LE COSTITUZIONI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA



ASSEMBLEA COSTITUENTE
da LE COSTITUZIONI DELLA R.S.I. VITTORIO ROLANDI RICCI IL "SOCRATE" DI MUSSOLINI di Franco Franchi. Settimo Sigillo, 1997.
 
 
    1 - R.S.I.: fervore intellettuale per uno Stato nuovo
    La Repubblica Sociale Italiana non è soltanto un fatto militare. Migliaia e migliaia di giovani, qualche milione di persone, scelsero questa via - si afferma - per l'onore d'Italia o per l'ideale della socializzazione. Ed è vero; ma c'era anche ,un terzo motivo, il meno espresso, forse il più radicato: la voglia di cambiare le cose, la ripresa della rivoluzione interrotta. Quindi il bisogno di creare uno Stato nuovo fondato sulla libertà e sul consenso popolare, con una audace caratterizzazione sociale capace di trasformare in più avanzati traguardi le conquiste basilari del ventennio.
    Lo spirito di Dalmine torna a dominare sul tornacontismo dell’alta borghesia capitalistica in tresca col nemico.
    Nascono canzoni nuove: fiere e malinconiche; cantano la guerra. il sacrificio. la bella morte per un’Italia più pura e più giusta; cantano l'amore, la rabbia contro il tradimento, la voglia di vivere per costruire. La cultura annovera personaggi come Giovanni Gentile e Pericle Ducati - entrambi assassinati nei primi mesi del '44 - e Ardengo Soffici. Una sapiente politica di pacificazione degli animi - che ben presto si dimostrerà impraticabile - lascia alla guida delle Università anche notissimi antifascisti come, a Padova, Concetto Marchesi. Ai più eminenti giornalisti e scrittori vengono affidate - dal primo Consiglio dei ministri dello Stato repubblicano, riunito il 27 settembre 1943 alla Rocca delle Camminate - le più qualificate testate: ad Ermanno Amicudi il «Corriere della Sera»; a Giorgio Pini il «Resto del Carlino»; a mirko Giobbe «La Nazione»; ad Ather Capelli la «Gazzetta del Popolo»; ad Umberto Guglielmotti il «Giornale d'Italia»; a Bruno Spampanato «Il Messaggero». Successivamente: a Ezio Maria Gray, condirettore, la «Gazzetta del Popolo»; a Concetto Pettinato «La Stampa»; a Guido Baroni «Il Gazzettino»; a Giuseppe Castelletti «L'Arena» di Verona; ad Ernesto Daquanno il «Lavoro» di Genova; a Ugo Manunta «La Sera» di Milano; a Carlo Borsani il nuovo quotidiano milanese «Repubblica Fascista» che - dopo qualche mese - sarà assunto da Enzo Pezzato, altro giovane mutilato di guerra.
    Giovani e vecchi, costituzionalisti e uomini politici, giornalisti e studiosi, cominciano - per disposizione di Mussolini - a preparare memorie e progetti di Costituzione per il nuovo Stato.
    Quanti ne furono scritti? Molti, tra ufficiali, semi-ufficiali e spontanei. Purtroppo è difficile ritrovarli ammesso che siano sopravvissuti alle distruzioni ed ai saccheggi - e c'è sempre da sperare che chi ne ha notizia si decida a fornire ìndicazioni e chi li possiede, a tirarli fuori. Ermanno Amicucci (I 600 giorni di Mussolini, tre edizioni da marzo a giugno 1948) parla - tra l'altro - di progetti presentati da «commissioni giuridiche e politiche», di cui però non si è trovata traccia; ma c'è da credergli: prima di tutto perché non ha motivo di affermare il falso in un libro fondamentale che è una precisa ricostruzione degli eventi di quel periodo; in secondo luogo perché Amicuccí scrive nell'immediato dopoguerra e quindi a ridosso degli avvenimenti; in terzo luogo perché Amicucci, alla direzione del più importante quotidiano italiano, «Il Corriere della Sera», dal 3 ottobre 1943 sino a fine aprile 1945, cioè per tutto il periodo della R.S.I., si trova nell'osservatorio più alto e qualificato, punto di riferimento di notizie e di documenti.
    Ma c'è un'altra fondamentale testimonianza, quella di Bruno Spampanato che nel suo L'ultimo Mussolini (Contromemoriale) afferma che Mussolini «aveva sentito molti. Aveva chiamato un giurista, Rolandi Ricci. Aveva ricevuto spesso anche Biggini, che era stato professore di diritto corporativo all’Università di Pisa. Preziosi mi disse di avergli mandato anche lui una nota. Ci devono essere stati anche altri. Io stesso dovetti chiudermi nella mia camera all'albergo Maderno per preparare degli appunti... Quando m'aveva chiesto una relazione sulla Costituzione americana e su quella turca, la preoccupazione di non essere preciso mi fece arrivare fino a Roma per cercare altre pubblicazioni sulla Turchia, all’Istituto per il Medio Oriente. E la relazione dovette interessarlo. Il 7 novembre 1943 disse al generale Canevari che era molto soddisfatto del lavoro compiuto circa la Costituzione repubblicana che era già stata approntata da appositi esperti: una Costituzione del tipo nord-americano con qualche cosa della Costituzione turca».
    Non tutto dei progetti ha valore scientifico; non tutti gli articoli giornalistici, nella stampa nazionale o di provincia, sono saggi di diritto costituzionale. C'è spesso approssimazione, c'è intuizione politica genuina, c'è indicazione di cambiamento per polemica politica: ma il dato certo è che in tutta la gente della R.S.I., colta o non colta, combattente o civile, esplode questa voglia di costruire uno Stato nuovo per tutti gli italiani. E ovunque si invoca l'Assemblea Costituente.
 
    2 - Il merito di Luciano Garibaldi e la testimonianza di Ermanno Amicucci
    Si deve al giornalista e scrittore Luciano Garibaldi la scoperta e la pubblicazione del più completo e dettagliato progetto di costituzione della R.S.I.: quello redatto - su espresso mandato di Mussolini e del Consiglio dei ministri - dal ministro dell'Educazione Nazionale Carlo Alberto Biggini.
    Garibaldi ritrova, grazie alla premurosa collaborazione della famiglia Biggini, i «52 fogli legati assieme con un nastrino di seta bianco», che sono il dattiloscritto originale, sicuramente autentico, dell’illustre costituzionalista, già magnifico rettore dell'Università di Pisa - poi ministro della R.S.I. in Padova. Il ritrovamento operato da Garibaldi suscita grande interesse storico e scientifico perché costituisce la prova di una tendenza costituzionale del fascismo repubblicano e della volontà di Mussolini di aprire - pur con limiti e condizionamenti - alla libertà ed al pluralismo. Quindi il valore del progetto è eccezionale, e quanto di critico ci accingiamo a dire nulla toglie a quel valore ed al merito di Garibaldi, la cui scoperta ha provocato - tra l'altro - la ricerca e la meditazione sui documenti costituzionali della R.S.I. e sugli indirizzi istituzionali che emersero in quel periodo con una vitalità degna dei grandi pensatori dello Stato. Non a caso Biggini o forse proprio a caso - scrive il progetto a Padova, sede del ministero, e patria di quel Marsilio costruttore, nel Medioevo, di una prima organica teoria dello Stato e dei poteri politici (Defensor Pacis, 1324).
    Si deve, però, al fondamentale libro di Ermanno Amicucci (op. cit.) l'altro grande merito di avere affidato alla storia il secondo progetto, meno particolareggiato ma più attuale e certamente più innovatone del progetto Biggini: quello di Vittorio Rolandi Ricci.
    Amicucci non dice dove ha trovato il testo originale, che probabilmente è andato perduto nel corso dei tragici eventi del '45; ma, quale direttore del «Corriere della Sera», Amicucci ha dimestichezza di rapporti con Rolandi Ricci, attivissimo collaboratore del giornale, ed ha sotto mano gli articoli dell’insigne giurista dai quali in parte il progetto si ricava. A noi, comunque, interessa sottolineare che anche questo progetto è autentico, sia perché - appunto - parzialmente contenuto negli articoli del «Corriere» firmati dallo stesso autore, sia perché l'esposizione precisa e sistematica del progetto contenuta nel libro denota la perfetta conoscenza che Amicucci ne aveva, se non ne aveva addirittura copia, come è logico pensare; sia, infine, perché ne è testimonianza in altre fonti, e in particolare nel Contromemoriale di Spampanato che diffusamente si occupa dei problemi costituzionali della R.S.I. e dell’opera di Rolandi Ricci, e in Piazzale Loreto di Dino Campini.
    Ha minore importanza stabilire quale fosse, per Mussolini, il progetto più caro; e se sia vero, come affermano Amicucci e Spampanato, che lo stesso Mussolini avesse incaricato Rolandi Ricci di «rifare» il testo Biggini (Amicucci) e ne avesse «trattenuto» (Amicucci) e «scelto» (Spampanato) il testo («Circa lo schema di Costituzione da presentare alla Costituente, tra i diversi studi - uno anche di Biggini - il Duce aveva scelto quello di Rolandi Ricci, che definiva le basi di una Repubblica presidenziale a carattere sociale. Lo schema di Rolandi Ricci si avvicinava ai criteri del progetto Spampanato per la Costituente»).
    Si può solo rilevare che Mussolini non trattenne il testo Biggini, che anzi restituì all’autore con correzioni autografe, come afferma lo stesso Luciano Garibaldi; anche se ciò non significa automaticamente scelta dell’altro progetto.
 
    3 - I documenti Biggini e Rolandi Ricci autentici ed autonomi
    Siamo, però, d'accordo con Garibaldi nel ritenere che non vi sia stato «rimaneggiamento» del documento Biggini «nè
    da parte del senatore Rolandi Ricci, né da parte di altri». I due documenti sono, infatti, del tutto autonomi. In un «rimaneggiamento» o in un «rifacimento» una pur minima traccia del testo originario rimane. Qui si hanno, invece, due testi, due concezioni, due mentalità diversi e scelte istituzionali addirittura contrapposte; per cui è logico pensare che i due illustri personaggi abbiano lavorato - entrambi per incarico di Mussolini - autonomamente, senza neppure scambiarsi opinioni. E se è vero che l'incarico affidato a Biggini ha anche la solennità della decisione del Consiglio dei ministri (24 novembre 1943), ciò non prova che il testo Biggini avesse per questo la preferenza, e ciò non toglie che Mussolini cercasse ovunque suggerimenti per la nuova Costituzione, e che attribuisse grande rilievo alla consulenza giuridico-costituzionale di Vittorio Rolandi Ricci, verso il quale provava un reverenziale timore. Interessante sarebbe semmai sapere se i due incarichi siano stati affidati contemporaneamente, o se a Rolandi Ricci Mussolini abbia chiesto un altro testo, più sintetico, dopo aver constatato che quello di Biggini era troppo particolareggiato per una Carta costituzionale.
    Alla prima ipotesi farebbe pensare Campini quando afferma che Rolandi Ricci «veniva a Padova con una vecchia automobile sempre senza benzina e trafficò alquanto con Biggini nella preparazione di quel progetto di costituente e ne compilò uno suo in ventidue chiari articoli».
    Dove forse sbaglia Luciano Garibaldi è nel considerare il testo Biggini l'unico voluto da Mussolini, cioè l'unico ufficiale, e oggi l'unico degno dell’attenzione degli storici e dei costituzionalisti: quello già scelto per diventare la Costituzione della R. S. I.
    Non è cosi. L'entusiasmo suscitato dal ritrovamento, il recupero delle preziose 52 cartelle legate col nastrino bianco, la solidità del loro contenuto e - soprattutto - l’organicità del disegno, fanno dimenticare a Garibaldi gli altri progetti che Mussolini sollecitava per poter poi attuare le scelte definitive.
    Del resto è ancora Spampanato a confermare questa tesi nel Contromemoriale: «Per la verità, nessuno può dire di aver dato a Mussolini una collaborazione diversa. Quel che gli si presentava era del materiale più o meno selezionato e coordinato, e le stesse relazioni si sarebbero potute chiamare, con un termine da avvocati, dei fogli di lume. Servivano a Mussolini per centrare un argomento, tenendo già sotto mano un’esposizione critica e i riferimenti relativi. Sulla serietà di questo lavoro era esigentissimo».
    Bisogna, quindi, per ricostruire il messaggio costituzionale della R.S.I., tener conto di tutto questo materiale che rappresenta, globalmente, le tendenze di quel periodo: a volte contrastanti nei particolari, ma univoche negli indirizzi fondamentali. Anche se diamo volentieri atto a Garibaldi che quello di Biggini è un vero e proprio progetto di Costituzione articolato ed ineccepibile dal punto di vista sistematico, e non può certo definirsi «foglio di lumi».
 
    4 - «Il Socrate della Repubblica»
    E questo il titolo del XIV capitolo del libro di Ermanno Amicucci, che presenta la figura e l'opera del nostro personaggio giolittiano, Vittorio Rolandi Ricci, il quale, all’età di 83 anni, lascia la pace e l'agiatezza della propria villa al Lido di Camaiore per scegliere la bandiera della R.S.I. ed unirsi a Mussolini.
    Il libro di Amicucci (1948) è rarissimo, e il capitolo su Rolandi Ricci - che contiene i 22 punti del progetto costituzionale - non è mai stato considerato nel suo valore. Anzi è stato fino ad oggi ignorato. Riteniamo per ciò doveroso riproporlo quasi integralmente all’attenzione degli studiosi, stralciandone i 22 punti che pubblichiamo in Appendice I per facilitare l'esame dei vari testi a raffronto.
    Nessuno più di Amicucci, direttore del giornale sul quale riversò la propria azione di scelta morale e politica questo novello Socrate, poteva sentire il bisogno di tramandarne il ruolo e l'insegnamento, nati in quei periodi di bufera in cui tutto sembra venire sepolto.
    Della R.S.I. sono noti e, dai superstiti, celebrati i valori del sacrificio, il Manifesto di Verona, le leggi sulla socializzazione. Amicucci ci ha offerto un nuovo valore, permettendoci di conoscere un uomo che, nel momento della verità, quando si è chiamati a decidere se è più importante vivere contro i propri princìpi o andare incontro alla morte per difenderli, se è meglio dimettersi dal corso della storia o restarvi con sacrificio e coerenza di virtù, rispose come Socrate a Critone attraverso la parola delle Leggi: «Non fare maggior conto né dei tuoi figliuoli, né della vita, né di qualsiasi altra cosa al mondo più che del giusto».
    Ecco, dunque, la parola di Amicucci.
    Il 3 novembre 1943 il «Corriere della Sera» pubblicava in prima pagina un articolo di V. Rolandi Ricci, intitolato Scelta. L'articolo era preceduto da un breve cappello in cui si metteva in rilievo l’adesione alla Repubblica Sociale dell’insigne uomo, senatore, ministro di Stato, ambasciatore a Washington dopo la prima guerra mondiale, grande avvocato, persona di fiducia di Giolitti, monarchico convinto e per tradizioni di famiglia, il quale a 83 anni, in un momento cruciale della patria, non esitava a schierarsi contro il re, dopo gli avvenimenti del luglio e del settembre, e a portare il contributo della sua autorità e del suo passato alla causa della Repubblica di Mussolini. L'articolo, che conchiudeva: «Consentaneamente a questo mio modo di pensare, il 18 ottobre, non invitatovi né sollecitatone, mi sono iscritto al Partito fascista repubblicano di Viareggio», suscitò grande impressione; e da quel giorno i lettori del «Corriere della Sera» cercarono curiosamente gli scritti di Vittorio Rolandi Ricci, che divenne ben presto una colonna del giornale ed un pilastro della Repubblica. Si può dire che gli articoli di Rolandi Ricci costituirono la rivelazione giornalistica di quel periodo.
    Quando alcuni mesi più tardi, un gruppo di questi articoli fu raccolto in opuscolo sotto il titolo Della guerra, un giornalista fra i più giovani, Enzo Pezzato, così ne sottolineò il valore e l'importanza ai fini della situazione. «L'incontro di Vittorio Rolandi Ricci con il fascismo repubblicano... fu forse fra gli eventi psicologicamente importanti di questo nostro ultimo periodo... Fino allora... il movimento poteva assumere, agli occhi degli uomini posati del ceto medio, un carattere partigiano che nelle intenzioni non era... occorreva qualche cosa che nella mente dei più significasse la coincidenza della nuova rinascita fascista con gli interessi supremi della patria in guerra. L'adesione di V. Rolandi Ricci, e soprattutto gli argomenti coi quali egli... illustrò la sua adesione furono appunto questo «qualche cosa».
    Rolandi Ricci aveva adertito alla Repubblica mentre Mussolini dichiarava decaduta e traditrice la monarchia, che per il vecchio liberale era stata sempre un caposaldo inattaccabile, mentre la Repubblica Sociale aboliva il Senato, in cui egli era entrato quaranta anni prima, nominatovi da Giolitti, aboliva la carica di ministro di Stato, cui lo aveva elevato nel gennaio del 1936 lo stesso Mussolini, aboliva il titolo di eccellenza che gli spettava come ministro di Stato e come ambasciatore. Rolandi Ricci restava col titolo di avvocato - cui del resto doveva la sua fama e la sua fortuna - e col titolo di ambasciatore onorario, che gli era stato conferito al termine della sua missione diplomatica in America, affidatagli da Giovanni Giolitti.
    Il vegliardo se ne stava in quel suo Castello al Secco, al Lido di Camaiore, fatto da lui costruire verso il 1900 dall’architetto Coppedè e dove erano stati ospitati uomini di stato di tutta Europa, da Giolitti a Mussolini, da Chamberlain a Caillaux e alte personalità americane della politica e della finanza. Di là mandava regolarmente i suoi articoli al «Corriere della Sera» scrivendoli con una calligrafia chiara e diritta, che egli conservava nonostante l'età, e rifiutando dall'amministrazione del giornale qualsiasi compenso.
    Giunta la guerra in Toscana, Rolandi Ricci si era trasferito al nord, sostando dapprima per breve tempo a Piacenza e poi stabilendosi sul lago di Garda, a Sirmione, in una villa, cinquecento metri prima dell'ingresso del paese. Da Sirmione, chiamato da Mussolini, egli si recava frequentemente a Gargnano. Mussolini aveva preso una vivissima simpatia per il vegliardo e amava consultarlo spesso sui più svariati problemi di carattere politico, diplomatico, giuridico, finanziario. Molte volte si fece il nome di Rolandi Ricci come futuro ministro della Repubblica. Ma agli accenni e agli inviti del duce, egli sempre si schermì adducendo le ragioni dell’età e dichiarando che la sua opera era più utile nel campo giornalistico. Non sempre, naturalmente, Mussolini seguiva i consigli del vecchio e un giorno Rolandi Ricci gli disse: «Vedete, duce, io sono stato un buon avvocato e i miei consigli li facevo pagare ben cari. Per questo erano sempre seguiti. Ma a voi li ho dati e li do sempre gratis. Sarà per questo che voi non li seguite mai!».
    Anche nei suoi articoli Rolandi Ricci non risparmiava critiche alla politica del governo ed ebbe una vivace polemica col sottosegretario ai prezzi Fabrizi, a proposito di prezzi d'imperio, tesseramenti e calmieri. Qualche volta si recava a Milano, dove s'intratteneva coi suoi vecchi amici anche per incarico di Mussolini. Quando si trattò di preparare un progetto di Costituzione da sottoporre all'Assemblea Costituente, solennemente e ripetutamente promessa, fissata anche nei 18 punti del Manifesto di Verona, Rolandi Ricci fu invitato da Mussolini a studiarlo insieme col ministro dell'Educazione Nazionale Biggini, che era professore di diritto costituzionale all’Università di Pisa. Il progetto fu alacremente preparato da Rolandi Ricci, e sebbene la Costituente non fosse convocata per le innumerevoli difficoltà di ogni genere che vi si frapponevano (nonché per l'ostilità di alcuni gruppi che la trovavano inopportuna in piena guerra), Mussolini volle trattenere il progetto, che aveva discusso a lungo con Rolandi Ricci. Il vegliardo in soli 22 articoli aveva racchiuso le disposizioni fondamentali della nuova Costituzione, mentre altri progetti, quello preparato dal ministro Biggini e quelli presentati da commissioni giuridiche e politiche, si erano perduti in un labirinto di disposizioni, consacrate in un numero grandissimo di articoli; coi quali si volevano sancire, fra le norme costituzionali, perfino le ore cli lavoro e le mercedi da corrispondere per il lavoro straordinario.
    Il vecchio giurista aveva evidentemente ricordato quello che Gulliver aveva osservato nel paese dei saggi giganti: «In questo paese non è permesso stendere una legge in un numero di parole maggiore di quello delle lettere dell'alfabeto che sono ventidue; vi sono anche pochissime leggi che si estendono fino a questa lunghezza. Son tutte espresse in termini chiarissimi e semplicissimi, e questi popoli non hanno tanto spirito né tanto ingegno da trovarvi parecchi sensi: poi è un delitto capitale scrivere un commentano su alcuna legge». Rolandi Ricci aveva dunque rifatto il progetto Biggini, riducendolo a poche, essenziali disposizioni, chiare e precise. Dopo la prima lettura dell'abbozzo di Costituzione, Mussolini fece immediatamente questa osservazione: «Dunque, fra dieci anni volete collocarmi a riposo». Rolandi Ricci rispose testualmente: «Voi stesso ne sentirete allora il bisogno». (Ma non molti mesi dopo, Mussolini cadeva a Giulino di Mezzegra, sotto la raffica di mitra del «colonnello Valerio».)
    Nel progetto originale del ministro Biggini era attribuita a Mussolini la «presidenza perpetua». Alla di lui morte, l'Assemblea delle due Camere avrebbe eletto il nuovo presidente, fissandone la durata dell'ufficio e moderandone i poteri che a Mussolini invece erano mantenuti amplissimi e tali, anzi, da riuscire addirittura dispotici. Biggini aveva per il duce un timore reverenziale e non aveva osato presentargli l'ipotesi della cessazione di lui dalla carica. Mussolini invece accettò, senza risentirsene, la disposizione progettata dal vegliardo verso quale egli si sentiva a volte un po' intimidito.
    La villa di Sirmione era meta di visite continue delle personalità più in vista della Repubblica, sia politiche che militari. Rolandi Ricci era considerato una specie di «oracolo del nord» o di «Socrate» della Repubblica di Mussolini. Molta ostilità incontrava invece il vegliardo negli ambienti del cardinale Schuster per la sua serie di articoli su «Il Vaticano e la guerra», in cui si muovevano gravi appunti al modo di considerare i doveri della neutralità da parte di alti esponenti della Chiesa. Quegli articoli erano stati attentamente seguiti anche in Vaticano.
    Rolandi Ricci era circondato da rispetto e stima anche degli avversari non solo per il suo coraggioso atteggiamento, ma anche perché aveva dato alla patria i suoi due soli figli maschi, entrambi morti durante quella guerra, il primo, Filippo, tenente colonnello delle truppe coloniali, caduto in Africa Orientale combattendo contro gli inglesi nel 1941, l'altro, Rolando, vittima, nel gennaio 1944, di un bombardamento di Bologna che colpì l'albergo Baglioni, dove si trovava di passaggio, in servizio presso il Ministero dell'Agricoltura. Gli avvenimenti successivi riserbarono al vegliardo non minori dolori. Egli, d'altra parte, era pronto a tutto. Aveva 85 anni, ma conversando con Mussolini ed esaminando con lui il futuro e le possibilità di un'invasione della Valle Padana, s'era trovato d'accordo nel proposito d'imbracciare un mitra e di affrontare la morte sul campo. Benché felice di vivere, sempre avido di sapere (passava le notti intere a leggere), guardava con serenità alla morte, giudicandosi privilegiato dalla sorte per essere giunto, in ottima salute, ad un'età così avanzata.
    La notte dal 25 al 26 aprile 1945 partì da Sirmione perché Mussolini lo aspettava a Milano, dove l'aveva invitato a trasferirsi con tutta la famiglia.
    Mussolini si era trasferito da una settimana e parecchi ministeri stavano già da qualche mese o da qualche settimana a Milano o nei dintorni. Pareva che la zona del lago di Garda dovesse essere abbandonata da tutto il governo della Repubblica; Rolandi Ricci doveva partecipare a una riunione di ministri per discutere un progetto di carattere finanziario, pare l'emissione di un prestito nazionale (in quel momento!). Egli giunse a Milano all’alba del 26 dopo una drammatica avventura. Mussolini era partito la sera prima, dopo il burrascoso convegno all'arcivescovado; e l'insurrezione cominciava a Milano; alle porte di Milano, Rolandi Ricci aveva corso rischio di essere fucilato. Seguiva la sua macchina, a breve distanza, un camion con i bauli ed una «topolino» che recava a bordo il nipote sedicenne Vittorio, orfano del colonnello caduto in Africa Orientale, e l’infermiera-governante, signorina Badò. Nelle prime ore del mattino del 26, la macchina di Rolandi Ricci era stata fermata a Crescenzago da un gruppo di partigiani, proprio mentre la «topolino» per un lieve incidente era costretta a fermarsi e a mettersi fuori strada per lasciar libero il traffico durante la riparazione necessaria. Rolandi Ricci e gli altri viaggiatori della macchina erano stati obbligati a scendere e addossato al muro con le mani alzate sotto la minaccia dei mitra spianati. Ma, a questo punto, dalla «topolino», dove ci si era resi conto del pericolo cui andavano incontro Rolandi Ricci e i suoi compagni di viaggio, parti una raffica di mitra. I partigiani risposero immediatamente al fuoco. Il sedicenne nipote di Rolandi Ricci cadde ferito alla gola e morì poco dopo. La signorina Badò fu presa; e fu poi fucilata nella notte del 1° maggio. Invano Rolandi Ricci, che nel trambusto della sparatoria aveva potuto risalire in macchina e raggiungere Milano, attese il camion e la «topolino», il nipotino e la governante. Se egli era potuto miracolosamente sfuggire, non erano sfuggiti gli altri che lo seguivano, i quali erano caduti nelle mani della «banda Mustaccia», una formazione che si ammantava del nome di brigata partigiana e che poi fu catturata al completo dagli alleati. Di essa «L’Italia Libera» di Milano, organo del partito d'azione, l'11 luglio 1945, con un titolo su 5 colonne in prima pagina, narrava le gesta delittuose: «Un centinaio di persone fucilate, 500 milioni rubati in un mese».
    Rolandi Ricci trovò rifugio in casa di una sua cugina, dove giunse inatteso. Gli fu improvvisato un alloggio di fortuna. La giornata del 26 fu tragica. L'insurrezione divampava, e il vegliardo ogni ora di più perdeva la speranza di vedere arrivare il nipotino. Si presentarono invece a casa della cugina che lo ospitava Giovanni Preziosi e la moglie, i quali, abitando sul Garda vicino a Sirmione, avevano contratto dimestichezza con la famiglia Rolandi Ricci. Smarriti ed incalzati dagli avvenimenti, i coniugi Preziosi domandavano asilo. Furono aggiustati anche essi alla meglio in una stanzetta. Nella notte, tutti e due si gettarono dalla finestra e morirono sul selciato del cortile.
    Così finiva la sua avventurosa esistenza il ministro di Stato, ambasciatore, direttore generale per la razza, Giovanni Preziosi.
    Le ore si facevano sempre più drammatiche. La mattina del 27, dopo essere andato qua e là alla ricerca affannosa del nipote, Rolandí Ricci si presentò in Prefettura e si costituì al C.L.N. Fu mandato subito a S. Vittore. Ottantacinquenne, schiantato da tanti dolori, ma ancora saldo come una vecchia quercia colpita da molti fulmini, se ne stette in carcere sereno e forte, incurante di essere trattato come un qualsiasi detenuto...
    5 - Una «storica» sentenza
    23 maggio 1945. Iniziano a Milano, davanti alla Corte d'Assise Straordinaria, i processi contro i fascisti (superstiti). Ne danno l’annuncio, il giorno precedente, il «Corriere della Sera» che riprende le pubblicazioni, dopo qualche settimana di interruzione, con la nuova testata di «Corriere di Informazione».
    La giustizia della nuova Italia si appresta a dettare le prime grandi massime per gettare le basi della società restituita alla democrazia. Dal processo della prima giornata la massima che si ricava è di eccezionale interesse, piena di un valore del tutto nuovo ma che di tanto in tanto affiora nel corso della storia, destinata a forgiare le nuove generazioni: «Se qualcuno ha delle idee le tenga per sé e non le professi. Se le professa rimedia 15 anni di galera».
    Come esordio dell’ordine nuovo che sta per assumere le
    vesti del sistema democratico parlamentare, non c'è che dire.
    Il buon dì si vede dal mattino. E il «Corriere» del 24 maggio 1945 ha il privilegio di lanciare all’opinione pubblica il nuovo verbo. Titolo: Alla Corte Straordinaria. Il processo Rolandi Ricci. Un clamoroso incidente. Testo: «Sotto la presidenza del consigliere di Cassazione dott. Marantonio - giudici quattro cittadini scelti dal C.L.N. -, si è iniziata ieri la serie dei processi della Corte straordinaria delle Assise per la punizione dei delitti fascisti. Vivissima l'attesa per il processo dell’ex ambasciatore e senatore Vittorio Rolandi Ricci. Il pubblico occupa nell’aula ogni ordine di posti... Rolandi Ricci ha 86 anni e sembra ostentare la sua verde vecchiaia. è noto che deve rispondere di collaborazione militare col tedesco per gli articoli scritti posteriormente all'8 settembre 1943 sul "Corriere della Sera". Il reato comporta una. pena dai 10 ai 20 anni di reclusione. Difensore di fiducia l'avv. C. Degli Occhi. "Nei miei articoli - dice l'imputato - volli esprimere le mie idee con l'intenzione, non di ledere il mio Paese, ma di servirlo...... /Nei vostri articoli - continua il magistrato - voi avreste collaborato coi tedesco./"Affatto", protesta l'imputato ... /Vi siete scagliato contro le formazioni dei partigiani./"Le disapprovavo"./Ma non c'era bisogno di inveire. E poi, siccome la vostra memoria è un archivio, ricorderete che il 3 dicembre 1943 scriveste un articolo nel quale esprimeste la necessità da parte dell’Italia di continuare la guerra contro gli inglesi restando fedele ai tedeschi e ai giapponesi./"Questa non è collaborazione col nemico"./Non c'è mica bisogno di mandare dei carri armati. I vostri articoli avevano un grande effetto -morale. Scriveste testualmente: "Sono un fascista repubblicano e mussoliniano... Ritengo che soltanto la Repubblica e il fascismo possano salvare l'Italia"./"Ho dato alla patria - dice commovendosi il vegliardo - due figli e un nipote. Tale contributo garantisce la mia sincerità"./Tutti abbiamo un convincimento - rimbecca il presidente - Ma voi avete divulgato il vostro senza pensare al danno che facevate. Comunque DOVEVATE TENERVI LA VOSTRA OPINIONE E NON MANIFESTARLA PUBBLICAMENTE. Rolandi Ricci è rimandato nella gabbia ed ha la parola il dott. Sagone che conclude la sua requisitoria chiedendo la condanna dell’imputato, tenuto conto della sua età e delle sue sventure familiari, a 12 anni di reclusione. Segue il difensore prospettando due questioni d'indole giuridica, che svolge con abilità e ampiezza. Ma ad un certo punto il pubblico, che ha già dato segni di impazienza, prende a urlare e a fischiare suscitando le proteste del presidente, del P.M. e dello stesso avvocato Degli Occhi, che è fatto segno ad una viva unanime dimostrazione di simpatia da parte del centinaio e più di colleghi che affollano il pretorio. Frattanto il presidente toglie l'udienza e la rimette a stamane...».
    Il giorno dopo puntualmente il «Corriere» riporta: «Alla Corte Straordinaria d'Assise. Trent'anni ad Attilio Teruzzi e quindici a Rolandi Ricci. In un'atmosfera di serenità maggiore che nella precedente udienza, l'avv. Degli Occhi ha ieri mattina continuato e condotto a termine la sua arringa, concludendo per una sentenza di assoluzione. Dopo una replica del P.M. dott. Sagone e la controreplica del difensore, la Corte ha pronunciato la sentenza di condanna dell'imputato a 15 anni di reclusione...».
    Rolandi Ricci ringrazia la Corte che gli augura di vivere così a lungo.
    Ed ecco la sentenza, felicemente recuperata dall'Archivio della Corte d'Assise di Milano, mentre il fascicolo processuale - i cui verbali sarebbero stati illuminanti - è andato da qualche anno al macero per... decorsi limiti di età.
    In nome di
    UMBERTO DI SAVOIA
    Principe di Piemonte
    Luogotenente Generale del Regno
    La Corte d'Assise Straordinaria del Circolo di Milano Sez. 11
    Composta dagli illustrissimi signori:
    1° Marantonio Dott. Luigi Presidente
    2° Visentini Natale Giudice Popolare
    3° Ferraresso Romeo Giudice Popolare
    4° Pulici Virginio Giudice Popolare
    5° Fallorni Rag. Giancarlo Giudice Popolare
    ha pronunciato la seguente
    SENTENZA
    NELLA CAUSA DEL PUBBLICO MINISTERO
    contro
    ROLANDI RICCI VITTORIO fu Filippo e fu Maura Tabellini
    nato ad Albenga il 18-2-1860 - Qui detenuto.
    IMPUTATO
    di avere, posteriormente all'8 settembre 1943, in provincia di Milano, mediante collaborazione ed aiuto al tedesco invasore, coi suoi articoli pubblicati nel Corriere della Sera, incitanti i cittadini contro lo Stato, apologetici per le armi tedesche e neofasciste, commesso il delitto contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato previsto dall’art. 5 dei Dec. Leg. Luog. 27-7-1944 no 159 in relazione all’art.. 1 del Dec. Leg. Luog. 22-4-1945 no 142 e punito ai sensi dell'art. 58 Cod. En. di guerra [e il principio della non retroattività della legge?].
    Sentito il P.M. e l’imputato che, col suo difensore, ha avuto per primo e per ultimo la parola; la Corte rileva in fatto che Vittorio Rolandi Ricci, avvocato, già Senatore del Regno, ambasciatore e Ministro di Stato, fascista dall'aprile 1925, iscritto al Partito fascista Repubblicano il 18 ottobre 1943, si costituiva spontaneamente a Milano il 28 aprile 1945 proveniente da Sirmione dove era profugo; e, interrogato il 15 maggio nelle carceri giudiziarie di S. Vittore dal rappresentante l'Ufficio speciale dei P.M. presso la Procura Generale del Regno, veniva tradotto, con la procedura del giudizio direttissimo avanti queste Assise, allora già convocate in sessione, per rispondere del reato specificato in epigrafe. Al pubblico dibattimento, iniziatosi nell'udienza del 23 maggio c.a. e proseguito in quella di oggi, l'imputato, confermando sostanzialmente le dichiarazioni rese nel primo interrogatorio, ha riconosciuto di essere autore dei numerosi scritti pubblicati dal 3 novembre 1943 all’11 aprile 1945 sul giornale «il Corriere della Sera» nei diversi numeri di detto quotidiano politico allegati al processo; ma ha ritenuto di potersi scagionare dall'accusa mossagli di collaborazione col tedesco invasore, affermando di, avere, con tali pubblicazioni, manifestato e divulgato il proprio pensiero in buona fede non per tradire, ma per servire il suo Paese.
    In diritto la Corte osserva che il contenuto degli articoli scritti dal Rolandi Ricci per un giornale politico di vastissima diffusione quale era il Corriere della Sera, nel periodo tragicamente critico attraversato dall’Italia dopo l'8 settembre 1943, costituisce prova non dubbia della responsabilità penale dell'imputato in ordine al reato ascrittogli.
    Dopo avere il 3 novembre 1943 nel primo di tali scritti sotto a titolo «Scelta», dato ragione della sua adesione al Partito fascista repubblicano, esaltando il fascismo per «quanto di bene» esso fece nel ventennio per il popolo italiano, dicendo non giustificabili «le acide malignità della testardaggine antifascista», proclamando che la guerra «non fu voluta né iniziata dal fascismo italiano, ma dall'Inghilterra» e affermando che non esisteva per gli italiani via migliore e sicura, che quella di seguire la voce di Mussolini levatasi a richiamarli al loro dovere di: resistere, soffrire, combattere, morire per la salvezza dell'Italia e per il suo onore, e aggiungendo che «pensare a vincere senza la Germania alleata sarebbe follia», esprimeva, in altri articoli, pubblicati il 3 dicembre dello stesso anno sotto il titolo «Capitale e lavoro», l'opinione della necessità di continuare la guerra contro gli anglo-americani restando fedeli all'alleanza tedesco-giapponese. Si scagliava, quindi, contro l'antifascismo definendolo come tendenza seguita da coloro che ebbero la «viltà di non voler sostenere i rischi, i danni, le perdite sanguinose della guerra», dicendo «indispensabile ed urgente far comprendere alle masse e mostrar loro la crudeltà degli inglesi e la delinquenza dei nordamericani, contro le persone e sopra gli averi dei vinti», esaltando, invece, con parole di incondizionata ammirazione, le virtù dei tedeschi. Ancora in altro articolo pubblicato l'8 febbraio 1944 sotto il titolo «Oggi», additava come precipuo scopo di qualunque regime di governo in Italia, «quello di far la guerra contro gli anglosassoni per la liberazione del territorio invaso, di condurla con il massimo sforzo e con un coraggio senza limiti, magari con il coraggio della disperazione»... associando le forze italiane a quelle tedesche; riconosceva piena autorità soltanto al governo mussoliniano e affermava che «oggi Mussolini è necessario», solo egli avendo avuto «la coraggiosa energia di mettersi al servizio della patria e di sforzarsi di servirla a nel modo migliore con cui poteva essere servita dopo quella tremenda sciagura che fu per l'Italia la conclusione dell'armistizio dello scorso settembre».
    Iniziando, quindi, il 27 febbraio con una serie di numerosi altri scritti un esame della situazione attuale della guerra, incitava nuovamente gli italiani a «combattere a fianco dei camerati germanici», esortando il popolo a restare ad essi «indefettibilmente fedele» e ad avere fiducia nel «Capo» e nella vittoria delle armi tedesche contro l'Inghilterra, «irriducibile nemico n° 1» ed auspicando come giusta reazione alla «ferocia» dei nordamericani, «lo sganciamento di qualche centinaio di bombe sui grattacieli di Nuova York»...
    Si scagliava, in un'altra serie di articoli, contro la politica del Vaticano, esprimendo dubbi sulla sincerità del suo neutralismo e deplorando l'atteggiamento del Clero in contrasto con le aspirazioni e con le direttive politiche e militari del governo fascista. Deprecava in un articolo pubblicato il 28 maggio il fenomeno del «ribellismo» che, altrove, definiva il «cancro del ribellismo», proclamando la necessità da parte del governo, di esigere assoluta obbedienza alle proprie leggi, applicando «senza tergiversazioni o debolezze e con tutto il rigore, la legittima repressione penale ad ogni atto o gesto o comportamento contrario o non conforme agli ordini da esso emanati o che emanerà». E tornando sullo stesso argomento in altri scritti pubblicati il 3 e il 17 settembre 1944, definiva i partigiani d'Italia «quei cialtroni che per viltà si resero disertori o renitenti alla leva ed ora vivacchiano diventando di necessità dei ladri e dei briganti al servizio del nemico ...».
    Non cessava, intanto, dall’incitare i «veri italiani» a combattere insieme col «fedele alleato» per conseguire quel «successo militare» che avrebbe dovuto segnare «il primo passo per risalire». Ed altrove insistendo nel richiamare gli italiani tutti all’obbedienza alle leggi repubblicane così concludeva: «Postoché la Repubblica è in guerra contro gli Anglosassoni e i Russi e contro lo Stato regio dell’Italia invasa, nonché contro chiunque si associ ai di lei nemici, ogni cittadino ha l'imprescindibile dovere di considerare e trattare come nemici appunto tutti cotali nemici della Repubblica, sotto comminatoria di essere processato per favoreggiamento del nemico, o quanto meno per violazione delle note disposizioni che puniscono quanti e quanto, durante guerra, facciano o si faccia o si ometta di fare in danno (consapevolmente o no) dello Stato, del governo e del nostro Paese».
    La Corte ritiene che non occorra richiamare altri passi, degli articoli incriminati per dimostrare, meglio di quanto già risulta da quelli citati, come l'imputato, con la sua pertinace attività di scrittore di vasta cultura storica, letteraria e politica, noto ed apprezzato anche per l'autorità e l'esperienza che gli derivano dalle alte cariche ricoperte, abbia prestato al tedesco invasore la più efficace collaborazione che, nel settore della propaganda giornalistica, fosse possibile svolgere; quella stessa collaborazione, cioè, che - se prestata da altri in campo opposto - consapevolmente o no, egli deplorava ed avrebbe voluto vedere repressa e punita con le più gravi sanzioni!
    Né si può ammettere che egli abbia agito in buona fede - come afferma - e nell'intento, non di tradire ma di servire la patria: a lui, che investito delle massime dignità dello Stato, partecipava da lunghi anni alla vita pubblica del Paese, non poteva certo sfuggire il significato degli eventi maturatisi nel luglio e nel settembre 1943; né, perciò, era possibile pensare con serio ed onesto convincimento che, per la salvezza e per l'onore dell’Italia, dovesse ancora tiranneggiare il fascismo e, contro gli eserciti angloamericani liberatori si dovesse continuare la guerra con la certezza della vittoria a fianco del tedesco «alleato».
    Trascinato, tuttavia, dalla sua irrefrenabile foga di verboso retorico e dalla sua vanità di erudito, non solo egli volle dar forma, talora anche smagliante, al suo aberrante pensiero, ma volle, o quanto meno consentì, che esso avesse, sulle colonne di un accreditato e diffusissimo giornale politico, la più larga divulgazione, insinuandosi come un veleno sottile e mortale nella mente e nel cuore dei lettori e mantenendo in vita errori e illusioni di cui solo si giovava il vero «nemico n°1» in un estremo, disperato tentativo di realizzare i suoi piani politici e militari.
    Collaborazione, dunque, voluta, cosciente, efficace, che integra in ogni estremo subbiettivo ed obbiettivo il reato previsto e punito dall’art.1 del decreto legislativo luogotenenziale 22 aprile 1945 no 142 in relazione all’art. 5 del Decr. leg. luog. 27 luglio 1944 n° 159 
    La responsabilità penale dell'imputato va, pertanto, affermata; e tenuto conto della gravità del fatto reato, quale si desume e si rivela dal mezzo, dal tempo e dalle modalità dell’azione, si ravvisa adeguata la pena nella misura di anni quindici di reclusione... Per questi motivi la Corte... dichiara Rolandi Ricci Vittorio fu Filippo colpevole del reato ascrittogli come in epigrafe e lo condanna alla pena della reclusione per anni quindici, nonché al pagamento delle spese processuali e della tassa di sentenza.
    Cosi deciso il 24 maggio 1945. Il Presidente Luigi Marcantonio.
    Uscirà dal carcere dopo 14 mesi per amnistia. Era nato ad Albenga il 18 febbraio 1860. Nominato senatore del Regno il 12 marzo 1912, fu dichiarato decaduto il 30 ottobre 1944. I suoi discorsi al Senato - sulle più disparate materie - sono esempi di saggezza e capolavori di eloquenza. Morirà a Roma, dove si era trasferito dopo la detenzione, il 30 giugno 1951. è sepolto al Verano.
 
    6 - Dopo «Scelta», la battaglia
    Come appare dalla sentenza, Vittorio Rolandi Ricci non si limita a scegliere il campo di lotta, ma inizia subito una intensa azione a viso aperto che supera i limiti della campagna giornalistica, per assumere i toni e il significato di una vera battaglia: e le sue dure verità colpiscono indifferentemente il mondo che combatte e quello che gli è amico. Con «Scelta» precisa subito che dal fascismo non ha avuto nulla e che «cariche e onori ebbili tutti e soltanto da Giolitti. Ma come italiano io fui e sono grato a Mussolini per il suo generoso tentativo di far dell’Italia una grande Potenza, gli sono grato per quel tanto di bene che ha potuto realizzare; ed oggi gli sono grato e devoto per il tentativo più generoso, più faticoso, più urgentemente necessario che egli sta facendo per ricondurci sulla strada della vittoria, o, alla disperata, su quella almeno dell'onore».
    Il «Corriere della Sera», in meno di un anno e mezzo, gli pubblica ben 46 lunghi articoli (di cui riportiamo in Appendice un'antologia sui problemi istituzionali): 
    3 novembre 1943 - Scelta 
    3 dicembre 1943 - Capitale e lavoro
    10 dicembre 1943 - In vista della Costituente
    12 dicembre 1943 - I compiti del Governo
    8 febbraio 1944 - Oggi
    27 febbraio 1944 - Della guerra (Esame della situazione Attuale della guerra) (in Italia)
    3 marzo 1944 - Della guerra - II
    7 marzo 1944 - Della guerra (Italia e Germania) - III
    15 marzo 1944 - Della guerra (Nemici) IV
    18 marzo 1944 - Della guerra (Nord America) - V
    28 marzo 1944 - Della guerra (Russia e Balcania) - VI
    4 aprile 1944 - Della guerra (Francia) - VII
    8 aprile 1944 - Della guerra (1 Neutrali) - VIII
    12 aprile 1944 - Della guerra (La Città del Vaticano)
    18 aprile 1944 - Della guerra (La Città del Vaticano) - II
    21 aprile 1944 - Della guerra (La Città del Vaticano) - III
    28 aprile 1944 - Della guerra (La Città del Vaticano) - IV
    30 aprile 1944 - Della guerra (La Città del Vaticano) - V
    3 maggio 1944 - Della guerra (La Città del Vaticano) - VI
    7 maggio 1944 - Il risarcimento dei danni causati dai bombardamenti .
    28 maggio 1944 - Disciplina 
    20 luglio 1944 - Il contadino primo tra i produttori (Osservazioni sull’alimentazione) 
    26 luglio 1944 - Mussolini 
    6 agosto 1944 - I calmieri (Osservazioni sull’alimentazione) - II 
    8 agosto 1944 - Il problema delle tessere (Osservazioni sull’alimentazione) - III
    9 agosto 1944 - Disparità di guadagni e revisione tributaria (Osservazioni sull'alimentazione) - IV
    3 settembre 1944 - 3 settembre
    17 settembre 1944 - Vericità
    20 settembre 1944 - XX settembre 1870
    14 ottobre 1944 - Vaticano Repubblica Clero - I
    25 ottobre 1944 - Per la chiarezza (politica vaticana) - II
    8 novembre 1944 - La capitale intangibile
    26 novembre 1944 - Piccole osservazioni di politica estera - I
    28 novembre 1944 - Piccole osservazioni di politica estera - II
    6 dicembre 1944 - Neutralità franchista
    28 dicembre 1944 - Lira e prezzi
    9 gennaio 1945 - Difesa della moneta
    14 gennaio 1945 - Alcune cifre
    17 gennaio 1945 - Un recente decreto
    7 febbraio 1945 - Divagazioni sopra un libro recente
    11 febbraio 1945 - XI Febbraio 1929
    21 febbraio 1945 - Parlantina breve di cose nostre
    11 marzo 1945 - Cifre e considerazioni
    27 marzo 1945 - Cifre e commenti
    29 marzo 1945 - Dumbarton Oaks - Bretton Woods - San Francisco
    1 aprile 1945 - I maestri liberatori
    7 - Verso l'Assemblea Costituente
    Socrate ateniese insegna per tutta la vita la giustizia e il rispetto della legge: crede nel governo delle Leggi e nella Città, cioè nell'ordinamento dello Stato che i cittadini hanno liberamente scelto. Muore per non tradire il suo costante insegnamento e questi fondamentali principi.
    Anche il nostro «Socrate» ha perseguito la giustizia, insegnato e praticato il rispetto della legge e, ormai vecchio, sente che per non mandare in rovina l'idea dello Stato e quel complesso di valori morali che si chiama patria, si deve trasformare una continuità di fatto nella superiore essenza del diritto: quasi che le leggi «gli si parassero dinanzi» ad invocare l'impresa.
    Se è vero, infatti, che Rolandi Ricci, «fra tre partiti da prendere», «abbraccia» la bandiera mussoliniana, per seguirla, questa scelta è legata a due imperativi: servire l'Italia «nostra Patria, la quale, come voleva Machiavelli, "noi dobbiamo amare più dell’anima"»; gettare le basi di un ordinamento nuovo, con mentalità, visioni e strumenti nuovi, che abbia per soggetto la sovranità del popolo italiano.
    Rolandi Ricci è il grande animatore del rinnovamento costituzionale perché crede nella promessa di Mussolini il quale, sin dalle prime trasmissioni di radio Monaco di Baviera, annuncia l'Assemblea Costituente, che poi conferma il 27 settembre 1943 nel primo Consiglio dei ministri riunito alla Rocca delle Caminate, e in quello del 27 ottobre con l'annuncio - appunto - della preparazione «della grande Assemblea Costituente che getterà le solide fondamenta della Repubblica» Il 13 ottobre il «Corriere della Sera» apre con un editoriale intitolato La Costituente in cui si annuncia che nel nuovo Stato «non potranno più elevarsi diaframmi tra la massa dei cittadini e i suoi reggitori perché sorgerà dal consenso popolare».
    «Costituente» è, dunque, la nuova parola d'ordine.
    Il 28 ottobre Pavolini, parlando alla radio nell’anniversario della marcia su Roma, conferma che «prima che l'anno termini l'Assemblea Costituente darà alla Repubblica le leggi basiche».
    Nello stesso mese di ottobre Bruno Spampanato prepara, per ordine di Mussolini, il progetto di Costituente.
    Il 7 novembre i giornali riportano il comunicato defl’Interinf del giorno precedente; eccolo nel testo del «Corriere della Sera» (prima pagina):
    LE BASI DELLA COSTITUENTE - Il Congresso del Partito si riunirà il 15 Novembre - L'Assemblea legislativa prevista per la metà di dicembre - La votazione popolare. Roma 6 novembre. Il primo Congresso dl Partito repubblicano fascista, annuncia l'Interinf, si riunirà il 15 novembre nell’Italia settentrionale, per l'esame e la discussione della nuova Costituzione repubblicana. Al Congresso parteciperanno i nuovi capi di ogni provincia (già prefetti), nonché gli incaricati per la direzione dell’organizzazione provinciale del Partito fascista e i membri del Governo. La direzione del Congresso sarà tenuta dal Duce. -Il progetto sulla nuova Costituzione repubblicana fascista viene ora elaborato dal Segretario del Partito, Pavolini. La riunione dell’Assemblea legislativa decisa dal Consiglio dei ministri il 17 ottobre, che dovrà ratificare la nuova Costituzione repubblicana, è preveduta per il 15 dicembre. Anche questa Assemblea terrà le sue sedute nell’Italia settentrionale. La nuova Costituzione repubblicana avrà forza di legge definitiva per mezzo della votazione popolare. La data di questa votazione non è ancora stata fissata. In occasione del prossimo Congresso del Partito, che avrà luogo come si è detto il 15 novembre [sarà poi il 14, N.d.A.], sarà fissata anche la Costituzione del Partito repubblicano fascista e della Direzione del Partito... [Era stata scelta la città di Guastafia e in essa la Rocca dei Torelli e dei Gonzaga].
    Il 14 novembre il Manifesto di Verona, approvato dalla I Assemblea o I rapporto del P.F.R., afferma solennemente al primo punto: «SIA CONVOCATA LA COSTITUENTE, POTERE SOVRANO DI ORIGINE POPOLARE...».
    Il 25 novembre il consiglio dei ministri - che decide la denominazione definitiva del nuovo Stato, «Repubblica Sociale Italiana» - conferisce al ministro Biggini l'incarico di redigere il progetto di Costituzione.
    Tutti i giornali esaltano a grandi titoli l'Assemblea Costituente; ovunque se ne parla come dell'avvenimento fondamentale.
    E se ne hanno autorevoli testimonianze in Tamaro: «Circa la Costituente, se ne parlò moltissimo, si fecero vasti e febbrili preparativi...»; Amicucci: «Cominciò subito una febbrile preparazione per la convocazione dell’assemblea...»; 12 Denis Mack Smith: «Furono approntate proposte per una nuova costituzione... Una grossa modificazione doveva essere l'abolizione del Senato, giudicato inutile... Il duce si accinse a convocare entro l'anno un’assemblea costituente...».
 
    8 - Il progetto Spampanato per l'Assemblea Costituente
    Mussolini sente che la nazione è smembrata e che occorre ricostituire lo Stato anche nelle sue strutture materiali, per restituirle un concreto punto di riferimento. Vuole soprattutto per questo la Costituente e ne ordina il progetto a Bruno Spampanato, il quale lo prepara rapidamente e con grande scrupolo e lo presenta sotto forma di Appunto per il Duce.
    Rinviamo all’Appendice I per il testo integrale del documento, approvato da Mussolini e tratto dal Contromemoriale dello stesso Spampanato. Qui ne riportiamo le note di introduzione e di chiusura.
    Si riproduce qui il testo integrale del progetto per la Costituente redatto da Bruno Spampanato nell'ottobre del 1943, per ordine di Mussolini. L'originale è allegato all'incartamento del «processo Spampanato» all’archivio della Cassazione. Fu sequestrato a Spampanato, al suo arresto, e gli fu contestato al processo dinanzi alle Assise Speciali di Roma. (p. 347).
    ... Un comunicato annunziò che il Consiglio dei ministri del 16 dicembre aveva discusso circa i criteri di costituzione della Costituente e le categorie che vi sarebbero state rappresentate. Gli ambienti del partito avevano sul momento forzato la mano del Duce. Sembrò, infatti, che Mussolini in qualche punto fosse tornato su quanto aveva confermato a Spampanato, come ad es. per i capi provincia che non dovevano partecipare all’Assemblea in quanto funzionari dello Stato, e che invece si elencavano nel comunicato. Anche per i militari il comunicato si riferiva solo alle associazioni, escludendo quella rappresentanza diretta prospettata nel progetto di Spampanato. Né si faceva menzione della rappresentanza di altri gruppi politici, coerente col principio di uno stato pluripartitico, pur con la responsabilità di governo al P.F.R. (Principio per cui tutta una corrente di vecchi fascisti continuò a battersi a Nord e che Mussolini sanzionerà alla fine del '44 con il riconoscimento di un primo partito, il Raggruppamento di Cione)... (p. 354).
    Il progetto riproduce quanto di più moderno ed aperto si potesse in quel momento ipotizzare, e realizza - almeno teoricamente - una rappresentanza così vasta di categorie partecipanti da potersi considerare una autentica Assemblea di Popolo. Dopo avere elencato nove «principali motivi» per «l'urgente convocazione della Costituente», di cui almeno tre. volti ad impegnare la partecipazione del popolo alla determinazione diretta ed elettiva del nuovo indirizzo rivoluzionario che non dovrà essere - «come molti italiani pensano!» - «un espediente politico o una tattica di Mussolini» (punti 4,7 e 9), Spampanato illustra nove «requisiti» della Costituente che «non deve assolutamente ripetere sistemi di investiture o di finzioni rappresentative che già inficiarono esizialmente il vecchio regime fascista»; che «deve derivare la propria ragione d'essere dalle masse» ed inserire il popolo «effettivamente nel nuovo Stato»; che «non deve essere scambiata con un grosso... doppione di camera dei Fasci e delle Corporazioni» pena l'anticipato fallimento; che deve consentire al «nuovo movimento» di «rigiocare» la carta «della rivoluzione, compressa, deviata ed infine tradita nel vecchio regime fascista».
    a) Voto segreto e decisioni a maggioranza
    Circa i caratteri e le funzioni della Costituente, Spampanato - riaffermata la creazione di nuovi organi ed istituti secondo princìpi che «si ricollegano... al diciannovesimo mussoliniano» - rivendica prima di tutto a questa «massima assemblea della nazione» di essere «l’unica depositaria della volontà rivoluzionaria del popolo».
    Sono molti i dettagli che Spampanato indica per regolare l'attività della Costituente (è prevista, tra l'altro, una delega dei poteri da parte della «Grande Assemblea Costituente» ad una «Convenzione», «organo permanente della rappresentanza popolare»); ma senza dubbio uno dei più importanti è l’introduzione del voto segreto per garantire la libertà e l'indipendenza dei rappresentanti («Le vocazioni della Costituente in assemblea generale, come della Convenzione in assemblea plenaria delle sue sezioni, o in assemblea di singole sezioni, sono in linea di massima segrete e a maggioranza»).
    Questa coraggiosa introduzione del voto segreto (non accolta nel progetto Biggini che prevede il sistema del voto palese) e delle decisioni adottate a maggioranza dalle assemblee, è la risposta che il «nuovo movimento» dà alle sonanti e plebiscitarie approvazioni delle assemblee del vecchio regime fascista: una risposta che dovrebbe oggi far riflettere quanti propugnano l'abolizione del voto segreto in Parlamento per superare il cosiddetto problema dei «franchi tiratori». Evidentemente costoro si collocano tra i nostalgici delle assemblee di parata di cui forniscono un esempio "luminoso" quelle hitleriane, dove persino nei convegni internazionali giuridici, le decisioni finali venivano adottate per acclamazione o per voto palese.
    Per tutelare la libertà e l'indipendenza dell’individuo, divenuto rappresentante del popolo, e per metterlo in condizione di esercitare un effettivo potere di controllo sull’esecutivo - come sosterrà spavaldamente Rolandi Ricci -, per sottrarlo alle pressioni ed ai ricatti dell'esecutivo, i preparatori delle assemblee del fascismo repubblicano ritennero di dover ripristinare quel voto segreto, naturalmente scomodo per i governi, che i riformatori antifascisti di oggi vorrebbero invece abolire.
    Quanto ai lavori della Grande Assemblea Costituente degli italiani, Spampanato prevede una relazione di apertura di Mussolini e una votazione finale - dopo poche sedute plenarie - di nove (è un numero ricorrente nel progetto) risoluzioni di cui l'ottava sancisce l’«attribuzione dei supremi poteri dello Stato alla Grande Assemblea Costituente che li esercita attraverso il Capo dello Stato da essa nominato, e direttamente per quanto concerne la riforma dello Stato stesso».
    La Convenzione, invece, elaborerà le leggi, gli ordinamenti e le nuove forme rappresentative dello Stato, il nuovo assetto amministrativo, il nuovo ordine sociale ed economico, il nuovo ordinamento militare, i piani della ricostruzione.
    b)Rappresentanze reali
    Discorso più delicato e complesso è quello sulla formazione della Costituente. Spampanato si pone subito il problema delle libere elezioni popolari dei membri della Grande Assemblea, ma deve riconoscere che non è possibile adottare «i consueti modi elettivi, stanti le condizioni di guerra», e ne specifica i motivi. Respinge, però, l'ipotesi che si possa «ricalcare l'organizzazione pseudo elettiva della rappresentanza com'era praticata dal vecchio regime fascista (il popolo, si ripete, non tollererebbe una seconda edizione di tale sistema)», e propone di ricorrere - per questa unica volta, destinata ad avviare il metodo nuovo - «agli organi sindacali e istituzionali esistenti, strutturalmente efficienti» per fornire al popolo «una reale rappresentanza».
    Procede quindi alla elencazione delle Federazioni Nazionali di categoria che dovranno designare un certo numero di lavoratori, in proporzione alla consistenza numerica di ogni settore, «senza riguardo a precedenti politici, con criterio di distribuzione regionale»; delle Associazioni dell’artigianato, industria, agricoltura, commercio; delle categorie del pubblico, impiego, statale e parastatale e delle «altre rappresentanze» (Cooperative, Consorzi di bonifica, Istituti previdenziali, Opera Nazionale Dopolavoro, C.O.N.I.) che dovranno essere designate attraverso - dove possibile - la consultazione delle assemblee, come per le Federazioni Nazionali che potranno riunire delle assemblee provinciali di categoria.
    La preoccupazione di Spampanato è di conseguire «la legittima autenticità e della rappresentanza e della designazione», con un piano - approvato da Mussolini - che se non può dirsi perfetto, è senza dubbio il migliore e il più aperto consentito dalle circostanze.
    c) Ripudio del capitalismo
    Nella parte dedicata all’economia, Spampanato riafferma «l'indirizzo rivoluzionario già decisamente preso dal fascismo repubblicano»; nega che il capitalismo, «già virtualmente ripudiato dalla nuova situazione rivoluzionaria», debba avere - attraverso le Confederazioni padronali - una «partecipazione diretta alla formazione della Costituente»; sottolinea «il superamento della concezione paritetica già adottata sin. sindacalmente e corporativamente dal vecchio regime fascista.
    D'altra parte - continua Spampanato - non si può ignorare l'imponente massa di capitali, beni, forze produttive ed entità economiche, che costituiscono la "ricchezza" della nazione, e che la rivoluzione dovrà anzi potenziare socialmente e funzionalmente, ordinando questa ricchezza su nuovi piani».
    Bisogna riconoscere che un'Assemblea Costituente ispirata a questo nuovo clima - che non è certo personale di Bruno Spampanato, ma generale tra gli aderenti alla R.S.I., o per antiche e sofferte convinzioni, o per convinzioni nuove maturate dopo il 25 luglio a seguito, dice Spampanato, dell'«accertata partecipazione del capitalismo al colpo di Stato» e al «sabotaggio della guerra», o per il fattore «ritorno alle origini» - avrebbe completamente trasformato non soltanto le istituzioni ma la società italiana, anticipando di mezzo secolo molte soluzioni verso le quali camminano oggi le società più evolute dell’occidente.
    Era per ciò necessario codificare nella solennità di una Carta idee dirompenti come queste, istituti, ordinamenti, funzioni, finalità, domande di libertà che erano già nell’animo della gente.
    Spampanato prevede poi altre rappresentanze: della magistratura (dai vertici della Cassazione al pretore, una delegazione molto vasta e rappresentativa, e la stessa larghezza per il Consiglio di Stato e per la Corte dei Conti); del clero (cappellani militari di tutte le Armi e rappresentanti «di ogni comunità religiosa» esistente nello Stato); della cultura (dall’Accademia d'Italia a tutte le Università e istituti superiori, ai G.U.F.); delle Forze Armate (dai soldati agli ufficiali superiori Per tutte le Armi, dall’Associazione Combattenti all'Associazione Mutilati e Invalidi di Guerra, all’lstituto del Nastro Azzurro); dei vari territori e delle «comunità italiane all'estero» (il primo riconoscimento del diritto di voto ai connazionali nel mondo, anzi il riconoscimento a partecipare alle decisioni di ordine costituzionale); delle famiglie (famiglie numerose, vedove, madri e orfani di guerra, donne lavoratrici dei vari settori produttivi).
    Un complesso di categorie che abbraccia l'intera società, e che può quindi considerarsi espressione genuina di tutto il popolo.
    d) Pluripartitismo e Modello di partito
    Il progetto Spampanato tratta infine la rappresentanza dei partiti. Interessante il ruolo attribuito al Partito Fascista Repubblicano, che «non bisogna comprimere o irrigidire se non si vuole che, invece di una fresca e potente forza politica dello Stato, sia un suo istituto sul tipo del P.N.F-. Pertanto il P.F.R. deve essere ammesso alla Costituente come una delle forze ideali della Nazione, ma senza particolare preminenza, e l'unico suo privilegio deve essere quello di diventare il portatore dell’Idea rivoluzionaria». Anche i «partiti diversi» possono avere rappresentanti nell’Assemblea Costituente; può, infatti, parteciparvi a domanda, con un numero stabilito di 50 rappresentanti, «ogni gruppo politico, compresi quelli costituitisi nei 45 giorni del Governo Badoglio... Ai detti rappresentanti lo Stato repubblicano garantisce ogni libertà e immunità, nell’ambito delle leggi. Inoltre possono partecipare come membri alla Grande Assemblea Costituente tutti i presidenti del Consiglio e i ministri dell’ex Regno nonché i presidenti di assemblee parlamentari fino al 28 ottobre del 1922».
    Anche in questa delicata materia c'è un insegnamento, nel progetto, che deve essere sottolineato.
    A parte la prova (non è la sola: si pensi al progetto di Costituzione Biggini, e più ancora a quello di Rolandi Ricci) che il fascismo e Mussolini stavano aprendo al pluralismo o meglio al pluripartitismo, c'è una novità, nel documento Spampanato, che si colloca nell’attuale dibattito sui partiti politici.
    Oggi si pensa - di fronte allo scandaloso sistema dei partiti ed all’immenso potere, di stampo mafioso, raggiunto dalla partitocrazia - ad una regolamentazione della vita e delle funzioni dei partiti politici attraverso interventi legislativi e controlli «garantiti» dall’alto. Se ne vorrebbero addirittura standardizzare gli statuti attraverso la legge; si propongono «rigidi» controlli sulla vita interna dell’organizzazione; se ne chiede la personalità giuridica quanto meno di diritto privato. Si pensa, cioè, ad una vera e propria «istituzionalizzazione» dei partiti, più marcata e definita di quella, purtroppo vaga ed equivoca, prevista dalla vigente Costituzione.
    La formula adottata da Spampanato nel 1943 è di tutt'altro avviso. L'esperienza del Partito Nazionale Fascista dice che l'istituzionalizzazione porta alla paralisi delle idee, all'irrigidimento: il partito supercontrollato, super-regolato, cessa di essere «movimento» per diventare, appunto, una istituzione teleguidata, e proprio per questo sbiadita, priva di palpiti e di fervore ideale. La tendenza che Spampanato raccoglie è di non permettere, attraverso una istituzionalizzazione del nuovo movimento fascista sul tipo di quella del disciolto P.N.F., la mummificazione del giovane Partito Fascista Repubblicano che deve invece essere «una fresca e potente forza politica dello Stato» portatrice e produttrice dell'«idea rivoluzionaria».
    E’ vero che oggi l'Italia ha impellente bisogno di stroncare il malcostume partitocratico, di porre un freno alla corsa smodata dei partiti verso il potere, di abbattere il sistema clientelare, di cambiare - in altri termini - a «modello», la vita, il ruolo del partito politico e con esso la mentalità della classe dirigente, ma questo obiettivo non si raggiunge ingabbiando i partiti e pianificandoli, pena il soffocamento della loro capacità potenziale di produrre idee, programmi, e di preparare la classe politica; bensì «costringendo» i partiti a cambiarsi «spontaneamente», stimolati nell'interesse di acquisire suffragi: il che significa cambiare il sistema elettorale. Solo un nuovo tipo di sistema elettorale che, scavalcando la mediazione dei partiti, preveda l'intervento diretto dei cittadini-corpo elettorale nella scelta dei governanti, potrà avviare nei partiti stessi il moto del cambiamento, con la riduzione del loro potere e la valorizzazione delle qualità morali dell’individuo. Spampanato è quindi un precursore. Il suo progetto è pronto; tutti invocano e attendono la Costituente; ma il 7 dicembre arriva, come una doccia fredda, l'articolo di Giuseppe Morelli pubblicato in prima pagina sul «Corriere della Sera» con il vistoso titolo: Meno Costituente e più combattenti!
    Morelli, già deputato, sottosegretario alla Giustizia e senatore (diventerà presidente della Corte dei Conti della R.S.I. dopo la morte, per mano partigiana, del presidente dott. Osvaldo Sebastiani, e morirà a sua volta, poco dopo, di grave malattia, all’ospedale di Busto Arsizio), denuncia la grave preoccupazione che la preparazione della Costituente distragga tutti dal prioritario ed incalzante dovere della guerra. In altri termini Morelli dice che questo non è momento di assemblee ma di organizzare un esercito per tornare a combattere a fianco dell’alleato germanico.
    Purtroppo tale articolo, ispirato da nobili intenzioni (vedi Appendice III) segnerà la fine di un'idea e del sogno di realizzare compiutamente la rivoluzione attraverso l'immagine, costituzionalmente definita, del nuovo Stato.
 
    9 - Rinvio della Costituente: uno storico errore
    L'articolo di Morelli suscitò profonde polemiche: chi riteneva giusto e salutare il richiamo al dovere di combattere; chi riteneva inutile discutere, tanto c'era Mussolini; chi pensava, invece, che si dovesse subito dare una precisa identità costituzionale al nuovo Stato, proprio per restituire al popolo italiano, tanto provato, la volontà e l’orgoglio del combattimento , nella prospettiva di un mondo nuovo e più giusto nel quale lo stesso popolo sarebbe stato protagonista.Mussolini aveva promesso la Costituente, appena liberato dal Gran Sasso, parlando agli italiani da Monaco di Baviera, e Costituente avevano perentoriamente ribadito lo stesso Mussolini ed il rigenerato fascismo repubblicano al primo punto del manifesto di Verona. Abbiamo visto quanto grande e legittima ne fosse l'attesa. Perché si rinunciò a quell’appuntamento con il popolo italiano?
    Fu un errore storico, perché guerra e Costituente non erano incompatibili. Il nuovo P.F.R. era carico di passione rivoluzionaria, e le idee più genuine delle origini tornavano a chiudere i varchi lasciati aperti durante il ventennio e a disegnare istituzioni diverse, legittimazioni nuove, nuovi rapporti tra governo e popolo per dare spazio alla libertà, saldo restando il principio dell’autorità dello Stato.
    L'intuizione mussoliniana di rompere con i vecchi schemi e di chiamare il popolo a deliberare il nuovo ordinamento costituzionale era quanto di più valido per affrontare la mutata realtà politica e militare. Del resto la R.S.I. era alle prime settimane di vita, erano pronti i progetti, erano delineate le tendenze: quale effetto avrebbe avuto sugli italiani del nord e del sud, sui tedeschi, sugli stessi eserciti alleati, la nascita, per volontà di una autentica Costituente popolare, di uno Stato per efficienza, libertà e socialità tra i più avanzati dell’l'occidente? Non intendiamo dire che la Carta costituzionale potesse sostituire la forza militare: ma la vittoria per il popolo italiano, dopo la sconfitta delle armi, poteva giungere proprio a quella Costituzione che era radicata nell’animo dei fascisti repubblicani e di chi non seguiva il fascismo ma capiva l'eccezionalità del cambiamento, di fronte all’arretratezza ideologica e costituzionale dell’antifascismo che riportava l'Italia alla fine dell’Ottocento.
    Oggi dobbiamo dedurre dai documenti preparatori e dalle testimonianze quali idee avrebbero trionfato, quali concrete strutture sarebbero state scelte, quale sarebbe stato il nuovo valore del consenso, quali modelli di uomo e di società sarebbero nati, quale Stato Mussolini avrebbe inclinato per la nuova Italia uscita dalla tragedia della guerra: con la realizzazione della Costituente tutto ciò sarebbe ormai storia, e forse storia di questa stessa Repubblica Per l'influenza che fatalmente avrebbe esercitato, la Costituzione dei vinti sulla Costituzione dei vincitori. E difficile capire il perché di questa rinuncia che a Mussolini ed ai fascisti più illuminati deve essere avuto senza dubbio peso le sere costata assai cara. Reazioni favorevoli all'articolo di Morelli, le obiettive difficoltà logistiche in un momento cosi difficile; le difficoltà politiche circa il controllo dei lavori di un'assemblea dove poteva temersi il sopravvento dell’istinto impetuoso sulla riflessione (l'esperienza di Castelvecchio era viva e aveva deluso Mussolini: «è stata una bolgia vera e propria - dirà a Nino Dolfin -. Molte chiacchiere confuse, poche idee chiare e precise, si sono manifestate le tendenze più strane, comprese quelle comunistoidi. Qualcuno ha chiesto l’abolizione nuda e cruda del diritto di proprietà. Ci potremmo chiedere con ciò perché abbiamo per vent'anni lottato contro i comunisti. 
    Secondo questi sinistroidi potremmo oggi addivenire all'abbraccio generale anche con loro...». Ma la composizione del’Assemblea prevista dal Progetto Spampanato era di notevole qualità e dava buon affidamento.O sopraggiunsero altre considerazioni e difficoltà di altro genere?
    «Era possibile convocare un'Assemblea mentre durava incerto il conflitto armato, e imperversava- la guerra civile?», dirà Tamaro. Ma non potevano bastare tali ostacoli a giustificare una rinuncia così grande. A parte la tesi tratta dal diario di Mazzolini, e riportata dallo stesso Tamaro, che Mussolini dovesse, prima della Costituente, «ottenere dai tedeschi la garanzia che le terre del confine settentrionale e orientale sarebbero rimaste italiane», noi riteniamo che l'insieme di queste ragioni, esasperate dall’articolo di Morelli cui lo stesso Mussolini non si sentiva di dar torto, ma anche una non completa valutazione del significato storico e politico che la Costituzione della R.S.I. avrebbe avuto di fronte al mondo, abbiano determinato il cedimento, cioè il rinvio della Costituente a quando - si disse - «L'Italia repubblicana e fascista avrà ripreso il suo posto di combattimento» (Consiglio dei ministri del 17 dicembre, «Corriere della Sera» del 18), per poi arrivare al definitivo accantonamento. Un anno dopo, infatti, il 16 dicembre 1944, Mussolini annuncerà a Milano, col discorso del Lirico, che la Costituente sarebbe stata convocata dopo la fine della guerra: «Il Manifesto cominciava con l’esigere la convocazione della Costituente e ne fissava la composizione, in modo che - si disse - la Costituente fosse una sintesi di tutti i valori della Nazione. Ora la Costituente non è stata convocata. Questo postulato non è stato fin qui realizzato e sì può dire che verrà realizzato soltanto a guerra conclusa. Vi dico con la massima schiettezza che sarebbe superfluo convocare la Costituente quando il territorio della Repubblica, dato lo sviluppo delle operazioni militari, non poteva considerarsi definitivo. Mi sembrava prematuro creare un vero e proprio stato di diritto nella pienezza di tutti i suoi istituti, quando non avevamo ancora le Forze Armate che lo sostenessero. Uno Stato che non dispone di Forze Armate è tutto fuorché uno Stato». Anche questa motivazione, però, non convince. Il problema del territorio era chiaramente in atto anche nel corso dei tre mesi del 1943 quando la Costituente fu annunciata, confermata e preparata; e lo stesso dicasi delle Forze Armate, che allora non c'erano (e questo non impedì l'annuncio e la preparazione dell’assemblea) ma che l'anno successivo furono una realtà, tanto che la R.S.I, poté schierare in linea le proprie «grandi unità» combattenti. Quale fu il vero motivo della rinuncia?
    E quanto afferma Tamaro che indusse Mussolini a cambiare parere? Furono i tedeschi ad impedire la Costituente, per paura del nuovo corso del fascismo? o fu proprio una rimeditazione del Duce che non voleva una Costituente impreparato e caotica che avrebbe potuto imboccare chissà quali strade? A quella di Dolfin si aggiunge un'altra e più larga testimonianza: «Voi dovete comprendermi dirà Mussolini a Spampanato che ne riferisce ampiamente nel Contromemoriale. Noi non improvvisiamo. Noi continuiamo un formidabile esperimento sociale, solo che mettiamo in fase il fascismo. Le nostre riforme prendono il via da Verona. E Castelvecchio mi ha lievemente deluso... Bisognava entrare in profondità. Ognuno di quei punti implica un rinnovamento di strutture, una precisazione di mete. Ognuno dice qualche cosa di nuovo al popolo italiano e lo dice con lo stesso linguaggio che il fascismo ha tenuto dal 1919. Questo è segno sicuro che il fascismo non è stato smentito nemmeno dalla crisi del 25 luglio. Quelle restano le fondamenta, anche se ci sono piani da buttar giù, piani da riedificare... La Costituente è differita. Non si rinuncia alla Costituente. Ma la Costituente non può essere un rapporto come il congresso di Castelvecchio ... Il regime fascista è stato per vent'anni una cosa serissima. Vi rimando agli atti parlamentari. Noi eravamo arrivati a talune conclusioni rivoluzionarie dopo uno studio attento e meticoloso. Nessuno può qualificare d'imprudenza o di improvvisazione le leggi del regime Gli stessi errori che si commisero non erano calcolabili, nel campo delle previsioni... La Costituente dovrà attenersi a questo rigoroso criterio di serietà che io ho sempre preteso da qualsiasi assemblea, o consesso. Sì, a Castelvecchío non ho visto dei costituenti, ma dei combattenti. Ma forse è meglio... Evitiamo il rischio di varare la Repubblica del fascismo per acclamazione. Ci arriveremo alle sue tavole, ma attraverso una preparazione necessaria...».
    Spampanato dice sicuramente il vero, anche perché proprio lui ha Provocato la risposta di Mussolini («Io gli avevo chiesto perché da parte di pavolini - è chiaro l’espediente ed il falso scopo - si fosse portata tanta fretta col Congresso di Verona, l'anticamera della Costituente, quando poi la porta della Costituente si doveva chiudere a tempo indeterminato!... Lui mi disse di lasciare stare pavolini che sapevo benissimo che non c'entrava. Mi disse come si fosse c onvinto, dopo il Congresso, che non era ancora il momento per la Costituente»); ma restiamo dell'opinione che manchi qualche tessera al mosaico.
    Il colloquio si svolge nella prima settimana di dicembre del '43, il progetto Spampanato viene ordinato dal Duce e predisposto febbrilmente.nel mese di ottobre, l'assemblea di Castelvecchio è del 14 novembre; l'articolo di Morelli è del 7 dicembre, il comunicato del Consiglio dei Ministri sullo slìttamento della costituente è del 17 dicembre sempre del '43: perché Mussolini aspetta un anno (16 dicembre 1944) ad annunciare, ora che ha anche le Forze Armate, l'accantonamento - o rinvio a dopo guerra - della Costituente?
    Questa prudente gradualità può far pensare soltanto a una cosa: Mussolini sapeva bene che i fascisti repubblicani volevano la Costituente perché in essa vedevano il Passaggio ad un'era nuova, ed ha sperato di superare le difficoltà nel corso del '44 per poterla convocare. In altri termini, dopo il primo annuncio del rinvio, mentre per molti era già rinuncia, per Mussolini era ancora speranza di attuazione del progetto. E se nel corso di tutto il 1944 le difficoltà continuarono a frapporsi, significa che si trattava proprio di impedimenti esterni: di quelle stesse difficoltà che contesero la strada alla socializzazione. L'alleato tedesco, sostenuto da interessati ambienti italiani antifascisti, non fu sotto questo aspetto un buon alleato.
 
    10 - Il fascismo repubblicano pensa al cambiamento
    All'annuncio del rinvio, all'apparenza momentaneo, della Costituente, «i fascisti - chi più, chi meno - erano restati tutti male», afferma Spampanato. Ma non c'è bisogno di questa testimonianza: parlano i fatti, i titoli dei giornali; lo stesso articolo di Morelli (ispirato da Gragnano?). dimostra a quale livello fosse giunta la pressione in favore e «in vista» della Costituente. Il bisogno, però, di rinnovarsi, di cambiare «tutto», rimase, anzi si fece via via più vivo e consapevole. Il successo del Manifesto di Verona, soprattutto tra i giovani, ne è la prova e compensò, in parte, la delusione per il mancato appuntamento. Del resto Mussolíni aveva saputo toccare, sin dalle sue prime parole da Monaco di Baviera, i tasti giusti del Movimento ritrovato: di quel fascismo che dentro l'anima profonda non veniva da troppo tempo sollecitato. «Stare col Popolo» (punto 18 del Manifesto) al posto del vecchio «andare verso il popolo»; «socializzazione» (punto 12); «la tessera non è richiesta per alcun impiego o incarico» (punto 5); elezione popolare diretta del capo dello Stato, controllo e responsabile critica da parte dei cittadini sugli atti dell'amministrazione, diritti della persona umana, autonomia della magistratura (punto 3); Parlamento monocamerale eletto a suffragio universale, ministri nominati dal capo della Repubblica e del governo (punto 4); «contadini, operai e piccoli impiegati, lo Stato che uscirà dall'immane travaglio sarà il vostro, e come tale lo difenderete contro chiunque sogni ritorni impossibili» (Mussolíni da Radio Monaco di Baviera, 18 settembre 1943): sono parole magiche, riscoperte, quindi ritrovate dopo troppo lungo abbandono.
    C'è continuità, ma la continuità è nel cambiamento delle cose, nella rottura o nel superamento di vecchie impostazioni, nella rinata mentalità popolare: è nel mutamento di sistema, che la rivoluzione pretende per rilanciare l'anima più genuina del Movimento. C'è del nuovo sotto il cielo, qualcosa che prima non c'era: qualcosa che l'albero del fascismo, ben potato sotto la spinta sanguinosa degli avvenimenti riesce a far germogliare; senza rinnegare il proprio tronco, senza rinnegare anzi riaggrappandosi e alimentandosi più forte alle proprie radici, ma con rami del tutto nuovi e quindi diversi dai rami potati che non fiorivano più e non davano più apprezzabfli frutti. Ed è lo stesso Mussolini in uno dei suoi lunghi colloqui con Spampanato sul tema della Costituente a dire: «Bisogna riformare il regime nel senso di portare più avanti la conquista sociale del secolo. Ma bisogna anche riformarlo eliminando la possibilità futura che traditori, sabotatori e imbecilli rendano vano lo sforzo di un popolo. Noi non permetteremo più che si venga a formare una casta chiusa di baroni, come voi li chiamate. Né per investitura, né per loro potere... Io stesso affronterò il giudizio delpopolo... Non ho niente da ripudiare. Soprattutto io non ripudio Mussolini ma se si riesce ad avvicinare di più il popolo allo Stato, se il popolo manderà i suoi eletti alle Camere perché vi assumano le loro responsabilità, le elezioni potranno servire...». E ancora: «In quanto alla Costituzione americana, ci sono alcuni principio che trovo interessanti. I poteri del Presidente. Una volta che è alla Casa Bianca, mandatovi democraticamente dalla nazione, è il Presidente che fa la politica degli Stati Uniti. Il suo governo è in realtà un consiglio di gabinetto...»; bisogna «continuare il regime correggendone il sistema»; bisogna «puntualizzare gli errori del sistema». Come si vede non si tratta di semplici ritocchi: si tratta di mutamenti radicali, di vero cambiamento del sistema di governo, dal momento che lo stesso Duce accetta di sottoporsi al giudizio elettorale del popolo in un diverso rapporto governanti-govenati; del cambiamento del sistema legislativo il cui potere viene ora affidato a Camere elette a suffragio universale. E tutto ciò non è allo stato di «progetto»: è già consacrato nel Manifesto quale preambolo della futura Costituzione che dovrà svilupparsi su queste direttrici. Si tranquillizzino, quindi, coloro che si preoccupano, per apprezzabili motivi, di dimostrare che il fascismo, nel corso degli anni, mai è cambiato e mai si è allontanato dalle proprie origini («Delle tante critiche che al fascismo possono muoversi, quella della infedeltà ai propri postulati sarebbe profondamente e radicalmente infondata...Non siamo quindi disposti in nessun modo a seguire altri interpreti sulla china pericolosa del "ritorno alle origini". in cui si rischia inutilmente di trovarsi a nuotare in... piene origini altrui e di fornire alibi ad una critica pseudostorica. Il fascismo continuò, anzi accelerò negli ultimi anni quello che era sempre stato il suo corso, secondo le linee di vetta costantemente fissategli dal suo capo». Nessuno - è vero - puo accusare il fascismo di «tradimento» delle origini, ma non dobbiamo dimenticare che è fascismo anche la grande battaglia di Berto Ricci - per citare un simbolo - mossa in pieno regime contro quel fascismo realizzato in quel modo; anzi è il più puro ed elevato momento del fascismo: quello che esalta le grandi realizzazioni, ma che si batte contro un gerarchismo spesso inconcludente, a volte corrotto, distante dal popolo per il quale era stato invece creato. E la coscienza critica dei fascisti più puri, fedeli a Mussolini nella verità, chiedeva il cambiamento in nome della libertà. Alle pregevoli considerazioni di Rauti si deve osservare che evolversi è continuità, rigenerarsi è continuità, modificare gli strumenti per meglio conseguire il traguardo è continuità: ed il fascismo aveva in sé questa forza di rinnovamento che, nel periodo repubblicano, lo porta a riconsiderare lo Stato nel suo ordinamento e a decidere di cambiarlo, ed a cambiare anche il sistema politico adeguandolo alle esigenze dei tempi nuovi, pur restando il Movimento coerente al filone delle proprie origini. Il consenso popolare che sicuramente c'è stato è originale, spontaneo, ma legato.all'istituto e alla figura del Duce, attraverso quel sistema di «democrazia organica» che non ha Costituzione e che non prevede un intervento istituzionale del popolo nelle decisioni. Il bisogno che ora si sente, sotto il peso degli eventi, è appunto quello di costituzionalizzare il sistema della libertà: e questo è cambiamento e al tempo stesso «ritorno alle origini», quando il fascismo non era totalitarismo; quando cercava il consenso ma non lo pretendeva, quando non privilegiava la tessera del partito unico, quando non vietava il pluralismo politico. Il fascismo-regime favorisce le lettere, le arti, le scienze, vara i codici, crea servizi ed opere di portata storica (Fausto Gullo, comunista, definì in un discorso all’ Assemblea Costituente, il 28 maggio 1947, un'opera dello Stato unitario, in quel caso fascista, «opera di grandiosità romana»); realizza il momento di unità del popolo italiano, risveglia miti nei giovani che vuole sani fisicamente e moralmente: ma spesso, troppo spesso, non conosce il bene della verità nel rapporto tra il popolo e il suo capo. E la vischiosità degli ingranaggi, il formarsi di quelle «ceste di baroni» - come il Duce le chiama - ad impedire l'armonioso svolgersi di questa forma di «democrazia diretta» che, senza tali barriere, avrebbe potuto rappresentare la più alta, costruttiva e originale forma di democrazia.
    Per il fascismo repubblicano, che risorge dopo il tradimento del 25 luglio, cambiare diventa un dovere e al tempo stesso uno stato di necessità, rigenerandosi alle sorgenti.
    E lo stesso Mussolini che da radio Monaco dirà: «Lo Stato che noi vogliamo instaurare sarà nazionale e sociale nel senso più lato della parola; sarà cioè fascista nel senso delle nostre origini». Oppure: «... nel senso più alto della parola, sarà cioè fascista risalendo così alle nostre origini».
    Nella stessa occasione parlerà del cambiamento riferendosi ai «ritorni impossibili»; mentre nel discorso del Lirico il «ritorno alle origini» è espressamente ribadito. «Ritorno» - d'accordo - ma attraverso la «continuità».
    «Ci sono opere del regime su cui non bisogna mettere le mani, opere che onorano un popolo , che costituiscono titolo di orgoglio per un secolo. Opera della maternità e infanzia. Opera dopolavoro. Colonie per i bambini. Previdenza e assistenza per i lavoratori. C'è un gigantesco complesso di istituti per la salute fisica degli italiani che rappresenta un miracolo del progresso scientifico e dell'organizzazione tecnica- Ci sono leggi che da sole caratterizzano un'era. Il corpus delle leggi fasciste. Questo è il grande patrimonio che assolutamente non si può disperdere...».
    Sembra, dunque, corretto parlare di «ritorno alle origini», ma senza salti nella storia.
    Con la R.S.I. esplodono, o riemergono, i valori più genuini del Movimento e rivendicano la libertà, la partecipazione, l'intransigenza morale, l'onore al merito ed alla competenza; in un contesto di Stato del tutto nuovo dove anche l'idea corporativa è messa al setaccio.
    Il processo di rinnovamento, voluto e stimolato da Mussolini, mette in luce le diversità. Non è un arretramento di Mussolini: è il naturale sbocco di una rivoluzione che si è attuata con la dittatura, ma che è destinata a produrre frutti anche «dopo» la dittatura.
    Se così non fosse - ma nella dottrina fascista non esiste una teorica della dittatura, tipica invece del marxismo-leninismo - il fascismo, come idea, come movimento, si identificherebbe con la dittatura e sarebbe destin ato a scomparire con essa. Ma allora, quanto vale un'idea incapace di superare la vita degli uomini? Il fascismo della.R.S.I.. si preparava, consapevolmente, ad affrontare i tempi nuovi con uomini, mentalità, metodi di governo, sistema politico nuovi. Con orgoglio si preparava a far valere il proprio primato ideologico e morale nel nuovo sistema della «libera concorrenza» politica. Il fascismo, dunque, cambiava: come cambia il calore del sole nell’arco del giorno, restando il sole se stesso. Cambiava nei metodi e integrava i princìpi, immutati restando i concetti di Stato e di nazione.
    Libertà, partecipazione, pluralismo, consenso espresso attraverso il suffragio popolare: i nuovi princìpi che ne arricchiscono, completandola, la dottrina. E questo il bisogno dei fascisti repubblicani, quando ci criticavano le nomine dall’alto, quando deploravano il sistema della tessera, quando chiedevano di discutere e di «partecipare», quando respingevano a «gerarchismo». A questi fascisti il Duce poteva chiedere ancora tutto. Ed essi glielo avrebbero dato, come glielo diedero, fino in fondo; ma nessun altro avrebbe mai più potuto farlo. Nel loro animo c'era già il tempo nuovo. «Sentivano» la società nuova e pensavano chi più, chi meno distintamente - a quando, dopo Mussolini, avrebbero dovuto camminare da soli, difendere da soli l'idea in mezzo ad un popolo trasformato dalla guerra, capace di pretendere e far valere i propri diritti, in un mondo reso acerbo e diffidente dalle sofferenze e aggredito dai nuovi potentissimi strumenti dell’informazione.
    Solo i tedeschi non lo capivano o non vollero capirlo-, e sabotarono la Costituente . «Avevano pensato che il Duce e i fascisti si limitassero a riprendere la situazione sfuggita di mano il 25 luglio, e assistevano invece a un tentativo di restaurare il regime, ma su una base democratica, elettorale, pluripartitica. E poteva non convenire all'altro regime, a quello del Führer, un esempio così vicino di riforma "democratica " del sistema»."
    I tedeschi - continua Spampanato - stavano sempre «sull’allarme, che chissà dove ci potessimo avviare con questa rivoluzione di leggi che s'era annunziata al Congresso di Verona. Possibile che avessero silurato loro la Costituente?».
    Spampanato non ne è convinto e attribuisce la decisione a Mussolini, ma mussolini non poteva dichiarare altrimenti pena la conclusione, cioè l'ammissione, che «non era libero nelle sue decisioni, e tanto meno la sua Repubblica».
    La verità crediamo di averla indicata nel complesso di difficoltà, di varia natura, non ultima il difficile rapporto con l’alleato, che si frapposero all'avvenimento. Resta, comunque, un fatto che il processo febbrilmente avviato per realizzare la Costituente si bloccò. E resta il Mistero sulle responsabilità vere, sostanziali, della rinuncia.
    La codificazione di queste nuove idee in una Carta costituzionale avrebbe sciolto ogni dubbio sulla reale fisionomia del Movimento fascista repubblicano, e forse aperto alla Società italiana quelle nuove strade che ancor oggi invano ricerca. Così di Costituente non si parlò più. Solo Vittorio Rolandi Ricci continuò a credere in essa nel suo significato, nel suo valore, e ad appena tre giorni dall'articolo di Giuseppe Morelli che stroncava, senza volerlo, il cammino della rivoluzione, rispose dalle stesse colonne del «Corriere» delineando i fondamentali istituti della nuova Costituzione.
 
 
NOTE:
 
    1. Ermanno Amicucci, I 600 giomi di Mussolini, Editrice Faro, Roma, p. 184.
    2. Bruno Spampanato L'ultimo Mussolini (Controtnemoriale), Ed. Rivista Romana, 1964, vol II p.89
    3. Luciano Garibaldi, Mussolini e il professore, Mursia 1983.
    4. Dino Campini, Piazzale Loreto, edizioni Del Conciliatore, Milano 1972.
    5. Ermanno Amicucci, op. cit., terza edizione, pp. 184-185.
    6. Bruno Spampanato op. cit., vol. II p. 354.
    7. Luciano Garibaldi, op. cit., p. 109.
    8. Dino Campini, op: cit., p. 270.
    9. Bruno Spampanato, Op. cit., vol. II, p. 89.
    10. Platone, Critone, XVI.
    11. Tamaro, Due anni di storia, Roma 1949, vol. II, p. 229.
    12. Ermanno Amicucci. op. cit., p. 56.
    13. Denis Mack Smith, Storia di cento anni di vita italiana visti attraverso il Corriere della Sera, Rizzoli 1978, p. 418.
    14. Giovanni Dolfin, Con Mussolini nella tragedia, Garzanti 1950, p. 79.
    15. Tamaro, op. cit., p. 23l.
    16. Luciano Garibaldi, op. cit., p. 107.
    17. Ermarmo Amicucci, op. cit., p. 61.
    18. Bruno Spampanato, op. cit., pp. 92-93.
    19. Ibidem, p. 92.
    20. Ibidem, p. 91.
    21. Ibidem, p. 56.
    22. Ibidem, p. 59.
    23. Ibidem, p. 65.
    24. Ibidem, p. 73.
    25. Pino Rauti e Rutilio Sermonti, Storia del fascismo, C.E.N., Roma 1978, vol.VI, pp. 322-324.
    26. Renzo De Felice, Mussolini il Duce. Gli anni del consenso, Einaudi 1974.
    27. AA. VV., Repubblica Sociale Italiana, C.E.N., 1959, pag 116.
    28. Edoardo e Duilio Susmel, Opera omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze 1960, vol. XXXII, p. 4.
    29. Bruno Spampanato, op. cit., p. 66.
    30. Ibidem, p. 9l.
 
 
da LE COSTITUZIONI DELLA R.S.I. VITTORIO ROLANDI RICCI IL "SOCRATE" DI MUSSOLINI di Franco Franchi. Settimo Sigillo, 1997.  (Indirizzo e telefono: vedi EDITORI 

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA*
da LE COSTITUZIONI INATTUATE di G. Negri e S. Simoni. Editore Colombo, Roma, 1990.
 
 
Capo I
La Nazione - Lo Stato
 
1 – La Nazione Italiana è un organismo politico ed economico nel quale compiutamente si realizza la stirpe con i suoi caratteri civili, religiosi, linguistici, giuridici, etici e culturali. Ha vita, volontà, e fini superiori per potenza e durata a quelli degli individui, isolati o raggruppati, che in ogni momento ne fanno parte.
2 – Lo Stato italiano è una Repubblica sociale. Esso costituisce l’organizzazione giuridica integrale della Nazione.
3 – La Repubblica Sociale Italiana ha come scopi supremi: 1) la conquista e la conservazione della libertà dell’Italia nel mondo, perché questa possa esplicare e sviluppare tutte le sue energie e assolvere, nel consorzio internazionale fondato sulla giustizia, la missione civile affidatale da Dio, segnata dai ventisette secoli della sua storia, voluta dai suoi profeti, dai suoi martiri, dai suoi eroi, dai suoi geni [le parole "voluta dai suoi profeti, dai suoi martiri, dai suoi eroi, dai suoi geni" sono state cancellate da Mussolini e sostituite con la congiunzione "e"], vivente nella coscienza nazionale; 2) il benessere del popolo lavoratore, mediante la sua elevazione morale e intellettuale, l’incremento della ricchezza del paese e un’equa distribuzione di questa, in ragione del rendimento di ognuno nell’utilità [le parole "nell’utilità" sono state cancellate da Mussolini e sostituite con le parole "nella comunità"] nazionale.
4 – La capitale della Repubblica Sociale Italiana è Roma.
5 – La bandiera nazionale è quella tricolore: verde, bianca, rossa, col fascio repubblicano sulla punta dell’asta.
6 – La religione cattolica apostolica e romana è la sola religione della Repubblica Sociale Italiana.
7 – La Repubblica Sociale Italiana riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale, come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione e alle esigenze della sua missione nel mondo. La Repubblica Sociale Italiana riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusività ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sulla Città del Vaticano.
8 – I rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica Sociale Italiana si svolgono nel sistema concordatario, in conformità dei Trattati e del Concordato vigenti.
9 – Gli altri culti sono ammessi, purché non professino principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume. L’esercizio anche pubblico di tali culti è libero, con le sole limitazioni e responsabilità stabilite dalla legge.
 
Capo II
Struttura dello Stato
 
10 – La sovranità promana [da] tutta la Nazione.
11 – Sono organi supremi della Nazione: il Popolo e il Duce della Repubblica.
§ I
Il popolo - La rappresentanza
12 – Il popolo partecipa integralmente, in modo organico e permanente, alla vita dello Stato e concorre alla determinazione delle direttive, degli istituti e degli atti idonei al raggiungimento dei fini della Nazione, col suo lavoro, con la sua attività politica e sociale, mediante gli organismi che si formano nel suo seno per esprimere gli interessi morali, politici ed economici delle categorie di cui si compone, e attraverso l’Assemblea costituente e la Camera dei rappresentanti del lavoro.
13 – Nell’esplicazione delle sue funzioni sociali lo Stato, secondo i principi del decentramento, si avvale, oltre che dei propri organi diretti, di tutte le forze della Nazione, organizzandole giuridicamente in enti ausiliari territoriali e istituzionali, ai quali concede una sfera di autonomia ai fini dello svolgimento dei compiti loro assegnati nel modo più efficace e più utile per la Nazione.
Sezione I
L’Assemblea Costituente
14 – L’Assemblea Costituente è composta da un numero di membri pari a 1 ogni 50.000 cittadini. Deve essere l’espressione di tutte le forze vive della Nazione e pertanto debbono farne parte:
1) per ragione delle loro funzioni: coloro che, al momento della riunione della Costituente, fanno parte del Governo della Repubblica e ricoprono determinate cariche nell’amministrazione centrale e periferica dello Stato, nella magistratura, nell’ordine scolastico, in enti locali territoriali e istituzionali, in organismi politici e culturali ai quali lo Stato abbia riconosciuti o assegnati compiti di alto interesse nazionale.
La legge stabilisce le cariche che importano in chi le ricopre appartenenza alla Costituente.
I membri di diritto non possono superare un terzo dei componenti della Costituente; 
2) per elezione popolare, coloro che siano designati a far parte della Costituente dagli appartenenti alle organizzazioni riconosciute dallo Stato quali rappresentanti:
– dei lavoratori (imprenditori, operai, impiegati, tecnici, dirigenti) dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, del credito e dell’assicurazione, delle professioni e arti, dell’artigianato e della cooperazione;
– dei dipendenti dallo Stato e dagli enti pubblici;
– degli ex-combattenti per la causa nazionale, e, in particolare, dei decorati e dei volontari;
– delle famiglie dei caduti per la causa nazionale;
– delle famiglie numerose;
– degli italiani all’estero;
– delle altre categorie che in dati momenti della vita nazionale siano riconosciute, per legge, espressione di importanti interessi pubblici.
La legge stabilisce i requisiti e le forme per il riconoscimento di tali organizzazioni, nonché, per ciascuna di esse, il numero e i modi dell’elezione dei rappresentanti nella Costituente.
15 – La Costituente elegge il Duce della Repubblica Sociale Italiana.
Delibera:
1) sulla riforma della Carta costituzionale o sulle deroghe eccezionali alle norme della stessa;
2) sugli argomenti di supremo interesse nazionale che il Duce intenda sottoporle, o sui quali la decisione della Costituente sia richiesta dalla Camera dei rappresentanti del lavoro, con una maggioranza di almeno due terzi dei suoi membri di [sic, al posto di "in"] carica.
16 – La Costituente è convocata dal Duce che ne fissa l’ordine del giorno.
Nel caso di richiesta della Camera dei rappresentanti del lavoro, ai sensi dell’articolo precedente, la convocazione deve aver luogo entro un mese dal voto e nell’ordine del giorno debbono essere inseriti gli argomenti indicati dalla Camera.
In caso di impedimento del Duce, la Costituente è convocata dal Capo del Governo.
In caso di morte del Duce la Costituente deve esser convocata per la nomina del successore, entro un mese dalla morte.
Sezione II
La Camera dei Rappresentanti del Lavoro
17 – La Camera dei rappresentanti del lavoro è composta di un numero di membri pari a 1 ogni 100.000 abitanti, eletti col sistema del suffragio universale diretto da tutti i cittadini lavoratori maggiori degli anni 18.
Di essa inoltre fanno parte di diritto il Capo del Governo, nonché i Ministri e Sottosegretari di Stato.
18 – Sono considerati lavoratori coloro che sono rappresentati da un’Associazione professionale riconosciuta e i dipendenti da enti eventualmente esenti dall’inquadramento.
Sono, agli effetti dell’elettorato attivo, equiparati ai lavoratori:
1) coloro che hanno cessato di lavorare per ragioni di invalidità o vecchiaia;
2) coloro che seguono regolarmente un corso di studi, in istituti scolastici statali o pareggiati;
3) coloro che siano disoccupati involontari, o svolgano attività, da determinarsi per legge, fuori del campo della disciplina professionale.
19 – Possono essere eletti rappresentanti del lavoro coloro che siano in possesso di tutti i seguenti requisiti:
1) Siano maggiori degli anni 25, oppure siano decorati al valor militare o civile, volontari di guerra, mutilati o feriti di guerra o comunque per la causa nazionale, maggiori degli anni 21;
2) siano elettori;
3) non abbiano subito condanne per delitti o atti incompatibili colla dignità e il prestigio di rappresentanti del lavoro. La legge determina tali delitti o atti, escludendo quelli compiuti per ragioni di convinzioni politiche.
20 – I membri della Camera rappresentano tutto il popolo lavoratore, e non gli appartenenti alle circoscrizioni territoriali o alle categorie professionali che li hanno eletti.
21 – I rappresentanti del lavoro non possono essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni se non dopo aver prestato il giuramento dinanzi a Dio e ai Caduti della patria di servire con fedeltà la Repubblica Sociale Italiana, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi, nel solo intento del bene della Nazione.
22 – I rappresentanti del lavoro hanno il dovere di esprimere le loro opinioni e di dare i loro voti secondo coscienza e per i fini della loro funzione.
Sono liberi e insindacabili nell’esercizio delle loro funzioni.
23 – I rappresentanti del lavoro non possono essere arrestati, salvo il caso di flagranza di delitto, né processati, senza l’autorizzazione preventiva della Camera.
24 – I rappresentanti del lavoro restano in carica per tutta la durata della legislatura (art. 25). E sono rieleggibili.
Decadono però dalla loro funzione:
1) se tradiscono il giuramento prestato;
2) se perdono alcuno dei requisiti per la loro eleggibilità;
3) se trascurano i doveri della funzione rimanendo assenti per dieci sedute consecutive della Camera, senza autorizzazione da accordarsi dal Presidente (art. 34); qualora concorrano giustificati motivi.
25 – I lavori della Camera sono divisi in legislature.
Ogni legislatura dura cinque anni, ma può essere sciolta anche prima, nel caso stabilito dal presente Statuto.
La fine di ciascuna legislatura è stabilita con decreto del Duce, su proposta del Capo del Governo (art. 50).
Il decreto fissa anche la data di convocazione dell’Assemblea per ascoltare il discorso del Duce, col quale si inizia la legislatura successiva.
26 – La Camera dei rappresentanti del lavoro collabora col Duce e col Governo per la formazione delle leggi.
Per l’esercizio dell’ordinaria funzione legislativa la Camera è periodicamente convocata dal Capo del Governo.
27 – Il potere di proposizione delle leggi spetta al Duce (art. 41) e ai rappresentanti del lavoro (art. 49).
28 – La Camera esercita le sue funzioni per mezzo dell’Assemblea plenaria, della Commissione generale del bilancio e delle Commissioni legislative.
29 – È di competenza esclusiva della Assemblea plenaria la discussione e l’approvazione:
1) dei disegni di legge concernenti: le attribuzioni e le prerogative del Capo del Governo; la facoltà del Governo di emanare norme giuridiche; l’ordinamento professionale; i rapporti fra lo Stato e la Santa Sede; i trattati internazionali che importino variazioni al territorio dello Stato e delle Colonie; l’ordinamento giudiziario, sia ordinario che amministrativo; le deleghe legislative di carattere generale;
2) dei progetti di bilancio e di rendiconto consuntivo dello Stato, delle aziende autonome statali e degli enti pubblici economici di importanza nazionale la cui gestione sia rilevante per il bilancio dello Stato;
3) dei disegni di legge per i quali tale forma di discussione sia richiesta dal Governo o dall’Assemblea, oppure proposta dalle Commissioni e autorizzata dal Capo del Governo;
4) delle proposte di sottoporre alla Costituente la decisione di argomenti di supremo interesse nazionale.
30 – Le sedute dell’Assemblea plenaria sono pubbliche.
Però la riunione può esser tenuta in segreto, quando lo richiedano il Capo del Governo o almeno venti [cancellato da Mussolini e corretto con "cinquanta"] dei rappresentanti del lavoro.
Le votazioni hanno sempre luogo in modo palese.
31 – Le commissioni legislative sono costituite, in relazione a determinate attività nazionali, dal Presidente della Camera.
Esse eleggono nel proprio seno il Presidente; a questo spetta convocarle.
32 – Sono [sic, al posto di "È"] di competenza delle Commissioni la emanazione delle norme giuridiche, aventi oggetto diverso da quello indicato nell’art. 28 e che importano creazione, modifica o perdita dei diritti soggettivi dei cittadini, salvo che la legge ne attribuisca la competenza anche ad altri enti e organi.
La legge determina i modi, le forme e i termini per la discussione e l’approvazione dei disegni di legge sottoposti alle Commissioni legislative.
33 – Le deliberazioni dell’Assemblea plenaria e delle Commissioni sono prese a maggioranza assoluta, salvo il caso dell’art. 15.
Nessuna deliberazione è valida se non [è] presa con la presenza di almeno due terzi e col voto di almeno la metà dei rappresentanti del lavoro in carica.
34 – La Camera:
– provvede alla approvazione e modifica del suo regolamento;
– elegge, al principio di ogni legislatura, il proprio Presidente e i Vice-Presidenti.
Il Presidente nomina alle altre cariche stabilite dal regolamento della Camera.
§ II
Il Duce della Repubblica Sociale Italiana
35 – Il Duce della Repubblica Sociale Italiana è il Capo dello Stato.
Quale supremo interprete della volontà nazionale, che è la volontà dello Stato, realizza in sé l’unità dello Stato.
36 – È eletto dall’Assemblea Costituente. Dura in carica cinque [cancellato da Mussolini e corretto con "sette"] anni. È rieleggibile [Mussolini ha aggiunto le parole "una volta sola"].
37 – All’atto dell’assunzione delle sue funzioni, deve prestare giuramento dinanzi a Dio e ai Caduti per la Patria, di servire la Repubblica Sociale Italiana con tutte le sue forze e di ispirarsi in ogni atto del suo ufficio all’interesse supremo della Nazione e alla giustizia sociale.
38 – Il Duce non è responsabile verso alcun altro organo dello Stato per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni.
39 – Il Duce comanda tutte le forze armate, in tempo di pace a mezzo del Ministro per la Difesa Nazionale, in tempo di guerra a mezzo del Capo di Stato Maggiore Generale; dichiara la guerra; fa i trattati internazionali, dandone comunicazione alla Costituente o alla Camera dei rappresentanti del lavoro appena che ritenga ciò consentito dai supremi interessi dello Stato.
I trattati che importino variazioni nel territorio dello Stato, limitazioni o accrescimenti della sua sovranità o oneri per le finanze, non diventano esecutivi se non dopo avere ottenuto l’approvazione della Costituente o della Camera dei rappresentanti del lavoro, ai sensi di questa Costituzione.
40 – Il Duce esercita il potere legislativo in collaborazione con il Governo e con la Camera dei rappresentanti del lavoro.
41 – Il Duce convoca ogni anno la Camera. Può prorogarne le sessioni.
42 – Qualora ravvisi il dissenso politico tra il popolo dei lavoratori e la Camera, il Duce può scioglierla, convocandone un’altra nel termine di tre mesi.
43 – Il Duce presenta alla Camera i disegni di legge per mezzo del Governo.
44 – Il Duce sanziona le leggi.
45 – Al Duce appartiene il potere esecutivo. Esso lo esercita direttamente e a mezzo del Governo.
Il Duce promulga le leggi.
Il Duce nomina a tutte le cariche dello Stato.
Con decreto del Duce, sentito il Consiglio dei Ministri, sono emanate le norme giuridiche per disciplinare:
1) l’esecuzione delle leggi;
2) l’uso delle facoltà spettanti al potere esecutivo;
3) l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni dello Stato, e di altri enti pubblici indicati dalla legge.
Con decreto del Duce, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, possono emanarsi norme aventi forza di legge:
1) quando il Governo sia a ciò delegato da una legge;
2) nei casi di urgente e assoluta necessità sulla materia di competenza dell’Assemblea generale e delle Commissioni legislative della Camera, nonché per la messa in vigore dei disegni di legge su cui le Commissioni legislative non abbiano deliberato nei termini fissati dalla legge. In questi casi il Decreto del Duce deve essere a pena di decadenza presentato alla Camera, per la conversione in legge, entro sei mesi dalla sua pubblicazione. Se la Camera non l’approvi e decorrano due anni dalla pubblicazione, senza che sia intervenuta la conversione, il decreto cessa di aver vigore.
46 – Il Duce ha il diritto di amnistia, di grazia e di indulto.
47 – Al Duce spetta di istituire ordini cavallereschi e stabilirne gli statuti.
48 – I titoli di nobiltà sono mantenuti a coloro che vi hanno diritto. Al Duce spetta di conferirne di nuovi.
§ III
Il Governo
49 – Il Governo della Repubblica è costituito dal Capo del Governo e dai Ministri.
50 – Il Capo del Governo è nominato e revocato dal Duce.
È responsabile verso il Duce dell’indirizzo generale politico del Governo.
51 – Il capo del Governo dirige e coordina l’opera dei Ministri, convoca il consiglio dei Ministri, ne fissa l’ordine del giorno e lo presiede.
52 – Nessuno oggetto può esser posto all’ordine del giorno della Camera, senza il previo assenso del Capo del Governo.
53 – L’assenso del Capo del Governo è necessario per presentazione alla Camera delle proposte di legge di iniziativa dei rappresentanti del lavoro.
54 – I Ministri sono nominati e revocati dal Duce su proposta del Capo del Governo.
Sono responsabili verso il Duce e verso il Capo del Governo di tutti gli atti e provvedimenti dei loro Ministeri.
55 – I sottosegretari di Stato sono nominati e revocati dal Duce, su proposta del Capo del Governo, sentito il Ministro competente.
56 – A giudicare dei reati commessi da un Ministro con abuso delle sue funzioni, è competente la Camera costituita in Corte giurisdizionale. L’azione è esercita da Commissari nominati all’inizio di ogni legislatura e sostituiti in caso di vacanza, dal Presidente della Camera.
Contro le sentenze pronunziate dalla Camera come Corte giurisdizionale non è dato alcun ricorso.
§ IV
Le forze armate
57 – Le forze armate hanno lo scopo di combattere per la difesa dell’onore, della libertà e del benessere della Nazione.
Esse comprendono l’Esercito, la Marina da guerra, l’Aeronautica.
58 – La bandiera di combattimento per le forze armate è il tricolore, con fregio e una frangia marginale di alloro, e ai quattro lati il fascio repubblicano, una granata, un’àncora e un’aquila.
59 – La coscrizione militare è un servizio d’onore per il popolo italiano, ed un privilegio per la parte più eletta di esso.
Tutti i cittadini hanno il diritto e il dovere di servire in armi la Nazione, quando ne abbiano la idoneità fisica e non si trovino nelle condizioni di indegnità morale, stabilite dalla legge.
60 – Al Duce soltanto spettano nei riguardi delle forze armate i poteri di coordinamento; di nomina e di promozione, di ispezione, di dislocazione delle truppe, di mobilitazione.
§ V
La giurisdizione
61 – La giurisdizione garantisce l’attuazione del diritto positivo nello svolgimento dei fatti e dei rapporti giuridici.
62 – Le sentenze sono emanate nel nome della Legge, della quale esse realizzano la volontà.
63 – La funzione giurisdizionale è esercitata dai giudici, collegiali o unici, nominati dal Duce.
La loro organizzazione, la loro competenza per materia e per territorio, la procedura che debbono seguire nello svolgimento delle loro funzioni, sono regolate dalla legge.
64 – Una sola Suprema Corte di cassazione è costituita per tutta la Repubblica. Essa ha sede in Roma.
Ad essa spetta di assicurare un’uniforme interpretazione e applicazione del diritto da parte dei giudici di merito, e di risolvere i conflitti di attribuzione tra l’autorità giudiziaria e quella amministrativa.
65 – Nell’esercizio delle sue funzioni è garantita piena indipendenza alla magistratura: questa è vincolata dalla legge e soltanto dalla legge.
66 – Nessuno può esser punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite, né senza un giudizio svolto con le regole da essa fissate.
67 – Nei casi che debbono essere determinati con legge approvata dall’Assemblea della Camera, possono essere istituiti tribunali straordinari per un tempo limitato, e per determinati delitti.
La giurisdizione dei tribunali militari non può essere estesa a cittadini non in servizio militare se non in tempo di guerra e per i reati espressamente preveduti dalla legge.
68 – Quando lo Stato e gli altri enti pubblici agiscono nel campo del diritto privato sono pienamente soggetti al codice civile e alle altre leggi.
69 – Gli organi amministrativi dello Stato e degli altri enti pubblici debbono ispirarsi nell’esercizio delle loro funzioni alla realizzazione del principio della giustizia nell’amministrazione.
70 – Colui che sia stato leso da un atto amministrativo in suo interesse legittimo, dopo l’esperimento dei ricorsi gerarchici, in quanto ammessi, può proporre contro l’atto stesso ricorso per violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza dinanzi agli organi della giustizia amministrativa. Questi, oltre alla generale competenza di legittimità, hanno competenza di merito nei casi stabiliti dalla legge.
§ VI
La difesa della stirpe
71 – La Repubblica considera l’incremento demografico come condizione per l’ascesa della Nazione e per lo sviluppo della sua potenza militare, economica, civile.
72 – La politica demografica della Repubblica si svolge con tre finalità essenziali: numero, sanità morale e fisica, purità della stirpe.
73 – Presupposto della politica demografica è la difesa della famiglia, nucleo essenziale della struttura sociale dello Stato.
La Repubblica la attua proteggendo e consolidando tutti i valori religiosi e morali che cementano la famiglia, e in particolare:
– col favore accordato al matrimonio, considerato anche quale dovere nazionale e fonte di diritti, perché esso possa raggiungere tutte le sue alte finalità, prima: la procreazione di prole sana e numerosa;
– col riconoscimento degli effetti civili al sacramento del matrimonio, disciplinato nel diritto canonico;
– col divieto di matrimonio di cittadini italiani con sudditi di razza ebraica, e con la speciale disciplina del matrimonio di cittadini italiani con sudditi di altre razze o con stranieri;
– con la tutela della maternità;
– con la prestazione di aiuti e assistenza per il sostenimento degli oneri familiari. Speciali agevolazioni spettano alle famiglie numerose.
74 – La protezione dell’infanzia e della giovinezza è un’elevata funzione pubblica, che la Repubblica svolge, anche a mezzo appositi istituti, con l’ingerenza nell’attività educativa familiare (art. 76), con la protezione della filiazione illegittima e con l’assistenza tutelare dei minori abbandonati.
§ VII
L’educazione e l‘istruzione del popolo
Sezione I
Dell’Educazione
 
75 – La Repubblica pone tra i suoi principali compiti istituzionali l’educazione morale, sociale e politica del popolo.
76 – L’educazione dei figli, conforme ai principi della morale e del sentimento nazionale, è il supremo obbligo dei genitori.
Lo Stato, col rispetto dei diritti e dei doveri della patria potestà, invigila perché l’educazione familiare raggiunga i suoi fini di formare l’onesto cittadino, lavoratore e soldato, e si avvale degli ordinamenti scolastici per integrare e indirizzare l’opera della famiglia. Ove quest’opera manchi, provvede a sostituirla, affidandone lo svolgimento a istituti di pubblica assistenza o a privati.
77 – Organo fondamentale dell’educazione politica del popolo è il Partito fascista repubblicano.
Esso è riconosciuto come organo ausiliario dello Stato, e ha quali compiti essenziali:
– difendere e potenziare la rivoluzione, secondo i principi della dottrina di cui esso è assertore e depositario;
– suscitare e rafforzare nel popolo la coscienza, la passione, la [corretto da Mussolini in "la passione della"] solidarietà nazionale, e il dovere di subordinare tutti gli interessi individuali e collettivi, all’interesse supremo della libertà della Nazione nel mondo;
– diffondere nel popolo la conoscenza dei problemi internazionali e interni che interessano l’Italia.
78 – L’iscrizione al P.F.R. non importa alcun privilegio o speciale diritto. Essa importa il dovere di votarsi fino al limite estremo delle proprie forze, con assoluto disinteresse e purità d’intenti, alla causa nazionale.
Fuor del campo delle attività aventi carattere preminentemente politico, l’iscrizione al P.F.R. non è condizione né costituisce titolo di preferenza per l’assunzione o la conservazione di impieghi e cariche né per il trattamento morale ed economico dei lavoratori.
Sezione II
Dell’Istruzione
79 – La scuola si propone la formazione di una cultura del popolo, inspirata agli eterni valori della razza italiana e della sua civiltà.
80 – I programmi scolastici sono fissati in vista della funzione della scuola per l’educazione delle nuove generazioni.
81 – L’accesso agli studi e la loro prosecuzione sono regolati esclusivamente col criterio delle capacità e delle attitudini dimostrate. Collegi di Stato garantiscono la continuazione degli studi ai giovani capaci non abbienti.
82 – L’istruzione elementare, da impartirsi in scuole chiare e salubri, è obbligatoria e gratuita per tutti i cittadini della Repubblica.
83 – La Repubblica Sociale Italiana considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della Dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica: perciò l’insegnamento religioso è obbligatorio nelle scuole pubbliche elementari e medie. La legge può stabilire particolari casi di esenzione.
84 – La fondazione e l’esercizio di istituti privati di istruzione sono ammessi soltanto previa autorizzazione dello Stato e sotto controllo di questo sull’organizzazione, i programmi e la capacità morale e formazione scientifica degli insegnanti.
§ VIII
L’amministrazione locale
85 – I Comuni e le Provincie sono enti ausiliari dello Stato.
La loro istituzione e le loro circoscrizioni sono regolate dalla legge.
86 – I Comuni e le Provincie hanno come fine esclusivo la tutela degli interessi amministrativi dei cittadini che loro appartengono.
A tal fine sono muniti dallo Stato di poteri, che debbono esercitare coordinandoli e subordinandoli agli interessi superiori della Nazione.
Nello svolgimento delle loro funzioni i Comuni e le Province agiscono in modo autonomo, secondo i principi del decentramento amministrativo, ma sono sottoposti al controllo di legittimità e, nei casi stabiliti dalla legge, al controllo di merito degli organi diretti dallo Stato.
87 – Gli organi dell’amministrazione autonoma locale sono stabiliti dalla legge.
I Consigli comunali e provinciali sono eletti col sistema del suffragio universale diretto dai cittadini lavoratori residenti domiciliati nel territorio del Comune o della Provincia.
88 – I Consigli eleggono nel loro seno il Podestà del Comune e il Preside della Provincia.
La legge stabilisce le cause di incapacità, ineleggibilità, incompatibilità per le nomine a Podestà o a Preside.
Tali nomine sono soggette all’approvazione dello Stato, da darsi con decreto del Duce.
 
Capo III
Diritti e doveri del cittadino
 
89 – La cittadinanza italiana si acquista e si perde alle condizioni e nei modi stabiliti dalla legge, sulla base del principio che essa è titolo d’onore da riconoscersi e concedersi soltanto agli appartenenti alla stirpe ariana italiana.
In particolare la cittadinanza non può essere acquistata da appartenenti alla razza ebraica e a razze di colore.
90 – I sudditi di razza non italiana non godono del diritto di servire l’Italia in armi, né, in genere, dei diritti politici: godono dei diritti civili entro i limiti segnati dalla legge, secondo il criterio della loro esclusione da ogni attività, culturale ed economica, che presenti un interesse pubblico, anche se svolgentesi nel campo del diritto privato.
In quanto non particolarmente disposto vale per essi, in quanto applicabile, il trattamento riservato agli stranieri.
91 – Fondamentale dovere del cittadino è quello di collaborare con tutte le sue forze, e in ogni campo della sua attività, al raggiungimento dei fini supremi della Repubblica Sociale Italiana, accettando volenterosamente e disciplinatamente, gli oneri, le restrizioni ed i sacrifici che rispondono alle esigenze nazionali, per il principio che non può essere veramente libero se non il cittadino della Nazione libera.
92 – Tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge.
93 – I diritti civili e politici sono attribuiti a tutti i cittadini.
Ogni diritto soggettivo, pubblico e privato, importa il dovere dell’esercizio in conformità del fine nazionale per cui è concesso.
A questo titolo lo Stato ne garantisce e tutela l’esercizio.
94 – La libertà personale è garantita.
Nessuno può essere arrestato se non nei casi previsti e nelle forme prescritte dalla legge.
Nessun cittadino, arrestato in flagrante o fermato per misure preventive, può esser trattenuto oltre tre giorni senza un ordine dell’autorità giudiziaria nei casi previsti e nelle forme prescritte dalla legge.
95 – Il domicilio è inviolabile.
Tranne i casi di flagranza, nessuna visita o perquisizione domiciliare è consentita senza ordine dell’autorità giudiziaria nei casi previsti e nelle forme prescritte dalla legge.
96 – A ogni cittadino deve esser assicurata la facoltà di controllo, diretto o a traverso i suoi rappresentanti, e di responsabile critica sugli atti politici e su quelli della pubblica amministrazione, nonché sulle persone che li compiono o vi sono preposte.
97 – La libertà di parola, di stampa, d’associazione, di culto è riconosciuta dalla Repubblica come attributo essenziale della personalità umana e come strumento utile per gli interessi e per lo sviluppo della Nazione.
Deve esser garantita fino al limite in cui è compatibile con le preminenti esigenze dello Stato e con la libertà degli altri individui.
98 – L’organizzazione politica è libera.
I partiti possono esplicare la loro attività di propaganda delle loro idee e dei loro programmi, purché non in contrasto con i fini supremi della Repubblica.
99 – L’organizzazione professionale è libera. Ma soltanto la Confederazione unitaria del lavoro della tecnica e delle arti, o le associazioni ad essa aderenti e riconosciute dallo Stato, rappresentano legalmente gli interessi di tutte le categorie produttive e sono munite di pubblici poteri per lo svolgimento delle loro funzioni.
100 – È vietata, salva la preventiva autorizzazione dello Stato nel territorio della Repubblica la costituzione di associazioni aderenti a organizzazioni sindacali o politiche straniere o internazionali, o che ne costituiscano sezioni o comunque conservino con esse collegamenti.
101 – È vietata nel territorio della Repubblica la costituzione di società segrete.
 
Capo IV
Struttura dell’economia nazionale
 
§ I
La produzione e il lavoro
Sezione I
La Produzione
102 – Il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale. Suoi obiettivi sono il benessere dei singoli e lo sviluppo della potenza della Nazione.
103 – Nel campo della produzione la Repubblica si propone di conseguire l’indipendenza economica della Nazione, condizione e garanzia della sua libertà politica nel mondo.
A tale scopo la Repubblica, oltre a promuovere in tutti i modi l’aumento, il perfezionamento della produzione e la riduzione dei costi, fissa, a mezzo dei suoi organi e degli enti idonei, le direttive e i piani generali della produzione nazionale o di settori di questa.
All’osservanza di tali direttive e al successo di tali piani sono impegnati tutti i lavoratori, sia nella determinazione degli indirizzi, che nello svolgimento dell’attività produttiva.
104 – Nei rapporti tra le categorie dei vari rami della produzione nazionale, come nel seno di ogni singola impresa, si attua la collaborazione dei diversi fattori della produzione tra loro, il contemperamento dei loro interessi, la loro subordinazione agli interessi superiori della Nazione.
105 – La Repubblica considera la proprietà privata frutto del lavoro e del risparmio individuale, come completamento e mezzo di esplicazione della personalità umana, e ne riconosce la funzione sociale e nazionale, quale un mezzo efficace per sviluppare e moltiplicare la ricchezza e per porla a servizio della Nazione.
A questi titoli la Repubblica rispetta e tutela il diritto di proprietà privata e ne garantisce l’esercizio e i trasferimenti sia per atto fra i vivi che per successione legittima o testamentaria, secondo le regole stabilite dal codice civile e dalle altre leggi.
106 – La Repubblica protegge con particolare cura la proprietà rurale, di interesse vitale per l’economia nazionale e per la sanità morale e fisica della stirpe. Perciò favorisce con ogni mezzo il ritorno ai campi, con la costruzione di case coloniche, con le agevolazioni all’acquisto della piccola proprietà rurale da parte del più gran numero di lavoratori, coltivatori diretti.
Nei trasferimenti di terreni coltivabili o coltivati non può farsi luogo a frazionamenti che non rispettino l’unità colturale necessaria e sufficiente per il lavoro di una famiglia agricola o per una conveniente coltivazione.
107 – Si può procedere all’espropriazione della proprietà privata per pubblico interesse, nei casi legalmente accertati di pubblica utilità e quando il proprietario abbandoni o trascuri l’esercizio del diritto in modo dannoso per l’economia nazionale.
Si può altresì disporre il trasferimento coattivo della proprietà, quando sia di pubblico interesse assegnarne l’esercizio a persone o enti più adatti, ma solo nelle ipotesi espressamente stabilite dalla legge.
Sia in caso di espropriazione che di trasferimenti coattivi nel pubblico interesse è dovuta al proprietario una congrua indennità conformemente alle leggi.
108 – La Repubblica considera l’iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento più utile nell’interesse della Nazione, e pertanto la favorisce e la controlla.
109 – L’organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale, l’organizzatore dell’impresa è responsabile dell’indirizzo della produzione di fronte alla Repubblica.
110 – L’intervento dello Stato nella gestione di imprese economiche ha luogo nei casi in cui siano in giuoco interessi politici dello Stato, nonché per controllare l’iniziativa privata e per incoraggiarla, integrarla e, quando sia necessario, sostituirla se essa si dimostri insufficiente o manchi.
111 – La Repubblica assume direttamente la gestione delle imprese che controllino settori essenziali per la indipendenza economica e politica del Paese, nonché di imprese fornitrici di prodotti e servizi indispensabili a regolare lo svolgimento della vita economica del Paese. La determinazione delle imprese che si trovino in tale situazione è fatta per legge.
112 – In caso di assunzione della gestione di imprese private, per insufficienza della loro iniziativa, lo Stato la affida ad altro gestore privato, oppure, ma soltanto per il periodo in cui ciò non sia possibile o conveniente, a speciali enti pubblici.
Sezione II
Il Lavoro
113 – I1 lavoro è il soggetto e il fondamento dell’economia produttiva.
114 – Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali è un dovere nazionale.
Soltanto il cittadino che adempie il dovere del lavoro ha la pienezza della capacità giuridica, politica e civile.
115 – Come l’adempimento del dovere di svolgere l’attività lavorativa secondo le capacità e attitudini di ognuno è pari titolo di onore e di dignità, così la Repubblica assicura la piena uguaglianza giuridica di tutti i lavoratori.
116 – La Repubblica garantisce a ogni cittadino il diritto al lavoro, mediante l’organizzazione e l’incremento della produzione e mediante il controllo e la disciplina della domanda e dell’offerta di lavoro.
Il collocamento dei lavoratori è funzione pubblica, svolta gratuitamente da idonei uffici dall’organizzazione professionale riconosciuta.
117 – Poiché la attuazione, rigorosa e inderogabile, delle condizioni fondamentali costituenti garanzia del lavoro è di preminente interesse pubblico, la disciplina del rapporto di lavoro è affidata alla legge o alle norme da emanarsi dall’organizzazione professionale riconosciuta.
Tali norme si inseriscono automaticamente nei contratti individuali, i quali possono contenere norme diverse ma soltanto più favorevoli al lavoratore.
118 – La retribuzione del prestatore di lavoro deve corrispondere alle esigenze normali di vita, alle possibilità della produzione e al rendimento del lavoro.
Oltre alla retribuzione normale saranno corrisposti al lavoratore anche nello spirito di solidarietà tra i vari elementi della produzione, assegni in relazione agli oneri familiari.
119 – L’orario ordinario di lavoro non può superare le 44 ore settimanali e le 8 ore giornaliere, salvo esigenze di ordine pubblico per periodi determinati e per settori produttivi da stabilirsi per legge.
La legge o le norme emanate dalle associazioni professionali riconosciute stabiliscono i casi e i limiti di ammissibilità del lavoro straordinario e notturno e la misura della maggiorazione di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario.
120 – Il lavoratore ha diritto a un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la domenica e a un periodo annuale di ferie retribuito.
121 – Ogni lavoratore ha diritto a sciogliere il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Se il licenziamento avviene senza sua colpa, il lavoratore ha diritto, oltre a un congruo preavviso, a un’indennità proporzionata agli anni di servizio.
122 – In caso di morte del lavoratore, quanto a questo spetterebbe se fosse licenziato senza sua colpa, spetta ai figli, al coniuge, ai parenti conviventi a carico o agli eredi, nei modi stabiliti dalla legge.
123 – La previdenza è un’alta manifestazione del principio di collaborazione tra tutti gli elementi della produzione, che debbono concorrere agli oneri di essa.
La Repubblica coordina e integra tale azione di previdenza, a mezzo dell’organizzazione professionale, e con la costituzione di speciali Istituti per l’incremento e la maggiore estensione delle assicurazioni sociali.
L’opera convergente dello Stato e delle categorie interessate deve garantire a tutti i lavoratori piena assistenza per la vecchiaia, l’invalidità, gli infortuni sul lavoro, le malattie, la gravidanza e puerperio, la disoccupazione involontaria, il richiamo alle armi.
124 – Allo scopo di dare e accrescere la capacità tecnica e produttiva e il valore morale dei lavoratori e di agevolare l’azione selettiva tra questi, la Repubblica anche a mezzo dell’associazione professionale riconosciuta, promuove e sviluppa l’istruzione professionale.
§ II
La gestione socializzata dell’impresa
125 – La gestione dell’impresa, sia essa pubblica che privata, è socializzata.
Ad essa prendono parte diretta coloro che nell’impresa svolgono, in qualunque forma, una effettiva attività produttiva.
126 – Ogni impresa ha un capo, responsabile di fronte allo Stato, politicamente e giuridicamente, dell’andamento della produzione e della disciplina del lavoro nell’impresa.
127 – Il capo dell’impresa pubblica è nominato dal Governo.
128 – Il capo dell’impresa privata è l’imprenditore.
Imprenditore è colui che ha organizzato l’impresa, determinandone l’oggetto e lo scopo economico, o colui che ne ha preso posto.
Nelle imprese individuali o ad amministratore unico, il capo dell’impresa è il titolare o l’amministratore unico.
Nelle imprese con organo amministrativo collegiale il capo dell’impresa è stabilito, dallo statuto o dall’atto costitutivo, nella persona del Presidente del Consiglio di amministrazione o dell’Amministratore delegato o di un tecnico, che può essere estraneo al Consiglio, e a cui si conferiscono le funzioni di Direttore generale.
129 – Le aziende pubbliche sono amministrate da un Consiglio di gestione eletto dai lavoratori dell’impresa, operai, impiegati tecnici.
Il Consiglio di gestione decide su tutte le questioni inerenti all’indirizzo e allo svolgimento della produzione dell’impresa nel quadro del piano unitario nazionale determinato dalla Repubblica a mezzo dei suoi competenti organi; forma il bilancio dell’impresa e delibera la ripartizione degli utili determinando la parte spettante ai lavoratori; decide sulle questioni inerenti alla disciplina e alla tutela del lavoro.
130 – Nelle imprese private, degli organi collegiali di amministrazione, formati secondo la legge, gli atti costitutivi e gli statuti fanno parte i rappresentanti degli operai, impiegati e tecnici dell’impresa in numero non inferiore a quello dei rappresentati eletti dall’assemblea dei portatori del capitale sociale, e uno o più rappresentanti dello Stato qualora esso partecipi alla formazione del capitale.
131 – Nelle imprese individuali e in quelle per le quali l’atto costitutivo e gli statuti prevedano un amministratore unico, qualora esse impieghino complessivamente almeno cinquanta lavoratori, verrà costituito un consiglio di operai, impiegati e tecnici dell’impresa di almeno tre membri.
Il Consiglio collabora col titolare dell’impresa e con l’amministratore unico alla gestione dell’impresa. Deve esser sentito per la formazione del bilancio e per le decisioni che importino trasformazione della struttura, della forma giuridica e dell’oggetto dell’impresa.
132 – In ogni impresa, che occupi più di dieci lavoratori, si costituisce il consiglio di fabbrica, eletto da tutti gli operai, impiegati e tecnici, il quale partecipa alla formazione dei regolamenti interni e alla risoluzione delle questioni che possano sorgere nella loro applicazione.
Nelle imprese in cui non vi sia un organo collegiale, di amministrazione né il consiglio dei lavoratori, il capo dell’impresa deve sentire il parere del consiglio di fabbrica nelle questioni riguardanti la disciplina del lavoro, e può sentirlo nelle altre questioni che egli intenda di sottoporgli.
133 – La legge, in relazione alla situazione economica, stabilisce i limiti massimi e i modi con cui può esser determinato il compenso al capitale impiegato nell’impresa, in generale o per i vari tipi di esse.
Entro questi limiti e nei modi consentiti la determinazione del compenso è stabilita convenzionalmente.
134 – Gli utili dell’impresa, dopo la deduzione del compenso dovuto al capitale, sono distribuiti tra il capo, gli amministratori e gli operai, impiegati e tecnici dell’impresa, nelle proporzioni fissate per legge, per norma collettiva o, in mancanza degli atti costitutivi, dagli statuti e dalle deliberazioni degli organi di gestione.
La parte degli utili non distribuita, è assegnata alla riserva nei limiti minimi e massimi stabiliti dalla legge, e se vi sia ancora un’eccedenza, questa è devoluta allo Stato che l’amministra o la impiega per scopi di carattere sociale.
§ III
L’organizzazione professionale
135 – Tutte le categorie di prestatori d’opera e di lavoratori, operai, impiegati, dirigenti, di artigiani, di imprenditori, di professionisti e gli artisti sono organizzati in un’organizzazione professionale nazionale.
Nel seno dell’organizzazione unica possono formarsi sezioni per le varie branche della produzione e per le varie categorie professionali.
136 – L’associazione professionale unica si ispira ai principi della Repubblica Sociale Italiana e ne cura l’attuazione nel campo dell’economia nazionale: essa costituisce l’organizzazione giuridica a traverso la quale si opera la trasformazione di tutte le forze della produzione in forze nazionali, e si realizza la loro partecipazione stabile alla costituzione e alla vita dello Stato.
137 – L’organizzazione professionale unica ha l’esclusiva integrale rappresentanza degli interessi delle categorie in essa organizzate. In virtù di questa integrale rappresentanza, essendo gli interessi delle categorie produttive, considerate nella loro funzione nazionale, di supremo interesse statale, essa è giuridicamente riconosciuta come ente ausiliario dello Stato.
138 – L’associazione professionale unica ha come precipui compiti istituzionali, che essa può assolvere anche a traverso le associazioni che si formino nel suo seno: tutelare gli interessi delle categorie rappresentate, contemperandoli tra loro e subordinandoli ai fini superiori della Nazione; promuovere in tutti i modi l’incremento qualitativo e quantitativo della produzione, e la riduzione dei costi e dei prezzi di beni e servizi, nell’interesse dei produttori e dei consumatori; curare che gli appartenenti alle categorie produttive si uniformino, nell’esercizio della loro attività, ai principi dell’ordinamento sociale nazionale e agli obblighi che vi derivano; assicurare l’uguaglianza giuridica tra i vari elementi della produzione, suscitarne e rafforzarne la solidarietà tra loro e verso la Nazione; promuovere ed attuare provvedimenti e istituti di previdenza sociale fra i produttori; coltivare l’istruzione, specialmente professionale, e l’educazione morale, politica e religiosa degli appartenenti alle categorie; prestare assistenza ai produttori rappresentati; in genere svolgere tutte le altre funzioni utili al mantenimento della disciplina della produzione e del lavoro.
139 – All’associazione professionale unica, per l’assolvimento dei suoi compiti lo Stato affida l’esercizio di poteri:
a) normativo, per cui, nelle forme e nei modi stabiliti dalla legge, essa detta norme giuridiche obbligatorie per la disciplina dei rapporti collettivi di lavoro e può dettare, ove se ne verifichi la necessità, norme giuridiche obbligatorie per la disciplina dei rapporti collettivi economici ai fini del coordinamento della produzione;
b) fiscale, per cui, onde sostenere le spese obbligatorie facoltative connesse alle sue funzioni, può imporre contributi a tutti i lavoratori rappresentati nella misura massima stabilita dalla legge procedendo all’esazione colle procedure e i privilegi per la riscossione delle imposte;
c) conciliativo, per cui deve esperire il tentativo di conciliazione nelle controversie individuali e collettive relative ai rapporti di lavoro e all’applicazione delle norme collettive economiche da esso emanate: tale tentativo di conciliazione costituisce un presupposto necessario per la proposizione delle relative controversie giudiziarie;
d) disciplinare, per cui può infliggere ai rappresentati sanzioni disciplinari determinate nello Statuto dell’associazione, per inosservanza ai doveri nascenti dall’ordinamento sociale nazionale; al fine di accertare tali eventuali inosservanze essa può disporre gli opportuni controlli, a mezzo di propri organi e dei fiduciari di fabbrica, ove siano istituiti;
e) consultivo, per cui il suo parere deve esser sentito dalle amministrazioni dello Stato, nelle materie interessanti la disciplina della produzione e del lavoro.
140 – Nello svolgimento delle sue funzioni la Confederazione unica gode di piena autonomia.
I suoi atti sono solamente sottoposti al controllo di legittimità, e le persone al controllo politico dello Stato, a mezzo degli organi designati dalla legge.
141 – Per la risoluzione delle controversie collettive relative alla formazione, alla revisione o alla interpretazione delle norme collettive di lavoro o alla interpretazione delle norme collettive economiche, emanate dall’organizzazione professionale riconosciuta è istituita la Magistratura del Lavoro, organo della Magistratura ordinaria.
La Magistratura del Lavoro è costituita da tre giudici dell’ordine giudiziario e da due giudici esperti, da scegliere in appositi albi da tenersi nei modi stabiliti dalla legge.
Alla proposizione delle azioni per la risoluzione delle controversie collettive è legittimata soltanto l’Associazione professionale riconosciuta o, previa autorizzazione, le associazioni ad essa aderenti. In mancanza, l’azione può essere proposta dal Pubblico Ministero, il cui ricorso deve esser notificato alla Associazione professionale riconosciuta, che può intervenire nel giudizio.
Nelle controversie collettive promosse dalla Associazione professionale, l’intervento del Pubblico Ministero è obbligatorio a pena di nullità.
Le decisioni della Magistratura del Lavoro in sede di controversie collettive hanno la stessa efficacia delle norme collettive emanate dalla organizzazione professionale riconosciuta.
Tali decisioni non possono essere impugnate se non per errori di procedura dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione.
142 – Poiché l’ordinamento giuridico della Repubblica fornisce tutti i mezzi per la composizione equa e pacifica di ogni controversia collettiva nel campo del lavoro e della produzione, lo sciopero, la serrata, l’inosservanza delle norme collettive ed economiche e delle sentenze della Magistratura del Lavoro, e in genere tutti gli altri atti di lotta sociale, sono puniti quali delitti contro l’economia nazionale.
 
* Tra parentesi sono riportate le modifiche apportate da Mussolini di suo pugno.
 
 
da LE COSTITUZIONI INATTUATE di G. Negri e S. Simoni. Editore Colombo, Roma, 1990.
NB: Questo testo riporta le correzioni di Mussolini. Non riporta però alcune note a margine dello stesso Carlo Alberto Biggini. Il documento originario si trova invece in toto, così come trasmesso dalla proprietaria e custode Maria Bianca Biggini, nel libro LE COSTITUZIONI DELLA R.S.I. VITTORIO ROLANDI RICCI IL "SOCRATE" DI MUSSOLINI di Franco Franchi. Settimo Sigillo, 1997. Il libro di Franchi contiene inoltre numeroso altro materiale relativo ai progetti di Costituzione. Gli apporti di altri e gli appunti di Costituzione del giornalista Bruno Spampanato.

IL PROGETTO DI COSTITUZIONE DI VITTORIO ROLANDI RICCI (nel testo trasmessoci da Ermanno Amicucci) da LE COSTITUZIONI DELLA R.S.I. VITTORIO ROLANDI RICCI IL "SOCRATE" DI MUSSOLINI di Franco Franchi. Settimo Sigillo, 1997.
 
 
1) A Capo dello Stato doveva essere un Presidente eletto a suffragio universale;
2) Il Presidente eletto doveva durare in carica dieci anni.
3) Non era rieleggibile se non dopo almeno cinque anni
dalla cessazione dall’ufficio;
4) In caso di morte oppure delle dimissioni o di qualunque altro impedimento ostativo definitivamente alla continuazione nella carica presidenziale, il vice Presidente doveva entro tre mesi indire la elezione del nuovo Presidente;
5) In caso di impedimento solo temporaneo, sarebbero subentrati nelle sue funzioni in primo luogo il Presidente del Senato; in secondo luogo il Presidente della Camera od un vice Presidente di essa.
Nessuna sostituzione doveva durare più di tre mesi;
6) Il Presidente o chi lo sostituisse doveva aver compiuto quaranta anni Non poteva cumulare nessun altro ufficio né incarico con l'esercizio dell’ufficio presidenziale.
L'assegno a chi reggeva la Presidenza doveva essere determinato volta per volta dalle due Camere riunite;
7) Il Presidente, o vice Presidente sostituito al Presidente, doveva cessare dall’ufficio quando tale cessazione fosse stata deliberata dalle due Camere riunite in Assemblea Nazionale con i voti di due terzi dei componenti l'Assemblea. Il numero totale doveva comprendere anche gli assenti dall'adunanza dell’Assemblea in cui venisse votata la domanda di cessazione dall’ufficio presidenziale;
8) Il Parlamento si componeva di due Camere, quella dei Deputati e quella dei Senatori, con parità di potere legislativo e di iniziative;
9) La Camera dei Deputati doveva essere eletta a suffragio universale con collegio uninominale.
I deputati duravano in carica cinque anni.
La Camera doveva eleggere un Presidente, un primo, un secondo ed un terzo vice Presidente;
10) Il Deputato non poteva essere rieletto dopo due legislature, se non fossero trascorsi almeno tre anni dall’ultima scadenza dall’ufficio.
Il Deputato doveva aver compiuti venticinque anni.
Quando per morte, dimissioni od altra legittima causale fosse venuto a mancare un deputato, il collegio che lo aveva eletto doveva essere convocato dal Presidente della Camera entro il termine di due mesi;
11) 19 numero dei deputati doveva corrispondere a quello di uno ogni centomila abitanti. L'eleggibilità e l'elettorato competevano a tutti gli uomini e le donne che avessero compiuto ventun anni;
12) Il Senato doveva comporsi di un numero di Senatori
pari alla metà del numero dei Deputati.
Essi sarebbero durati in carica per otto anni.
Dovevano essere eletti per un quarto dai professori di Università e di Liceo, Ginnasio e altre scuole medie; per un quarto dal Presidente della Repubblica che doveva sceglierli fra i magistrati di tutte le giurisdizioni ordinarie civili e penali, tra i funzionari amministrativi e diplomatici, e fra gli ufficiali delle tre armi; e per l'altra metà a suffragio universale con scrutinio di lista per ogni provincia.
Fra gli eletti dal Presidente dovevano essere inclusi dieci vescovi.
Il Senatore doveva aver compiuto quaranta anni.
Dopo che era stato eletto per due volte, il Senatore nominato a suffragio universale non poteva essere rieletto se non dopo trascorsi quattro anni dalla scadenza dell’ufficio. Ugualmente quelli eletti dalla categoria dei professori. Per i Senatori designati dal Presidente, eccettuati i Vescovi, quando fosse succeduto un altro Presidente a quello che li aveva designati, dovevano essere sorteggiati e sostituiti per metà con nuovi designabili dal nuovo Presidente. Elettori a suffragio universale dei Senatori, erano gli uomini e donne che avessero compiuto 30 anni.
Erano eleggibili al Senato anche le donne, e così pure alla Camera;
13) Quando occorresse sostituzione di Senatori questa sarebbe stata effettuata a seconda delle categorie di nomina;
14) Ogni biennio le liste elettorali dei Deputati e dei Senatori dovevano essere sottoposte alla revisione rispettivamente alla Presidenza della Camera e del Senato e sottoposte alla deliberazione della Camera e del Senato, rispettivamente;
15) Il Presidente della Repubblica su proposta del Consiglio dei Ministri poteva sciogliere la Camera quando tale proposta fosse stata approvata con tre quarti dei voti del Senato; e sciogliere il Senato quando la proposta del Governo fosse stata approvata con tre quarti dei voti della Camera;
16) Le indennità da attribuirsi ai Deputati ed ai Senatori dovevano essere uguali ed essere determinate in una seduta delle due Camere riunite, per ogni Legislatura. Ugualmente dovevano contemporaneamente fissarsi gli assegni per il bi. lancio della Camera e per il bilancio del Senato.
Della gestione di tali assegni il Presidente ed i Questori della Camera e del Senato dovevano biennalmente presentare il resoconto al Ministero delle Finanze, che ne doveva fare la pubblicazione entro due mesi dalla presentazione, affinché l'opinione pubblica potesse averne notizia;
17) Era dichiarato la religione cattolica essere la religione dello Stato; gli altri culti ammessi nei limiti stabiliti dalla legge. Erano dichiarate le immunità parlamentari, esclusa ogni giurisdizione speciale.
Era proclamata la non retroattività di qualunque legge penale.
La proprietà privata era considerata piena e libera salvo quelle azioni che per legge fossero riconosciute di interesse nazionale. L'espropriazione doveva sempre essere compensata con adeguato pagamento di indennità.
La disciplina di qualunque contratto, anche di quelli di lavoro, era demandata alla legge, od a regolamenti approvati per delegazione del legislatore;
18) Le ammissioni, le promozioni, le rimozioni di tutti i magistrati dovevano essere affidate ad una commissione composta di quindici membri, dei quali sette eletti tra i componenti la Corte di Cassazione, compresa la Procura Generale, sette dai componenti il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti; e presieduta dal Presidente la Corte di Cassazione o da un vice Presidente da lui designato allo scopo. Da tale commissione dovevano essere esclusi Deputati e Senatori.
Ai magistrati era assicurata la inamovibilità dalle funzioni: ma il Ministro di Grazia e giustizia poteva trasferirli di sede
quando il Procuratore Generale della Corte d'Appello, se si trattava di magistrati di Appello o di grado inferiore, e il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, se si trattava di magistrato superiore, avessero dato parere scritto riconoscendo l'opportunità del trasloco;
19) Per tutti i funzionari dello Stato civili e militari, come per i magistrati, era stabilito il divieto di appartenere a qualunque società segreta, sotto comminatoria di revoca dall’ufficio;
20) L'educazione e l'istruzione erano avocate allo Stato, rispettati i Patti Lateranensi, i quali erano dichiarati costituzionalmente invariabili unilateralmente;
21) Il Governo era affidato al Consiglio dei Ministri e dei Vice Ministri. Il numero degli uni e degli altri e le loro attribuzioni dovevano essere determinati per legge. I Ministri erano eletti dal Capo dello Stato: ma entro due mesi dalla loro entrata in carica dovevano chiedere esplicitamente un voto di fiducia a ciascuna delle due Camere. Non ottenendolo dovevano essere sostituiti.
Il Presidente del Consiglio era designato dal Capo dello Stato: ed insieme i due vice Presidenti;
22) Seguivano disposizioni transitorie.
 
 
da LE COSTITUZIONI DELLA R.S.I. VITTORIO ROLANDI RICCI IL "SOCRATE" DI MUSSOLINI di Franco Franchi. Settimo Sigillo, 1997.

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