L'organizzazione della R.S.I. in Provincia di Genova (*)

(*) I testi qui riportati sono tratti dal libro "I Caduti della R.S.I. - Genova - Volume I", scritto e edito dall'Associazione Amici di Fra' Ginepro.


    Per meglio comprendere e far comprendere alle giovani generazioni quale fosse il clima politico, militare e sociale nel quale si svolsero i drammi che rievocheremo in queste pagine, cercheremo di mettere a fuoco, seppure molto sinteticamente, la situazione della provincia di Genova durante la guerra civile.
    All'armistizio dell'8/9/1943 Genova era presidiata dal XV Corpo d'Armata che nella nostra città aveva il suo comando, retto dal generale Emilio Bancale. Il XV Corpo d'Armata comprendeva la 201° Divisione Costiera, schierata su ben 300km di costa da Punta del Mesco (SP) a Tolone; elementi della Guardia alla Frontiera; truppe e servizi di corpo d'armata.
A Genova, poi, si trovavano il Comando Difesa del porto e il Comando Marina, ambedue retti dall'ammiraglio di divisione
Carlo Pinna. Era inoltre presente l'organizzazione della difesa antiaerea e il comando della II Zona della M.V.S.N. retto dal generale Italo Romegialli.
    Nelle prime ore del 9 settembre 1943 la reazione tedesca neutralizzava con rapidità tutto il dispositivo italiano. Unica resistenza di un certo rilievo fu quella dei militari del Deposito dell'89° Reggimento Fanteria a Cremeno, presso l'attuale caserma della Polizia di Stato. Nello scontro caddero un ufficiale e 10 fanti. La mattina stessa del 9 settembre molti fascisti e militi della M.V.S.N., congedati o assegnati a reparti del Regio Esercito dopo la caduta del regime fascista il 25/7/1943, indossata nuovamente la camicia nera, si presentavano a comandi tedeschi e rimettevano in funzione i comandi della Milizia.
Era la testimonianza immediata che vi erano fascisti che rifiutavano la resa senza condizioni al nemico e rimanevano fedeli a Mussolini. A loro presto si sarebbero aggiunti altri, non pochi dei quali fascisti non lo erano mai stati o che, addirittura, avevano nutrito sentimenti antifascisti, i quali, però, sentivano la resa senza condizioni al nemico come una gravissima offesa all'onore nazionale. Nello stesso giorno i rappresentanti dei partiti antifascisti (DC, PCI, PSI, PLI, Partito d'azione) costituivano il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria.
    Mussolini, liberato il 12 settembre 1943 da militari tedeschi, il 15 settembre alla sera faceva leggere alla radio i "cinque punti" dai quali ebbe origine l'esperienza umana, politica, militare della Repubblica Sociale Italiana.
    Questa dichiarazione affermava:
    "Ai fedeli camerati di tutta Italia:

1) Da oggi 15 settembre 1943 assumo di nuovo la suprema direzione del fascismo in Italia

2) Nomino Alessandro Pavolini alla carica provvisoria di segretario del Partito nazionale fascista, che da oggi si chiamerà Partito fascista repubblicano

3) Ordino che tutte le autorità militari, politiche, amministrative e scolastiche che vennero esonerate dalle loro funzioni da parte del governo della capitolazione, riprendano immediatamente i loro posti e i loro uffici

4) Ordino l'immediato ripristino di tutte le istituzioni del partito con i seguenti compiti:
    a) appoggiare efficacemente e cameratescamente l'esercito germanico che si batte nel territorio nazionale contro il comune nemico
    b) dare al popolo la immediata effettiva assistenza morale e materiale
    c) riesaminare la posizione dei membri del partito, in rapporto al loro contegno di fronte al colpo di Stato della capitolazione e del disonore, punendo esemplarmente i vili traditori

5) Ordino la ricostituzione di tutti i reparti e delle formazioni speciali della Milizia volontaria per la sicurezza dello Stato"

    Il giorno seguente veniva aggiunto un sesto punto: "Incarico il luogotenente generale Renato Ricci al comando in campo della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale". Il 19 settembre, era una domenica, si costituì il Fascio Repubblicano di Genova. Tale organizzazione politica raggiunse in poche settimane 20.000 iscritti: anziani squadristi e giovanissimi ragazzi della G.I.L., combattenti, cittadini di tutte le classi sociali, non poche donne, che dettero sempre prova di grande coraggio.
Si può ironizzare, e lo hanno fatto fascisti e antifascisti, sull'elefantiasi del P.N.F. e sullo scarno P.F.R., ma non bisogna dimenticare i durissimi colpi morali e materiali inferti al corpo della Nazione, naturale serbatoio dei militanti. Sembra invece molto importante per valutare questo numero di iscritti genovesi, tenere ben presente due fatti:

1) in quelle settimane a Genova circolava insistente la voce di imminenti sbarchi angloamericani, ciò non influì sulla volontà di ventimila genovesi di andarsi a iscrivere nei ruolini della parte perdente
2) lo schieramento antifascista, attivatosi sin dal 25/7/1943, comprendente diversi partiti, appoggiato dagli alleati e dal governo del Sud, favorito dalla drammatica sconfitta italiana, rimpolpato dai detenuti politici liberati dal governo Badoglio e dai militari stranieri prigionieri fuggiti all'armistizio, contava in quei giorni alcune decine di aderenti, pochi dei quali veramente attivi, molti di nazionalità straniera

    Dopo un primo periodo nel quale le massime autorità politiche, amministrative e militari rimasero quelle nominate dal governo regio, subentrarono elementi nominati dal nuovo governo. Ricordiamo l'alto commissario governativo per la Liguria Luigi Sangermano, il capo provincia (prefetto) Carlo Emanuele Basile, i questori Arturo Bigoni e Ugo Della Monica, i commissari prefettizi al comune di Genova Silvio Parodi, Antonio Canevaro, Giulio Segoni. Questi uomini, che spesso pagarono con la vita il servizio alla comunità genovese e allo Stato, operarono con onestà, tenacia e senso del dovere a risolvere i gravissimi problemi della popolazione demoralizzata dagli avvenimenti, affamata per la scarsa produzione agricola e la difficoltà degli approvvigionamenti, tormentata dai bombardamenti aerei che raggiunsero a Genova il loro apice nel 1944, afflitta dalle disfunzioni di tutti i servizi, in particolare di quello dei trasporti, importantissimi data l'alta percentuale di sfollati nell'entroterra.
    Bisogna tener presente inoltre l'avvicinarsi del fronte da sud e da occidente, con gli sbarchi alleati nella Provenza, che stringevano tra due fuochi la Liguria.
In questa drammatica situazione s'inserirono con abilità pari alla totale mancanza di scrupoli i terroristi e gli agitatori comunisti compiendo omicidi, sabotaggi e sobillando scioperi nelle grandi fabbriche del Ponente e nei mezzi di trasporto.
Risultò delicatissima l'opera del capo provincia che doveva tener conto delle necessità belliche, delle pretese dell'autorità tedesca, della situazione dell'ordine pubblico, della estrema attenzione da esercitare nell'attività repressiva degli scioperi, poiché se il numero di lavoratori che scioperavano era talvolta alto bisognava tener conto delle condizioni di obbiettivo disagio economico degli operai e delle forti pressioni degli agitatori comunisti, pronti a qualificare come "spia" chi si rifiutava di abbandonare il posto di lavoro. Erano inoltre comunissime le minacce agli appartenenti alle commissioni interne che ottennero miglioramenti salariali e normativi, ma che proprio per questo contribuivano a smorzare il malcontento che i comunisti ritenevano indispensabile per fomentare agitazioni illegali.
    Questa ostilità verso i rappresentanti ufficiali e legali dei lavoratori la ritroveremo nelle brigate rosse degli anni 70/80 con il consueto corollario di minacce, violenze, omicidi.
    Inoltre ogni trattativa con le autorità della R.S.I. era un implicito loro riconoscimento, che i comunisti volevano evitare per acuire al massimo la guerra civile. Gli scioperi e le agitazioni erano anche occasioni per infiltrarsi e fare proselitismo tra la massa operaia che, nella grande maggioranza, pur diffidando delle autorità repubblicane, non era stata certamente conquistata dalla dottrina marxista. Gli scioperi, inoltre, causavano le reazioni dell'apparato statale e delle autorità tedesche, provocando risentimenti e odio, utilissimi ai piani dei comunisti che operavano all'interno delle fabbriche organizzate nelle "squadre di difesa operaia" e nei "comitati di liberazione".
    L'opera del dottor Basile valse spesso a far fallire in tutto o in parte gli scioperi come talvolta ammette, dispiaciuta, la storiografia resistenziale. E la stessa storiografia ricorda che "Basile esprimeva con insistenza ai tedeschi la preoccupazione che i deboli aumenti salariali fossero costantemente vanificati e sopravvanzati dall'ascesa incontrollabile del costo della vita". Il capo provincia esercitò inoltre sempre forti pressioni sui massimi dirigenti industriali per evitare licenziamenti di manodopera e ordinò agli organi competenti di tollerare il commercio illegale di generi alimentari acquistati oltre i Giovi dai genovesi, per alleggerire la situazione alimentare delle famiglie.
    Genova infatti, stretta tra i monti e il mare, dipendeva, per l'alimentazione, quasi completamente dalle regioni padane confinanti. Per questo le autorità genovesi presero contatto con i responsabili amministrativi e politici di quelle province per acquistare i necessari rifornimenti per la nostra città.
    A questo scopo però, era necessario essere autorizzati dalle autorità tedesche, trovare i rarissimi mezzi di trasporto, assicurare ad ogni carico la scorta armata.
    Diversi militari persero la vita in imboscate partigiane per difendere i viveri destinati alla popolazione genovese. Il Comune istituì anche una serie di mense popolari, alle quali si poteva consumare un pasto frugale a prezzo modicissimo: 2 lire più il tagliando della razione pasta per una minestra; 12 lire per un pasto completo escluso vino e frutta, sempre consegnando i tagliandi della razione personale. La lira del tempo corrispondeva a 80 lire circa del 1991.
    Altro grave impegno della prefettura e del comune fu l'assistenza alle persone che avevano perso l'abitazione sotto i bombardamenti che furono molto pesanti nel 1944 con 51 incursioni, 400 allarmi, 4272 fabbricati colpiti, dei quali 2674 distrutti o comunque inabitabili.
    L'ordine pubblico sino a tutto maggio 1944 si mantenne abbastanza buono, considerate le circostanze veramente eccezionali. Si ebbero a Genova agitazioni, sabotaggi, scioperi ma le vittime fasciste della guerra civile furono molto poche.
    Per quanto risulta, caddero in quei mesi a Genova sette fascisti, tra civili e militari e due appartenenti alla polizia repubblicana. Inoltre morirono sotto i colpi dei gappisti due ufficiali e un militarizzato tedesco. Ci fu poi a maggio il gravissimo attentato al cinema Odeon che provocò la morte di sei militari tedeschi e scatenò la rappresaglia eseguita al Passo del Turchino con 59 fucilati.
    Nell'entroterra ci fu il massacro di otto avvistatori a gennaio; l'attacco con raffiche di armi automatiche ad una macchina della G.N.R. Stradale ad aprile, che provocò tre morti; diversi attacchi ai posti di avvistamento che causarono un'altra vittima a maggio. Ma la situazione ebbe deciso peggioramento a giugno, con la caduta di Roma e la ripresa dell'avanzata alleata verso il Nord.
    Si ebbe una recrudescenza del terrorismo in città e un aumento delle bande partigiane nell'entroterra. A questo stato di cose si tentò di porre rimedio con una intensa azione di polizia investigativa da parte della Questura repubblicana, dell'Ufficio Politico Investigativo della G.N.R. e del Comando Polizia SS; la ristrutturazione dell'organizzazione territoriale della G.N.R.; l'impiego di tutti i militari nei servizi di ordine pubblico, mentre i fascisti repubblicani si inquadravano nella 31° Brigata Nera "Silvio Parodi", che era operativa ai primi di agosto 1944.
    A fine luglio 1944 giungevano nella nostra Regione le divisioni "MONTEROSA", alpina, e la "S. MARCO" di fanteria di marina, ambedue addestrate in Germania erano dotate di buon armamento e equipaggiamento.
Furono dislocate nella Riviera di Levante la "MONTEROSA" e in quella di Ponente la "S. MARCO" in funzione antisbarco, ma fatalmente furono coinvolte nella guerra partigiana, alla quale risposero con prontezza ed efficacia, pur con l'amarezza di chi si era preparato seriamente e duramente alla "guerra grossa" e si ritrovava invischiato in una guerriglia tanto pericolosa quanto snervante.
Le unità militari repubblicane dislocate nel territorio della provincia di Genova dipendevano in parte del 9° Comando Militare Provinciale, in parte da altri comandi tedeschi e italiani e comprendevano: un forte raggruppamento della divisione "MONTEROSA", alcune compagnie e batterie della "S. MARCO", due battaglioni bersaglieri, due gruppi d'artiglieria costiera, i reparti del 625° Comando Provinciale G.N.R. e le G.N.R. speciali, la Brigata Nera, il Distretto Militare, reparti del genio, lavoratori militarizzati, sanità, servizi vari.
La Marina contava sul battaglione "Risoluti" della X MAS, il Reparto Antisom, la Capitaneria di Porto, e gli equipaggi di numerose unità leggere dislocate in porto.
    Il coordinamento di questa organizzazione era affidato al Comando Servizi Marina Genova, poi Comando Operativo Marina di Genova. Inoltre centinaia di marinai italiani prestavano servizio nelle batterie da costa tedesche, soprattutto in quelle da 381mm di Monte Moro. Avieri italiani erano presenti nella batterie antiaeree tedesche. Vi era poi la Questura con 5000 poliziotti e la Guardia di Finanza. Su quest'ultima però, come sui Carabinieri e sugli Agenti di custodia le autorità della R.S.I. potevano fare ben poco conto poiché si trattava di personale di carriera molto devoto alla Monarchia e poco propenso a impegnarsi per tutelare la R.S.I. anche per gli eventuali riflessi negativi sul proprio impiego nel dopoguerra.
Nonostante questo e nonostante la disastrosa situazione militare e le minacce sotto forma di lettere, scritte murali, volantini, articoli sui giornali partigiani, questo schieramento militare tenne sino alla fine, con disciplina che si può definire più che buona date le eccezionali circostanze.
    Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1945 i reparti della Brigata Nera, il 625° Comando Provinciale G.N.R., il 5° Nucleo della G.N.R. Postelegrafonica, e altri reparti della G.N.R., si ritirarono in autocarro verso il Piemonte, per tentare di raggiungere poi la Valtellina come da ordini superiori. La "S. MARCO" si ritirava verso Alessandria e i reparti della "MONTEROSA" abbandonavano la Riviera di Levante dirigendosi su Genova, tallonati dai soldati americani con i quali impegnavano alcuni piccoli ma vivaci combattimenti. Questa colonna, della quale faceva parte anche un battaglione della "S. MARCO" si arrenderà agli americani il pomeriggio del 27/4/1945.
    La mattina del 24 aprile si accesero numerosi scontri a fuoco a Genova, dove elementi partigiani resisi conto del ripiegamento di gran parte dei presidi territoriali attaccavano in maniera più o meno decisa i militari italiani e tedeschi ancora presenti, impadronendosi di Questura e Prefettura, abbandonate dal personale. Tenace resistenza opposero i presidi tedeschi e i marinai della X MAS, asserragliati nel porto, che operarono diverse sortite respingendo le bande di sapisti che li assediavano, ma rientrando poi in porto per eventualmente respingere ogni tentativo tedesco di sabotaggio dei già gravemente colpiti impianti portuali. Un certo tenente Pisano, di reparto imprecisato, a capo di alcune centinaia di militari occupò la sede de "Il Secolo XIX" in Piazza De Ferrari e fece uscire "Il Secolo Nuovo" nel quale si annunciava un ordinato passaggio di poteri affidando Prefettura e Questura a funzionari di carriera e mantenendo in servizio il personale che aveva operato sino allora.
    Tale iniziativa indubbiamente sconcertò per qualche ora il fronte antifascista, che per le proprie mire politiche temeva l'eventualità di un ordinato passaggio di poteri, che pure avrebbe risparmiata la vita a centinaia di militari italiani e tedeschi, di partigiani, di civili. I combattimenti continuarono in modo sporadico per tutta la giornata cessando quasi completamente alla sera.
    Intanto si svolgevano frenetiche trattative tra il maggior generale Gunther Meinhold, comandante di tutte le forze tedesche e italiane gravitanti su Genova, e i rappresentanti del C.L.N. Liguria e della Curia Arcivescovile.
    Queste trattative andarono avanti per gran parte del 25 aprile, mentre la lotta si era riaccesa in città, e culminarono, dopo varie vicissitudini, nella resa incondizionata del generale tedesco, che, pur disponendo ancora di robuste ed efficienti forze, ritenne di aderire alle richieste di resa dei suoi interlocutori per evitare un ulteriore spargimento di sangue. Gli accordi stabilivano che la resa sarebbe avvenuta il 26 aprile alle ore 9, ma già dal 24 aprile a molti reparti tedeschi era stato ordinato di sospendere le operazioni di guerra. La resa però non fu accettata da diversi reparti e da un gruppo di ufficiali della marina tedesca, che condannarono a morte il generale Meinhold e continuarono a mantenere le posizioni loro affidate.
La X MAS, sempre a presidio del porto, apprese per radio dell'ordine di resa e cedette le armi alle ore 17 del 26 aprile con l'onore delle armi da parte dei partigiani. Dopo altri scontri e ulteriori trattative tutti i presidi italo-tedeschi si arresero il 27 aprile, e il giorno seguente alle 15 cedette le armi anche il presidio di Monte Moro.
    In tutti i quartieri, delegazioni o località dove le truppe si erano ritirate o arrese, si assistette ad una esplosione di violenza, sopraffazione, illegalità e criminalità che non ha riscontro in tutta la lunga storia della nostra Patria.
L'odio politico si fondeva col rancore personale e la sete di rapina, e a queste delinquenziali passioni si sommava la convinzione che sarebbe bastato ancora uno sforzo, sotto forma di sanguinosa epurazione, perché anche in Italia, anche a Genova, il comunismo trionfasse. Omicidi, ferimenti, percosse, rapine, minacce, devastazioni, saccheggi, furti si susseguirono in tutta la provincia, e mentre nelle Riviere e nell'entroterra ebbero carattere piuttosto limitato, nelle delegazioni dominate dalle bande comuniste si ebbero vere e proprie stragi di inermi cittadini.
A Sampierdarena, Rivarolo, Bolzaneto, Cornigliano, Sestri Ponente, Voltri, Pegli, Borzoli caddero centinaia di persone alle quali, nella stragrande maggioranza, non poteva essere addebitato alcunché, se non quello di rappresentare un ostacolo alla comunistizzazione dell'Italia. Molti omicidi avvennero anche a Genova-Centro, Staglieno, Quezzi, Molassana. Furono assassinati operai e industriali, commercianti e casalinghe, preti e contadini, professionisti e artigiani, militari e poliziotti, anziani fascisti e giovani delle organizzazioni giovanili del P.F.R. in un turbine di odio vilmente aizzato dalle nuove autorità e, in parte, tollerato dalle truppe alleate, nonostante la viva apprensione della stragrande maggioranza dei cittadini che ogni mattina sui giornali locali, per circa quaranta giorni, lessero i nomi dei loro concittadini trucidati e abbandonati nelle vie della città o frettolosamente sepolti nelle fosse comuni, non tutte scoperte.
    Pochi degli autori dei reati di quei giorni furono puniti, alcuni fuggirono in Cecoslovacchia con l'aiuto del P.C.I., altri furotno eliminati dai loro complici o mandanti perché diventati pericolosi per le troppe tragiche vicende che conoscevano.
    Nascevano in quei giorni due delle caratteristiche peggiori del nuovo regime: la tolleranza per chi commette reati "per il partito" e la lottizzazione, con la creazione in ogni azienda, società ed ente pubblico dei comitati di liberazione nazionale dove ogni partito antifascista era rappresentato. Se poi di qualche partito mancava il rappresentante provvedevano i comunisti a mettere uno dei loro a fare il "democristiano" o il "liberale", tanto tenevano a questi organismi, consapevoli, come infatti è avvenuto, che grazie a questo sistema avrebbero ottenuto potere, gestione di risorse economiche, possibilità di infiltrazione anche nei settori più delicati dello Stato, come dimostra, tra l'altro la massiccia presenza di magistrati comunisti, autorevolmente ma tardivamente e inutilmente denunciata in questi ultimi tempi.
    Dopo quasi mezzo secolo gli Italiani possono giudicare i risultati morali ottenuti dalla classe politica che si vanta di essere stata protagonista del "secondo Risorgimento" e che per questo mito ha rinunciato a render giustizia a decine di migliaia di assassinati.