite, filologo, giornalista, rettore dell'Università di Bologna e successore di Giovanni Gentile alla presidenza dell'Istituto italiano di cultura. Gli ordini del CLN non lo indicano tra i condannati a morte, eppure il suo nome è il primo della lista degli uomini da fucilare, compilata dal comandante partigiano Walter Audisio. La vita di Goffredo Coppola, dedicata allo studio dei classici greci e latini, al giornalismo e alla strenua difesa dei suoi ideali, finisce a Piazzale Loreto.
***
Goffredo Coppola, lo straordinario conoscitore degli insegnamenti delle Civiltà latina, greca e mediterranea che lo elevarono nel biennio l943-1945 a rettore magnifico dell'Università di Bologna proprio allorquando s'inasprì in Italia il 2° conflitto mondiale con l'invasione ang1o-statunitense sino ad arroccarsi sulle trincee della Linea Gotica, e quasi alle propaggini del capoluogo emiliano, fu quell'eccellente intellettuale che visse con piena responsabilità l'epopea della Repubblica Sociale e, alla conclusione di quell'evento di riscatto dell'Onore nazionale, seguì Benito Mussolini nell'itinerario tragico (come io definì Giorgio Pini nell'opera omonima diffusa nel 1950 dalle Edizioni Omnia di Milano) sul Lario e che aveva per destinazione l'estremo ridotto di resistenza della RSI in Valtellina.
Allorché in piazzale Loreto a Milano i partigiani di Walter Audisio gettarono sul selciato i cadaveri dei gerarchi fascisti trucidati il 28 aprile a Giulino di Mezzegra e sul lungolago di Dongo -poi appesi per i piedi alle traverse del distributore di benzina Standard Oil -pressoché nessuno degli astanti ravvisa l'identità di Goffredo Coppola e negli anni successivi "la critica e la storiografia seguendo una tendenza comune protesa a omettere o a dimenticare espressero pochi giudizi e spesso negativi sugli esponenti del Fascismo" perché, la demagogia dei "liberati" dalla plutocrazia di Wall Street newyorkese e della City londinese, volle sempre denigrare l'opera costruttiva non solo degli esponenti della RSI e del PFR, ma anche quella degli uomini d'ogni settore della cultura "che pure avevano dato contributi importanti alla letteratura, all'arte e alla scienza italiane". 
La gravità di queste omissioni è stata evidenziata da Andrea Jelardi nell'introduzione del saggio "Goffredo Coppola, un intellettuale del Fascismo fucilato a Dongo" (U.Mursia Editore, 2005) e fa comprendere la potenza etica dell'integro professore che, nato a Guardia Sanframondi (prove Benevento) il 21.9.1898, profuse con coerenza sannita le sue capacità di perfezionamento conseguendo la laurea in lettere e filosofia a Napoli (1920), il "premio Cantoni" all'Ateneo di Firenze (1921) con l'ammissione all'Istituto di studi superiori e poi nella Scuola papirologica, mentre nel 1929 assunse nell'Università di Cagliari la docenza di letteratura greca. Aveva assolto inoltre i suoi doveri militari quale ufficiale dell'esercito durante la "Grande Guerra", dal 1917 in poi, e distinguendosi nel valore.
Dalla collaborazione iniziale con Girolamo Vitelli, il promotore della filologia classica, a quella con Ugo Ojetti - fondatore della rivista "Pegaso" - l'opera di Coppola è contrassegnata da affinamenti continui con "Il Fedro di Alessi", mediante "Plauto e la commedia greca", attraverso "Polis", con gli studi sui papiri ellenici ecc., arricchita dalle "Commedie di Menandro" (ediz. Chiantore, 1927) e dalla "Introduzione a Pindaro", stampato a Roma assieme al frammento beotico dello "Orestas".
Nel 1932 a Coppola venne attribuita la docenza di letteratura greca nell'Ateneo petroniano, dove lo zoologo e naturalista Alessandro Ghigi era rettore e, mentre il Fascismo promosse in Bologna profondi perfezionamenti e cambiamenti ne1 tessuto urbanistico (lo stadio Littorio, l'ampliamento del politecnico Sant'Orsola, gli istituti universitari di via Belmerolo e Irneio, nuove vie di comunicazione e parecchi insedia menti oltre la cerchia delle antiche mura ecc.) favorendo la sua espansione sino a 300mila abitanti, il professore sannita vivificò con le sue capacità l'evoluzione delle manifestazioni culturali nell'Emilia e nella Romagna, ad iniziare da quelle sul piano letterario.
Infatti, ecco - per onorare Giosué Carducci - le pubblicazioni su "Il canto basco di Roncisvalle e la canzone di Rolando", per "L'Orazio di Carducci", alle quali nel 1935 seguì la "Cimossa Carducciana". Coppola intraprese nel contempo anche un'intensa attività giornalistica, collaborando ai quotidiani "Il Popolo d'Italia", il "Corriere della Sera" ed a "Il Resto del Carlino", di cui vanno segnalati gli articoli "Ricordo di Giuseppe Albini", "Cirene" del 28.10.1934 e "La scoperta di una nuova ode di Saffo". Per gli studenti e il perfezionamento dell'apprendimento presentò "La vita dei Romani"(1929), la "Grammatica della lingua greca" seguita da "Lettere greche" (1935) sino all'edizione commentata dei libri III e IV dell'Iliade e di quelli XXIII e XXIV dell'Odissea, entrambi di Omero. Coppola effettuò anche una visita a Cirene, in Libia, per gli studi sul poeta alessandrino autore della "Chioma di Berenice" e nel 1935 elaborò lo studio "Cirene e il nuovo Callirnaco" e specificò che ogni uomo deve possedere "quel tanto di generosità che è necessario a tramutare l'entusiasmo passeggero e frivolo in fede" , stimolo a quelle virtù di coscienza patriottica di cui divenne apostolo durante la RSI. 
Poi, nel secondo conflitto mondiale, Coppola accentuò il suo impegno culturale anche quando si recò volontario sulle fronti dì Francia (1940) e di Russia (1941) e in merito indichiamo il rilievo di A. Jelardi nel la sua biografia sull'intellettuale sannita (pag.69): "Il volume intitolato <Epicuro> viene ripubblicato a Milano nel 1942 da Garzanti. Quest'opera è da considerarsi la più importante perché nasce oltre che da ricerche e studi filologici, da un suo bisogno intimo e spirituale che, come lui stesso scrive, è nata così, tra una marcia e qualche colpo di cannone". Coppola sente Epicuro nei momenti difficili e del filosofo greco, con senso quasi profetico, aggiunse come "sommerso in sé medesimo il solo Epicuro che sembra inerme di fronte alla realtà, ha una fede. Egli che sarà bestemmiato e vilipeso e maledetto e offeso e calunniato nei secoli, egli solo vive nel pensiero e intuisce e sente per primo i problemi della sua generazione e cerca di rischiarare la via con la sua fede universale di uomo condannato a morte ma pur gioioso di vivere e nient'affatto timoroso della morte".  Purtroppo, Coppola ebbe in ciò un'ineluttabile previsione degli eccidi compiuti poi dai "liberati" dagli invasori anglo-statunitensi al termine del 2° conflitto mondiale (Giulino di Mezzegra, Dongo e nelle città e nei paesi della RSI terrorizzati dopo il 25 aprile dalle tragiche conclusioni della "guerra civile") e consente oggi di riconoscere che quando seguì Mussolini verso Como, Dongo e l'utopia del l'ultima ridotta in Valtellina, era cosciente dell'imminenza d'una tragica fine. 
Sebbene soffrì l'arresto nel 1943 dopo il 25 luglio, fu tra i primi all'indomani dell'8 settembre ad aderire alla RSI e lo fece, oltre che assumendo il compito di rettore dell'Università bolognese, per volontà di riscatto dell'Onore della Patria, determinazione identica a quella del filosofo Giovanni Gentile, dello storico Gioacchino Volpe, dell'economista Franco Ercole, del futurista Filippo Tommaso Marinetti, del geologo Giotto Dainelli, dell'archeologo Pericle Ducati, dello scritto re Ardengo Soffici, del pittore Cipriano Efisio Oppo, dell'anziano senatore Vittorio Rolando Ricci che divenne uno degli esponenti più rappresentativi dello Stato nascente (vedasi l'articolo "Scelta" che pubblicò sul Corriere della Sera del 3.11.1943) e di tutti gli esponenti di disparate dottrine del sapere che confermano soprattutto oggi il ruolo di primo piano che ebbe la cultura nella Repubblica di Mussolini. 
Quando il 14 aprile 1944 - a Firenze - il filosofo Gentile venne assassinato da cinque 'gappisti' comunisti guidati da B. Fanciullacci, alla presidenza dell'Istituto italiano di Cultura venne designato Coppola e, nel contempo, in seguito alla nomina di Giotto Dainelli alla guida dell'Accademia d'Italia vennero conferiti il premio perle scienze al matematico Leonida Tonelli e quello per la letteratura a Marino Noretti, anche se tale poeta fosse apertamente antifascista. 
Emerse la capacità di Coppola anche quale direttore della rivista "Civiltà Fascista", in cui pubblicò articoli di rilievo intellettuale quali Esame di coscienza, su La città avvenire, per l'Omaggio a D'Annunzio, con L'ultimo eretico e chiarificando sempre, con precisione, quant'è indispensabile in ognuno la consapevolezza dell'Italianità, mentre attraverso un elzeviro evidenziò quel Dialogo quasi socratico approntato da B. Mussolini per tale giornale, scritto consegnatogli dal capo della RSI durante un loro incontro nell'autunno 1944 a Gargnano.  
L'importanza di quello scritto venne indicato da G. Pini e da D. Susmel nell'opera "Mussolini l'Uomo e l'opera" (vol. IV - Dall'Impero alla Repubblica - pag. 41/4. - Ediz. La Fenice, 1955) tracciando, in sintesi, le osservazioni del Duce: "Qual'è la gloria che ha la più vasta portata, la più grande significazione nella vita dei popo1i?  Non, esito un solo momento a risponderti: la militare. Mi pare d'intuirlo, ma vuoi_ specificarmi perché? La gloria militare è legata alla guerra e la guerra è la prova suprema nei rapporti fra i popoli. E'i1 grande esame comparativo. Attraverso la guerra un popolo rivela le sue virtù e i suoi difetti. Se gli elementi deteriori superano i superiori, il destino di un popolo è segnato. Non vi è altro mezzo all'infuori della guerra per scoprire l'inganno su se stesso di un popolo. Ritieni che la gloria militare sia necessariamente legata alla vittoria? No. Affatto. Si può perdere bene si può vincere male. Ci sono delle disfatte gloriose e delle vittorie equivoche. Quando un popolo resiste fino all'estremo, la gloria ne bacia le bandiere anche se fu avversa la sorte delle armi. Vi sarà sempre rispetto e poesia per coloro che hanno combattuto".
In quell'ardente fase di passione nella RSI, specie dopo il successo politico conseguito da Mussolini a Milano con il discorso al Lirico e nell'incontro diretto con il popolo e le categorie produttrici della Lombardia, Goffredo Coppola - più d'ogni altro - inserì il valore intellettuale nella realtà del Fascismo (quella proiettata dal "programma di S.Sepolcro" al progetto mondiale di socializzazione dell'economia produttrice) e l'attuò anche con la pubblicazione della sua ultima opera letteraria stampata a Verona nel febbraio 1945. Si tratta della traduzione completa de "I caratteri" del filosofo e scienziato greco Teofrasto (322-287 a.C.), uno studio di rilevante impegno che il rettore del l'Ateneo felsineo dedicò a Mussolini con preciso scritto. 
Coppola, indicando quanto Teofrasto perfezionò la disciplina della retorica dopo Aristotele, elevò l'inno della virtù per la coerenza del pensiero nell'azione politica, basata sulla correttezza, nella perspicuità e nell'appropriatezza, da sincronizzare nella logica di principii irrinunciabili. In ciò, il professore sannita è continuatore di quella mistica fascista che ebbe in Berto Ricci, con Guido Pallotta e Niccolò Giani quegli eroi che la Storia ha sempre onorato.  Nell'elegia di commiato dell'Itinerario tragico  1943-1945 (op. cit.), pag. 310, Giorgio Pini così conclude: "Fa ora, o Signore, che la tua croce risorga sulla loro tombe deserte, a esaltare il loro sacrificio di fede a te e all'Italia. Fa che la tua croce redima 1e coscienze intristite di quanti vollero o compirono l'orrenda strage fraterna". Tale riscatto morale - anche per Coppola - è stato intrapreso.  
S'illumina con l'opera biografica di A. Jelardi che nel cap. VI - pag. 140 - inerente "il ricordo", indica come la sua salma è stata traslata nel 1954 al cimitero della Certosa a Bologna e che, nel 1957, il suo il ritratto di rettore è stato collocato nell'Università petroniana tra quanti lo precedettero e lo seguirono in quell'incarico.  Indi, Piero Treves ha tracciato la figura e l'azione di Coppola nel Dizionario biografico degli Italiani, edito dalla Treccani. Enzo Degani ha esposto lo studio sull'attività filologica dell'Ateno felsineo che ha intitolato "Da Gaetano Pellicciani a Goffredo Coppola: la letteratura greca a Bologna  dall'unità d'Italia alla liberazione" (ediz. 1989). A Toronto - nel Canada - alla Convention del 1997 della "Modern Language Association of America" sul tema "Humanism under Fascism" diversi studiosi quali S.Jed, N.Zemon Davis, J.Tylus e D.Gagliani esposero la relazione "La colpa di Erasmo: Goffredo Coppola e la cultura ita1iana e fascista in rapporto con la cultura umanista". Infine - nel 2004 - all'università di Bologna i professori Gianpaolo Brizzi, Guido Melis e Luciano Casali hanno svolto un seminario in cui di Coppola sono state ricordate le sue qualità di docente, d'esponente politico e di rettore. 
Noi però, su quest'Uomo che seppe svolgere la propria missione d'intellettuale quale esempio di serenità e di coraggio, segnaliamo quanto Umberto Guglielmotti - nell'indicare le figure illustri della RSI da lui inserite nel volume "I grandi Italiani", ediz. CEN, 1970 - volle specificare: "Ricordo Goffredo Coppola in qualche rapido incontro in quei mesi drammatici, sempre fervido idee... Era in pace con la coscienza poiché aveva già risolto il dilemma O vincente o caduto".
E' stato pertanto un fervido legionario della sua Fede politica, è rimasto il grande intellettuale della migliore Cultura italica, mediterranea ed europea. 
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Era un sannita. La figura di Goffredo Coppola, già rettore dell’Università di Bologna, rievocata in una ricca e documentata biografia del nostro collaboratore Andrea Jelardi per le edizioni Mursia
Andrea Jelardi si può dire che come giornalista e scrittore è nato ed è cresciuto nell’ambiente di Realtà Sannita per le cui edizioni ha già pubblicato “Benevento antica e moderna (2000); Giuseppe Moscati e la scuola medica sannita del novecento (2004) nonché, di imminente pubblicazione, “Almerico Meomartini, architetto e archeologo” . Ma anche tanti e tanti articoli. Ora Andrea spicca il volo con questa pubblicazione che è destinata ad avere una larghissima diffusione perché è edita da una grande casa editrice di rilevanza nazionale e poi perché il personaggio, Goffredo Coppola, è poco conosciuto, ignorato persino dalla stragrande maggioranza dei sanniti e conterranei di Guardia Sanframondi dove è nato. Eppure trattasi di personalità di grande spessore culturale per i suoi studi dei classici greci e latini. Filologo, giornalista elegante e raffinato, fu rettore dell’Università di Bologna e successore di Giovanni Gentile alla presidenza dell’Istituto italiano di cultura. Finì a Piazzale Loreto per la strenua difesa dei suoi ideali. L’idea di questo libro – ci riferisce Jelardi – mi venne dall’on. Roberto Costanzo che alla presentazione del mio primo libro proprio alla Camera di Commercio dove lui era presidente, mi disse: Coppola è un personaggio poco noto, vale la pena di fare una indagine approfondita. E devo dire - ribadisce Andrea - che non è stato facile, basti pensare che per rintracciare qualche erede, una nipote, vi sono riuscito partendo dal contratto della luce votiva al cimitero di Bologna dove è sepolto. Devo anche dire – aggiunge Andrea – che all’Università di Bologna mi hanno spalancato tutte le porte e messo a disposizione tutti gli archivi, segno evidente che il ricordo dell’Uomo rimasto troppo tempo nell’ombra, è ancora vivo in quegli ambienti molto severi ed austeri. In appendice al volume vengono riportati, tra l’altro, alcuni suoi scritti sulla Riforma scolastica. Ci sia consentita un’ultima annotazione, il volume è dedicato al nostro direttore con queste parole riportate a pagina quattro: “A Giovanni Fuccio che ha per anni incoraggiato e sostenuto la mia attività giornalistica e di ricerca”. Una dedica tanto inattesa quanto gradita. Persino commovente, segno evidente che questo giornale, come gli altri periodici sanniti, conservano una valenza che il tempo non scalfisce. Ad Andrea: Ad maiora, semper!
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La Repubblica Sociale finisce nei pressi di Dongo,sul lago di Como,dove Mussolini e alcuni fedelissimi, vengono arrestati e poi giustiziati dai partigiani.Tra loro c’è anche Goffredo Coppola, professore universitario, filologo, giornalista.Il suo nome è il primo della lista degli uomini da fucilare, compilata dal comandante partigiano Audisio.
Il filologo sannita Goffredo Coppola morì con Mussolini a Dongo
Nei prossimi mesi le edizioni Realtà Sannita pubblicheranno per la collana 'I Protagonisti' un volume dedicato ad Arturo Bocchini, Goffredo Coppola ed Arturo Jelardi, tre personaggi sanniti che ebbero un ruolo di primo piano durante il ventennio fascista: Bocchini, fu infatti il Capo della Polizia e della potentissima OVRA, Coppola, illustre filologo, fu Rettore dell'Università di Bologna e fu fucilato con Mussolini a Dongo nel 1945, mentre Jelardi fu il primo Segretario Federale del Sannio. 
Ai tre protagonisti verrà dedicato eccezionalmente un unico volume, in quanto essi rappresentano tre progressive fasi del regime: la prima di organizzazione e di insediamento a livello nazionale e locale, rappresentata a Benevento da Arturo Jelardi, la seconda di grandi successi con personaggi potenti come Bocchini ai vertici del regime, e la terza finale, con i giorni pre e post otto settembre e della Repubblica Sociale, di cui Coppola fu tra i principali protagonisti. 
Dei tre personaggi solo Arturo Bocchini è già noto alla storiografia nazionale ed internazionale, mentre gli altri due sono stati dimenticati per molti anni. Il volume nasce appunto per ricostruire le biografie di questi tre sanniti illustri, protagonisti di un difficile e controverso periodo della storia d’Italia, accomunati oltre che dalle origini sannite, anche da fatti e vicende diverse, che si succedono e si intrecciano per poco più di un ventennio. 
Si è cercato quindi di fare luce non solo sulla loro carriera professionale, ma anche sugli aspetti più intimi e tormentati delle loro vite, e per questo nel libro saranno pubblicate anche testimonianze di persone che furono a loro vicine. 
Proprio nei giorni scorsi chi scrive ha incontrato nella sua casa di Roma la nipote di Goffredo Coppola, la signora Rachele Olivieri a cui ha rivolto alcune domande sull’illustre zio, fratello della madre. 
Eleonora Olivieri, come ricorda suo zio Goffredo Coppola, che fu uno dei più illustri grecisti del '900? 
Goffredo Coppola era un fratello di mia madre, il più piccolo. Lo ricordo bene, anche se egli veniva a Roma, dove vivevamo, molto raramente. Preferiva alloggiare all’Hotel De La Ville, piuttosto che a casa nostra, perché non rinunciava alla sua intimità, era piuttosto burbero e schivo, perché sempre immerso nei suoi studi. Era per questo anche molto distratto e preso dai suoi pensieri tanto che una volta fu investito da un'automobile, mentre attraversava la strada leggendo il giornale. 
Lo zio fu appunto uno dei più illustri filologi del primo novecento, e solo dopo l'8 settembre cominciò a fare politica attiva.
A cosa attribuisce questa scelta?
Mio zio fu indubbiamente uno dei più importanti filologi del novecento, ma fu anche giornalista e si interessò, oltre che di letteratura greca e latina anche di altri studi; pubblicò infatti anche scritti sul Carducci. La politica attiva per gran parte della sua vita non lo interessò, ma solo dopo l'otto settembre prese la decisione di dare un contributo attivo alla Repubblica di Salò, fu eletto Rettore dell'Università di Bologna, fece un viaggio in Germania, e incontrò più volte Mussolini. La passione per la politica l'aveva ereditata dal padre Pietro Coppola, personaggio politicamente molto attivo negli ultimi anni dell'800, e ancora di più questo interesse l'aveva ereditato suo fratello Mario. 
Il ricorda di suo zio Mario Coppola?
Zio Mario era il secondogenito dei fratelli Coppola, ed era il mio zio preferito. Aveva lo stesso nome di mio padre e per questo sin da bambina affettuosamente lo chiamavo ‘zio Coppola’. Ero legatissima a lui, ed è morto qui a Roma in casa mia, nel 1956. Era stato un personaggio politicamente molto attivo, fu Podestà di Benevento e fu uno dei collaboratori di Arturo Jelardi. Ricoprì anche l'incarico di Capo dell'Ufficio Stampa della Federazione Provinciale Fascista di Benevento. Dopo la tragica morte del fratello si rifugiò a Venezia e poi a Vetralla presso Viterbo, ove mia madre provvide a farlo accogliere in un convento dei padri Passionisti. 
Coppola erano originari di Guardia Sanframondi, come mai nessuno di loro vi ha mai fatto ritorno?
La famiglia Coppola aveva a Guardia Sanframondi una bella casa con un grande giardino, ma nei primi anni del novecento mio nonno e i suoi figli si trasferirono a Benevento, in una casa a Piazza Roma. Poi durante la guerra i miei nonni morirono di spagnola ed i tre fratelli rimasero orfani giovanissimi. Mia madre si sposò e si trasferì a Roma mentre mio zio Goffredo, intraprese la carriera universitaria dapprima a Cagliari e poi a Bologna. Rimase a Benevento soltanto Mario, che dopo la seconda guerra mondiale raggiunse la sorella a Roma. 
Goffredo Coppola fu fucilato a Dongo nel 1945, come ricorda quei giorni ?
Quando mio zio Goffredo fu fucilato a Dongo noi eravamo a Roma. Con lui morirono Mussolini ed altri gerarchi. Il suo cadavere fu esposto a Piazzale Loreto e poi seppellito a Milano. Negli anni '50 i suoi resti furono traslati al cimitero di Bologna, città ove egli aveva sempre vissuto. Mio padre e mio zio Mario provvidero alla traslazione e mio zio scrisse l'epigrafe in latino per la sua tomba. Dopo la sua morte molti si sono interessati, della sua produzione letteraria, e tra questi vorrei ricordare soprattutto Lietta Tornabuoni, che su mio zio scrisse un bellissimo articolo. Purtroppo di mio zio Goffredo non posseggo nulla, tranne una vecchia fotografia degli armi giovanili. Era una persona schiva e riservata non amava conservare oggetti e scritti personali, era sempre impegnato nei suoi studi, e la sua produzione letteraria è il suo ricordo più importante. 
I ricordi della signora Olivieri ci hanno permesso di conoscere anche gli aspetti più intimi e personali della vita di Goffredo Coppola, illustre filologo di Guardia Sanframondi, che pagò con la vita la sua adesione al fascismo. Purtroppo però per anni, dopo la sua morte, i molti suoi biografi, sono stati inclini a sminuire la sua attività professionale, proprio per i suoi ideali politici. Ma Coppola, così come Bocchini e Jelardi, fu figlio del suo tempo, visse ed operò in uno dei più controversi periodi della storia italiana, lasciando comunque un contributo di grande rilievo nella filologia del novecento, che non può essere ignorato. 
Come lui anche Bocchini e Jelardi, sono stati indiscussi protagonisti della storia italiana e sannita, e per questo oggi nel volume di prossima pubblicazione, si è voluto fare luce sulle loro vite e sulle loro storie, da cui vengono fuori tre momenti diversi del ventennio fascista, tre modi diversi di fare politica, tre ritratti di personalità che furono esaltate e temute nei momenti di gloria, per poi essere criticate, sminuite, se non addirittura dimenticate dall'Italia del dopoguerra. 
ANDREA JELARDI
REALTA' SANNITA n. 11 / 16-3O giugno 2002 
Leonida Fazi LA REPUBBLICA FASCISTA DELL'HIMALAYA
Edizioni Settimo Sigillo pp. 475, euro 24,00. 2005
Precedente edizione: vedi 1992
Recensione di Enzo Erra
La ripubblicazione di questo epico e appassionante libro di Leonida Fazi, giunge dopo la scomparsa dell’Autore, come un estremo monito lanciato al di là della vita, come un autentico testamento spirituale. L’altissimo contenuto del “La repubblica fascista dell’Himalaya” si riassume già nel titolo, che riunisce la passione per Patria e la fede nell’idea, riaffermate come una cosa sola. La “Repubblica” di cui si narra è un campo di concentramento costruito dagli inglesi in India per raccogliervi i prigionieri catturati nei primi anni di guerra sui campi di battaglia africani. Questi uomini, ora disarmati e in balìa del nemico, si sono battuti con tutte le loro forze prima di cedere all’avversa sorte. Fazi non era uno dei 250.000 soldati che il 15 maggio 1943 si erano arresi quando l’Armata italo-tedesca non aveva più potuto difendere la Tunisia, dove si era ritirata dopo la battaglia di El Alamein e dopo lo sbarco americano ad Orano. La “sua” guerra era finita assai prima, nel marzo del 1941, su una delle quote dell’Halfaya, al confine tra l’Egitto e la Libia, dove la compagnia cannoni del reggimento bersaglieri di cui egli comandava un plotone, era stata sopraffatta da un contrattacco delle forze corazzate britanniche. Fazi e altri, altri ufficiali del reggimento, erano stati fatti prigionieri, ma la loro Odissea, a quel punto, era cominciata appena. Sballottati in un rudimentale e provvisorio campo in Palestina, poi in una nave olandese requisita agli inglesi, infine approdati ad un definitivo campo di prigionia allestito dagli inglesi alle falde dell’Himalaya. I prigionieri avevano affrontato inumani disagi, ma avevano sempre saputo conservare, in cima ai loro pensieri, il senso del dovere, la fierezza di militari italiani e la dignità di ufficiali.
Chi scorre la prima parte del libro, che narra le fasi di una lotta durissima, combattuta in costante inferiorità di armi e di mezzi, sente che attraverso i decenni gli giunge l’eco di una solenne, sonora smentita alla ignobile menzogna della “guerra non sentita”, foggiata e fatta circolare dalla propaganda nemica all’esterno e dai suoi ausiliari e sostenitori all’interno. I soldati di cui Fazi ci narra le imprese, combattono non solo perché “devono” combattere, ma anche e soprattutto perché “vogliono” combattere, non solo perché la Patria li ha chiamati, e gli uomini degni di questo nome obbediscono a quel richiamo senza farsi domande e porsi problemi, ma anche perché sentono nel profondo le ragioni che hanno spinto la Patria a chiamarli, le cause reali che hanno provocato quel conflitto a cui stanno partecipando, le ragioni storiche, politiche, vitali che hanno indotto i popoli ad armarsi e scontrarsi, gli uni per difendere una iniqua supremazia, gli altri per rivendicare una autentica indipendenza, ingiustamente sottratta e negata. I Bersaglieri e gli artiglieri tra i quali Fazi combatte e di cui narra le vicende e le imprese, non ripetono e non esibiscono i tipici motivi di quella che era, a quel tempo, la propaganda di guerra italiana, ma da quel che fanno, dalla tenacia durissima con cui lo fanno, si sente che quei motivi sono per loro la carne e l’anima, la vita e la capacità di rischiarla o infine di perderla.
Ma la vera tragedia che stava per investire quei soldati dopo che avevano dovuto rinunciare a combattere, non era ancora venuta. Venne con quelle che nel titolo di un capitolo del libro vengono definite le “mazzate alla nuca” del luglio e del settembre del 1943, quando i prigionieri appresero che nell’Italia in cui avevano creduto e per la quale tanti loro camerati avevano dato la vita, era cambiato tutto, perché l’uomo che aveva governato la Patria e guidato il Fascismo, era stato deposto e arrestato, e che a deporlo e arrestato era stato il Re. Come a quel tempo per la grande maggioranza degli italiani, anche per quei prigionieri il Re aveva impersonato l’immagine dell’Italia, e di Duce quella del Fascismo. Le due immagini si erano fuse in una, in quella dell’Italia Fascista, che aveva intrapresa la guerra e che i combattenti – anche se prigionieri – volevano portare alla vittoria.
Ed ora, proprio il Re aveva deposto e fatto arrestare il Duce. Il mondo intero di era capovolto, nella sua realtà come nei suoi valori, e dalle poche, stentate spesso inattendibili notizie che i prigionieri ricevevano, non era facile farsi un’idea di quello che era accaduto. Ma il vero volto della tragedia che investiva quei soldati dopo che avevano dovuto cessare di combattere, si svelò l’8 del mese di settembre, quando i prigionieri appresero che alla caduta del Regime Fascista, era seguita la resa dell’Italia, e compresero che Badoglio, nuovo capo del governo, aveva mentito quando aveva solennemente affermato “la guerra continua”.
E ora, i vecchi nemici divenuti carcerieri, si presentavano a raccogliere i frutti di quella che ne ritenevano una naturale conseguenza. Da quel momento, infatti, si vide che la loro principale preoccupazione era divenuta quella di trascinare dalla loro parte, ovvero da parte di quel governo italiano che si era allineato con loro, in maggior numero possibile di prigionieri, soprattutto ufficiali. Si capì quindi che lo scopo di questa operazione era soprattutto di natura politica e storica, perchè il numero degli ufficiali detenuti non era tanto alto da giustificare gli sforzi. Quello che si voleva ottenere, era un avallo per il colpo di stato e per la resa senza condizioni, avallo che nessuno aveva dato e fino al quel momento nessuno aveva avuto il coraggio di chiedere. Lo chiedevano, ora, non a cittadini comuni e senza qualifiche, e nemmeno ai semplici militari, ma a coloro che avevano affrontato il nemico con le armi in pugno e, nella grande maggioranza dei casi si erano battuti fino a quando era divenuto impossibile battersi.
Gli inglesi cominciarono quindi, direttamente o con l’aiuto di colonnelli e generali italiani che collaboravano con loro, a chiedere una dichiarazione scritta di conferma del giuramento al Re. Il successo fu scarso, anche perché non manca chi fece osservare che chiederne la conferma inficiava il valore del giuramento. Con una mossa successiva, gli inglesi chiesero – in considerazione dell’armistizio firmato dal governo regio, che i prigionieri si dichiarassero disposti a militare accanto agli inglesi. Questo scoperto e indegno voltafaccia fu respinto dalla maggioranza dei prigionieri, e gli inglesi provarono allora ad abbordare la questione dal lato del sentimento e della dignità militare, e accusarono e fecero accusare i ribelli – definiti subito e senz’altro “Fascisti” – di codardia, perché rifiutavano di combattere. Questa volta la manovra stava per fare breccia perché feriva sul vivo, ma un fatto nuovo consentì ai prigionieri di sventarla, confermando e anzi rafforzando da un opposto punto di vista. Si era appreso infatti che Mussolini era stato liberato, ed aveva fondato un nuovo stato, che aveva denominato “Repubblica Sociale Italiana”. I prigionieri “non cobelligeranti” redassero allora una “loro” dichiarazione di adesione a questa nuova Repubblica.
Questa volta il successo fu enorme e gli inglesi si videro consegnare queste dichiarazioni a centinaia.
Essi pensarono allora che non potendo controllare la dissidenza, tanto valeva ammetterla e circoscriverla riunendo i “Fascisti non cobelligeranti” in un particolare recinto riservato, in modo che il loro atteggiamento non si estendesse per propaganda o per virtù di esempio.
Fecero circolare perciò tra i prigionieri un modulo in cui ciascun “Fascista non cobelligerante” chiedeva di essere trasferito in un settore “congeniale”. Poiché già alcuni “Fascisti” erano già stati assegnati al terzo settore del campo 25, gradualmente tutti quelli che firmavano la domanda vi vennero trasferiti. Questo settore divenne così una specie di propaggine della Repubblica Sociale trapiantata in piena India alle falde dell’Himalaya. I Fascisti vi si impiantarono e si organizzarono, si diedero regole proprie, elessero un colonnello italiano come comandante al posto di quello “badogliano” che avevano dovuto subire in precedenza. Infine trascrissero e firmarono il giuramento di fedeltà alla Repubblica Sociale e poi tutti insieme lo recitarono.
Nacque così la “Repubblica Fascista dell’Himalaya” che Fazi scelse poi come titolo al libro. I prigionieri non ebbero timore di definirsi o essere definiti “Fascisti” e così non ebbe timore Fazi nel dare questo nome alla sua esperienza ed al suo libro. Ulteriore monito, questo, nei tempi strani in cui tanti, anche nel mondo umano che dovrebbe rivendicare con orgoglio quella esperienza e quel nome, non si osa o non si vuol farlo, anche se oggi fuori da reticolati e da recinti, senza sentinelle armate di guardia, sarebbe tanto più facile e semplice essere senza timore se stessi.
Amicarella Daniele, QUELLI DELLA "SAN MARCO" - SUL FRONTE DELL'ABETONE GENNAIO-APRILE 1945
278 pp. - ill. b/n - brossura - ed. 2005 - Mursia - Testimonianze fra cronaca e storia (1939-1945: Seconda Guerra Mondiale).
I marò, i fanti di marina della divisione «San Marco» della Repubblica Sociale Italiana, arrivarono sul fronte appenninico il 25 gennaio 1945, a tre mesi dalla fine della Seconda guerra mondiale. Erano stati addestrati in Germania, molti di loro avevano tra i 17 e i 20 anni e si erano arruolati per difendere Roma dagli Alleati. Quando rientrarono in Italia, la Città Eterna era già stata persa e i loro avversari divennero i soldati americani e i partigiani schierati lungo la Linea Gotica. La storia delle operazioni belliche in cui fu coinvolto il III battaglione del 5° reggimento schierato sul fronte dell'Abetone è ricostruita partendo da quanto rimane oggi delle postazioni fortificate, delle granate e delle trincee visibili lungo i sentieri di montagna dell'Appennino tosco-emiliano esplorati attentamente dall'autore, con l'aiuto di alcuni reduci. Il paesaggio è molto cambiato, ma sotto le folte chiome dei boschi vi sono ancora testimonianze dei combattimenti che si svolsero nel gelido inverno 1944-45
 
 
 
 
 
Vespa Bruno VINCITORI E VINTI
Mondadori 2005
Peirano Liliana IL MALE ASSOLUTO
Ra.Ra. 2005
Giovanni Bartolone LE ALTRE STRAGI -  Le stragi alleate e tedesche nella Sicilia del 1943-1944 - Le stragi di Piano Stella, Biscari, Comiso, Castiglione, Vittoria,Canicattì, Paceco, Butera, S. Stefano di Camastra…  
Bagheria (PA), 2005, pagg. 196,  € 15,00.  Per avere il libro potete anche contattare l'autore: gbartolone@interfree.it oppure Cell. 339.79.21.348
  Il prof. Giovanni Bartolone, dopo oltre 6 anni di accurate ricerche in America e in Sicilia, ha pubblicato i primi sicuri risultati del suo appassionato e rigoroso lavoro, rivelando così inconfessabili retroscena dello sbarco anglo-americano in Sicilia.
    Leggiamo nella prefazione: "…gli uomini… al comando del generale George Patton erano stati drogati psichicamente con discorsi e direttive feroci, ma anche materialmente con benzedrina. Patton voleva dei reparti di killers, "perché - diceva - i killers sono immortali". 
    Si trattava di una frase che condizionava, con sottile psicologia, la salvezza degli attaccanti a patto d'essere killers. Su questi soldati…quella frase ripetuta ed echeggiata ebbe l'effetto di potersi aggrappare all'assicurazione che i killers sarebbero stati immortali…Così l'oscura paura dell'ignoto rafforzò la loro determinazione alla ferocia, una ferocia "corretta ed autorizzata", di cui non ci si sarebbe dovuti vergognare, come garantiva il loro comandante".
    Quelle che possono sembrare isolate e trascurabili iniziative, vanno invece attentamente inquadrate in una logica strategia, coordinata e diretta da un efficientissimo organismo per la guerra psicologica: il PWB: la "Quarta Arma" dopo le armi tradizionali Esercito, Marina ed Aviazione.
    Il PWB, lo Psychological Warfare Branch ebbe un ruolo fondamentale anche nell'impostazione strategica della campagna di Sicilia, fondata, si capisce, anche e soprattutto su di una straordinaria e soverchiante dovizia di mezzi e su di una strabocchevole inondazione d'armati, ma preceduta ed assecondata pure da azioni banditesche di malavitosi liberati dai penitenziari americani: uomini di mafia collegati con i mafiosi indigeni, che svolsero una prima azione preparatoria, intimidatoria e di violenta propaganda, arrivando fino a provocare l'esasperazione dei tedeschi - preordinata con scientifica psicologia - e arrivando, subito dopo lo sbarco, ad assassinare ufficiali italiani alle spalle dei combattenti. Diffusero pure notizie disfattiste e minacciose alle truppe in armi, portando gli esempi delle stragi commesse dagli "Alleati" contro i "colpevoli" di resistenza agli invasori.
    Non si deve credere che si tratti di casi sporadici; non bisogna imputarne la colpa unicamente all'impulsività o alla "paterna preoccupazione" di un solo generale per la vita dei suoi soldati. Dobbiamo invece inquadrare gli episodi venuti alla luce, nel più ampio disegno della campagna per l'invasione della Sicilia, campagna propedeutica al colpo di stato del 25 luglio, che fu preparata dando per la prima volta un ruolo primario, importantissimo alla guerra psicologica. 
    Ma un argomento così basilare resta ancora un tabù; gli storici non ardiscono compromettere le loro carriere nel "regime" attuale, vassallo degli States, comunque si alternino i governi.
    L'invasione fu assecondata dalla collusione massonica di alte gerarchie militari italiane, che preordinarono la dispersione di soldati  e batterie di cannoni lungo tutto il perimetro costiero, ma  li lasciarono bloccati, privi di automezzi per poter accorrere a fronteggiare le forze nemiche nelle località di sbarco.  Un furbesco escamotage per escluderli dalla lotta.
    Ma quando, subito dopo lo sbarco, le truppe "alleate" mostrarono spesso il loro volto disumano, fu chiaro che  queste orribili verità avrebbero macchiato d'infamia un esercito in cui erano presenti soldati predoni ed assassini, arruolati proprio per queste loro "qualità vincenti". Pertanto fu imposto il silenzio stampa più assoluto su tante tragedie che avrebbero posto il loro insanguinato veto morale sui futuri tribunali che i vincitori si preparavano ad instaurare sfacciatamente e solennemente per condannare i vinti e marchiarli farisaicamente come "criminali di guerra". 
     Dunque ci fu ermetico silenzio sulle feroci stragi  di prigionieri di guerra per quanto riguardò l'ufficialità, ma paradossalmente, ne fu strumentalizzata la massima diffusione a livello di voci, di radio-gavetta, per demoralizzare tanti soldati italiani che erano decisi a resistere nei reparti più agguerriti, promettendo la fucilazione a quei militari che avrebbero opposto una resistenza troppo "fastidiosa". In quest'opera di propaganda disfattista furono molto solerti ed efficaci i mafiosi asserviti allo straniero. E infatti, ben mille mafiosi furono elencati fra i 10.000 rinnegati che erano registrati nell'elenco segreto che completava l'art. 16 del trattato di pace. Quindi bisogna dedurne che la strategia del terrore, portata al massimo della tensione prima con bombardamenti e mitragliamenti feroci su città e campagne della Sicilia, sia continuata con le stragi documentate da Giovanni Bartolone, stragi che dovevano essere funzionali alla stessa strategia del terrore per ottenere una resa facile dei soldati italiani. È documentato che il generale Patton risulta in pieno responsabile di aver provocato le stragi di quei "sons of a bitch! " ( figli di puttana!) come egli, senza alcuno scrupolo morale, soleva tracotantemente e vilmente oltraggiare le Vittime, prima di farle trucidare.
    D'altra parte episodi simili di sprezzo per la vita dei prigionieri di guerra non sono affatto rari nella storia dei popoli anglosassoni; mi limiterò a ricordare gli ottocentomila prigionieri di guerra tedeschi lasciati morire di fame, di gelo e di stenti nei campi di concentramento americani in Europa, a guerra ormai finita, come documenta James Bacque in Other Losses, tradotto in italiano: Gli altri lager (Mursia, Milano,1994).
Francesco Fatica    isses@tele2.it 
 
   
Vito Bianchini Ciampoli MARO' GLI ULTIMI EROI 1944-45. Battaglione Lupo Xa Flottiglia MAS Presentazione di Nino Arena
Bologna: Lo Scarabeo 2005
Piero Baroni 8 SETTEMBRE 1943: IL TRADIMENTO!
Greco & Greco Editori 2005
Paolo Paoletti IL DELITTO GENTILE
Le Lettere, pagg.343, Euro 16,80. 2005.
Sulla base di documenti d’archivio e di fonti orali primarie – testimonianze di gappisti e partigiani, ricerche nelle nastroteche, negli archivi italiani e inglesi – Paolo Paoletti (già docente di lingua inglese e tedesca) ricostruisce, in questo recente saggio, importanti verità sull’uccisione di Giovanni Gentile, screditando le ricorrenti illazioni e i tanti luoghi comuni consolidati intorno alla vicenda in oltre sessant’anni di storia.  I risultati della ricerca condotta portano prove inedite che rivelano l’inconsistenza della pista fascista – basata su un solo e inaffidabile teste – e l’estraneità dei servizi segreti inglesi all’omicidio Gentile, per concludere che la scelta di assassinare il “filosofo della riconciliazione nazionale” venne presa a Firenze, con il ritorno in città del responsabile del PCI Giuseppe Rossi. Spariscono dal proscenio i grandi nomi, e appaiono figure “minori” rimaste finora in ombra, tra cui quelle di molti intellettuali del PCI fiorentino. L’unico mistero ancora irrisolto resta il “ricatto tedesco” di cui, poco prima della sua morte, fu probabilmente vittima il filosofo che, in cambio della liberazione del figlio Federico, detenuto con i militari italiani in Germania, fu costretto ad esporsi pericolosamente, mettendo a repentaglio la sua stessa vita. “Lo scopo del nostro lavoro – scrive l’Autore nell’Introduzione - è quello di fare chiarezza su un solo punto, ma fondamentale: chi furono i mandanti e gli esecutori materiali del delitto Gentile? La scoperta di documenti inediti e di nuove testimonianze ci ha permesso di sgombrare il campo da tanti equivoci e da numerose strumentalizzazioni di questi sessantuno anni. Per una più agevole lettura abbiamo anche confutato i più frequenti luoghi comuni e mistificazioni”. “Fin dall’aprile 1944 – aggiunge l’Autore -, il segretario del PCI, Palmiro Togliatti, aveva rivendicato su «L’Unità» «l’esecuzione» di Gentile. Non si poteva dubitare sull’attendibilità delle rivendicazioni e sull’assunzione di responsabilità politica: ma fu lui il “mandante morale” o addirittura il “mandante materiale”? In questi sessantuno anni ci si è arrovellati su chi abbia dato l’ordine, ma questa diatriba senza ricerche delle fonti non ha fatto altro che aggiungere dubbi ai sospetti. Per decenni si è parlato di ispirazione o suggerimento da parte della frangia estremista dell’apparato di polizia repubblicano, perché questo aveva un movente: eliminare il simbolo del fascismo moderato, il massimo rappresentante della linea della «concordia nazionale», dell’anima conciliatrice, e quindi disfattista, del regime. Ma basta un buon movente per dire che i fascisti estremisti furono i mandanti o gli esecutori di Gentile? Quando gli accusatori dei fascisti sono rimasti a corto di argomenti, il loro ultimo epigono, Luciano Canfora, scriveva nel 2000 che «i brigatisti neri erano al corrente dell’attentato», violentando la storia (le Brigate Nere nacquero alcuni mesi dopo) e la logica (da chi sarebbero stati informati? Da una spia?). Altri studiosi hanno affermato e, ancor oggi, continuano a sostenere che l’ordine venne dai servizi segreti inglesi o più genericamente dal Comando alleato. Si è persino cercato di conciliare le due ipotesi alternative, cioè la “pista” inglese e quella fascista, affermando che l’esecuzione di Gentile fu il frutto della non casuale convergenza di interessi fra tutti coloro che – Alleati, comunisti, massoni e fascisti pavoliniani –, in un modo o nell’altro, avevano un motivo per eliminare il filosofo”. 
  
 
Andrea Lombardi DALLE ALPI A HEUBERG
effepi edizioni, 2005, 180 pag., fto 17x24, Euro 20,00 
Questo libro comprende le foto, tutte inedite, scattate da Carlo Crudo tra il 1943 e il 1945. Carlo Crudo militò nel REI, e, dopo l’Armistizio, si arruolò nella GNR di Aosta, quindi nel Battaglione "Moschettieri delle Alpi", infine nella 1a Compagnia Operativa di Propaganda dell’Esercito Nazionale Repubblicano.
Le fotografie riprodotte sono di enorme importanza storico-uniformologica, ritraendo Reparti raramente fotografati, quali il "Moschettieri delle Alpi", le SS italiane e il "Leonessa", ritratti durante lo svolgersi di operazioni di controguerriglia in Val d’Aosta e nel Canavese nel 1944.
Inoltre, Crudo, quale effettivo della Compagnia Operativa di Propaganda, fu inviato al Campo di Addestramento di Heuberg, dove poté seguire e fotografare l’addestramento con le moderne armi tedesche della Divisione "Italia", e i momenti di svago dei soldati della RSI in Germania.
Molte foto sono a tutta pagina, e i dettagli di uniformi e fregi sono ulteriormente ingranditi.
 Il libro comprende una scheda biografica di Carlo Crudo e schede delle unità della RSI fotografate, e più di 200 tra foto e documenti.
 
Il testo riporta le foto inedite, scattate da Carlo Crudo tra il 1943 e il 1945. Crudo militò nel Regio Esercito e dopo l'armistizio si arruolò nella GNR di Aosta, quindi nel Battaglione "Moschettieri delle Alpi" e infine nella prima Compagnia Propaganda dell'Esercito Repubblicano. Le immaginio riportate sono molto importanti in quanto riprendono reparti raramente fotografati quali i "Moschettieri delle Alpi", le SS italiane, il "Leonessa", ritratti durante lo svolgimento delle operazioni di controguerriglia in Val D'Aosta e nel canavese nel 1944. Inoltre in quanto effettivo della Compagnia Propaganda, fù inviato al campo di addestramento di Heuberg dove potè seguire l'addestramento della Divisione "Italia". Interamente illustrato con più di 200 foto e documenti. 
Andrea Lombardi IL COMANDANTE BARDELLI
edizioni effepi, 2005, 142 pag., fto 17x24, Euro 18,00 
Questa è la prima biografia della M.O.V.M. Umberto Bardelli (Livorno 1908 - Ozegna 1944), Ufficiale del Genio Navale, creatore e Comandante del Battaglione Barbarigo della Decima Flottiglia MAS. La ricostruzione della carriera militare del Comandante Bardelli è esaminata nel dettaglio sin dagli esordi nella Regia Marina, che lo videro protagonista nell’allestimento e nelle crociere di numerosi Sommergibili nel 1930-1940 e quindi ai suoi imbarchi in guerra come Direttore di Macchina, per i quali fu insignito di due Medaglie di Bronzo al Valor Militare e di una Croce di Guerra al Valor Militare. La seconda parte della biografia copre le sue attività dopo l’otto settembre 1943, dalle sue missioni a Trieste e Pola all’arruolamento nella Decima Flottiglia MAS, il suo essenziale ruolo nella formazione del Battaglione Maestrale, poi Barbarigo, il Comando del Battaglione ad Anzio/Nettuno, l’organizzazione del 1° Reggimento F.M. San Marco della Decima MAS, sino alla sua tragica fine ad Ozegna. 
Il libro è basato sulla consultazione di documenti d’archivio inediti, come lo stato di servizio del Maggiore G.N. Bardelli, di fonti contemporanee, come il raro volumetto "Il Comandante Bardelli", edito nel luglio 1944, entrambi riprodotti interamente in appendice, e testimonianze dei famigliari del Comandante Bardelli e di veterani della X MAS. Sono inoltre incluse foto inedite di Umberto Bardelli quale Ufficiale del G.N. nella Regia Marina e disegni di Claudio Cherini e del Tenente G.N. Attilio Giuliani.
Paxton, Robert O. IL FASCISMO IN AZIONE Che cosa hanno veramente fatto i movimenti fascisti per affermarsi in Europa - Traduzione di Alessio Catania
Mondadori - Collana: Le Scie. Pagine 328 - Formato 15x22,3 - Anno 2005 - ISBN 8804543736
Note di Copertina
"Con questo magistrale esempio di storia comparativa, che scandaglia una letteratura sterminata con grande perizia e acume analitico, Robert Paxton sfiora l'impossibile: portare una ventata di aria fresca dov'era stagnante e gettare fasci di luce su una materia tanto discussa da divenire oscura."
Che cosa è il fascismo? È una filosofia, un movimento politico, uno stile di vita? Qual è il modo migliore di definirlo e comprenderlo? Come e perché una nazione diventa fascista? Il fascismo è stato, nel ventesimo secolo, la più importante forma di innovazione politica e, insieme, la fonte delle peggiori tragedie. Secondo Robert Paxton, uno dei più autorevoli storici americani, è impossibile comprendere il fascismo limitandosi a definirlo in termini astratti: occorre osservarlo in azione, nelle sue manifestazioni concrete piuttosto che nelle affermazioni teoriche. Con verve narrativa e rigore analitico, Paxton affronta il principale, e finora irrisolto, problema di interpretazione: perché il fascismo ha attecchito e si è affermato con ampio seguito soltanto in Italia e in Germania, mentre in altri paesi è restato uno dei tanti movimenti che confusamente si scontrarono fra loro nella prima metà del Novecento? Paxton libera il campo dai molti luoghi comuni e dalle falsità che sul fascismo si sono accumulate negli anni: studia l'humus sociale e politico su cui si è sviluppato, tratteggia memorabili ritratti dei principali protagonisti, ripercorre ex novo complesse vicende locali. Soprattutto racconta, come mai era stato fatto prima, le diverse modalità in cui si è manifestato nei vari paesi: oltre all'Italia e alla Germania, la Francia, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, l'Est europeo, l'America latina. Il fascismo in azione, un libro che raccoglie i risultati di quarant'anni di riflessione, è destinato a restare un punto di riferimento fondamentale per chiunque si occupi di storia del Novecento.
Indice - Sommario Prefazione I. Introduzione II. Nascita dei movimenti fascisti III. Radicamento IV. Ascesa al potere V. Esercisio del potere VI. L'ultima deriva: radicalizzazione o entropia? VII. Altri tempi, altri luoghi VIII. Che cos'è il fascismo? Note Saggio bibliografico Indice dei nomi 
 
 
 
Ciabattini Pietro IL DUCE IL RE E IL LORO 25 LUGLIO
Lo Scarabeo 2005
Caputo Vincenzo, Avanzi Giuliana LE LEGGI PER LE FORZE ARMATE DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA. Settembre 1943-Aprile 1945 
Settimo Sigillo 2005 
Serri Mirella I REDENTI GLI INTELLETTUALI CHE VISSERO DUE VOLTE. 1938 - 1948
Corbaccio 2005 F   BRV 
 
 
 
 
Borghese Jumio Valerio DECIMA FLOTTIGLIA MAS Dalle origini all'armistizio
Parma : E. Albertelli, 2005
Decima Flottiglia Mas fu, dal marzo 1941, la denominazione convenzionale del reparto della Marina italiana incaricato della preparazione e dell’impiego dei mezzi d’assalto navali durante la seconda guerra mondiale. Questo volume ne traccia la storia dalle origini, nel 1935, sino all’armistizio dell’8 settembre 1943 ed il suo autore è il comandante Junio Valerio Borghese, che per buona parte del conflitto ne ebbe la responsabilità. Redatta sul finire degli anni Quaranta, quest’opera venne pubblicata per la prima volta in Italia nel 1950 incontrando un notevole successo di critica e di diffusione; fu poi tradotta e distribuita in Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Germania, Unione Sovietica, Spagna e Israele; ancora recentemente è stata ristampata in Russia. Assente dagli scaffali delle librerie italiane ormai da più di quarant’anni, riproponiamo questa ristampa, dedicata alle nuove generazioni e a tutti coloro che, spesso senza successo, non hanno mai smesso di cercarne copie sul mercato antiquario a prezzi non sempre abbordabili. La personalità dell’autore - che iniziò la sua attività nell’ambito dei mezzi d’assalto quale comandante del sommergibile Sciré, con cui violò i porti di Gibilterra e di Alessandria d’Egitto trasportandovi i leggendari “maiali” – unitamente al rigore con il quale ha tracciato le vicende relative alla nascita e all’evoluzione di questa specialità tutta italiana, fanno di Decima Flottiglia Mas un’opera storica fondamentale, che ha costituito la insostituibile traccia per tutti gli studi e i saggi redatti in epoca successiva. Con una prosa semplice ed essenziale, il comandante Borghese accompagna il lettore attraverso il maturare delle geniali intuizioni che portarono soprattutto alla realizzazione dei prototipi dei “barchini esplosivi” e delle torpedini semoventi - i “siluri a lenta corsa” o “maiali” – e alla creazione dei nuotatori d’assalto – gli uomini “gamma” - per arrivare, attraverso tentativi infruttuosi e momentanee delusioni, sino al loro efficace impiego bellico e infine al pieno successo. 
FERRARA 1943-1945 MARTIROLOGIO
Ultima Crociata Editrice 2005 
Corrado Liberati UN ITALIANO DI ROMA
 2005. Tipografia Cappelli. In proprio 
 
 
 
 
Giuliano Fiorani (a cura di) ROVETTA 28 APRILE 1945
160 pagine - varie fotografie - volume brossurato 17x24 Euro 19,00 Documenti, Commenti, Interrogativi su un fatto altamente drammatico e controverso  Grafica MA.RO. Editrice 2005
Una strage. A Rovetta di Valle Seriana, un piccolo paese della bergamasca, il 26 Aprile 1945, un gruppo di giovani militi della 4a, 5a, 6a Compagnia della Tagliamento, già ricoverati all’infermeria del battaglione e, rimasti isolati dal resto della legione che operava sul Mortirolo, dopo aver avuto dai capi del C.L.N.di Rovetta, tutte le garanzie di prigionieri di guerra, in buona fede, deposero le armi. Per loro ormai la guerra era finita; si arresero ai partigiani che, loro dovere era di consegnarli all’esercito regolare o alle autorità. Invece, dopo due giorni di maltrattamenti e di sevizie, il 28 Aprile, vennero prelevati da partigiani giunti da fuori e portati al vicino cimitero. Poi a gruppi di cinque, furono massacrati a ridosso del muretto del cimitero di Rovetta. Tre di questi ragazzi vennero risparmiati per la loro giovane età; uno miracolosamente riuscì a fuggire, ma quarantatre militi dai 15 ai 22 anni, vennero assassinati senza pietà, senza una parvenza di processo.
 
 Fiorentin Graziella, CHI HA PAURA DELL'UOMO NERO? IL ROMANZO DELL'ESODO ISTRIANO 
2005 - Mursia - Testimonianze fra cronaca e storia (1939-1945: Seconda Guerra Mondiale). 286 pp. - brossura.
Durante la Seconda guerra mondiale una crudele pulizia etnica costrinse trecentomila italiani a lasciare l'Istria e a rifugiarsi in patria. Settantamila erano bambini. Tra questi anche Maddalena (pseudonimo dell'Autrice), che, all'età di otto anni, dovette abbandonare per sempre la sua terra, il suo mare e il suo mondo di sogni, colori e profumi. Per molto tempo racchiuse in sé il loro ricordo e, dopo vent'anni, decise di ritornare con la propria famiglia in quei luoghi e a quegli anni per raccontare la sua storia e quella di tante altre piccole creature che, come lei, sono state strappate dalla loro infanzia e dalle loro radici. Un viaggio struggente tra le emozioni e la memoria di chi ha subito sulla propria pelle gli orrori e le assurdità di una delle vicende più controverse della nostra storia.
 
 
 
 
 

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